La guerra che viene
Il 26 febbraio 2013 Valerij Vasil'evič Gerasimov, Capo di Stato Maggiore generale delle Forze armate in Russia, tenne una conferenza all'Accademia di Scienza Militare di Mosca. Sembrava uno dei ricorrenti promemoria che i militari lanciano ai politici affinché aggiornino le dottrine in relazione alle nuove armi e viceversa. Ma quella volta il tema era andato a toccare un nervo sensibile, cioè il futuro della guerra che i nuovi sistemi d'arma, l'elettronica e l'informatica, preannunciavano da trent'anni. La guerra futura sarebbe stata un qualcosa di completamente diverso da ciò che fino a quel momento gli uomini avevano escogitato per combattersi. Da Sun Tzu alla Rand Corporation passando da von Clausewitz, la guerra aveva già fatto un pezzo del percorso di affrancamento dalla competizione lancia-scudo, cannone-corazza, onda elettromagnetica-disturbo. Paesi che sembravano funzionare benissimo con diversi tipi di regime politico, capaci di durare nel tempo anche di fronte a situazioni interne disastrose, ora crollavano sotto eventi capaci di sconvolgere ogni equilibrio. Milioni di persone in piazza, repressione feroce, intervento straniero e condizioni di guerra civile permanente diventavano la regola. Il concetto di "forze armate" come insieme complesso di comparti specializzati ma cooperanti diventava evanescente perché armi e dottrine vecchie non venivano sostituite da quelle nuove, la cui efficienza non poteva dunque essere sperimentata sul campo.
Il grido d'allarme dei generali (Gerasimov era solo uno tra gli altri) non riguardava tanto l'aggiornamento di armi e dottrine quanto il cambiamento epocale intervenuto comunque, senza che vi fosse un riscontro da parte degli addetti ai lavori. I quali, passati altri dieci anni, si rendono conto che l'introduzione delle armi intelligenti, delle dottrine per il loro uso, delle politiche di destabilizzazione, tutto ciò è incompatibile con la guerra come la vediamo ora. Se questa scoppia, ci accorgeremo subito che tutto l'armamentario in vetrina, quello per la qualità totale, per la produzione just-in-time, per i flussi senza magazzino, per dare al consumatore il prodotto costruito proprio per lui ha appena sfiorato la produzione militare. Per le armi questo principio di organizzazione scientifica non è stato adottato. Il mercato – si diceva – è un dato perenne, la guerra no. La guerra riflette la società, le armi riflettono la sua industria. Non si pensava che l'industria fosse il laboratorio di sé stessa, che modificasse quotidianamente, impercettibilmente, il suo rapporto con i materiali, i modi, le tecnologie. La guerra può avere il suo laboratorio solo se la società è in guerra. Adesso che la guerra c'è, ci si accorge di ciò che manca. Gerasimov l'ha chiamata "ibrida", forse voleva dire per metà civile e per metà mondiale. Di fatto è perenne, infinita, come la definiscono Americani e Cinesi. Ibrida, non come evoluzione da adattamento ma come salto genetico.
