Crollo generale

Hanno suscitato attenzione sui media i tre giorni di esercitazioni compiute nel mese di aprile da mezzi navali ed aerei cinesi intorno a Taiwan. Dopo la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949, il Kuomintang si rifugiò sull'isola trasformandola in uno stato indipendente, mai riconosciuto dalla Cina, che la considera come una sua propria estensione.

Alle esercitazioni cinesi, tuttavia meno intense rispetto a quelle dell'anno scorso quando la Speaker della Camera degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, si recò in visita a Taipei, sono seguite le manovre americane: mobilitazioni congiunte con le forze armate filippine che hanno visto lo schieramento di migliaia di uomini e di un cacciatorpediniere che, secondo la Cina, è entrato illegalmente nelle acque vicino alla barriera corallina cinese di Meiji nelle Nansha, isole note anche come Spratly, contese da Cina, Vietnam, Filippine, Malaysia, Taiwan e Brunei. Si tratta di un gruppo di atolli naturali e artificiali, alcuni dei quali costruiti da Pechino per posizionare basi militari in mezzo al Mare Cinese Meridionale.

Le visite di rappresentanti europei in Cina, come l'incontro tra Emmanuel Macron e Xi Jinping, rientrano in un quadro che vede le borghesie nazionali del Vecchio Continente cercare di ricavarsi un proprio spazio di manovra. Il presidente francese ha ribadito la necessità di una strategia economica europea autonoma rispetto a Cina e USA, rivendicando una sorta di "terzo polo". In realtà l'Europa non esprime interessi unitari e si trova schiacciata dal rullo compressore americano.

Potrebbe scoppiare una guerra tra USA e Cina? Non è da escludere: l'attuale forma sociale, basata sulla lotta di tutti contro tutti, esprime una tendenza generale alla guerra. Taiwan, oltre ad essere importante dal punto di vista economico (è tra i maggiori produttori al mondo di chip), lo è anche dal punto di vista geopolitico. La strategia di contenimento della Cina operata dagli USA, punta a mantenere il paese asiatico dentro il suo Mare, soffocandolo attraverso la pressione esercitata da paesi come Giappone, Filippine, Vietnam, Malesia, Australia. Pechino, a sua volta, tenta di uscire da questo cul-de-sac, con il progetto della Nuova Via della Seta (che arriverebbe fino a Lisbona), e con la strategia del "filo di perle", mirata a consolidare la sua presenza nell'Oceano Indiano, passando per il Pakistan, isolando l'India, e arrivando fino a Gibuti dove ha costruito una base navale.

La difficolta degli USA nel mantenere la propria egemonia sul resto del Pianeta è una delle spiegazioni sia del conflitto russo-ucraino, sia della crescente tensione nell'Indo-Pacifico. Tuttavia, questa perdita di energia non riguarda solo l'America ma è il riflesso dello stato in cui si trova il capitalismo in quanto tale. Negli ultimi anni i rapporti interimperialistici si sono ulteriormente inaspriti, e ciò è dovuto ad un'instabilità generale del sistema. La crescita economica della Cina non è accompagnata da una adeguata proiezione militare e politica. Il colosso cinese avrebbe l'esigenza di espandersi verso Medioriente, Africa e America Latina e soprattutto verso l'Europa, più di quanto abbia fatto fino ad ora, sia per bisogno di materie prime, che per necessità di sbocchi per le proprie merci. Il dollaro è una delle armi più importanti in mano agli Americani per mantenere il potere sul resto del mondo, le 800 basi militari all'estero ovviamente aiutano. La Cina attraverso accordi separati con vari paesi (l'ultimo dei quali con il Brasile) punta alla internazionalizzazione della propria moneta.

Ma un passaggio di consegne alla guida del mondo capitalistico non è possibile, come abbiamo scritto nell'articolo "Accumulazione e serie storica" (cfr. n+1 n. 25), mentre appaiono sempre più mature le condizioni per un crollo generale.

Rivista n. 53