Doom

Nouriel Roubini - La grande catastrofe. Dieci minacce per il nostro futuro e le strategie per sopravvivere. Feltrinelli 2023, pagg. 320, euro 22

L'economista Nouriel Roubini, soprannominato "Dr. Doom" (Giorno del Giudizio) o "Cassandra" (la profetessa troiana condannata a non essere creduta) negli ambienti finanziari, per aver annunciato con due anni in anticipo la crisi finanziaria globale del 2008, ha pubblicato un saggio in cui rincara la dose in quanto a descrizione di sventure in arrivo.

Prevedendo quanto effettivamente successo con la recente crisi di Silicon Valley Bank, Signature Bank, ecc., Roubini aveva avvisato che il rialzo dei tassi d'interesse, volto a raffreddare prestiti e inflazione, avrebbe provocato dei seri problemi ai mercati finanziari. L'autore ora avverte la società borghese del pericolo che incombe e scrive che "tutto indica l'arrivo di una Grande crisi stagflazionista del debito."

Attenzione, dice, è il caso di incominciare a pensare ciò che un tempo era impensabile, ovvero una catastrofe sistemica.

Sono decenni che la borghesia tenta di scongiurare il collasso del suo sistema. Il suo guaio però è la contraddizione fra la capacità di individuarne le fratture significative, e la possibilità di trovare rimedi effettivi, per cui escogita cuciture sempre meno efficaci.

Notiamo, nel saggio di Roubini, come siano significativi i titoli delle tre parti in cui è suddiviso: "Debito, demografia e politiche pericolose"; "La grande stagflazione in arrivo"; "Possiamo evitare questo disastro?". Si tratta di argomenti tradizionali usati per dimostrare che continuando così non si potrà evitare un disastro eccezionale.

Ci focalizzeremo sui due ultimi capitoli, che ormai nell'editoria borghese sono le sezioni in cui l'autore avanza suggerimenti o vere e proprie exit strategy. L'abbiamo visto in tutta la letteratura sul "post-capitalismo": alla fine chi scrive non esce dagli schemi riformisti e spiattella qualche ricetta poco originale ma smaltata con termini in voga nella filosofia anglosassone della Critical Theory.

Roubini però se ne astiene e, sulla base dei dati raccolti, dimostra di sapere che, come specie umana, ci stiamo muovendo alla cieca verso un periodo di instabilità e caos crescenti. Anticipiamo che il libro è forse il primo che nella parte conclusiva non aspetta miracoli per salvare la società capitalistica da sé stessa. Già questo è un tratto interessante, un segno dei tempi. L'autore propone solo due scenari a cui si dovrà far fronte: uno "utopico" e uno "distopico", ma non nasconde che l'ultimo è quello più probabile. Scrive infatti che "nel complesso l'apocalisse sembra pressoché certa".

Ancora una volta l'economia politica si dimostra incapace, attraverso i suoi modelli e strumenti interpretativi, di compiere il salto, ai marxisti già noto, "dall'utopia alla scienza". D'altronde, se non si riconosce il comunismo come "movimento reale che abolisce lo stato di cose presente", non si possono che raffigurare utopie o distopie. Solo ponendosi ad un livello superiore (n+1), si può vedere come all'interno del capitalismo (n) si stia formando la sua antitesi: oltre agli elementi di dissoluzione della vecchia forma, aumentano infatti i saggi di organizzazione comunista, marcati sintomi di società futura (cfr. n +1 n. 34).

Roubini spiega che ci stiamo avvicinando ad una "tempesta perfetta", perché le "megaminacce" (economiche, finanziarie, tecnologiche, politiche, geopolitiche, sanitarie e ambientali) ormai incombenti sono "strutturali", e non si può aggredirne le cause una ad una, separatamente, senza rischiare conseguenze impreviste.

Per la classe dominante è molto più facile pensare la fine del mondo che la fine del capitalismo. Nel capitolo intitolato "Un futuro più 'utopistico'?" l'autore si sforza di essere ottimista e lancia qualche timido segnale di speranza: una "crescita elevata, diciamo tra il 5 e il 6 per cento del PIL per lungo tempo nelle economie avanzate" potrebbe risolvere in parte i grandi problemi che provengono dal fronte economico, demografico, geopolitico e climatico. Certo, non si arriverà al paradiso in terra ma con la vecchia cara crescita del Prodotto Interno Lordo si potrebbe tornare al solito business as usual, magari attraverso lunghe transizioni energetiche, l'erogazione di redditi di base, il controllo artificiale dell'allocazione degli investimenti, un nuovo concerto mondiale delle potenze garantito dall'egemonia del dollaro, ecc.

Le "megaminacce" però, nascono dal profondo del modo di produzione capitalistico, non sono acciacchi passeggeri, sono anzi prodotti esclusivi della sua crisi storica. Le proposte "ottimiste" di Roubini fanno dunque acqua da tutte le parti, e lui stesso sembra accorgersene. Per prospettare un futuro all'attuale forma sociale, scambia le cause con gli effetti e la cura con il veleno: l'aumento della produttività del lavoro, tramite investimenti in robot, intelligenza artificiale, ecc., potrebbe rianimare il cadavere capitalistico, ma in realtà produce l'effetto contrario dato che mina la formula del saggio di profitto. Non si può infatti estrarre da pochi operai sia pur sfruttati al massimo lo stesso plusvalore che si ricava da tanti.

Di una cosa Roubini è sicuro, la grande bolla finanziaria scoppierà, l'incognita riguarda solo il quando e il dove. Fornisce comunque delle indicazioni: sono da tenere d'occhio l'eurozona e i suoi anelli più deboli, come Italia e Grecia, i primi che a causa di una crisi del debito potrebbero saltare provocando un effetto domino.

Epilogo del libro: "Le megaminacce si stanno catapultando verso di noi. Il loro impatto scuoterà la nostra vita e rovescerà l'ordine globale in modi che nessuno ha mai vissuto prima. Allacciate le cinture di sicurezza. Sarà un viaggio accidentato in una notte molto buia."

Se una volta le campagne politiche di denuncia del regime capitalistico erano prerogativa dei comunisti, ora ci pensa la borghesia a criticare impietosamente il proprio sistema. Di più, come classe, non può fare, spetta ad altre forze il compito di dirigersi verso il futuro.

Rivista n. 53