Evoluzione extra biologica
"L'operaio non è più quello che inserisce l'oggetto naturale modificato come membro intermedio tra l'oggetto e sé stesso; ma è quello che inserisce il processo naturale, che egli trasforma in un processo industriale, come mezzo tra sé stesso e la natura inorganica, della quale si impadronisce. Egli si colloca accanto al processo di produzione, anziché esserne l'agente principale. In questa trasformazione non è né il lavoro immediato, eseguito dall'uomo stesso, né il tempo che egli lavora, ma l'appropriazione della sua produttività generale, la sua comprensione della natura e il dominio su di essa attraverso la sua esistenza di corpo sociale — in una parola, è lo sviluppo dell'individuo sociale che si presenta come il grande pilone di sostegno della produzione e della ricchezza. Il furto del tempo di lavoro altrui, su cui poggia la ricchezza odierna, si presenta come una base miserabile rispetto a questa nuova base che si è sviluppata nel frattempo e che è stata creata dalla grande industria stessa".
Karl Marx, "Grundrisse della critica dell'economia politica" (1857-'58)
"Principio della concezione materialistica della storia è: la produzione e lo scambio dei suoi prodotti sono la base d'ogni ordinamento sociale. In ogni società che si presenta nella storia, la distribuzione dei prodotti (che crea classi sociali gerarchiche) si modella su cosa si produce, sul come si produce, sul modo di scambiar ciò che si produce. Onde le cause ultime d'ogni mutamento sociale e di ogni rivolgimento politico stanno nei mutamenti del modo di produzione e di scambio (non nella mente degli uomini, nel grado della loro conoscenza della verità eterna e dell'eterna giustizia); in una parola stanno nell'economia (non nella filosofia)".
Friedrich Engels, L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza, Antiduhring (1878)
La teoria rivoluzionaria della conoscenza cui ci riferiamo ("Rovesciare la piramide conoscitiva", n+1, rivista monografica n. 15-16) si basa su un'affermazione categorica della Sinistra Comunista "italiana" troppo spesso sottovalutata o travisata: l'umanità riuscirà a conoscere veramente qualcosa di sé stessa e del suo rapporto con la natura soltanto quando imparerà a porsi in modo non idealistico di fronte alle implicazioni e ai processi che la portano alla conoscenza, cioè quando imparerà o scoprirà come fa a conoscere in quanto complesso organismo biologico. Ciò significa che dovrà sentirsi parte della natura, non al di sopra, e sintonizzarsi con essa. Molte dottrine scientifiche e tecnologiche che l'uomo sta assimilando oggi come "artificiali" sono il frutto di millenni di accumulo e cancellazione, ma quelle fondanti di una nuova epoca sono relativamente poche e relativamente recenti. In natura non esiste un "ente" che ci possa spiegare il perché esistono le cose, mentre il come esse entrano in relazione tra loro e con noi è argomento riguardante la possibilità e la capacità dell'uomo di ordinare la massa dei dati a sua disposizione.
Nelle Tesi di Napoli del 1965 è specificato che il modo di conoscere di questa società non è passibile di metamorfosi evolutiva, dovrà essere superato con un evento catastrofico: "In modo totalmente rivoluzionario abbiamo edificata la scienza della vita della società e del suo sbocco futuro". Secondo la borghesia, l'uomo avrebbe eliminato i problemi legati alla propria azione e al proprio approccio alla natura utilizzando il pensiero razionale. Il guaio è che quest'ultimo è il lascito di una società pre-storica rispetto a quella che viene considerata storica nel momento in cui ci si accinge ad usarne la forma per spiegarne o definirne i caratteri.
Dunque, se nel fluire da una forma sociale all'altra, successiva, c'è sempre un lasso di tempo fra i programmi maturati nell'una e nell'altra, tra una specifica forma sociale e l'altra c'è una divisione netta. È in questo dualismo che vediamo all'opera la distinzione tra "fase di transizione" e "transizione di fase". La prima mostra i caratteri politici del complesso sociale; la seconda mostra i caratteri materiali del modo di produzione.
"A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura" (Marx, Prefazione del 1859)
Ogni volta che parliamo di ideologia, cioè di costruzioni filosofiche poggianti più sulla transizione (forma politica) che sul modo di produzione (forma sociale), occorre tener presente che è la seconda ad essere l'origine della prima e non il contrario. Ciò vale per tutti i discorsi che si possono fare sulla natura della coscienza e problemi correlati, compresi quelli che stiamo trattando sulla natura dell'intelligenza artificiale.
"Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo." (Marx, ibid.)
Quella catena di processi che l'uomo, nei suoi diversi modi di ricevere e trasmettere informazione, raccoglie sotto il nome di "conoscenza" può avvenire dopo lunghi cicli di azioni pratiche: una conoscenza da intendere come sistematizzazione a posteriori di realizzazioni materiali avvenute prima, e successivamente tramandate sotto forma di idee teorizzate, scritte e infine diffuse.
La conoscenza con cui ci confrontiamo oggi, pur filtrata dal modo di conoscere utilizzato dalla borghesia, è il risultato di lunghissimi periodi in cui la natura procedeva a una "sistemazione" bio-geologica dell'intero pianeta (tramite eventi "naturali" come uragani, terremoti, alluvioni, glaciazioni, azione dell'uomo) che si realizzava nel divenire di nuove configurazioni della crosta terrestre e della biosfera.
La natura esiste, l'uomo ne fa parte e costruisce teorie su di essa per le sue esigenze particolari in quanto specie differenziata. Fin dalle prime società che possiamo definire umane egli ha forgiato mezzi e tecniche che quelle successive hanno utilizzato, migliorato e strutturato. Il primo dato che abbiamo a disposizione è dunque di carattere storico ed è prodotto dalla dinamica dell'esistenza umana, cioè dalla capacità di trasformazione della natura da parte dell'uomo.
Basterebbero le poche osservazioni materialistiche fondamentali che troviamo non solo in Marx ed Engels, ma anche in scienziati della rivoluzione borghese, per costruire un abbozzo di tesi, ma complessivamente si è fatto molto di più: si è tracciato lo schema generale di tutte le rivoluzioni con il loro contenuto teoretico non solo in quanto stadi programmatici finali, ma in quanto percorsi, dinamiche storiche in cui differenze e invarianze sono ben conosciute e le abbiamo definite "strutture frattali delle rivoluzioni" (o trasformazioni secondo invarianti come nella notazione "n+1", o dinamiche strutturalmente invarianti che sfociano in dinamiche morfogenetiche).
Tutto ciò per dimostrare che l'intera umanità ha ormai raggiunto la capacità pratica e teoretica di conoscere il proprio futuro, per cui da esso futuro può con tutta sicurezza trarre indicazioni sul presente. Viviamo in una transizione di fase della quale abbiamo una straripante conoscenza scientifica, ma che non riusciamo a risolvere "politicamente". Viviamo in un'epoca in cui siamo finalmente riusciti ad abbozzare macchine "intelligenti", ma che stiamo adoperando alla stregua dei sensori che regolano le funzioni degli elettrodomestici. Le nostre macchine sono andate su Marte, ma la loro rotta era controllata da un sensore omeostatico. Come nei frigoriferi e nei ferri da stiro (Quaderni di n+1, Scienza e Rivoluzione).
Le classi, lo stato, il denaro e la proprietà, categorie su cui si basa l'attuale società, non sono sempre esistite e sono un intoppo che ci tiene ancorati a situazioni-determinazioni che eterne non sono.
I problemi legati al modo di conoscere sono gli stessi che portarono il matematico e logico Kurt Gödel ad affermare, nel 1931, che dall'interno di un dato sistema non si può conoscere ciò che concerne il sistema stesso. Noi aggiungiamo che bisogna spingersi oltre, in un sistema più potente e superiore, per riuscire a padroneggiare la conoscenza del livello inferiore. Questo, che può sembrare un esercizio speculativo, è in realtà un fondamento della teoria rivoluzionaria che alcuni scienziati (come, ad esempio, Einstein) hanno utilizzato nei loro modelli.
Nel 2022, The Economist ha pubblicato una curiosa copertina ("How to keep the brain healthy") in cui viene raffigurato un cervello che ausculta sé stesso: sono le trappole autoreferenziali con cui si è confrontata la stessa logica matematica dalla metà dell'800 a tutto il '900. Trappole in cui cadono, ad esempio, tutti coloro che rimangono ancorati alla società così com'è, ad n, per cercare di comprendere un sistema teso invece al cambiamento. Semplicemente, ciò non è possibile se non riproducendo il sistema stesso. Da questo punto di vista, le potenti macchine e i software progettati dall'uomo per elaborare schemi e modelli ci aiutano a comprendere la natura meglio del cervello come macchina biologica, la cui pretesa superiorità non era più sostenuta nemmeno dalla borghesia illuminista.
Al Congresso di Lione del 1926, in ultima istanza la battaglia sul campo non era per conquistare la dirigenza del Partito comunista (i processi storici sono irreversibili nonché condizionati dalla storia precedente), ma rappresentava lo scontro tra due concezioni opposte su cosa si intendesse per comunismo (partito, rivoluzione, ecc.), difeso dalla Sinistra come qualcosa di universale, monistico e riguardante addirittura la storia ed il compito dell'uomo nell'Universo. Il comunismo non è una forma di governo, ma è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente, ovvero n +1 rispetto alle società classiste e proprietarie, tutte n, compreso il capitalismo (e i ferri da stiro, vedi sopra).
Tale premessa va accompagnata a quella di Marx, riportata nella citazione introduttiva, secondo cui il processo industriale è lo specifico modo della nostra specie di conoscere la natura, ed essendo l'uomo parte di essa non può far altro che elaborare, modificare, trasformare la natura e con ciò sé stesso. Siamo il prodotto di questo processo, non siamo in cima a una piramide. In estrema sintesi l'umanità riuscirà realmente a conoscere in maniera organica e complessiva solo dopo essersi sbarazzata del capitalismo, che non è soltanto il modo di produrre merci, far circolare denaro e sfruttare i proletari, quanto una forma totalizzante che permea ogni aspetto della vita di specie.
Considerazioni metodologiche
Pare che Einstein abbia affermato: "è la teoria a decidere che cosa possiamo osservare" (Werner Heisenberg, Fisica e oltre). Le nostre osservazioni e le indagini in quello che chiamiamo processo della conoscenza (una volta si sarebbe chiamata dialettica, cioè scienza delle relazioni), sono ovviamente orientate dalle percezioni, dal modo di apprendere dei nostri sensi e poi dalla teoria soggiacente. Questa teoria non è mai neutra, non parte né da un idilliaco mondo delle favole né da una parte specifica del cervello, ma è il prodotto di lotte ampissime, di profondi sconvolgimenti che vanno oltre le generazioni in vita in un dato tempo, in ultimo da urti tra epoche storiche, tra modi di produzione. Sono queste forze fisiche a muovere gli uomini dentro precisi campi d'azione, a polarizzarli come fossero polvere di ferro attratta da magneti, che ne siano consapevoli o meno. È proprio durante queste polarizzazioni o ionizzazioni che la materia mostra le sue dinamiche, le più importanti, che analizzeremo.
Il linguaggio con cui ci esprimiamo è quello che troviamo disponibile in una data epoca storica. Sappiamo che quello attuale ha i suoi intoppi essendo legato a specifiche categorie proprietarie, ma un altro non c'è e non possiamo inventarlo a piacimento. Chiamiamo dunque lavoro sia quello salariato, alienato e ormai reso persino obsoleto dalla robotizzazione della produzione, sia l'attività umana sulla crosta terrestre e qualsiasi forza in grado di produrre uno spostamento; letteralmente esso è: forza x spostamento. In altri lavori abbiamo evidenziato come il peso del "frusto linguaggio comunista" sia il portato di una controrivoluzione in corso da oltre un secolo, e come anche in ambito "marxista" persista un utilizzo eccessivo, ad esempio, dei pronomi personali (io, noi, voi, ecc.), anche se la teoria scientifica elimina proprio il ricorso alle opinioni.
Dal punto di vista del linguaggio che spieghi il mondo, non è corretta la frase "indaghiamo la natura" come se questa fosse una entità là fuori, diversa e separata da noi, mentre sarebbe già un grande traguardo riuscire a comprendere attraverso quali processi e algoritmi noi conosciamo la natura e quindi anche noi stessi. Possiamo dire con Marx che, scollegando l'uomo dalla sua vera natura antropologica, non c'è alcuna conoscenza possibile (Manoscritti).
La conoscenza delle trasformazioni nel tempo è altresì fondamentale per riuscire a riconoscere delle bussole, dei cambiamenti qualitativi, dei saggi materiali di società futura già operanti, il comunismo come realtà che trasforma il mondo. Restando invischiati nelle categorie capitalistiche, e nel linguaggio conseguente, non si fa che eternizzare il capitalismo stesso.
Marx, nella Prefazione a Per la Critica dell'Economia Politica (1859) mostra la chiave per scardinare l'apparente eternità della società attuale:
"A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale".
Engels, in L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza, testo troppe volte dimenticato da coloro che si riferiscono ad una precisa corrente storica, ricorda come raggiunta una certa soglia, l'emergere del modo di produzione capitalistico (in Italia almeno intorno all'anno Mille) fosse inconciliabile, incompatibile, con il modo di produzione feudale.
Entrambi delineano quindi come motore essenziale delle rivoluzioni il conflitto tra le forze produttive e il modo di produzione dominante, i rapporti sociali. Nella citazione introduttiva di Engels leggiamo che prima di tutto vi è produzione e riproduzione biologica della specie, dei produttori di domani. Tutto mai pianificato da individui o gruppi, ma determinato dallo stato delle forze produttive materiali (Filo del tempo, "La batracomiomachia"). Nel caso del passaggio rivoluzionario sono i fatti ad essere quindi fondamentali, cioè lo stato di sviluppo delle forze produttive, dato che i "militi" sono semplicemente quelli disponibili sulla scena.
Ora, saliti sulle spalle dei maestri (i famosi giganti ricordati da Bernardo di Chartres e Newton: gli scienziati di epoche precedenti alla nostra sono più alti di noi, ma se sappiamo salire sulle loro spalle vediamo più lontano di loro), possiamo ripetere che la rivoluzione, al pari di un terremoto ma sociale, non è da intendere come un atto, programmato per il giorno X e gestito dalla volontà di militanti raggruppati in un partito che si rimbocca le maniche, bensì come un processo materiale deterministico. Questo processo deve essere descrivibile ed indagabile con metodo scientifico, senza il quale tale rivoluzione non soltanto non è formalizzabile, ma resterebbe nel campo delle idee, delle opinioni o, peggio ancora, delle parole. La rivoluzione è un terremoto sociale che sconvolge anche il paradigma scientifico. I comunisti sono coloro che anticipano tale processo, ne conoscono e ne prevedono la traiettoria generale, sono dei mutanti che difendono la linea del futuro di specie. I rivoluzionari sono tali per disposizione materiale entro il campo fisico dato dallo scontro tra modi di produzione; è la rivoluzione a selezionarli e a sintonizzarli con essa.