Ogni guerra è di per sé una "catastrofe umanitaria" e i profughi che ne sono protagonisti vengono "fabbricati" a milioni. È una parte dell'umanità che sul mercato non vale un soldo, ma è anche una massa che non si può eliminare. Non è, come si dice per i civili fatti a pezzi dalle bombe intelligenti, un "danno collaterale", è un elemento imprescindibile dalla guerra. Un centro per rifugiati può "valere" mille missili. Nella guerra fra Argentina e Inghilterra (1982), gli Argentini occuparono le Malvinas e costruirono difese fisse per respingere lo sbarco che sarebbe sicuramente seguito. Il comando generale delle operazioni fu stabilito sul continente. La dinamica di quello scontro mostrava bene, con trent'anni di anticipo, ciò che Gerasimov intendeva per guerra ibrida. L'Argentina stava attraversando una crisi durissima ed era governata da un regime militare. Con l'economia a rotoli e una strisciante guerra civile, i militari estesero il fronte di guerra alle isole rivendicate. Con i criteri usuali sembrava semplice attaccare isole militarmente sguarnite, occuparle e attendere gli Inglesi che dovevano preparare una flotta e percorrere un intero meridiano dal Mare del Nord all'Antartide. Problemi di cibo non c'erano per via di sette milioni di pecore da lana allevate dai coloni. Le isole erano, con il loro aeroporto, una portaerei in mezzo al mare e l'aviazione argentina aveva ottime possibilità di usare la sua forza. Come dimostrò, aveva piloti ben addestrati e aerei moderni, anche se con limiti di raggio d'azione (superabili dislocando i velivoli sulle isole). Invece di adoperare le isole come una portaerei, gli Argentini scavarono trincee e casematte per aspettare la flotta inglese. A difesa della rotta per le isole inviarono un vecchio incrociatore che gli inglesi affondarono sparando tre siluri che risalivano alla Seconda Guerra Mondiale, di cui due colpirono il bersaglio e il terzo colpì per errore un cacciatorpediniere senza esplodere. Due giorni dopo, gli Argentini affondarono il moderno cacciatorpediniere Sheffield con tre missili tecnologicamente avanzati. Durante la battaglia, le navi inglesi dovettero rinunciare ai servizi di disturbo e comunicazione da satellite perché danneggiavano più le navi amiche che non quelle nemiche. Fu uno scontro da Prima Guerra Mondiale: non fu usata, da entrambe le parti, alcuna misura di guerra ibrida. Gli Inglesi occuparono le isole con truppe d'élite, accendendo scaramucce senza storia.
I wargame che da allora riprendono le condizioni di quella guerra, mostrano che essa era impossibile da vincere per gli Argentini (avevano contro, oltre agli Inglesi, anche gli Stati Uniti che misero a disposizione i loro satelliti). Ma se giocata con i criteri attuali la vittoria non si presentava come impossibile. Certamente vi era disparità di materiali bellici: poiché quelli dell'Argentina erano di una generazione precedente rispetto a quelli dell'Inghilterra, sarebbe stato necessario conoscere le possibilità di sincronia fra le macchine per conoscere quella fra uomini. Ma per dottrine e materiali, fra i due contendenti c'era allora meno differenza di adesso. Quarant'anni di evoluzione dei sistemi hanno profondamente cambiato la natura della guerra. Oggi nessuno scaverebbe trincee come nella Prima Guerra Mondiale. L'hanno fatto ancora gli eserciti israeliano e iracheno ma in condizioni molto particolari, le stesse che potevano suggerire un comportamento da guerra ibrida: la ricerca di una simmetria quando le forze sono pesantemente asimmetriche. Da questo punto di vista la guerra ucraina non sembra aver raggiunto dei risultati in tal senso. L'asimmetria c'è, e l'esercito russo tende a mantenerla distruggendo sistematicamente tutto ciò che può servire a raggiungerla. Se l'Ucraina avesse potuto avere una dottrina militare basata sulla saturazione dello spazio con ogni sorta di arma elettromagnetica, informatica, spionistica, avrebbe avuto qualche possibilità di rispondere all'attacco. Non vogliamo dire che questa guerra manchi di tali caratteristiche, semplicemente le ha assunte quando la guerra era già in corso pur non vedendosi, non prima. Russi e Americani non erano molto più preparati su questo terreno, ma hanno tentato di focalizzare la preparazione bellica proprio su quelli che sono creduti elementi non militari della guerra. Si è vista calare come una valanga la pressione enorme della propaganda, e l'uso delle popolazioni, delle partigianerie e delle fabbriche di notizie era già cominciato da tempo con le forti manifestazioni che i Russi hanno chiamato "rivoluzioni colorate".
L'insieme ibrido, se vogliamo chiamarlo così, che comprende le leve politiche, economiche, diplomatiche, umanitarie, cibernetiche, informative, sarà sempre più integrato con gli strumenti prettamente militari che soltanto tali non saranno mai più.