Il capitalismo è morto

In un articolo di qualche anno fa, intitolato "Perché il sistema capitalistico è praticamente morto", pubblicato sul quotidiano economico Milano Finanza, Maurizio Novelli, gestore di fondi finanziari, tratta della necessità capitalistica di fare sempre più debito per sostenere l'economia (nel 2023 il debito totale ha superato il 330% del PIL globale), del problema della valorizzazione del capitale e, in generale, del dominio del capitale azionario su quello industriale:

"Il sistema capitalistico, degenerato a causa di questo modo di operare, è praticamente morto e la finanza, così come funziona oggi, lo ha ucciso. Gli Stati Uniti, dal 2001 in poi, hanno messo l'economia reale a sostegno della finanza, ribaltando la funzione che la finanza era a sostegno dell'economia."

La finanziarizzazione del capitale, riflesso della sua autonomizzazione, è la parte conclusiva della parabola storica del plusvalore. Il fenomeno è stato analizzato nel nostro articolo "L'autonomizzazione del capitale e le sue conseguenze pratiche", che si basa sul Frammento del testo originario di "Per la critica dell'economia politica" (Marx, 1858). Oggi l'autonomizzarsi del Capitale è un processo ben visibile, basti pensare alla recente impennata del Bitcoin che vale più di Visa e MasterCard messe insieme. I ricorrenti crolli di borsa, le crisi finanziarie del 1987, del 1997, delle Dot-com e del 2008 testimoniano la difficoltà del sistema a riprodursi in quanto tale.

L'impetuoso incremento del capitale finanziario non è altro che una risposta alla crisi di valorizzazione, dovuta all'aumentata produttività del lavoro. Non c'è mai pletora di capitali senza pletora di merci: per questo motivo "rilanciare la produzione" o "ritornare all'economia reale" sono slogan privi di senso.

Dal punto di vista marxista, l'unica distinzione valida è quella tra capitale reale e capitale fittizio. Nell'articolo "Non è una crisi congiunturale", scritto dopo la crisi dei mutui subprime, abbiamo ricordato che il Capitale ha una sua freccia del tempo: l'intervento degli Stati attraverso l'iniezione di liquidità nell'economia, e le promesse di banchieri e governanti di risolvere le disfunzioni del sistema sono serviti solamente a spostare in avanti il crollo del sistema stesso, ingigantendo le bolle speculative.

Nella fase giovanile del capitalismo la socializzazione del credito è stata fondamentale per reperire capitali sparsi nella società e per indirizzarli verso grandi investimenti in ambito industriale, affinché portassero grandi profitti. Era l'epoca delle grandi concentrazioni di operai e industrie; oggi, nella fase senile del capitalismo, l'industria diventa una pedina in mano al mondo della finanza. Ed è un bel problema per il sistema: giusta Marx, non si può estrarre nuovo valore dalla sfera della circolazione del capitale.

Uno dei testi più importanti della Sinistra Comunista per dimostrare la morte tecnica del capitalismo è Proprietà e Capitale, ma è utile anche la serie di articoli da noi raccolti nel quaderno Scienza economica marxista come programma rivoluzionario, basati sullo studio del Libro II del Capitale:

"Fate qualche esercizio col muscolo della dialettica... una volta scoperto che la chiave del capitalismo non è la brama personale dei capitalisti di godere dei profitti, ma è la impersonale esigenza del capitale sociale di aumentarsi di plusvalore, resta dimostrata la necessità della morte del capitalismo, quindi la sua scientifica non-esistenza potenziale dichiarata da Marx."

Il modo di produzione capitalistico, fin dalle sue origini, ha una spinta alla negazione del valore attraverso la sua massima enfatizzazione, perché bada solo al denaro, e tratta il valore d'uso delle merci solo come un mezzo per la sua crescita. I parametri dell'economia mondiale sono sballati, ce lo dicono fior fiore di economisti, come ad esempio Nouriel Roubini (La grande catastrofe): nei paesi a vecchia industrializzazione i giovani disoccupati non riescono più a pagare le pensioni dei loro genitori, mentre l'avanzamento tecnologico elimina sempre più posti di lavoro, lo Stato è così costretto ad intervenire per evitare lo scoppio di rivolte e sostenere i consumi.

Alla fine, l'economia di mercato funziona solo perché la macchina statale la sostiene. È un sistema drogato, che ha la parvenza di capitalismo ma che è già, potenzialmente, qualcos'altro.

Rivista n. 55