Il pensiero borghese, che oggi non è neppure all'altezza del suo stesso periodo rivoluzionario, ci ha abituati a ragionare in termini di cose separate tra loro, di merci discrete reali o immaginarie che hanno una loro utilità, anche per quanto riguarda il campo della conoscenza scientifica: si è proiettata nei nostri cervelli una natura da intendere come una cassetta degli attrezzi da cui attingere in caso di specifici bisogni. Si sono così separati aspetti unitari, spezzettato fenomeni che invece sono continui, in relazione tra di loro e circolari, come si afferma in biologia e cibernetica.
Che cos'è allora la conoscenza? Nel tempo la risposta a questa domanda è cambiata. Ad esempio Élisée Reclus, geografo anarchico dell'800, rispondeva che l'uomo è un espediente della natura per darsi memoria e intelligenza; Leroi-Gourhan, etnologo, archeologo e antropologo francese di metà '900, sosteneva che l'uomo evolve biologicamente come tutti gli esseri viventi ma che questa evoluzione è fortemente influenzata dalle grandiose strutture artificiali da lui realizzate che riempiono la biosfera; Lévi-Strauss, antropologo strutturalista francese del secolo scorso, considerava la dinamica di tali strutture come cancri con metastasi; il MIT di Boston, nel 1970, realizzava un modello dinamico di sviluppo (Mondo 3) nel quale si osservava lo stadio raggiunto da questo evolversi. Tutti i modelli e le teorie scaturiti negli ultimi cinquant'anni portano a concludere che ormai l'evoluzione umana "è uscita" dal corpo biologico con caratteristiche di potenza esponenziale. L'intelligenza e la memoria preconizzate da Réclus sono diventate caratteristiche implementate in macchine che simulano sempre meglio le caratteristiche umane.
Il pensiero dell'uomo è dunque un processo provocato e condizionato da una serie lunghissima di altri processi naturali, ma anche dalle strutture "artificiali" di cui si circonda da qualche millennio. Il mondo costantemente trasformato da noi stessi ci ha obbligati ad intraprendere una storia evolutiva fatta di progetto e linguaggio (mezzo di produzione) per arrivarci.
Nulla di quello che ci circonda si sottrae alla possibilità di una formalizzazione attraverso la ricerca di leggi, la descrizione di processi universali a differente scala ("Leggi d'invarianza"). Laddove la nostra conoscenza dei fenomeni non sia esaustiva a causa della mancanza di dati o dell'incapacità di costruire leggi (problema ontologico), non si possono tuttavia alimentare quei problemi legati alla possibilità e alle modalità del procedimento conoscitivo (problema epistemologico). Come affermano Maturana e Varela (scienze cognitive):
"I sistemi viventi sono sistemi cognitivi, e il vivere in quanto processo è un processo di cognizione". (Autopoiesi e cognizione, 1985)
In estrema sintesi, la vita organica sarebbe un processo di negazione dell'entropia, possibile proprio grazie al fatto che i sistemi viventi, a loro modo, conoscono.
Complessa è la natura
"Finché il mezzo di lavoro rimane, nel senso proprio della parola, mezzo di lavoro, così come, storicamente, immediatamente, è inglobato dal capitale nel suo processo di valorizzazione, esso subisce solo un mutamento formale per il fatto che ora non si presenta più soltanto dal suo lato materiale come mezzo del lavoro, bensì nello stesso tempo come un modo particolare di esistenza del capitale, determinato dal suo processo complessivo, come capitale fisso. Ma, una volta assunto nel processo produttivo del capitale, il mezzo di lavoro percorre diverse metamorfosi, di cui l'ultima è la macchina o, piuttosto, un sistema automatico di macchine (sistema di macchine; quello automatico è solo la forma più perfetta e adeguata del macchinario, che sola lo trasforma in un sistema), messo in moto da un automa, forza motrice che muove sé stessa; questo automa è costituito di numerosi organi meccanici e intellettuali, di modo che gli operai stessi sono determinati solo come organi coscienti di esso" (Marx, Grundrisse per la critica dell'economia politica)
Tra gli anni '60 e '70 del secolo scorso si iniziò a parlare di teoria della complessità e ad applicarne lo studio anche per il futuro dell'economia, campo in cui, avvertivano gli studiosi, gli economisti avrebbero dovuto lavorare a fianco di fisici e biologi per comprendere il disordine, gli sconvolgimenti e l'auto-organizzazione spontanea del mondo. Ne sarebbe emersa anche una scuola, quella detta di Santa Fe, orientata allo studio dei fenomeni legati all'instabilità intrinseca dei sistemi dinamici, complessi per loro natura.
La società capitalistica ha una grande resilienza, cioè una grande capacità di assorbire disequilibri. Ciò le permette di conservarsi nel tempo, ma non certo per sempre: non può modificare radicalmente la propria struttura, essendo soggetta a dinamiche catastrofiche innescate dal suo stesso modo di funzionare. Essa è la forma sociale del disequilibrio congenito: l'instabilità non arriva da chissà dove, da un qualche settore nascosto della natura, o da un agente sovrannaturale, divino; essa c'è già, nella struttura della materia o nelle pieghe della società, così come le ha plasmate la materia stessa.
A proposito di instabilità strutturale, abbiamo dedicato parte del nostro lavoro alle conseguenze dovute al sistema di macchine che si autonomizza producendo effetti dirompenti ("Verso la singolarità storica", "Dalla necessità alla libertà"). Il lettore attento che segue il nostro lavoro sa benissimo che non ne facciamo una questione ideologica, ma che affrontiamo l'argomento tenendo salda la barra dell'invarianza e delle trasformazioni di un sistema sottoposto a modifiche strutturali, quel percorso apparentemente contradditorio che per il fisico René Thom è rappresentato dal binomio "Stabilità e morfogenesi". Come fa un sistema stabile a manifestare una forma radicalmente opposta? Se una società tende a darsi strumenti sempre più potenti di auto-conservazione, cioè di stabilità, com'è possibile che dalle vecchie società scaturiscano quelle nuove? Questa considerazione si addice particolarmente alla società capitalistica giunta, nella sua fase imperialista ultima e senescente, ad utilizzare praticamente tutta l'energia (sociale) per autodifendersi. Già, ma difendersi da cosa?
L'incredibile dissipazione di energia sotto forma di petrolio, gas, carbone e fonti più o meno rinnovabili è in costante crescita: il capitalismo è il sistema più energivoro mai esistito nella storia. Tuttavia, questa dissipazione è nulla rispetto all'immane sacrificio e sciupìo di energia sociale, se non altro rispetto alle potenzialità già esistenti (drastica riduzione dell'orario di lavoro, disinvestimento, alleggerimento della produzione): cibo per le macchine, fame per gli esseri umani.
In "Tracciato d'impostazione" (1946), testo fondamentale della nostra corrente in cui si tratta il tema dell'antiforma, si dedicano alcuni passaggi proprio alla morfogenesi delle forme sociali:
"Un tipo di società vive fin quando le forze produttive restano costrette nei quadri delle forme della produzione. In dati momenti della storia questo equilibrio tende a rompersi. Svariate cause, tra cui i progressi della tecnica, il crescere delle popolazioni, l'estendersi delle comunicazioni, incrementano le forze produttive. Queste vengono in contrasto con le forme tradizionali, tendono a spezzare il cerchio, e quando vi riescono si ha una rivoluzione: la comunità si ordina in nuovi rapporti economici, sociali e giuridici, forme nuove prendono il posto delle antiche".
Ora, sappiamo che nell'ABC del determinismo economico le forme di produzione rappresentano un limite angusto allo sviluppo delle forze produttive, le quali, raggiunta una certa soglia, diventano incontenibili. È questa rivoluzione scardinatrice delle vecchie credenze, a muovere gli uomini, a far formare comunità anticipatrici con un loro programma conseguente. Nessuna rivoluzione ha mai compiuto il suo percorso senza provocare la nascita e la maturazione di una scuola rivoluzionaria, una corrente fisica, fatta di uomini e opere, di programmi e di possibilità materiali, di organismi e di direzione; senza che si formasse e sviluppasse, insomma, il partito formale in armonia con quello storico.
Marx parla apertamente dello sviluppo dell'antiforma, di un automa complessivo che comprende gli uomini come organi coscienti di esso, quindi delinea una evoluzione catastrofica. Questo parallelo con argomenti organico-biologici ci è utile per tracciare una linea fondamentale, ovvero poter formalizzare come le strutture degli uomini, e la loro dissoluzione, siano un prodotto della natura e non un qualcosa di diverso.
Le macchine coevolvono con noi da migliaia di anni. Erano conosciute e utilizzate nell'Antica Cina, in Grecia e a Roma. Erano utilizzate nel Medioevo e si sono sviluppate enormemente con il capitalismo. Oggigiorno, testimoniano lo sviluppo della forza produttiva; divenute sistema che si organizza ed impara da sé, non sono certo un problema per la nostra specie, ma parte della soluzione. La borghesia, come classe, non sa come fa l'uomo a conoscere: essa intende le macchine come un qualcosa di diverso da noi, mentre esse sono natura anche se composte di materia inorganica, anzi, sono parte integrante dell'intero nostro corpo sociale. L'intelligenza e le capacità che vi abbiamo proiettato, in estrema sintesi, sono un problema di gestione e trattamento dei dati, al fine di risolvere un certo problema. Nella nostra evoluzione di scimmie nude ed indifese abbiamo raccolto, memorizzato e gestito dati provenienti da un habitat in cui eravamo in difficoltà (predatori, tempeste, carestie, ecc..). Il nostro cervello (base carbonio) funziona quindi secondo delle determinazioni che l'hanno modellato nel corso di una lunga coevoluzione con migliaia di fenomeni, esso è una rete di miliardi di connessioni strutturatesi grazie ad una esperienza. L'intelligenza a base silicio, quella che abbiamo prodotto nel corso degli ultimi decenni, ha invece dei tempi di evoluzione molto più veloci, non ha dovuto adeguarsi ad una certa nicchia evolutiva e proprio perciò la nostra intelligenza biologica fatica a rapportarsi con essa. Per assurdo, siamo più in sintonia con un'altra specie animale come il cane ed il gatto, mentre abbiamo delle difficoltà con quanto prodotto da noi stessi, ovvero macchine e software.
La crescita e lo sviluppo di macchine capaci di apprendimento automatico, come nel caso del machine learning e del deep learning, non soltanto causano un profondo sconquasso nel mercato del lavoro, ma sono anche il portato di uno sviluppo della forza produttiva sociale che annuncia un salto evolutivo immenso, non osservabile con lenti capitalistiche. Il machine learning è un campo dell'intelligenza artificiale che si concentra sullo sviluppo di algoritmi e modelli che permettono ai computer di apprendere dai dati e migliorare le loro prestazioni nel tempo senza essere esplicitamente programmati. Il deep learning è una sotto-categoria del machine learning che utilizza reti neurali artificiali profonde (da qui il termine deep).
A proposito di macchine, nel Capitale e nei Grundrisse, Marx descrive perfettamente non soltanto il loro funzionamento nel capitalismo, ma anche il decorso catastrofico di questo modo di produzione. La macchina, o meglio, il sistema di macchine (capitale fisso), da mezzo di lavoro dell'operaio (capitale variabile), da oggetto utilizzato per trasformare la natura imitando quasi perfettamente il braccio umano, si trasforma su scala industriale; ad un certo grado di sviluppo è la macchina a produrre e l'operaio ne diventa custode e sorvegliante. Questo percorso, sebbene interno alla dinamica di valorizzazione del capitale, influisce sulla parabola di estrazione del plusvalore perché non si riesce ad ottenerne da… un algoritmo. Scienza e tecnica inglobate nel processo di produzione capitalistico, di cui sono parte essenziale, rendono l'apporto di braccia umane assolutamente secondario, e gli stessi centro-studi borghesi registrano ormai questo andamento. Un problema sta assillando la borghesia e viene comunemente richiamato con la frase "fine del lavoro", che nel nostro programma vuol dire trapasso dal capitalismo a una società organica. Oggi è la stessa borghesia che, prendendo atto della evoluzione storica, si trova nella necessità di sperimentare forme di reddito slegate dalla prestazione lavorativa, e la riduzione della giornata o della settimana lavorativa. Questo è solo un esempio della velocità dei fatti, del movimento reale che travolge chi si attarda su posizioni fuori tempo, legate ad un passato che non ritornerà.
Marx parla di fabbrica come modo di essere della società e siamo alla metà dell'800. Fabbrica (uomo e macchina in un unico organismo) che al suo interno prevede persino un reparto manutenzione il quale interviene quando ci sono dei guasti; una sorta di metabolismo interno, simile a quello degli organismi viventi giunti a un certo grado di auto-organizzazione. Tale commistione tra organico ed inorganico che inizia a comportarsi come fosse organica, è la manifestazione di una simbiosi (Kevin Kelly, Out of control). Tutti avranno presente il fatto che inseriamo pacemaker negli uomini da qualche decennio, che protesi in titanio sono ampiamente utilizzate anche per sopperire al fatto che le nostre ossa non sono fatte, biologicamente, per sopravvivere fino a 100 anni.
Questo nuovo organismo – per il quale Joël de Rosnay ha escogitato il termine cybionte, il general intellect di Marx, – è il portato evidente di una rivoluzione che riguarda le modalità generali del produrre poiché macchine automatiche ed automi esistono da millenni; molto meno evidente è il fatto che la nostra specie è spinta dalle stesse determinazioni a trasformare l'intero sistema dei rapporti sociali.
Quattro miliardi di anni fa, nel brodo primordiale originario, alcuni composti prebiotici acquisirono la capacità di riconoscere le rispettive configurazioni molecolari e di aggregarsi, originando il mondo biologico. I critici di questa ipotesi negano la possibilità che ciò sia avvenuto anche solo accampando il calcolo delle probabilità. Stuart Kauffman nel suo libro A casa nell'universo mostra come invece l'evoluzione sia stata possibile a partire da relativamente poche molecole. Stuart Jay Gould in L'equilibrio punteggiato sostiene che l'evoluzione non è un processo lineare e che una sua rappresentazione grafica mostra una linea continua interrotta ("punteggiata") da eventi catastrofici. Il biofisico Manfred Eigen dimostra che alla teoria darwiniana dell'evoluzione attraverso la selezione naturale e artificiale (nel senso di "prodotta" attraverso i meccanismi di quella naturale) occorre aggiungere l'ingegneria biogenetica.
