La Quarta Guerra Mondiale
Volantino distribuito in occasione del Primo Maggio
La Prima e la Seconda Guerra Mondiale sono facili da definire, si sanno le date d'inizio e quelle della fine. Le guerre successive non sono definite "mondiali" anche se si sono succedute incessantemente per decenni in tutto il mondo, coinvolgendo paesi che ufficialmente non erano in guerra ma che spingevano altri paesi allo scontro nelle cosiddette "proxy war", guerre per procura. Siamo dunque stati in un lungo periodo definito "Guerra Fredda" perché i due principali antagonisti, gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica non si sparavano direttamente; ma la definizione risulta impropria, dato che le decine di guerre sono state "caldissime", micidiali in quanto a morti e feriti soprattutto fra i civili, con enorme produzione e consumo di armi.
Con il crollo dell'Unione Sovietica la periodizzazione delle guerre definibili "mondiali" si era precisato: la "Guerra Fredda" era stato un percorso definito, con caratteristiche particolari che in certo modo ne giustificavano la definizione. C'è chi propone una cesura al 1973, quando con la Guerra del Kippur si era raggiunto il massimo indice di consumo dei materiali bellici. C'è chi individua la svolta non tanto nella quantità di materiali quanto nella qualità (elettronica, reti, informazione/disinformazione, eccetera). C'è chi vede nella capitalizzazione totale del mondo una transizione abbinata fra Terza Rivoluzione industriale e Terza Guerra Mondiale, delle quali la produzione di nuove tipologie di armi non è che una conseguenza. Il papa attuale l'ha chiamata "Terza Guerra Mondiale a Pezzi".
Si può abbandonare la definizione di "Guerra Fredda" e adottare "Terza Guerra Mondiale" senza cadere nell'arbitrio. La globalizzazione è un fatto (lo era già al tempo degli antichi imperi), ma la globalizzazione come passaggio dalla "sussunzione del capitale allo stato" alla "sussunzione dello stato al capitale" è una rivoluzione. Gli Stati Uniti erano e sono la massima espressione del capitale autonomizzato che controlla lo stato. L'Unione Sovietica non aveva superato lo statalismo che controlla il capitale.
Lo stadio di sviluppo del capitale è di estrema importanza quando si parla di guerra moderna. Quest'ultima è lo specchio della società che la esprime. La geopolitica, l'intreccio degli interessi, la produzione/distribuzione mai vista in tale intensità e vastità fanno sì che guerra e pace non siano più in sequenza ("la guerra come proseguimento della politica con altri mezzi") ma rappresentino un tutto unico. In un sito specializzato in questioni militari si scrive ad esempio che la guerra in Ucraina "si è rapidamente trasformata nel più grande conflitto convenzionale a livello mondiale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale".
È vero, specialmente per quanto riguarda la rapida autonomizzazione del capitale e il numero di paesi importanti coinvolto. Ma che cosa vuol dire "convenzionale"? Normalmente, parlando di guerra, quando si usa quel termine è per sottolineare la differenza con "nucleare". Qui però il contesto è diverso. Per capire il nesso tra particolari e insieme occorre partire dal fatto che "convenzionale" è tutto ciò che è ancora attinente alla Seconda Guerra Mondiale, o meglio, alla sua fase terminale, mentre avanzano gli armamenti nuovi, cioè mai collaudati in un conflitto nel quale abbiano potuto mostrare la loro efficacia o inutilità. Le nuove guerre incominciano là dov'erano finite le precedenti. Anche se il punto di transizione non è perfettamente visibile, la transizione storica si impone come risultato dei rapporti capitalistici. La sovrapproduzione di capitale, che è sempre sovrapproduzione di merci, trova nuovi sbocchi soltanto sovradimensionando il mercato. È inevitabile assistere alla risposta automatica, immediata, dell'intero ciclo di produzione, il quale comprende la guerra.
Verso la fine della Seconda Guerra Mondiale si erano affacciati alla storia sistemi di macchine la cui progettazione e produzione richiedeva conoscenze approfondite in molti campi. Era successo che l'organizzazione scientifica del lavoro era passata da metodo tecnico a principio teoretico. Non la si adottava perché permetteva una maggiore efficienza ma perché l'efficienza aveva ucciso il vecchio metodo.
La guerra in Ucraina si sta combattendo dunque con i metodi della Seconda Guerra Mondiale. La "Terza" non ha potuto influenzare il futuro con i nuovi mezzi perché essi avrebbero obbligato a sconvolgimenti insostenibili in tempo di cosiddetta pace. Ma è solo questione di tempo.
È il suo ultimo atto e già si vedono i cambiamenti che saranno introdotti per l'inizio della Quarta. Russia e America si stanno studiando e valutando, ma l'esito appare chiaro: la guerra delle macchine, dei sistemi e dell'informazione prenderà il sopravvento e gli uomini diventeranno delle loro protesi, come del resto e già successo nella fabbrica.
Se passa, questo tipo di guerra andrà fino in fondo, non sarà più possibile fare marcia indietro. Sarebbe auspicabile un moto sociale che agisca in anticipo, ma non sembra all'orizzonte.
Per adesso gli specialisti borghesi delle varie dottrine avvertono con disagio, ognuno dal punto di vista della propria specializzazione, che il mondo non può procedere illudendosi che la guerra in atto non abbia caratteri totalizzanti con tutto ciò che essa comporta nelle complesse relazioni fra paesi e continenti. Gli organismi internazionali come l'ONU, il FMI, la FAO, l'OCSE, gli unici che avrebbero la possibilità di affrontare i problemi da un punto di vista non settoriale, sono consci del pericolo, ma sono impotenti di fronte alla loro soluzione. L'economista-capo del Fondo Monetario Internazionale, Pierre-Olivier Gourinchas, dice allarmato:
"Gli effetti economici della guerra si stanno diffondendo in lungo e in largo, come le onde sismiche che emanano dall'epicentro di un terremoto".
È una pura e semplice constatazione che non avrà alcuna conseguenza sulla vita reale. Il FMI, in quanto istituzione, prevede che le nazioni europee vedranno una crescita molto più lenta mentre la guerra farà salire i prezzi del carburante e del cibo, spingendo l'inflazione più in alto e mantenendola più a lungo del previsto, il che danneggerà i paesi di tutto il mondo, specialmente le nazioni emergenti e in via di sviluppo. La solita solfa alla quale rispondono masse di uomini senza prospettiva, che logorano la loro potenziale capacità di alternativa in manifestazioni di violenza che non individuano il bersaglio corretto.
È probabile che si prepari un crescendo di rivolte anche più esteso di quello incominciato con le Primavere Arabe; ma è certo che se non salta l'intero sistema sociale, se non si chiarisce che occorre un partito mondiale capace di rappresentare l'umanità intera attraverso la classe dei senza-riserve, ogni tentativo di cambiamento sarà vano. Ma le nostre certezze valgono quanto le prediche del FMI o altri organismi se questo partito nasce senza il presupposto fondamentale che il cambiamento ha bisogno di una teoria del cambiamento. La società futura va descritta, va conosciuta e svelata nel presente. E il presente al momento è una guerra mondiale che nessuno conosce fino in fondo ma che potrebbe essere il detonatore per far esplodere l'attuale assetto del mondo. "No alla guerra" non può essere, con le premesse che abbiamo sotto agli occhi, uno slogan pacifista. Dev'essere un progetto.