Guerra civile negli USA, ma non quella vera
Il cinema rispecchia la società, a volte, a suo modo, l'anticipa.
Civil War è l'ultimo film del regista e sceneggiatore Alex Garland (regista tra gli altri di Ex Machina e Annientamento), e già prima di uscire nelle sale ha suscitato un acceso dibattito oltre che nel panorama cinematografico, anche in quello politico. Attraverso le lenti di un giornalista e una fotografa freelance, il film narra di un'America divisa in 4 o 5 fronti, dove si scontrano militarmente il governo di Washington, retto da un presidente "populista", e le forze di una presunta coalizione formata dagli stati della California e del Texas. Per certi versi si riprendono i temi trattati nel film La seconda guerra civile americana (1997), che per primo ha aperto questo filone.
L'America descritta nel film è terribilmente attuale, in preda a situazioni fuori controllo, dove tutti sono contro tutti. Una condizione che somiglia agli scenari visti nei Balcani di qualche anno fa, nell'Africa dei massacri e dei colpi di Stato, oppure ad Haiti, dove le bande "governano" i quartieri. La rivista Wired scrive:
"Civil War fa paura, la fa veramente perché ci rendiamo conto che il Grande Impero, come altri in precedenza nella Storia, si sta sgretolando dall'interno tra spinte anarchiche, incapacità di accettare il diverso e questa visione della Nazione come negazione dello Stato."
Si sta sgretolando l'Impero a stelle e strisce, ma le conseguenze saranno più dirompenti di quelle immaginate nel film. Ciò che la pellicola non racconta è, infatti, che l'America non può precipitare in un conflitto di tale portata senza coinvolgere immediatamente il mondo intero, aprendo le porte ad una guerra civile planetaria. Gli USA non sono un paese come gli altri, non hanno avuto bisogno di una rivoluzione antifeudale, "sostituita egregiamente da una semplice campagna venatoria su di una selvaggina bipede, estranea alla Genesi e alla redenzione del Cristo, ai lumi della Riforma come a quelli dell'Illuminismo filosofico" ( "Non potete fermarvi, solo la rivoluzione proletaria lo può…", 1951).
L'America è passata per una pesante guerra civile (1861-1865), che rappresentò lo scontro tra forze interne legate a precisi interessi economici, e preparò il paese al ruolo di primo piano che successivamente avrebbe conquistato. Dalla Seconda Guerra Mondiale in poi, economicamente e militarmente, gli USA hanno imposto al resto del mondo la loro "volontà", grazie anche al controllo pervasivo della propria popolazione, impiantando un colonialismo in cui "i bianchi colonizzano i bianchi" ("Imprese economiche di Pantalone", 1950).
In fin dei conti,Civil War, seppure con trovate spettacolari come l'assedio del Campidoglio di Washington condotto al suono di un cannone Vulcan (che spara 6mila colpi al minuto), non parla tanto della guerra civile che si sta prefigurando, quanto di uno scontro interno alla macchina statale, una specie di "riforma armata" gestita dalla stessa borghesia dove, a margine, gruppi più o meno organizzati compiono scorribande e massacri. La guerra attuale, quella vera, già coinvolge gli Stati ed i civili, i primi ad essere colpiti, come a Gaza o in Ucraina.
Il film registra l'indebolimento strutturale degli Stati Uniti che, pur producendo, secondo le stime del FMI, il 26% del PIL globale nel 2024, si riscoprono alle prese con difficoltà insanabili. I cittadini americani sono tra i più armati al mondo (89 armi ogni 100 abitanti per un totale di 270 milioni di armi in circolazione nel paese), alcuni di essi sono organizzati in milizie pronte per uno scontro che viene dato per certo. Ogni anno oltre 30.000 persone rimangono uccise dalle armi da fuoco, una media di circa trenta vittime al giorno. La guerra civile c'è già, quella futura sarà quella d'oggi elevata a potenza.
Non si tratta di "trasformare la guerra imperialista in guerra civile", come diceva a suo tempo Lenin a proposito della specifica situazione della Russia del 1917, ma di prendere atto che adesso già coesistono. Questo ha dei risvolti dal punto di vista della lotta di classe dato che la rivoluzione a venire non prevede riforme né rivendicazioni: se è il proletariato con il suo lavoro a reggere l'intera baracca capitalista (guerre comprese), allora lo scontro sarà totale.