L'evoluzione in generale è il prodotto di gradini successivi di organizzazione della materia la quale, dunque, ha sempre interagito con sé stessa introducendo a tutti i livelli cambiamenti continui in un ambiente in apparenza stabile. In realtà questi cambiamenti possedevano, ognuno o nell'insieme, potenzialità rivoluzionarie, per cui l'intero sistema sociale veniva a trovarsi soggetto da una parte a forti determinazioni materiali dovute all'influenza delle scoperte scientifiche e, dall'altra, alle costruzioni ideologiche più forti ancora.
La catena dei salti evolutivi, iniziata con la formazione sulla Terra di materia in grado di organizzarsi tramite processi autocatalitici (Kauffman), portò alla comparsa, tra le altre specie, della "scimmia nuda", la quale sviluppò sempre più efficaci capacità di modificare la natura stessa (vista a questo punto come proprio "esterno", e perciò diventata inospitale) occupando una nicchia ecologica molto ampia, e proiettando sulla materia inorganica (osso, ceramica, rame, ferro, vetro, plastica, ecc.) alcune capacità biologiche. I paleontologi Stephen Jay Gould ed Elisabeth Vrba parlano di preadattamento: caratteri, comportamenti, organi che si erano evoluti sotto la spinta della selezione naturale darwiniana in funzione di un determinato uso, vengono destinati a una funzione diversa. La raccolta di dati e informazioni, l'azione voluta per ottenere un risultato, la memorizzazione di come avvengano determinati fatti, da cause di adattamento si sono trasformate in possibilità di rovesciamento della prassi.
La nostra evoluzione affonda in quella della materia stessa, e da materialisti non possiamo scindere la storia della nostra specie da quella del pianeta, anche se cronologicamente arriviamo piuttosto tardi. L'origine della vita è un fatto inevitabile dovuto a fenomeni di organizzazione della materia. Una struttura emergente dalla concentrazione particolare di molecole differenziate ha raggiunto una massa critica, un livello di soglia. Perché non si può estendere l'approccio di strutture emergenti per spiegare la genesi e lo sviluppo di quest'essere cibernetico complessivo, per descrivere la maturazione verso un profondo sconvolgimento nella società?
Cos'è che in certi periodi produce le condizioni che portano l'uomo a diventare strumento delle rivoluzioni? Qual è il motore di queste ultime? Gli esseri umani sono convinti di decidere, di essere dotati di libero arbitrio anche quando sono imbottigliati per ore nel traffico delle metropoli moderne. Al contrario sono le strutture a decidere per gli umani. Nel Filo del tempo "Fiorite primavere del Capitale" viene ribadito:
"Se con frase abbreviata, l'economia è la causa motrice della storia, ci basta rammentare che la base economica del grande trapasso dall'antico regime feudale al moderno capitalismo è stata dal marxismo indiscutibilmente definita nei vari aspetti: produzione dei manufatti non più da lavoratori autonomi ed isolati ma da gruppi di lavoratori cooperanti".
Qual è la base economica del prossimo trapasso (o quello in corso)? Nel caso della storia complessiva della nostra specie, si inizia con il lavoro sociale, con lo scheggiare pietre in ambiente comunistico; si passa poi alla fucina, all'industria intesa anche come sistematizzazione e razionalizzazione delle forze lì operanti, al lavoro cooperante di qualche miliardo di operai parziali inseriti in un piano di produzione globale, e si finisce ad un sistema che comunica e si riproduce grazie a sensori presenti in ogni macchina.
Ad esempio, un aereo di linea, quando è in volo da uno scalo a un altro e innesta il pilota automatico, è affidato alle macchine durante la maggior parte della tratta; e lo è anche quando non vola: controllo, manutenzione, riparazione, richiedono immense strutture intercontinentali, reti di informazioni. Tutte funzioni svolte un tempo da uomini e oggi automatizzate tramite un sistema complesso, molto simile a un organismo vivente. La formazione del pilota avviene tramite potentissimi simulatori di volo. Sistemi in grado di assorbire quasi completamente il comportamento umano e di riprodurlo "maggiorato" dell'informazione che si aggiunge con il tempo e l'esperienza, sistemi che costituiscono una rete internazionale in cui cellule differenziate si auto-organizzano allo scopo di far volare centinaia di migliaia di aerei ogni giorno, fronteggiando l'altrimenti inevitabile caos.
Tanto per fare un esempio: nel luglio 2023, in tutto il mondo, in un solo giorno furono registrati oltre 260mila voli; semplicemente è impossibile pensare che un sistema del genere sia "guidato" solo da esseri umani in carne ed ossa. Stiamo simulando voli, scenari, guerre, persino la possibilità di un mondo non più capitalistico.
La base materiale del trapasso in corso è quella della produzione leggera e snella, della riduzione di energia necessaria per produrre la singola merce, è quella data dalla rete internazionale della produzione e distribuzione, o meglio da una società disposta a rete che, senza il capitalismo, potrebbe funzionare in maniera organica.
L'uomo possiede cinque sensori che lo mettono in costante contatto con l'ambiente in cui vive. Altri milioni di sensori specifici agiscono all'interno del suo organismo. Tutto ciò che fa parte della natura viene sottoposto alla semplice relazione accade-non accade, presente-assente, sì-no, 1-0, ecc. Tutta la società funziona con sensori ed attuatori perché noi funzioniamo così. E nessuno l'ha "deciso".
Il modello Mondo 3 del MIT, già citato, era ricavato dallo sviluppo di uno schema dinamizzato per gestire al computer la città di Boston con la sua rete idrica, ferroviaria, le fognature e i flussi di persone ed energia. Non la Boston disegnata da reti di relazioni qualitative tra agenti umani consapevoli, ma una sua astrazione fatta di numeri, dati, grafici, statistiche ricavati dalle caratteristiche dell'ambiente.
Con Mondo 3 per la prima volta ci si era trovati di fronte a un sistema che poteva aiutare l'uomo a capire ciò che succede nel mondo quando la macchina (il computer) non è più un semplice strumento-protesi che amplifica le condizioni attuali della materia, ma diventa un amplificatore di forza, di potenza, di qualità non esistenti fino a quel momento in natura.
La rivoluzione delle macchine dunque è iniziata con la comparsa di elementi amplificatori della capacità degli organi umani: si è passati ad esempio dall'arcolaio, una macchina semplice che sfrutta l'energia individuale, alla grande tessitrice automatica che può essere considerata un opificio-macchina. Con questo ultimo salto subentra l'automa generale di Marx. E allora l'evoluzione della macchina diventa macchinismo. Mentre nel caso del telaio singolo, a mano o a motore, la macchina è ancora subordinata al lavoro umano, nel caso della fabbrica automatica qualcosa cambia sostanzialmente: l'operaio è completamente sottomesso alla macchina. Nella prima metà dell'800 compaiono le prime fabbriche nelle quali si produce mediante telai robotizzati.
Per rendersi conto della portata di questa rivoluzione è necessario capire che la generalizzazione del lavoro automatizzato non è soltanto una questione di tecnica produttiva, di risposta alla concorrenza, di ricorso all'estrazione di plusvalore relativo, ma è un capovolgimento totale del rapporto tra uomo e macchina. Infatti, mentre il ricorso all'attrezzo-protesi risponde alla necessità di potenziamento "locale" della forza fisica, della velocità o della precisione, il lavoro automatizzato mediante organizzazione e informazione trasmette al prodotto inediti caratteri sistemici. Caratteri che riguardano non solo alcune modalità del processo produttivo, ma la capacità della macchina di riprodurre nel tempo funzioni memorizzate. Il massimo esempio di questa simbiosi tra uomo, macchina, robot e ambiente l'abbiamo con l'automobile: quest'ultima si è rivelata come sbocco perfetto di una merce che appena immessa sul mercato non soltanto lo ha "automobilizzato" ma ha esteso questa azione a ogni minimo spiraglio della società; come mostra efficacemente J.P. Womack nel libro La macchina che ha cambiato il mondo. La funzione del soggetto viene capovolta: a sovvertire l'intera società non è stata la macchina in quanto mezzo di produzione, ma in quanto veicolo che esercita la sua dittatura sulle modalità della sua produzione.
Se un mezzo di trasporto, una merce che con tutti i suoi mostruosi difetti di efficienza locale e generale è riuscita a cambiare il mondo, la merce "computer" lo sta cambiando ulteriormente con risultati che si riveleranno nel futuro ancora più eclatanti, nemmeno paragonabili.
È come se il mondo stesse vivendo una seconda ominazione: l'uomo si è aggregato alla macchina attraverso lo sviluppo della propria struttura biologica la quale riceve non più soltanto l'estensione ortopedica di un arto o di un organo, ma un supplemento di cervello ("elettronico", come si diceva, errando, all'inizio del processo di computerizzazione della società).
Siamo prodotto e fattore di una catena di relazioni in bilico tra il minerale e il biologico che noi stessi abbiamo sviluppato e che per autopoiesi sta dilagando sulla Terra. Che questo divenire sia in mano a una classe come quella borghese è chiaramente una catastrofe perché la borghesia vede come unico orizzonte la sopravvivenza propria, e non quella della specie.
Struttura dei sistemi
La produzione moderna, che è stata definita "snella" e just in time in quanto senza scorte e senza magazzino, permette ai produttori di merci un flusso costante (al quale sono obbligati ad adeguarsi fornitori e consumatori) e di evitare inutili accumuli di semilavorati e prodotti finiti.
A monte del magazzino c'è sempre la produzione sociale: i beni prodotti tracciati tramite codice a barre, RFID o Qr code, riempiono il magazzino stesso man mano che questo si svuota e, con le metodologie della qualità totale, dello zero scorte e della produzione just in time, il magazzino diventa un'altra cosa:
"Una cosa che non è mai esistita nei millenni passati: un punto di smistamento dei beni appena prodotti verso chi li ha appena richiesti. Già oggi, se rendiamo tracciabile il bene singolo, potremmo mettere insieme un enorme gioco automatico che va dalla miniera allo smaltimento intelligente degli oggetti obsoleti" ("Contributo per una teoria comunista dello Stato" n+1, n. 48)
I magazzini, intesi come hub, centri di ammasso e distribuzione, hanno accompagnato la nostra evoluzione sin dalle prime forme un minimo organizzate, permettendo di superare difficoltà e tragedie legate a catastrofi naturali ed ambientali. Erano soluzioni anticipate (programmate per il futuro) rispetto ad eventi conosciuti o anche attesi.
Oggi tutte le attività collegate alla logistica, a causa dei problemi sollevati dalla massa crescente delle merci in movimento, sono in crisi sistemica. Proviamo ad immaginare che cosa potrebbe succedere in una metropoli tentacolare come ad esempio la cinese Chongqing, che con un'area urbana di 82 mila km e 34 milioni di abitanti risulta la più grande municipalità del mondo, se esplodessero i legami interni ed esterni che ne garantiscono la compattezza. Ora, consideriamo che esistono decine di metropoli globali potenzialmente fuori controllo le quali superano i 10 milioni di abitanti, che attualmente il 55% della popolazione mondiale (oltre 4 miliardi di persone) vive in aree urbane, che secondo le proiezioni demografiche entro il 2030 altri 2 miliardi di persone si ammasseranno in realtà urbanizzate, con un impatto senza precedenti sulle infrastrutture e le risorse esistenti.
La capacità di esseri organici minimamente organizzati di reagire a fattori di instabilità o pericolo non sta tanto nella qualità e quantità degli interventi (muoversi in maniera scoordinata e senza un fine provoca solo dissipazione di energia), quanto nella capacità di contrastare il disordine facendo ricorso all'organizzazione stessa del sistema.
Il capitalismo è un sistema, e come tutti i sistemi ha una struttura molto conosciuta, almeno dai tempi di Marx, una storia di rapporti, flussi di energia ricavata da un ambiente da cui trarre risorse (pianeta Terra), ma anche da specifici rapporti sociali, una freccia del tempo.
Emerso rigoglioso dall'interno del feudalesimo (ma affonda le radici nelle società antico-classica), il modo di produzione capitalistico ha avuto un suo sviluppo rapidissimo (Rinascimento-Rivoluzione industriale), un suo apice ed infine ha iniziato a perdere energia: perdita irreversibile che continuerà fino alla sua morte termica, anticipata dal Manifesto del Partito Comunista del 1848 che sancisce l'emergere di contrasti insanabili, ma soprattutto l'esistenza di una società nuova che nega le categorie ed il funzionamento di quelle precedenti, e del proletariato che deve negare sé stesso e con ciò tutte le classi. Nel Manifesto prende corpo l'esplosione della scienza e dell'industria che avanzano, del proletariato che si rafforza e si organizza nel suo partito.
In uno studio sistemico, le relazioni tra componenti di un sistema sono molto più importanti che la disamina seppur approfondita di ogni singolo componente. Non è molto importante la ricerca delle particelle ultime, bensì, una ricerca sul formarsi, mutare e dissolversi delle strutture e delle relazioni.
Alcuni borghesi, pressati dall'avanzare della crisi del capitalismo maturo, giungono a considerazioni che coincidono in più d'un aspetto con quelle della teoria rivoluzionaria. In realtà capitolano oggettivamente di fronte ad essa. Sono paradigmatici, da questo punto di vista, tra altri, i lavori prima citati degli scienziati Humberto Maturana e Francisco Varela, i quali hanno dedicato la loro attività allo studio delle relazioni di strutture autopoietiche: auto, ovvero sé stesso, e poiesis, produzione. Un sistema autopoietico è un sistema che ridefinisce continuamente i propri parametri, si sostiene e riproduce dal proprio interno, può essere rappresentato come una rete di processi di produzione, trasformazione e distruzione di componenti che, interagendo fra loro, sostengono e rigenerano in continuazione il sistema stesso. Come esseri viventi non abbiamo, poiché dobbiamo la nostra intelligenza alla coevoluzione in un ambiente naturale, la capacità di comprendere che, ad esempio, le macchine sono a loro modo vive in quanto capaci di generare quegli stessi processi di autosostentamento che definiscono l'essere vivente; esse sono in grado, ad esempio, di auto apprendere ed auto-ripararsi.
Il modello teoretico da noi utilizzato, quello al quale, riferendoci a Marx, ci rapportiamo costantemente, ha origine, come tutti i modelli materialistici, dall'assetto reale del mondo; ma con la differenza che tutta la sua impalcatura poggia sull'antagonismo di classe. Per cui non è il modello di una società neutra, ma quello di una società in guerra.
