Polarizzazione sociale in Francia
Il ricordo delle rivolte scoppiate nelle banlieue francesi nel 2005, con la potente polarizzazione sociale che schierò da una parte i difensori dell'esistente, e dall'altra chi non ha nulla da perdere "se non le proprie catene" sembrava rimosso. Ma la scorsa estate l'uccisione da parte della polizia del giovane Nahel a Nanterre, nella banlieue Nord-Ovest di Parigi, ha riattizzato per qualche giorno l'incendio.
Successivamente alla rivolta del 2005 era iniziata la lotta contro il CPE, il contratto di primo impiego; i recenti disordini hanno avuto inizio poco dopo l'estinguersi del movimento contro la legge sulle pensioni. In entrambi i casi, le mobilitazioni dei sindacati non si sono incontrate con la sollevazione del proletariato delle periferie, estremo, senza riserve, escluso anche per fattori etnici. Le lotte sindacali sono di per sé rivendicative e hanno come obiettivo le leggi promulgate dal governo, i banliuesard, invece, attaccano tutto quanto ha attinenza con lo Stato e saccheggiano la proprietà.
Da anni in Francia è in corso un'escalation nelle lotte sociali. Secondo il ministero dell'Interno, il livello di violenza di quest'ultima rivolta (in termini di poliziotti feriti, edifici pubblici distrutti, ecc.) è superiore alla precedente del 2005. Marsiglia, seconda città francese per numero di abitanti, è stata teatro di scontri estremamente duri tra giovani e forze dell'ordine, e un ventisettenne è stato ucciso da una "flash ball" (proiettile di gomma) sparata dalla polizia, lo stesso tipo di arma che durante le proteste dei Gilets jaunes ha causato decine di feriti gravi. Fonti governative hanno dichiarato che l'età media dei rivoltosi si attestava sui 17 anni.
Le banlieue non sono mai state pacificate e ogni qualvolta viene superata una determinata soglia di sopportazione scatta la ribellione. Perché scoppi un incendio serve la scintilla, ma è necessario il combustibile affinché il fuoco divampi per giorni, e di questo sono cariche le periferie urbane di tutto il mondo. Il governo francese ha minacciato di sospensione alcune piattaforme social (Snapchat e TikTok), intimando una maggiore collaborazione nell'identificare coloro che incitano alla violenza. In effetti, i social network hanno giocato un ruolo importante in tutte le rivolte degli ultimi anni. Sull'onda di quanto successo in Francia, sono scoppiati disordini anche in Belgio (Bruxelles, Liegi) e Svizzera (Losanna).
La condizione di semi-segregazione vissuta da una parte della popolazione e la perdita di forza del riformismo fanno sì che tra i ribelli delle periferie metropolitane e l'apparato poliziesco non ci siano più cuscinetti ad attutirne lo scontro. Gli agenti francesi lamentano di dover supplire a compiti che spettano ad altri. In un comunicato stampa diffuso da due delle principali sigle sindacali della polizia, l'Alliance Police Nationale e l'Unsa Police, si esprime una precisa linea politica nei confronti delle violenze: "Di fronte a queste orde selvagge chiedere la calma non è più sufficiente, bisogna imporla! Ristabilire l'ordine repubblicano e mettere gli arrestati nelle condizioni di non poter più nuocere devono essere i soli segnali politici da promuovere... Deve essere adottato ogni mezzo per reinstaurare lo stato di diritto… Oggi i poliziotti sono in lotta perché noi siamo in guerra."
La società francese, ma non è certo l'unica, è divisa come non mai. Due collette promosse tramite il Web, una a favore della famiglia di Nahel e l'altra per il poliziotto che l'ha ucciso, ne sono la riprova: i fondi raccolti dalla seconda, organizzata da ambienti dell'estrema destra, hanno superato di molto quelli donati per i parenti del defunto.
La rabbia delle periferie cova sotto la cenere: pronta all'incendio senza che occorra il superamento di un'altra soglia. Il processo è irreversibile.