Presa d'atto

The Economist, il settimanale inglese baluardo dell'economia di mercato, ha dedicato un numero al futuribile crollo dell'ordine economico mondiale, delle sue regole e dei suoi assetti ("The new economic order", 11 maggio 2024).

Ci troviamo di fronte all'ennesima capitolazione ideologica della borghesia di fronte al marxismo. Il "movimento reale" è in marcia e tutti prima poi dovranno prenderne atto e subirne le conseguenze, siano essi proletari o borghesi.

L'infrastruttura politico-economica a guida statunitense che faceva funzionare le relazioni mondiali non è più in grado di farlo, e gli organismi nati per risolvere le controversie internazionali sono ormai fuori uso.

Il settimanale inglese esprime tutta la propria preoccupazione di fronte all'accumularsi di un numero crescente di fattori che potrebbero innescare una discesa a precipizio verso il caos, portando a un crollo dell'ordinamento liberale che potrebbe avvenire in modo improvviso e irreversibile.

In verità, le evidenze del dissesto sono ormai tali che celarle sarebbe troppo anche per chi pensa che, lasciato libero, il mercato possa autoripararsi.

Ciò che ci interessa qui notare, però, è che nell'indagine delle ragioni che hanno condotto a questa condizione vengono invertite le cause con gli effetti. Prendiamo il WTO: secondo l'Economist, l'istituzione è ormai deteriorata e non riesce più a promuovere il commercio internazionale, che difatti negli ultimi tempi ha registrato una battuta d'arresto. Ma è vero proprio il contrario: a causa della legge dello sviluppo ineguale del capitalismo (Lenin, Imperialismo), la sovrastruttura WTO è andata in crisi. Entrando in scena nuovi attori statali saltano equilibri consolidati.

I sussidi e gli aiuti all'economia nazionale da parte degli stati, e i dazi e le sanzioni ai concorrenti, contribuiscono ad aumentare la frammentazione del mercato mondiale (secondo il gruppo di ricerca Global Sanctions Database, i governi di tutto il mondo stanno imponendo sanzioni commerciali con una frequenza quattro volte superiore a quella degli anni '90); a ciò si aggiungono il calo negli ultimi anni degli investimenti transfrontalieri, in parte per le misure protettive adottate dagli stati, lo sviluppo di forme di pagamento che bypassano i circuiti standard, e una guerra che non produce ufficialmente vittime: quella per detronizzare il dollaro.

In tale contesto, ogni paese corre ai ripari e cerca di dotarsi di una propria industria e di catene di approvvigionamento autonome. Gli stessi Stati Uniti, a parole difensori del libero mercato (per il quale hanno iniziato guerre e invaso altri paesi), nei fatti investono migliaia di miliardi di dollari per foraggiare aziende che producono sul territorio nazionale. Recentemente, il dipartimento del commercio americano ha annunciato il via libera ad ingenti finanziamenti alla taiwanese TSMC per la costruzione di un nuovo grande impianto per la produzione di semiconduttori a Phoenix, in Arizona.

Di fronte alla perdita di energia di istituzioni come il FMI (sono molti i paesi che iniziano a fare riferimento ad altri creditori, sembra che la Cina detenga dal 40% al 60% del debito del continente africano), e la Corte penale internazionale, recentemente minacciata da Israele e da alcuni politici americani (tra cui il leader dei repubblicani al Senato Mitch McConnell), l' Economist ancora una volta rovescia la faccenda e individua il problema nell'azzoppata guida americana che minaccia, col suo declino, di rallentare la crescita. Al contrario, come abbiamo detto, è il mutamento degli equilibri geopolitici planetari a produrre tale disordine.

In molti mettono in guardia dal pericolo della de-globalizzazione, che secondo i liberoscambisti, è un processo di arretramento economico e politico. Ma è possibile tornare dal livello n a n -1? La globalizzazione è il frutto di un determinato stadio di sviluppo delle forze produttive. È la fase in cui il capitalismo diventa finalmente sé stesso, negandosi come specifico modo di produzione ( Lettera ai compagni n. 40, "Globalizzazione").

Il capitalismo non può certo ringiovanire e tantomeno autoripararsi in eterno, può solo lasciare spazio ad una forma superiore, n+1.

Rivista n. 55