In un sistema complesso come quello capitalistico non è corretto affermare che ci sia soltanto una determinazione tipo "causa-effetto" a fungere da elemento scatenante il cambiamento, per cui una, ed una sola causa, provoca direttamente un solo effetto. Ad esempio, fattori apparentemente minori o secondari possono causare differenti effetti anche importanti, come nel caso della famosa farfalla di Lorenz il cui battito d'ali in un certo luogo può causare un tornado agli antipodi. I sistemi complessi, altamente dinamici, sono sottoposti ad interazioni continue che consentono loro di autoregolarsi a seconda degli stimoli ricevuti dall'ambiente o da sé stessi. Ciò che è anti-intuitivo è che alcuni fattori possono causare eventi molto più grandi rispetto alle aspettative iniziali, soprattutto quando questi fattori si sincronizzano e vanno ad intaccare la struttura profonda della società. In altri lavori abbiamo verificato come il capitalismo sia precipitato in una crisi strutturale le cui conseguenze si possono manifestare sia a livello locale con episodi apparentemente di poca importanza (come la caduta di un governo in un paese marginale), sia a livello generale come nel caso del marasma sociale, punteggiato da guerre, che stiamo vivendo.
Un sistema il cui stato, sottoposto a pressioni continue, oltre una certa soglia scatta in un altro stato, è ben rappresentato dalla Teoria delle catastrofi di René Thom. È istruttivo e curioso insieme il fatto che la nostra corrente abbia utilizzato la definizione catastrofica fin dagli anni Cinquanta, una ventina di anni prima della sua sistemazione formale da parte dei matematici.
Tipi di sistema
Si è di fronte a un procedimento scientifico quando i fatti della natura, osservati nelle loro regolarità, descritti attraverso le convenzioni del linguaggio e confrontati con fondamenti riconosciuti, trovano infine una ripetuta verifica sperimentale. Ovviamente non si può portare in laboratorio un sistema sociale. Esiste però una dinamica storica con cui confrontare, riferendoci all'oggi, il grado di vitalità del capitalismo e che ci conferma la perdita di energia, l'andamento catastrofico, cioè l'accumulo di contraddizioni che troveranno la loro soluzione discontinua, ed al tempo stesso i saggi di società futura.
Il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente dev'essere sondabile, rintracciabile seguendo precise determinazioni, deve fornirci gli strumenti utili a descriverlo ed i risultati raggiunti devono essere dimostrati ed essere condivisi. Una transizione di fase si verifica quando un sistema fisico cambia repentinamente il suo stato (come nel caso della trasformazione dell'acqua in ghiaccio o vapore). Ogni cambiamento di stato implica una variazione nell'ordine interno della struttura, e di conseguenza una dissipazione di energia, un calo del rendimento. La produzione di plusvalore assoluto (cioè il differenziale di valore ottenuto con l'aumento del numero degli operai) perde d'importanza rispetto a quella di plusvalore relativo (aumento della produzione di merci con meno operai). Insomma, il capitalismo per funzionare meglio deve rendere peggio.
Per la borghesia il proprio sistema sarebbe il più ordinato della storia perché in grado di mantenersi in equilibrio sia attraverso capacità di auto-aggiustamento (la mano nascosta del mercato, il laissez faire), sia attraverso interventi programmati (riformismo, keynesismo). I singoli borghesi capitolardi possono ammettere le analogie tra il capitalismo, la fisica e il marxismo, ma non sono in grado di giungere alla conclusione che il capitalismo è già morto. Cercasi becchino.
Il modo di essere della materia (compreso il cosiddetto mondo sociale) è il movimento (Engels), ed è quindi errato isolare, rendere immobile o peggio eterno un mondo fatto di processi a diversi livelli di retroazione. Significativamente, proprio con le transizioni di fase la materia mostra i suoi comportamenti più complessi e fa entrare in gioco i processi di informazione. Si sarebbe tentati di dire che durante le transizioni di fase i sistemi sono impegnati nell'autodeterminare il loro stato fisico. Più ancora dell'energia è l'informazione ciò che determina il comportamento dei sistemi in questi passaggi da uno stato all'altro, innanzitutto l'informazione che i sistemi hanno di sé stessi (l'enunciato "Informazione è potere" è stato utilizzato un po' da tutti, con o senza accento, specie nel periodo intorno al famigerato Sessantotto).
In diversi articoli come "La prima grande rivoluzione" e "Fare, dire, pensare, sapere", abbiamo cercato di dimostrare come la società capitalistica soffra di una malattia incurabile, che nessun programma politico può rendere reversibile: è quella che nella storia delle società, anche tra quelle passate classiste e proprietarie, meno conosce sé stessa, almeno in rapporto alle grandissime capacità di produrre merci, manufatti, progetti. La moderna altissima temperatura raggiunta al punto locale del vulcano produttivo, industriale e non, si scontra con una situazione sociale paludosa, un'umanità lasciata completamente abbandonata rispetto alle possibilità di sopravvivenza presenti e future, dedita a logiche legate al valore che coltivano catastrofi sociali ed ambientali, una vita senza senso che travolge una specie resa superflua rispetto all'accumulazione capitalistica. Anche per moderare questa contraddizione, il sistema cerca di omeostatizzarsi: pur piazzando sensori e attuatori nella società, per cercare di ricavare informazioni in modo da essere sensibile ai cambiamenti necessari, in pratica si sta suicidando.
La contraddizione tra produzione sociale (teoricamente infinita) e appropriazione privata del prodotto sociale è il risultato di un preciso ciclo storico che lega, tra l'altro, l'esistenza delle classi al capitalismo, ed entrambi alla loro stessa scomparsa:
"I rapporti di produzione borghese sono l'ultima forma antagonistica del processo di produzione sociale; antagonistica non nel senso di un antagonismo individuale, ma di un antagonismo che sorga dalle condizioni di vita sociali degli individui. Ma le forze produttive che si sviluppano nel seno della società borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la soluzione di questo antagonismo. Con questa formazione sociale si chiude dunque la preistoria della società umana". (Marx, Per la critica dell'economia politica)
Per Marx, il capitalismo è parte della fase preistorica dell'umanità; tuttavia, le condizioni materiali per nuovi rapporti di produzione devono essere già ravvisabili. La borghesia non può fare a meno di rivoluzionare costantemente i mezzi di produzione (Manifesto), e con ciò contribuisce suo malgrado, a rivoluzionare costantemente la società proprio mentre le vecchie istituzioni e i rapporti sociali conseguenti risultano vetusti. La transitorietà della borghesia la possiamo dedurre ricordando, ad esempio, la potenza teorica della sua ascesa rivoluzionaria, col materialismo dei D'Alembert o la voce "Industria" presente sull'Encyclopédie, e confrontando questa potenza con l'attuale carenza di teoria, con il fatto che da anni sono state tentate tutte le soluzioni per far "ripartire" il ciclo di accumulazione senza ottenere risultati, che le economie dei maggiori paesi (Usa, Cina, India, Germania, Inghilterra, Italia, ecc…) sono sincronizzate sulla non crescita e l'encefalogramma resta piatto.
Macchine per pensare
"Sulla famosa opposizione quindi della materia e del pensiero noi abbiamo risolta la questione dicendo che è la materia, sono i fenomeni della materia che spiegano quelli del pensiero. Però la scienza non è arrivata ancora a dimostrarci come ciò avvenga nell'individuo; non ha saputo ancora dimostrarci come accada che nell'individuo entri la porzione di arrosto con l'insalata ed escano le tesi che noi andiamo ad enunciare; la scienza non ha saputo ancora dimostrarci che processo si svolge in quei meccanismi, in quegli organi del nostro corpo che servono alla nutrizione e alla digestione, tra l'assorbimento in genere delle energie esterne e la produzione del nostro pensiero". ("Per una teoria rivoluzionaria della conoscenza", 1960)
Qualsiasi indagine sull'uomo e sul suo compito nell'universo deve tener conto della capacità della materia di neutralizzare processi per loro natura entropici: è il progetto a distinguere la nostra specie, non il pensiero.
La scienza non è arrivata a dirci come si possa trasformare una certa quantità di cibo-energia in strumenti che ci consentano di migliorare le possibilità di sopravvivenza in armonia con il pianeta, di produrre macchine per conoscere che vadano oltre la nostra percezione ed i nostri sensi. Una fetta di arrosto di circa 100 grammi "possiede" circa 230 kilocalorie e, con l'insalata che ha 70 kilocalorie sempre per 100 grammi, si arriva a 200 grammi di nutrimento per circa 300 kilocalorie. Un cervello a riposo consuma più o meno la stessa quantità di kilocalorie. Grazie ad una dotazione di strumenti extra corporei siamo in grado, tutto sommato con poco dispendio di energia, di ottenere un notevole rendimento. L'industria (e non l'azienda) ci consente di ottenere quel rendimento che, ad una scala molto più bassa, ha permesso l'auto-organizzazione delle forme di vita. Lo scontro tra modi di produzione, in ultima istanza, è tra rendimenti.
Scienza, fisica, matematica non sono esattamente nervi, muscoli, sangue o percezioni sensoriali. Gli occhi, ad esempio, possono dirci ben poco della materia di cui intercettano informazione se il cervello non elaborasse i segnali. Le nostre impressioni sensoriali del cosiddetto mondo esterno vengono ricostruite dal sistema nervoso centrale in modo da essere una interpretazione di ciò che si è visto, udito, mangiato. Evidentemente tali percezioni non bastano per approfondire lo studio della nostra evoluzione futura.
La storia delle nostre dotazioni extracorporee è il più delle volte messa in secondo piano rispetto alla storia delle idee (delle classi dominanti). Come scrive Andre Leroi Gourhan ne Il gesto e la parola:
"Bisognerebbe quindi tentare una vera propria biologia della tecnica, considerare il corpo sociale come un essere indipendente dal corpo zoologico, animato dall'uomo ma atto ad accumulare una tale somma di effetti imprevedibili che la sua struttura intima supera di molto i mezzi di apprendimento degli individui".
Attenzione, stiamo citando volutamente uno scienziato non comunista. Il nostro organismo, fatto di carne, ossa e cervello, ha avuto un'evoluzione durata qualche milione di anni. L'evoluzione del corpo sociale e quella della tecnica, al contrario hanno subito delle accelerazioni rapidissime, sconvolgenti, che sono il prodotto dell'accumulo di effetti imprevedibili. È facile scrivere la fisica della storia, dopo, mentre andrebbero evidenziate le nuove forze e strutture, prima.
Selce, aratro, computer
I primi utensili di pietra scheggiati da mano umana e non accidentalmente risalgono a circa 2,6 milioni di anni fa, e furono trovati nella valle di Olduvai in Africa. Erano stati lavorati da un esemplare di specie Homo che verrà definito habilis per distinguerlo dall'Australopiteco, non in grado di fabbricare manufatti. Negli anni '70 venne ritrovato lo scheletro di una femmina di australopiteco, "battezzata" Lucy, importantissimo per stabilire la linea evolutiva umana: tranne il cranio, che aveva ancora spiccate caratteristiche tipiche dell'australopiteco, lo scheletro era già simile al nostro. Ciò è una prova ulteriore del fatto che lo sviluppo del cervello umano e del suo contenitore percorre una sequenza che va dal lavoro della mano all'organo che trasmette l'informazione necessaria al processo evolutivo.
L'evoluzione dell'uomo da raccoglitore a cacciatore si accompagna necessariamente all'evoluzione degli strumenti dei quali si deve avvalere per procurarsi il sostentamento (asce, punte di lancia ecc.) e per lavorare i prodotti non commestibili della caccia (bulini, raschiatoi, aghi ecc.).
Una variazione della dieta così drastica come quella che dovette essere una vera e propria rivoluzione ebbe influenza sulle abitudini sociali richiedendo strategia e lavoro di post-produzione (salatura, affumicatura, stagionatura, essicazione), quindi coordinazione; tutte conoscenze che andavano memorizzate e conservate. Era attraverso il lavoro sociale che l'uomo conosceva la natura.
L'attuale società sarebbe ben attrezzata per la raccolta di informazioni e la loro analisi rispetto all'evoluzione, ma per quanto i suoi studi siano approfonditi risentono sempre dell'influenza della presente forma sociale. Occorre ricordare che non di evoluzione individuale si tratta, ma sociale, o come direbbe il biologo E. O. Wilson, di eusocialità, quel grado di socialità che migliora la coesione di gruppo e la capacità di difendersi dai pericoli naturali (e dagli altri gruppi umani). Quella socialità basata sulla difesa della prole in caso di attacchi esterni, via via sviluppatasi sulla difesa delle tecniche produttive raggiunte.
La lavorazione di strumenti di pietra, che servivano per tagliare, colpire ed affilare, rappresenta un passaggio fondamentale in quanto ha reso possibile l'esternalizzazione di una primordiale intelligenza, qualcosa di voluto prima, in strumenti apparentemente meno intelligenti ed ha così plasmato noi stessi. Ci siamo autoprodotti, proprio producendo. Come ricorda Marx, la differenza tra l'ape migliore e il peggior architetto, sta nel fatto che il secondo ha un progetto in mente prima della realizzazione di un ponte o di un edificio. L'ape "singola" non esiste, esiste un'intelligenza collettiva che è frutto di un'evoluzione che ha plasmato le capacità organizzative delle api. La nostra, di intelligenza, quella dell'architetto, è invece il complesso uomo-industria, ed è data dal progetto, dalla memorizzazione dei fenomeni, dal conoscere le conseguenze di un certo procedimento.
Oggi, a scala planetaria, regna soltanto l'anarchia del mercato. Il pianeta è ricoperto di fabbriche, manufatti, reti commerciali, che rappresentano un corpo extrabiologico della nostra specie. Un corpo costruito per difendere le nostre condizioni di vita e sopravvivenza futura, ma in realtà un corpo che ci è alieno, praticamente nemico.
"L'alienazione dell'operaio nel suo prodotto significa non solo che il suo lavoro diventa un oggetto, qualcosa che esiste all'esterno, ma che esso esiste fuori di lui, indipendente da lui, a lui estraneo, e diventa di fronte a lui una potenza per se stante; significa che la vita che egli ha dato all'oggetto, gli si contrappone ostile ed estranea" (Marx, Manoscritti)
Da qui, le conseguenze ideologiche di gruppi più o meno organizzati, che teorizzano il ritorno ad un fantomatico mondo di rapporti primitivi, dove ovviamente non ci sia spazio per l'economia e la tecnologia ("Primitivismo", "I 'Partigiani della decrescita'"). Proprio mentre il pianeta si riempie di oggetti e sistemi progettati, la società umana di questa epoca dimostra di essere la meno attrezzata per progettare armonicamente la propria esistenza. Paradossalmente, è meno libera di quando doveva lottare per sopravvivere ai carnivori nella savana.
Per millenni (si fanno risalire le prime tecniche di aratura a circa 10 mila anni fa), i primi gruppi di agricoltori hanno applicato energia, inizialmente fornita da braccia umane ed animali, ad una terra che necessitava di essere lavorata per l'ossigenazione ed il ricambio di materiale organico ed enzimi. Con l'agricoltura e l'allevamento si incomincia a produrre surplus, compare un'iniziale autonomizzazione delle funzioni, s'intensifica lo scambio e si impone il bisogno di amministrazione e controllo della produzione sociale.
L'introduzione dell'aratro meccanico e soprattutto degli ammendanti chimici, con la rivoluzione industriale e relativamente tardi rispetto alla storia complessiva, mette in luce un aspetto completamente nuovo: il mezzo resta lo stesso (anche se migliorato nella struttura e nei materiali), ma la forza energetica viene applicata da macchine e chimica, alimentate da combustibili fossili e chimici che sono il regalo del Sole che da milioni di anni la Terra riceve (gratis!). Con ciò compie un balzo enorme la capacità produttiva del settore agrario, i gruppi umani si assicurano un raccolto per migliaia di uomini, non solo contingentemente, ma potenzialmente per sempre e il contributo in lavoro vivo umano diventa assolutamente complementare. Questa vera e propria rivoluzione è prodotto e causa del gigantesco salto evolutivo della quantità e qualità dell'informazione prodotta e registrata dall'umanità. Mentre nel capitalismo si tiene conto massimamente dell'aumento del profitto per kmq, tale processo è completamente ascrivibile e marcia in parallelo al rovesciamento della prassi.
In questo periodo la natura dell'informazione cambia completamente soprattutto a causa del suo supporto: passa da "molti a uno" (per esempio nel caso limite dell'Università prerinascimentale dove pochi luminari insegnavano a un numero spesso pari di studenti), a "da uno a molti" (per esempio l'invenzione della stampa permette a un solo oggetto stampato di essere letto da migliaia di persone). Mentre prima dell'esplosione della stampa l'informazione era trasmessa con supporti artigianali ora circolano trattati, progetti, schemi del funzionamento della moderna industria. Si impone un modello da cui non si potrà né vorrà tornare indietro.
A metà dell'800, un periodo di forte fermento industriale e tecnologico, non a caso esplodono movimenti che non indagano tanto i fenomeni naturali presi singolarmente, quanto gli aspetti universali della conoscenza. Il periodo è quello del Manifesto, la società è gravida di comunismo e produce, allo stesso tempo, mirabili cervelli e tentativi di unificazione della conoscenza. Gli scienziati Lagrange, Clausius, Maxwell, Boltzmann, Boole sono solo alcuni di questi "cervelli".
In particolare, George Boole, considerato il padre della logica matematica, studiò sui testi di Laplace e Lagrange e intuì che portando alle estreme conseguenze tutta l'attività umana attraverso la logica, tutte le proposizioni si potevano ridurre a vero/falso, sì/no, c'è/non c'è, uno/zero. Nelle sue opere The Mathematical Analysis of Logic (1847) e An Investigation of the Laws of Thought (1854), propose di studiare le leggi delle operazioni mentali alla base del ragionamento partendo dalla considerazione che il cervello non sarebbe altro che una macchina computazionale. L'algebra di Boole ha avuto influenze profondissime su tutti gli sviluppi successivi, dalla macchina da computazione virtuale di Turing agli algoritmi che permettono di operare su dati complessi (von Neumann), dall'applicazione dell'algebra binaria all'informazione (Shannon), fino agli studi su cibernetica e retroazione (Wiener). Dello stesso periodo sono i lavori di Ada Lovelace e Charles Babbage, rispettivamente sui primi algoritmi e le macchine analitiche. La computazione esiste in natura e noi ne siamo la dimostrazione con i moderni computer, le reti, i software e… le discussioni sulle macchine intelligenti.
Macchine per conoscere
La nostra corrente volle trattare con metodo scientifico i fatti economici umani sottraendoli al dominio delle idee ed inquadrandoli in una dinamica materialista. Anche utilizzando algoritmi, ovvero macchine per conoscere acquisite sul campo di battaglia. Da "Elementi dell'economia marxista", 1946:
"Il passaggio, nella storia della società e delle sue conoscenze, non è certo semplice; è duro e difficile e non privo di ritorni e di errori, ma in questo senso si costituisce il metodo scientifico moderno. Di alto interesse a tal uopo e al fine di dare un valore oggettivo reale e materiale alla conoscenza umana, sarà l'esame di algoritmi moderni che hanno raggiunto tale potenza da lavorare e camminare per conto loro in certo senso fuori della coscienza e dell'intelligenza, e come vere macchine per conoscere. La loro scienza diviene non più fatto dell'io, ma fatto sociale. L'io teoretico, come quello economico e giuridico, deve essere infranto!".
Nella citazione si parla di macchine per conoscere che in un certo senso si "autonomizzano" dalla coscienza e dall'intelligenza, essendo queste ultime un fatto ormai sociale e non individuale.
La definizione "algoritmo" è derivata dall'appellativo al-Khwārizmī (la Corasmia è una regione storica dell'Asia centrale corrispondente all'attuale Uzbekistan) data al matematico Muḥammad ibn Mūsa che nel IX° secolo d.C., a Baghdad, tradusse in arabo molte delle principali opere matematiche del periodo greco-ellenistico, dell'antica Persia, di Babilonia e dell'India. Al-Khwārizmī sistematizzò quella che era la conoscenza logico-matematica in suo possesso, fondendo contributi provenienti da diverse aree del mondo e attingendo anche dagli antichi Sumeri e dai Babilonesi.
Un algoritmo è una sequenza di istruzioni (una procedura) per risolvere un problema o raggiungere un determinato obiettivo. Esso è una formula attraverso la quale è possibile fare un calcolo, e quindi, scienza. Sebbene sia prevalentemente utilizzato in matematica, l'algoritmo è uno strumento progettato per fornire risultati per qualsiasi input valido, secondo istruzioni definite con precisione.
Si tratta quindi di istruzioni che vengono date anche grazie a una memoria storica accumulata su determinati fatti e avvenimenti. La progettazione di un algoritmo tenta di creare una ricetta matematica sul modo più efficiente per risolvere un determinato problema, la quale può essere però valida come base per sviluppare una soluzione riutilizzabile che possa essere applicata a un insieme più ampio di problemi analoghi.
Nella sequenza dei passi di un algoritmo sono presenti le regole operative che, a seconda della circostanza, indicano all'esecutore come comportarsi, ad esempio, una ricetta per far bollire la pasta: "se l'acqua bolle, allora buttare la pasta". Abbiamo visto in altri lavori come la sequenza cibernetica se, allora, possa essere estesa dall'organismo monocellulare spinto deterministicamente alla ricerca del cibo fino alle moderne macchine dotate di capacità di apprendimento. Di fronte ad una natura complessa e continua, ci siamo dedicati alla decodificazione degli avvenimenti intorno a noi e proprio nel farlo, abbiamo modificato le società. Volendo forzare la mano, le rivoluzioni non scoppiano forse quando il se, allora riguardante le possibilità di conservare il livello raggiunto dalle forze produttive, non viene più garantito? L'umanità, ricordiamolo con Marx, è conservatrice dei rapporti raggiunti, ma proprio per questo è costretta a forzare i vecchi istituti sociali.
Norbert Wiener, matematico e statistico statunitense, che ha dedicato tutta la vita allo studio della cibernetica, affronta le problematiche circa il ruolo della nostra specie nell'opera dal titolo quasi provocatorio, Introduzione alla cibernetica. L'uso umano degli esseri umani dove afferma:
"Desidero che questo libro sia inteso come una protesta contro questa utilizzazione inumana degli esseri umani, poiché sono convinto che impiegare un uomo richiedendogli e attribuendogli meno di quanto comporta la sua condizione umana, significa abbrutire questa condizione e sperperare le sue energie. È una degradazione della condizione umana legare un uomo a un remo e impiegarlo come sorgente di energia; ma è altrettanto degradante segregarlo in una fabbrica e assegnarlo a un compito meramente meccanico che richieda meno di un milionesimo delle sue facoltà cerebrali".
La progettualità fa parte del DNA sociale di questa specie indifesa, ben prima dell'emergere del capitalismo, che al massimo ne spinge all'ennesima potenza alcuni aspetti. Alla società capitalistica si può riconoscere un immenso input dato alla socializzazione internazionale del lavoro: la borghesia ha modificato i mezzi di produzione da individuali a sociali, e proprio così facendo ha accelerato un output catastrofico, compreso lo sviluppo delle proprie contraddizioni.
"Più il nuovo modo di produzione invase ogni tipo di produzione e ogni paese economicamente notevole, più soppiantò la produzione individuale fino ai suoi residui insignificanti, tanto più crudamente doveva appalesarsi l'inconciliabilità fra produzione sociale e l'appropriazione capitalistica" (L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza).
Non si tratta di situazioni congiunturali o contemporanee legate alla vita biologica di una certa generazione: nel corso della sua formazione, dalla nascita alla situazione senile attuale, il capitalismo ha fatto maturare senza sosta gli strumenti (umani e strutturali) che lo affosseranno, e noi possiamo antivedere i processi futuri con la stessa naturalezza con cui prevediamo la caduta di un sasso lanciato in aria.
Da questo punto di vista, le macchine sono parte integrante della storia del capitalismo in quanto indispensabili all'aumento della produzione e al drenaggio di plusvalore. Se esse però incominciano a diventare non solo protesi amplificatrici delle nostre capacità, ma strumenti sostitutivi, allora per il capitalismo è una vera sciagura. È l'accumulazione a spingere verso la produzione di macchine sempre più intelligenti, la loro autonomizzazione fa parte delle conseguenze evolutive. Dal punto di vista delle proiezioni delle nostre facoltà verso macchine e sistemi per conoscere, non è l'intelligenza ad essere artificiale, dato che questa intelligenza è un dato distribuito della natura; non saranno le macchine rese coscienti e cattive a soggiogare l'umanità perché l'utilizzo capitalistico delle macchine non va confuso con le macchine stesse. Le macchine stanno incorporando conoscenza collettiva, da anni, attraverso miliardi di dati che stiamo loro fornendo. Nel nostro sistema di riferimento ogni macchina è parte di un sistema che comprende necessariamente l'uomo.
La simbiosi tra cervello e macchina è in fase avanzata. La materia vivente e quella minerale comunicano tra loro, dimostrando la possibilità di stabilire un'interazione tra due mondi troppo spesso intesi come separati rivelandone l'estrema complessità. Ciò ha delle profonde conseguenze, non soltanto sul modo di produrre merci quanto anche sul modo di pensare sia a questo sviluppo che al futuro che ne conseguirà.
La borghesia, ricordiamolo, non ha una teoria né per il suo sistema né tantomeno per un futuro di specie che sia organico ed armonico con il Pianeta. Questa classe, ormai sostituita nelle sue funzioni da un capitale anonimo ed impersonale, lascia alla piccola borghesia il compito di produrre, male, teorie strampalate. Nel baccano sensazionalistico diffusosi negli ultimi anni sul tema "robot e intelligenza artificiale", ci si accosta al delicato argomento della simbiosi tra uomo e macchina soprattutto con prese di posizione moralistiche, senza alcun contenuto empirico e soprattutto senza determinare alcun futuro.
Dinamica dei sistemi
Nella storia del lavoro riverberato da questa rivista abbiamo ricevuto critiche per la scarsa attitudine concretista a discapito di troppa teoria. Questa affermazione ci è utile proprio per riprendere argomenti del programma che sono una peculiarità della nostra corrente. La rivoluzione, lo sottolineiamo spesso, è un fatto naturale, come un terremoto o un'alluvione, non è una particolare branca legata alle attività umane. È la rivoluzione che seleziona i suoi militanti, e non viceversa, come troppo spesso si sente affermare in ambienti saturi di politica e… filosofia.
Nel modo di produzione capitalistico il processo produttivo è slegato dalla vita di specie, e ci è quindi alieno perché l'unica cosa evidente resta la merce con il feticcio di ore di lavoro in essa incorporata. In quanto comunisti, sappiamo com'è fatta una fabbrica, non tanto nella disposizione di una linea di montaggio, quanto nella dinamica autoreplicante che la contraddistingue grazie al fatto che al suo interno non circola denaro né valore, ma vi è semplicemente flusso di materie prime, attrezzi, semilavorati ed energia. La borghesia è riuscita a descrivere vagamente un sistema di fabbriche automatiche che recepiscono dati dall'ambiente e modificano il proprio output (vedi Project Cybersyn). Per noi, non si tratta di scalzare l'inadeguato padrone (sostituito ormai da anni da anonimi stipendiati o da applicazioni informatiche), tema caro al gramscismo, ma di comprendere un sistema, il suo funzionamento entro un determinato processo di produzione, nel quale gli uomini sono, per adesso, solo gli utenti finali. E quel sistema, analizzato alla luce di una teoria rivoluzionaria della conoscenza, sta spingendo oltre l'involucro esistente.
Questa è la società più gravida di futuro mai esistita e questo fatto è indipendente dalle idee degli uomini. Marx è spietato contro l'idealismo proprio perché in quella concezione l'idea non corrisponde alla realtà, anzi è quest'ultima che viene fatta dipendere dalla prima. Le idee dominanti sono quelle della classe dominante, la quale, proprio in quanto tale, non ha bisogno tanto di sferrare tremendi attacchi al proletariato quanto, invece, di difendere le condizioni che permettono il suo dominio, ovvero la conservazione di quel potere e il mantenimento dello status quo capitalistico. Proprio quando pare che il capitalismo abbia trovato con la crisi sistemica una soluzione ai suoi problemi esso si è infilato in realtà in un loop logico da cui gli è impossibile uscire; l'unica soluzione (e non per il capitalismo, ma per l'umanità intera), può giungere soltanto dal di fuori di questo medesimo sistema. Nello stesso tempo, è sempre a maturazione una forza di potenza e natura tali da rappresentare la mina che farà saltare questa società, come sottolinea Marx (e come abbiamo scritto nella Home page del nostro sito).
La difesa del programma rivoluzionario non è quindi dovuta a particolari decisioni, ma fa parte della precisa disposizione fisica entro la quale si dispongono le forze in campo.
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"Se dunque abbiamo radicalmente rinnovata l'impostazione della polemica, dalla 'possibilità del comunismo', alla 'impossibilità del capitalismo a sopravvivere oltre dati limiti', non per questo abbiamo desistito dal dare, in dialettico contrasto con i caratteri del capitalismo che saranno distrutti, la tassativa determinazione delle caratteristiche economiche della società futura e della produzione socialista". (Filo del tempo, "Esploratori nel domani")
Il capitalismo non può sopravvivere a certi limiti strutturali. La fabbrica, intesa come processo di produzione generale e globale, esiste grazie ad un piano organizzato verso uno scopo, è un elemento con una sua razionalità e organizzazione in un mondo altamente disordinato. Questo organismo globale della produzione è collegato attraverso la logistica che non è soltanto una catena di montaggio più grande o estesa, ma ne è il tessuto connettivo. È un sistema che funziona benissimo automatizzandosi, senza democrazia, diritti, assemblee, ecc. e funzionerà ancor meglio (ridimensionato di parecchi ordini di grandezza) in relazione alla possibilità di auto-organizzazione sociale.
Da una parte vediamo un mondo morente dissipativo, votato ai disastri sociali, ambientali, catene per l'ulteriore sviluppo, dall'altro materiali saggi di futuro. Pensiamo all'avvento del digitale come ad un qualcosa che ha esordito improvvisamente sulla scena e dimentichiamo che l'evoluzione della materia è avvenuta proprio sul doppio canale analogico e digitale. La società attuale è così impegnata ad alimentare dualismi quali mente/corpo, uomo/natura, intelligenza umana/intelligenza artificiale che perde di vista come tutti i processi che riguardano l'informazione di un sistema possano essere fatti rientrare in uno schema monistico della conoscenza.
Introdurre informazione nuova rispetto a quella esistente, dall'esterno di un dato sistema, è l'unico processo che "neutralizza" in qualche modo l'entropia, ovvero la dissipazione dell'energia ("Rivoluzione anti-entropica").
Il capitalismo è il peggior nemico di sé stesso, dissipa senza freno, è un sistema chiuso che deve il proprio funzionamento ad anonime leggi di accumulazione, ma sta minando le sue stesse basi in maniera irreversibile. Le molecole sociali sono sovraeccitate, pressate come gas surriscaldato si muovono in modo caotico. Nel tentativo di conservare un certo livello di vita finiscono per dissipare energia, proprio mentre la situazione richiederebbe una sua conservazione. Questo avviene, come abbiamo visto, perché non ci sono soluzioni dall'interno della società attuale.
Le capacità organizzative contraddistinguono i sistemi sociali e da questo punto di vista l'attuale fa acqua da tutte le parti. Occupy Sandy, la struttura di Occupy Wall Street che organizzò buona parte dei soccorsi dopo il passaggio dell'uragano che devastò la East Coast americana, ha rappresentato saggi di futuro proprio perché c'è stata un'esplosione di auto-organizzazione delle molecole sociali. Auto-organizzazione che aveva mostrato allo stesso tempo le falle strutturali della gerarchia statale americana.
Da anni, in quasi tutti i paesi del mondo, milioni di anonimi senza-riserve scendono in piazza per le motivazioni più disparate scontrandosi violentemente contro gli stati e le conseguenze della società più disumana mai esistita, ma allo stesso tempo più gravida di futuro. A Il Cairo, nel 2011, milioni di persone si sono riversate in piazza per giorni, coordinandosi per far dimettere il dittatore Mubarak. Saranno stati borghesi, piccolo-borghesi, proletari o semplici disperati, ma si tratta di fenomeni di auto-organizzazione, non riguardano cioè le categorie sociologiche e democratiche, quanto piuttosto i processi di aggregazione della materia. E siccome anche noi umani siamo fatti di materia, bisogna per forza di cose collegare la fisica (sociale) al raggiungimento di certe soglie.
La società più tecnologica mai esistita è in grado di fare previsioni parziali, ma subisce fino in fondo le dinamiche sistemiche non potendo rapportarsi con un mondo che le è estraneo. Eppure elementi di rovesciamento esistono già.
Oggigiorno, che si tratti di navigare sul Web, dell'accensione di un mutuo, dell'acquisto di una merce o di qualsiasi tipo di richiesta di informazioni, le nostre decisioni sono orientate e pilotate da algoritmi. E nessuno si scandalizza. Gli stati e i grandi gruppi utilizzano i dati come elemento di controllo e orientamento della società. Con lo scandalo Cambridge Analytica, per esempio, è venuto a galla un utilizzo spregiudicato degli utenti profilati (oltre 80 milioni) per veicolare messaggi cuciti addosso al destinatario, spesso al fine di radicalizzare opinioni di per sé aggressive o condizionare i risultati elettorali. Questa è l'epoca dell'informazione, dove la cosiddetta opinione politica si fabbrica a livello industriale. I contemporanei movimenti populisti ne sono un esempio importante, specialmente negli Stati Uniti, perché si evidenzia che cosa vuol dire "influenza" della società. Tuttavia, niente e nessuno può fermare una Rivoluzione.
L'opinione pubblica è impegnata da qualche mese a dibattere sul tema tutto borghese della differenza tra materia organica e materia minerale. Per farsi un'idea della questione riguardante la coscienza delle macchine in realtà non c'è bisogno che i robot o i software siano coscienti o incoscienti, fanno diligentemente il lavoro che è loro richiesto imitando le competenze umane (la copia della competenza senza coscienza è l'attuale limite delle macchine).
Abbiamo proiettato alcune nostre facoltà nelle macchine, ma non la nostra struttura biologica. Abbiamo costruito sistemi efficientissimi per sopperire a nostre lacune. Ricordiamo che la nostra corrente intende la libertà (termine con alto contenuto di ideologia) come una prerogativa della specie, quella del rovesciamento della prassi, di poter progettare cioè un'esistenza armonica.
Marx nel Terzo libro del Capitale descrive così il passaggio dal regno della necessità a quello della libertà:
"Il regno della libertà comincia in effetti soltanto là dove cessa il lavoro determinato dal bisogno e dalla convenienza esterna; risiede quindi, per la natura stessa della cosa, oltre la sfera della produzione materiale in senso proprio. Come il selvaggio deve lottare con la natura per soddisfare i suoi bisogni, per conservare e riprodurre la sua vita, così deve fare l'uomo civile, e deve farlo in ogni forma di società e in tutti i modi di produzione possibili. Con il suo sviluppo si estende il regno della necessità naturale, perché si espandono i bisogni; ma nello stesso tempo si espandono le forze produttive che li soddisfano. La libertà in questo campo può consistere unicamente in ciò, che l'uomo socializzato, i produttori associati, regolino razionalmente questo loro ricambio organico con la natura, lo sottopongano al loro controllo collettivo, invece di esserne dominati come da una cieca potenza; lo eseguano col minor dispendio di energie e nelle condizioni più degne della loro natura umana e ad essa più adeguate. Ma questo rimane pur sempre un regno della necessità".
Per Marx, con lo sviluppo delle capacità umane e delle macchine, il vero regno della libertà può fiorire soltanto sulla base della drastica riduzione della giornata lavorativa. Attualmente, un sistema di macchine, software, sensori ed attuatori, alimentati da una rete energetica internazionale, compie benissimo buona parte del lavoro al posto nostro. Le macchine non sono nemmeno di chi le compera, come sa benissimo chi ha un computer o uno smartphone. Il software, senza il quale la macchina resta semplice ferraglia e plastica, è molto più importante e viene concesso in comodato d'uso, pagabile con un canone fisso mensile, esattamente come luce, gas, internet, casa, automobile, ecc. Tutto ciò in regime ufficiale di proprietà privata.
Amazon, nata come libreria in rete, è oggi l'impresa di vendita per corrispondenza più grande della storia, vende di tutto ed i libri non li approvvigiona più richiedendoli al loro editore; Ebay, uno dei siti di e-commerce più famoso del mondo non ha un metro quadro di magazzino, così come Airbnb è la catena di hotel con il maggior numero di camere senza possedere neanche un immobile. La piattaforma moderna organizza gli input senza incorrere in fastidiosi costi. Il problema non è il padrone, sia esso un umano o un software utilizzato ad esempio da un anonimo fondo pensionistico privato, quanto l'esistenza del conteggio in valore e dell'azienda, questa micidiale pompa di plusvalore. Oggigiorno è possibile aprire una fabbrica senza possedere niente, né le mura, né le attrezzature, e neppure i lavoratori: tutto è preso in affitto grazie ad una piattaforma. I sindacati non sarebbero più un organismo utile al quale rivolgersi per rivendicazioni retributive o professionali. Prendiamo ad esempio la CGIL, che conta circa 6 milioni di iscritti, ha una struttura territoriale che ricorda quella di un sindacato che difende gli interessi immediati dei lavoratori, ma somiglia sempre più a quella di un ufficio ministeriale utile per sbrigare pratiche contributive. Eppure la lotta di classe non muore mai.
La dinamica del Capitale moderno è stata tracciata dalla nostra corrente in Proprietà e Capitale: capitalisti senza capitale e capitale senza bisogno di capitalisti. I capitalisti senza capitale si candidano a fungere da hub nelle strutture di cui il capitale necessita per la sua valorizzazione, ma il giganteggiare del capitale senza bisogno di capitalisti è un fatto che segna la morte del capitalismo. Bordiga afferma che il capitalismo, giunto alla sua fase senescente, soddisfa unicamente logiche legate alla sua valorizzazione: Proprietà e Capitale è un testo fondamentale del 1958, quindi oggi stiamo analizzando un non più capitalismo.
Invarianza e trasformazioni
"Apparve l'anarchia della produzione sociale e fu spinta sempre più all'estremo. Ma il principale strumento con cui il modo di produzione capitalistico accrebbe tale anarchia della produzione sociale fu l'opposto dell'anarchia: la crescente organizzazione della produzione divenuta sociale nella fabbrica rimasta privata". (Engels, L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza)
La produzione sociale si svolge nella fabbrica-mondo privato. Nell'epoca dell'informazione totalizzante tutti producono dati ed informazioni, anche coloro che non lavorano direttamente per piattaforme come Google, Facebook e Amazon, e lo fanno semplicemente navigando su Internet. Nel 2008 l'Università della California aveva calcolato che normalmente l'individuo capitalistico è esposto a 34 gigabyte di contenuti ogni giorno, a più di 1500 annunci pubblicitari. Siamo paradossalmente immersi nella disinformazione.
Nel mercato del lavoro, sulla base di informazioni e dati aggregati, sono i software a stabilire la validità di un candidato e sempre software appositamente preparati guidano e sorvegliano l'operaio globale che sia un rider o un addetto in un magazzino. In realtà la società capitalista si ingegna nello sviluppare lavori nonsense: attività futili ed antiumane che potrebbero essere svolte da subito da algoritmi, ma soprattutto attività che potrebbero essere eliminate immediatamente in quanto palesemente inutili.
La particolare merce forza-lavoro è soggetta alle stesse dinamiche delle altre merci. Oggi si può ordinare un'automobile abbastanza personalizzabile, ma si può anche ordinare una prestazione lavorativa apposita. Il lavoro somministrato è stato analizzato nel nostro articolo "Il riformismo illogico del capitale zombie" che prendeva spunto dalla Legge Biagi del 2003. Passati 20 anni da quell'articolo, possiamo vedere che la sostanza resta la medesima, ma si sono accentuate le manifestazioni di questa somministrazione di lavoro vivo al capitale morto. Il mercato del lavoro offre una schiavizzante sottoccupazione al posto di una nerissima disoccupazione. La dissoluzione del welfare state è già in corso: come potrà stare in piedi il sistema pensionistico se cresce il numero dei potenziali pensionati, ma si riduce il numero di coloro che lavorano in maniera continuativa?
La borghesia avverte la perdita di controllo, ma lo Stato, in teoria unico elemento in grado di rispondervi in qualche modo, non può più governare l'economia, come sostengono alcuni, mentre cerca di inseguire una situazione fuori controllo. La situazione materiale (conseguenza anche del fatto che lo Stato requisisce oltre la metà della ricchezza prodotta per il suo specifico sostentamento) è ben più avanti di qualsiasi intervento del legislatore: l'accumulazione capitalistica e la miseria crescente proseguono la loro dinamica nonostante gli interventi statali; la droga monetaria non produce effetti; la parabola del plusvalore non dipende dagli espedienti politici di una classe oramai superflua.
Il mercato del lavoro offre dati molto importanti per quanto vogliamo sostenere. Il Bureau of Labour Statistics, l'unità statistica del ministero del lavoro statunitense, riporta che, nel 2020, oltre 37 milioni di persone, ovvero l'11% della popolazione nazionale, vivevano al di sotto del livello di povertà e 6,3 milioni di individui rientravano tra i "lavoratori poveri", i working poors, che, pur avendo lavorato o cercato attivamente lavoro per più di sei mesi durante l'anno, si collocavano al di sotto della soglia di povertà. E la quota aumenta ogni anno. In Italia il tasso di coloro che lavorano, ma sono al di sotto della soglia di povertà è circa il 12%, si tratta di oltre 2 milioni di lavoratori. Un esercito di schiavi senza nulla da perdere. Non a caso, con la pandemia, si è iniziato a parlare di "Great Resignation": le dimissioni di milioni di salariati che decidono di lasciare il lavoro perché stanchi di ritmi massacranti e paghe da fame. Il fenomeno è venuto a galla con le riaperture post-lockdown ed è emerso prima negli Stati Uniti, poi in Europa e in Cina (#TangPing).
Anche le risposte immediate dei lavoratori non si fanno attendere. Scioperi e mobilitazioni riguardano tutto il mondo, in tutti i settori. Negli Usa hanno cominciato ad organizzarsi e scioperare anche gli addetti del settore dell'intrattenimento, dai videogamers ai creatori di video su Youtube, fino ai lavoratori di Hollywood che hanno mandato in tilt le case cinematografiche. Le forme di lotta in quella che viene definita platform economy pescano nella tradizione sindacale, dai picchetti ai presìdi, ma sono influenzate dai flashmob, dall'utilizzo massiccio di social network e smartphone: l'organizzazione non manca. Qualche anno fa ha fatto scuola 99 Pickets line, una piattaforma che organizzava picchetti volanti nelle più disparate situazioni lavorative. Le piattaforme non sono dunque utilizzate soltanto dai capitalisti. Il supersfruttamento e la condizione di estrema precarietà sono manifestazioni del livello di sviluppo del capitalismo, così come la possibilità di connessione e organizzazione, ma questo lavoratore anonimo:
"Non potrà più ritornare a lottare per il contratto triennale, per la contingenza, per lo statuto dei lavoratori, insomma, per 'passi indietro' verso un ripristino dell'ingabbiamento precedente. Se vuole vivere dovrà necessariamente rompere le catene capitalistiche che lo tengono prigioniero. Stiamo vivendo una transizione di fase che aspetta solo un grande rivolgimento per sancire il passaggio da una forma sociale ad un'altra" ("Proletari, schiavi, piccolo borghesi o mutanti").
Il caos, la rottura dell'equilibrio sociale, sono un passaggio necessario ed essenziale per arrivare a un nuovo ordine, come avviene nel passaggio da acqua a vapore.
Difronte ad un contesto di estesa inoccupabilità, la CGIL, che del lavoro fa la sua bandiera storica, suggerisce di… contrattare con l'algoritmo. È evidente che l'uso delle tecnologie, dei big data, dell'intelligenza artificiale e l'impiego di algoritmi-manager, non hanno nulla a che fare con il livello corporativo sindacale. È saltato un paradigma, è cambiato un mondo che faceva riferimento alla riforma, alla rivendicazione corporativa di stampo fascista (la serie storica è democrazia, fascismo, comunismo), in un tempo brevissimo.
La rivoluzione "tecnologica-informatica" che stiamo vivendo da almeno quarant'anni a questa parte non è l'effetto di un progetto sociale ma ne è la causa: è la produzione via via più leggera e immateriale che ha preso il sopravvento. La recente accelerazione sia della potenza che della visibilità dei sistemi di apprendimento automatico, di un sistema governato da app anziché da uomini in carne ed ossa, ha sollevato il timore che la tecnologia stia avanzando così rapidamente da non poter essere controllata in sicurezza. Da qui, la richiesta avanzata da un team di oltre mille addetti ai lavori (tra cui Elon Musk, che dell'intelligenza artificiale ha fatto uno dei suoi settori di punta e di guadagno) di una pausa data la preoccupazione che l'IA possa minacciare non solo il lavoro e la proprietà privata, specie quella intellettuale, ma l'esistenza stessa dell'umanità (capitalistica).
Il passato si contrappone al futuro. Resta il fatto che gli stati, soprattutto i giganti come Usa, Cina, India, Russia e alcune nazioni europee, punteranno a grandi investimenti per poter essere in grado di farsi concorrenza e l'industria si getterà sempre più a capofitto sul settore dell'intelligenza artificiale. Sono le leggi del capitale che muovono lo stato, non viceversa. Va detto che OpenAI, con la sua sensazionale ChatGPT, afferma di aver investito poche decine di milioni di dollari, impiegando qualche migliaio di addetti. La cosiddetta rivoluzione causata dall'intelligenza artificiale non farà ripartire un nuovo ciclo virtuoso per il capitalismo.
Esploratori nel/del domani
"La natura ha una propria memoria e ha offerto a noi i risultati in essa contenuti. Noi non lavoriamo solo sulla memoria dell'uomo. Quest'ultima non è che una parte del patrimonio mnemonico trasmessoci dalla natura. Gran parte della dotazione su cui poggia l'umanità presente e, soprattutto, poggerà quella nuova attraverso il cervello sociale del nuovo partito, è di origine non umana". ("Dal Mito originario alla scienza unificata del domani", n+1 n. 15-16)
La nostra corrente parla di conoscenza unitaria e monistica, di una sola conoscenza di specie, proprio per seppellire la dicotomia tra leggi di natura e leggi che gli uomini hanno ricavato da essa aggiungendole al patrimonio originario. Difronte ad un percorso che scardina le certezze acquisite, legate alla struttura e alle sovrastrutture della società (scuola, lavoro, famiglia, ecc.), la capacità di pensiero del singolo cervello non basta. Ci vuole un cervello sociale, il quale non è la somma di 8 miliardi di teste fatte interagire democraticamente fra loro mediante altrettanti computer, ma industria e general intellect che poggino su di una teoria in grado di spiegare quello che succede, un vero progetto per il futuro. Cosicché l'individuo pensante, libero e cosciente, rimarrà per sempre dove l'ha già cacciato la storia, fra i tentativi non riusciti dell'evoluzione umana, insieme a coloro che dell'individuo-persona difendono l'esistenza.
Anche da questo punto di vista, capitolazioni importanti vengono registrate dalla stessa borghesia. Nel 2006 Alessandro Baricco aveva pubblicato un libro sui "nuovi barbari", cioè su coloro che, appartenenti alle nuove generazioni ma non solo, hanno una visione superficiale del mondo, essendo il prodotto di quest'epoca tecnologica fatta di reti, dati, leggerezza. La "saggezza" non sta tanto nella profondità del pensiero individuale, quanto nelle connessioni sociali. Nel 2018, sempre Baricco, ha in qualche modo ripreso l'argomento in The Game, dedicato alla rivoluzione tecnologica e sociale dovuta a Internet. In quel testo si descrive una società apparentemente senza confini dove tutti i problemi con cui gli uomini si confrontano sono tradotti in partite da vincere in un apposito gioco. Pensiamo alla guerra moderna ed allo sviluppo di sofisticati wargame alimentati da programmi di intelligenza artificiale.
Baricco sembrava quasi celebrare la superiorità del cervello sociale in cui nessun neurone pensa in proprio staccandosi dagli altri, e si era attirato le critiche del mondo intellettuale. Gli uomini, in un qualsiasi processo produttivo moderno, cioè del tutto sociale, sono già da tempo cellule semplici e specializzate di un vasto organismo; le loro qualità individuali sono integrate nel tutto e, oltre ad essere perfettamente intercambiabili, sono qualità che non dipendono affatto dallo specifico individuo ma da ciò che il corpo collettivo pretende da lui di volta in volta.
La negazione dell'individuo e del suo piedistallo (vedi gli articoli da noi raccolti nella serie "Sul filo del tempo" sul battilocchio cioè sulla "persona"), ad opera dello stesso capitalismo, è per noi la conferma dell'abbattimento reale, definitivo, di una delle barriere contro cui la rivoluzione lavora.
Denis Diderot, enciclopedista e mirabile esempio della borghesia allora rivoluzionaria, scrive ne Il sogno di d'Alambert del 1769:
"Avete veduto qualche volta uno sciame d'api fuggire dall'alveare? […] Le avete viste andarsene a formare all'estremità di un ramo un lungo grappolo di animaletti alati, tutti attaccati gli uni agli altri per le zampette?… Questo grappolo è un essere, un individuo, un animale".
Il singolo barbaro non può nulla, nemmeno "esiste", dato che ha bisogno di processi collaborativi anche solo per poter conoscere. Questi processi collaborativi non sono soltanto quelli della famiglia o delle tribù di riferimento (surrogati di comunità), ma sono più simili ai movimenti apparentemente caotici degli sciami di api o degli stormi di uccelli, anche se in funzione di un obiettivo a noi oscuro:
"Quando gli operai comunisti si riuniscono, essi hanno in un primo tempo come scopo la dottrina, la propaganda, ecc. Ma con ciò si appropriano insieme di un nuovo bisogno, del bisogno di società, e ciò che sembrava un mezzo è diventato lo scopo" (Karl Marx, Manoscritti).
Il bisogno di società ci contraddistingue. È per questo che affermiamo che Internet, in quanto manifestazione del cervello sociale, è un vero campo di battaglia: lì, da anni, si combatte la guerra del futuro.
Evidentemente questa estesa superficialità di cui parla Baricco è frutto di un profondo cambiamento. Un filosofo materialista come Diderot era il prodotto dell'industria nascente che plasmava la società, un pensatore borghese "profondo" era possibile perché la base materiale della società era in subbuglio ben prima della rivoluzione politica. Baricco certifica sì un cambiamento epocale, ma rappresentando la società morente avverte lo sconvolgimento perché la tecnologia cambia irreversibilmente la vita pratica degli esseri umani, produce certamente quella che lui considera "cultura" ma produce anche neuroni, modifica la plasticità del nostro cervello, produce il bisogno di una società completamente diversa.
Il relè pensa?
Prendiamo l'esempio di un ascensore, una volta mosso da un essere umano in carne ed ossa e poi reso automatico da un relè. Il relè è superficiale oppure profondo? Ha una coscienza? Sicuramente non pensa, ma è il prodotto di un sistema, essendo soggiogato da istruzioni semplici che gli fanno svolgere lavori tutto sommato complessi. È costruito appositamente per svolgere certe funzioni e rendere superflua la forza lavoro. In alcuni contributi sulla teoria della conoscenza abbiamo visto come Daniel Dennett, filosofo della mente e logico statunitense, ritenga possibili fenomeni intelligenti, o meglio, grande competenza senza il bisogno di alcuna coscienza. In fondo la storia della vita organica si è sviluppata così.
Già oggi vengono affidati a potenti computer non solo dati, calcoli ed elaborazioni, ma anche funzioni. Queste funzioni i computer non se le sono prese da sé, gliele abbiamo affidate noi. Siamo nella preistoria dei rapporti umani, ma circondati da reti, app ed algoritmi. È una situazione paradossale, assurda.
Questa è la società del controllo, sia produttivo che sociale. La borghesia avverte che la situazione non è delle più rosee, blinda la sua società, si arma, snellisce l'esecutivo, spegne i social network in caso di rivolte, ma così facendo acuisce lo scontro, danneggia il suo stesso sistema.
Oggi vengono piazzati miliardi di sensori nelle merci, intorno ad esse e sugli umani (sottoforma di telecamere, microfoni e oggetti sempre più invisibili): siamo terminali di una rete mondiale. I milioni di telecamere sparse per il globo sono collegati a programmi di intelligenza artificiale che apprendono in maniera autonoma e automatica grazie all'enorme massa di dati. La società diventa un immenso organismo dotato di una sua forma di intelligenza, eppure è tutta forza produttiva annichilita dai fini e dai rapporti capitalistici. Acquisisce, volente o nolente, capacità biologiche di auto-organizzazione obbligando gli esseri umani a interfacciarsi con un mondo sottoposto a cambiamenti rivoluzionari sia in ambito tecnologico che produttivo e sociale, proprio mentre l'uomo ridotto a elemento secondario di questo processo, a ulteriore sensore del sistema, brancola, vive una vita senza senso.
La digitalizzazione del mondo produce effetti importanti perché da un mondo fatto di qualità non discretizzabili (bello, brutto, lungo, corto) siamo passati ad un'immane raccolta di dati sul mondo stesso. A quale scopo? Engels in Parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia del 1876, afferma che il meccanismo mano-lavoro-cervello e poi lavoro sociale è stato fondamentale per la nostra evoluzione tecno-sociale ed ha potuto modificare solamente quello che c'era a disposizione, ovvero la natura, attraverso lo specifico linguaggio sviluppatosi come mezzo di produzione. Gli uomini avevano raggiunto una soglia superata la quale avevano qualcosa da dirsi, e con il linguaggio abbiamo iniziato non soltanto a comunicare tra di noi, ma anche a comprendere e a trasformare l'ambiente in funzione di uno scopo: oggi abbiamo affidato alle macchine molte funzioni della nostra esistenza attraverso la compressione in istruzioni ed algoritmi: la nostra evoluzione ci ha preparati per quello che sta per accadere nel prossimo futuro dandoci lezioni tratte dal passato. È la capacità specifica del nostro linguaggio a permetterci di unire il passato, il presente ed il futuro.
Di sicuro, il processo digitale in corso negli ultimi anni incrementa la potenza delle macchine, le quali possono calcolare, modificare, elaborare a patto che qualcuno o qualcosa presenti ad esse la realtà nell'unica lingua che conoscono: i numeri. È questa la ragione per cui, col graduale perfezionarsi dei computer e il loro consumo su scala planetaria (oltre 4 miliardi solo gli smartphone nel mondo), si è arrivati a spezzettare la realtà fino a ottenere particelle infinitesimali a ciascuna delle quali abbiamo affibbiato una sequenza di 0 e 1.
Anche qui nulla di nuovo (senza scomodare Zenone), se pensiamo al funzionamento del nostro stesso organismo nel quale si compenetrano apprendimento analogico e apprendimento digitale. Nel nostro cervello collettivo, che ovviamente influenza quello individuale, avviene un cambiamento di stato qualitativo dovuto alle continue interazioni. Anche le reti di neuroni accesi-spenti con la conseguente ed estrema plasticità del cervello, dovuta ai differenti stimoli, contribuiscono allo sviluppo generale.
I numeri non esistono in natura, rappresentano il vocabolario attraverso il quale traduciamo il linguaggio che ci arriva dalla natura stessa, come afferma Galileo, operazione che si può fare soltanto utilizzando la fisica, la geometria e la matematica: un linguaggio formale che ci serve per trarre musica armonica da un universo di caos e rumore.
Baricco fa dipendere le passate rivoluzioni scientifiche (Copernico, Gutenberg, macchine a vapore) dalla incredibile efficacia ed efficienza dei nuovi mezzi di produzione rispetto ai vecchi. Ovvio, ma non ci basta. I salti resi possibili dallo sviluppo della forza produttiva sociale avvengono nella società che produce tali meccanismi. La tecnologia non piove dal cielo.
Nel caso della macchina a vapore, si è trattato di un processo durato decenni che è stato sistematizzato relativamente tardi rispetto all'invenzione della macchina stessa. La possibilità di variare le condizioni di funzionamento era già presente in altre macchine, ad esempio nei mulini a vento, o nelle filatrici automatiche, di epoca precedente a quella in cui fu inventata la valvola di Watt. Da tempo ingegnosi meccanismi regolavano il funzionamento dei vecchi modelli di macchina ma, fino ad allora, era un operatore a dover introdurre l'opportuna variazione richiesta da una determinata variazione dell'ambiente.
La valvola regolatrice inventata da Watt fu battezzata significativamente, non a caso, "governor". È il nome che i Greci attribuivano al nocchiero delle navi, responsabile del timone e della rotta, rappresentante del principio di autorità, cioè armonizzatore di persone diverse in un ambiente ostile, come può esserlo un mare in tempesta (questa è una immagine usata da Engels). Più che una cosa è un concetto, ma la sua applicazione alla macchina a vapore riveste una grande importanza nella storia della tecnica perché esso fu il capostipite di tutti gli apparecchi automatici di controllo, indispensabili per l'ottimale funzionamento di macchine e impianti. Esso era quindi parte di un sistema sottoposto costantemente a retroazione (feedback).
Il "governor" permetteva di regolare automaticamente la pressione del vapore nelle macchine, adattandola alla potenza richiesta dalle variazioni di velocità che dipendevano dal carico o anche dalla pendenza, come nel caso delle locomotive.
Tutti gli apparati di controllo sono basati sulla retroazione. Non è l'avvento della macchina "computer" che ha introdotto la cibernetica nelle attività umane ma, al contrario, una civiltà sempre più dipendente dalla cibernetica si è data la macchina adatta per trattare una mole crescente di dati. La Mule Jenny (1779), la filatrice ricordata da Marx, era considerata automatica perché riuniva in un unico modello operazioni diverse, ma poteva svolgere unicamente i compiti per i quali essa era stata progettata e costruita. Per avere una macchina completamente automatica che producesse tessuti anche molto differenti tra loro, si dovette attendere il telaio Jacquard (1801). Questo telaio utilizzava schede perforate per memorizzare il tipo di stoffa da produrre, anticipando di due secoli i procedimenti che sono alla base del moderno computer, del quale è dunque un precursore.
La borghesia, come rilevarono Marx ed Engels nel Manifesto, è sempre stata costretta a rivoluzionare le proprie tecniche di produzione adeguandole all'andamento del saggio di profitto, vale a dire della riproduzione del capitale. La formula è semplice, ma la realtà che essa rispecchia è complessa: la fase imperialistica del capitalismo corrisponde a un "supremo" ricorso a terapie inedite. E queste ci dimostrano, secondo i principi della fisica, che il rendimento del sistema – come abbiamo visto - è diventato l'unico parametro valido per capire la transizione che stiamo vivendo.
L'era del computer è strettamente legata alle spinte storiche che hanno rappresentato la sua ascesa verso quell'Intelligenza Artificiale di cui tanto si disquisisce. Essa affonda dunque le sue radici nell'intero arco dello sviluppo teoretico-evolutivo, insieme a quelle della cibernetica.
Ma la cibernetica non è arrivata ultima nel tempo. Il solo fatto di identificarsi con un sistema elementare di retroazione ne fa il germe di tutti i sistemi che auto apprendono: non inizia con il computer, macchina contemporanea, ma addirittura con le origini della vita sulla Terra. L'ambiente digitale d'oggi, pur intralciato da residui ideologici che lo frenano, spinge all'ennesima potenza una rivoluzione che mostra come si tratti di storiche forze e non di risultati del pensiero. Un'evoluzione che si trasforma in rivoluzione ad ogni balzo della conoscenza è una realtà che il capitalismo non può tollerare.
Macchine, reti e automazione annunciano la società futura più di mille proclami "politici". Annunciano l'esistenza di una società a più alto rendimento energetico, fatto materiale da noi particolarmente sottolineato in quanto progetto latente individuato dalla sinistra comunista rivoluzionaria, da Marx in poi, necessario per far saltare l'attuale modo di produzione. Il programma del proletariato è scritto ormai nell'ultima fase del crollo del saggio generale del profitto, cioè nel limite storico delrendimento capitalistico, limite che è alla base di tutte le rivoluzioni, da quella neolitica a quella asiatica, da quella antico-classica a quella feudale, da quella capitalistica a quella comunista.
È interessante notare che il "governor" del modo di produzione asiatico aveva permesso di stabilizzare lungo millenni la società per mezzo di un feedback negativo (es. antica Cina come società omeostatica, vedi "Modo di produzione asiatico?"), mentre il fattore di controllo del moderno capitalismo è a feedback positivo (es. Stati Uniti, crisi acute risolte con l'iniezione di capitali a basso costo per stimolare la crescita).
Sulla base di alcuni principi generali dell'organizzazione possiamo renderci conto che la cibernetica, nello svolgersi storico, rimane identica nel tempo (zero-uno), ma ci ha permesso di produrre qualcosa che cambia nel tempo, cioè che va al di là del carico energetico necessario a riprodurre noi stessi. Le primordiali particelle si sono organizzate in molecole chimiche, le quali a loro volta hanno dato luogo a organismi capaci di riprodursi, e da questi sono nate forme di organizzazione sociale, industria, informazione, progetto.
Computer, memoria, futuro
"La tesi originale della gnoseologia marxista è che la conoscenza umana è un sistema di relazioni tra due campi dei fatti della natura non diverso per misteriosi principii da tutti gli altri sistemi di relazioni reali. Il pensiero umano può registrare le impronte dei processi esterni secondo una trasmissione da comprendersi con quelle stesse risorse che valgono a stabilire, per dirla con un esempio, la corrispondenza tra la storia passata del pianeta e le tracce che ce ne tramanda la stratificazione e disposizione geologica dei terreni" ("Esistenzialismo", in Prometeo prima serie n. 11 del 1948).
I primi computer portatili a grande diffusione, furono immessi sul mercato nei primi anni '80. Avevano una discreta potenza di calcolo, ma furono utilizzati soprattutto per il gioco. Molto presto vennero soppiantati da macchine più specializzate, da una parte quelle dedicate al calcolo e dall'altra quelle per il gioco.
Il primo computer "elaboratore" prodotto per il mercato di massa fu il Commodore 64 (1982), ma la quantità di apparecchi venduti non sfiora nemmeno quella dei computer progettati appositamente per il gioco (Arcade games). Il primo Mac è del 1984. Per il primo smartphone degno di nota bisogna aspettare il 2003. Nel 1981 viene pubblicato SMTP, il primo protocollo di e-mail che avrebbe reso possibile il diffondersi della posta elettronica. Trent'anni dopo, nel 2012, noi umani avremmo mandato 144 miliardi di mail al giorno: tre su quattro sarebbero state spam.
La crescita è di tipo catastrofico: riportata su assi cartesiani rivela un'immagine di una linea praticamente verticale. Anche la nascita e lo sviluppo di internet, quale manifestazione del cervello sociale, meriterebbero un lavoro dedicato.
In un articolo scritto nel 1946 dai matematici John von Neumann e Herman Goldstine, intitolato "Studio preliminare della struttura logica di un computer elettronico", gli autori avevano definito il concetto di programma in una forma logica precisa, mostrando come un qualsiasi computer potesse eseguirne uno simile per mezzo di un ciclo continuo, prendendo ogni istruzione dall'unità di memoria, eseguendo tale istruzione in un'unità di elaborazione centrale e conservando poi i risultati in memoria. Questa "architettura di von Neumann" è tuttora alla base di tutti i computer: istruzione, elaborazione, conservazione.
Nel 1950 Alan Turing pubblica il suo monumentale "Computing Machinery and Intelligence" in cui il logico e matematico inglese propone di rispondere alla fatidica domanda "le macchine possono pensare?" introducendo il test che ha preso il suo nome per determinare se un computer può dimostrare la stessa intelligenza (o i risultati della stessa intelligenza) di un essere umano. Quindi l'intelligenza n di partenza e di confronto è quella degli uomini.
Dopo oltre 70 anni da detto test, ci siamo accorti di essere intrecciati con un mondo che non è fatto soltanto di materiale organico, facciamo persino fatica a comprendere la portata di tale affermazione. Questo mondo ci accompagna in realtà da quando abbiamo iniziato a scheggiare la prima selce e a lavorare in maniera sociale, a produrre manufatti fuori dal nostro corpo, a disseminare protesi delle nostre facoltà, ma amplificate, in strumenti, automi, reti.
Ovviamente come scimmie nude in competizione tra di loro, tese a difendere interessi effimeri e temporanei, non possiamo adattarci ad un mondo mutante, dovrà rompersi l'involucro. Ciò è diverso rispetto all'indignazione di scuole di filosofi che lanciano allarmi su un'umanità perduta nel dedicarsi agli smartphone e alla vita online, invitando a tornare ai "veri rapporti umani". Già e quali sarebbero?
La parabola storica ci è chiara sin da Marx: l'uomo diventa custode passivo delle macchine, la produzione di massa lo rende inutile e la profondità viene riservata ai teorici, ai progettisti, agli ingegnerizzatori, almeno finché anche questi non vengono sostituiti da sistemi automatici (vedi ChatGPT). Attenzione, difronte ad un sistema ingegnerizzato, i comunisti non possono auspicare il ritorno a forme precedenti. Ben scavato vecchia talpa, dovrebbero esclamare!
Persino diversi film trattano l'argomento di un'umanità diventata superflua, come Ready player one del regista Steven Spielberg, dove in un futuro sacrificato alla miseria (ma sembra terribilmente il presente) essa vive un'esperienza eccitante soltanto in un mondo virtuale a cui si può accedere gratuitamente, grazie a un visore e a un paio di guanti e dove si può svolgere qualunque tipo di attività. Alla fine del film, scoppia la rivoluzione per difendere il mondo virtuale da sé stesso. Oggi, virtuale è la società capitalistica, dove milioni di miliardi di dollari in cerca di valorizzazione (come, ad esempio, nel settore dei derivati) compiono scorribande negli Stati, mentre la maggior parte degli umani è costretta ad una vita inumana.
Scontro di rendimento
"Abbiamo tante volte gridato agli assetati del palpabile successo politico di congiuntura, che siamo rivoluzionari non perché ci bisogni vivere e vedere, contemporanei, la rivoluzione, ma perché la viviamo e vediamo oggi, come evento, per i vari paesi, per i campi e aree di evoluzione sociale, già suscettibile di scientifica dimostrazione. Le sicure coordinate della rivoluzione comunista sono scritte, come soluzioni valide delle leggi dimostrate, nello spazio-tempo della Storia" (Filo del tempo, "Relatività e determinismo - In morte di Albert Einstein", 1955.)
In quanto comunisti vediamo e viviamo la rivoluzione come evento dimostrabile scientificamente e possiamo tracciare ciò che distingue radicalmente la società attuale da quella futura ovvero le misure in valore, lo scambio tra uomini, le classi, la proprietà, l'attività che chiamiamo lavoro distinta dalla vita. Tutto ciò non avrà spazio in una società basata sul ricambio organico con la natura.
La borghesia, nelle scienze fisiche, a suo dire diverse da quelle sociali, applica un metodo scientifico (almeno dall'avvento della sua rivoluzione): si scende dal generale al particolare, dall'astrazione semplificatrice al concreto complesso. Nel campo sociale opera all'inverso: parte dal concreto e complesso, da quello che vede con i propri occhi, da quello che registra attraverso le proprie percezioni, per giungere a definire teorie generali. Ribadiamo che per i comunisti la teoria generale già esiste e di questa essi si servono per inquadrare fenomeni che sono tutt'altro che nuovi, se non nella forma sicuramente nella sostanza.
A proposito di macchine e risvolti non capitalistici basti leggere il paragrafo "Il mito del macchinismo" presente in "Traiettoria e catastrofe della forma capitalistica" (1957), oppure i passi tratti dal prospetto introduttivo di "Mai la merce sfamerà l'uomo", altro testo fondamentale, in cui si afferma:
"Ma una macchina della macchina sostituirà l'uomo alle manopole di questa, dopo aver registrato con processi elettronici il comportarsi effettivo dell'uomo, il trucco che lo distingue, per ritrasmetterlo identico. Allora sarà invero la natura che ci darà tutto, cominciando dal vassoio della prima colazione che arriverà senza che lo porti nessuno".
Un sistema di macchine registra già oggi attraverso processi elettronici (con il machine learning e il deep learning siamo andati avanti, almeno nella elaborazione dei dati) il "trucco" dell'uomo per ritrasmetterlo identico. La macchina, che al suo esordio imitava letteralmente il movimento di un braccio o di una mano umana, ha iniziato ad evolvere seguendo schemi, processi, evoluzioni non biologiche. Non ha senso darle forma umana, non pensa, almeno nell'accezione che definiremmo con la categoria "pensiero". Elabora informazione e la riverbera amplificata, questa è una conquista possibile grazie al divenire rivoluzionario.
Quando app, software leggeri, smaterializzati, distribuiti gratuitamente a tutti senza toglierli a nessuno, diventano il modo di essere di un sistema votato invece alla produzione teoricamente infinita di oggetti discreti, da poter vendere, gli stessi borghesi hanno qualche problema a far funzionare la loro stessa società. Si tratta di un problema di rendimento.
Si è sempre trattato il passaggio da un modo di produzione ad un altro esclusivamente attraverso la lente "politica", ovvero lo studio approfondito delle classi che si scontravano, dei programmi politici e delle comunità nuove che si formavano all'interno della società morente. Tutto valido, ma occorre ribadire che, per quanto riguarda la ricerca di invarianti nelle passate transizioni:
1) la società schiavistica cadde in crisi ben prima delle rivolte degli schiavi perché andava emergendo un nuovo tipo di sfruttamento sociale del lavoro. I primi salariati "rendevano" più dello schiavo (perfetta la sintesi nel discorso schiavo/operaio fatto da Marlon Brando nel film Queimada);
2) il feudalesimo prima vacilla e poi viene scalzato quando le stesse tecniche produttive inventate in quel periodo mostrano come fosse possibile, nelle manifatture e nella conduzione capitalistica della terra, un rendimento molto maggiore;
3) il capitalismo perde energia, collassa e genera saggi di organizzazione futura comunistica dovuti proprio alla produzione ultra-socializzata, automatizzata e informatizzata.
Il lavoro salariato, che fu un'anomalia nel passaggio dal feudalesimo al capitalismo, con quest'ultimo è diventato regola e base essenziale per la produzione di plusvalore. Oggi, la forma di produzione dominante sul pianeta Terra è il capitalismo allo stadio mortifero, anche se persistono aree a basso grado di sviluppo, che nel lavoro salariato hanno ancora la loro base indispensabile in quanto brandelli dell'accumulazione passata, ovvero residui di lavoro vivo da applicare per valorizzare quello morto. Questo modo di produzione è in contraddizione con la sua stessa struttura automatizzata, la quale rende superfluo il lavoro stesso, e marginale, se non dannosa, la funzione dell'umanità nei confronti del resto della natura. Superare le vecchie forme non è un problema teorico, ma è una possibilità pratica, dato che si stanno realizzando le condizioni materiali per un grande reset:
"La natura non costruisce macchine, non costruisce locomotive, ferrovie, telegrafi elettrici, filatoi automatici, ecc. Essi sono prodotti dell'industria umana: materiale naturale, trasformato in organi della volontà umana sulla natura o della sua esplicazione nella natura. Sono organi del cervello umano creati dalla mano umana; capacità scientifica oggettivata. Lo sviluppo del capitale fisso mostra fino a quale grado il sapere sociale generale, knowledge, è diventato forza produttiva immediata, e quindi le condizioni del processo vitale stesso della società sono passate sotto il controllo del general intellect, e rimodellate in conformità ad esso; fino a quale grado le forze produttive sociali sono prodotte, non solo nella forma del sapere, ma come organi immediati della prassi sociale, del processo di vita reale" (Marx, Grundrisse).
La nuova base che si è sviluppata è stata creata dalla grande industria, indietro non si torna.
LETTURE CONSIGLIATE:
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