Capitolo V
La seconda e la terza internazionale

35. L'internazionalismo del movimento operaio come premessa della vit­toria della rivoluzione comunista. - 36. La débacle della II Internazionale e le sue cause. - 37. Le parole d'ordine della difesa della patria ed il pacifi­smo. - 38. I socialpatrioti. - 39. Il "Centro". - 40. La Internazionale Comu­nista.

35. L'internazionalismo del movimento operaio come premessa della vittoria della rivoluzione comunista

La rivoluzione comunista può vincere soltanto come rivoluzione mon­diale. Se per esempio la classe operaia di un paese si impadronisse del pote­re, mentre negli altri paesi il proletariato non per paura ma per convinzione resta soggetto al capitale, quel paese sarebbe ben presto sopraffatto dagli Stati capitalistici. Negli anni 1917, 1918 e 1919 le potenze capitalistiche fe­cero tutti gli sforzi per annientare la Russia soviettista. Se gli Stati borghesi non sono riusciti a strangolare la Russia dei Soviet ciò è dovuto al fatto che la loro situazione interna non permetteva ai capitalisti di continuare la guer­ra contro la volontà delle masse operaie che reclamavano il ritiro delle trup­pe dalla Russia. L'esistenza della dittatura proletaria circoscritta ad un solo paese è continuamente minacciata nel caso in cui ad essa venga a mancare l'appoggio della classe lavoratrice degli altri paesi. A ciò si aggiungano le numerose difficoltà che ostacolano l'opera di ricostruzione economica in un tale paese. Esso non riceve dall'estero niente o quasi niente: è bloccato da tutte le parti.

Ma se per la vittoria del comunismo è necessaria la vittoria della rivo­luzione mondiale ed il reciproco aiuto degli operai ciò significa che la con­dizione indispensabile della vittoria è la solidarietà internazionale della clas­se operaia. Come nelle lotte economiche la vittoria degli operai dipende dalla compattezza della loro organizzazione e dalla loro solidarietà, così an­che nella lotta per la conquista del potere i lavoratori dei vari paesi capitali­sti non possono riportare la vittoria se non combattono in file serrate, se non sentono di essere una sola classe, unita da comuni interessi. Soltanto la reci­proca fiducia, la fraterna solidarietà e l'unità dell'azione rivoluzionaria pos­sono assicurare la vittoria della classe lavoratrice. Il movimento operaio co­munista non può vincere che come movimento comunista internazionale.

La necessità della lotta internazionale del proletariato è stata riconosciu­ta già da molto tempo. Verso la metà del secolo passato, alla vigilia della ri­voluzione del 1848, esisteva già una organizzazione internazionale segreta, la "Unione dei comunisti", capeggiata da Marx ed Engels. Al Congresso di Londra di questa Unione, Marx ed Engels ricevettero l'incarico di redigere un "manifesto". Così ebbe origine il "manifesto comunista", nel quale i grandi antesignani del proletariato esposero per la prima volta la dottrina comunista.

Nel 1864 nacque "l'associazione operaia internazionale" ossia la I Internazionale, diretta da Carlo Marx. La I Internazionale raccoglieva molti dirigenti del movimento operaio dei vari paesi ma difettava di unità ed omogeneità. Oltre a ciò essa non poggiava ancora sulle larghe masse ope­raie, ma assomigliava piuttosto ad una associazione internazionale diretta alla propaganda rivoluzionaria. Nel 1871 i membri dell'Internazionale pre­sero parte all'insurrezione dei lavoratori parigini (la Comune di Parigi). Negli anni seguenti cominciarono ovunque le persecuzioni contro i gruppi aderenti alla Internazionale. Nel 1874 si sfasciò la I Internazionale, dopo es­sere stata già intimamente indebolita dalla lotta fra i seguaci di Marx e quelli di Bakunin. Dopo lo scioglimento della I Internazionale cominciaro­no, parallelamente allo sviluppo dell'industria, a sorgere i partiti socialde­mocratici. Il bisogno di un reciproco appoggio si fece tosto sentire, e nel 1889 si radunò un Congresso internazionale dei rappresentanti dei partiti socialisti dei vari paesi. Così ebbe origine la II Internazionale che si disgre­gò all'inizio della guerra mondiale. Le cause del suo fallimento verranno esposte più tardi.

Già nel "Manifesto comunista" Carlo Marx enunciava la parola d'or­dine: "Proletari di tutti i paesi unitevi". Il suddetto manifesto termina colle seguenti righe: "I comunisti non intendono certo nascondere le loro opinioni ed intenzioni. Essi dichiarano apertamente che i loro obiettivi non possono venir raggiunti se non coll'abbattimento violento dell'attuale ordinamento sociale. Le classi dominanti possono tremare davanti ad una rivoluzione co­munista. I proletari non hanno nulla da perdere fuorché le loro catene, ed un intero mondo da guadagnare. Proletari di tutti i paesi unitevi!".

La solidarietà internazionale per gli operai non è un giocattolo od una bella parola, ma una necessità di vita senza la quale la causa della classe operaia è votata alla sconfitta.

36. Lo sfacelo della II Internazionale e le sue cause

Allorché nell'Agosto del 1914 cominciò la guerra mondiale, i partiti so­cialdemocratici di tutti i paesi si misero a fianco dei loro governi, rendendosi in questo modo correi della immane carneficina. Soltanto il proletariato russo e serbo e più tardi quello italiano dichiararono la guerra alla guerra dei loro governi. I deputati social-democratici della Francia e della Germania nello stesso giorno votarono i crediti di guerra dei loro governi. Invece di in­sorgere insieme contro la borghesia criminale, i partiti socialisti si disper­sero, ciascuno sotto la bandiera del proprio governo borghese. La guerra im­perialista ebbe il diretto appoggio dei partiti socialisti, i cui dirigenti rinne­garono e tradirono il socialismo. La II Internazionale ebbe così una fine in­gloriosa.

È abbastanza curioso che la stampa dei partiti socialisti ed i loro diri­genti ancora poco prima del loro tradimento abbiano condannato la guerra. G. Hervè, il traditore del socialismo francese, scriveva nel suo giornale "La guerra sociale" (allo scoppio della guerra egli ne cambiò il titolo in "La Vit­toria"): "Battersi per salvare il prestigio dello zar ... Quale gioia morire per una causa così nobile!".

Il Partito socialista francese tre giorni prima dell'inizio della guerra pubblicò un manifesto contro la guerra ed i sindacalisti francesi dissero agli operai nel loro giornale: "Operai, se non siete dei vigliacchi ... protestate!" La socialdemocrazia tedesca convocò numerosi comizi di protesta. Presso tutti era ancora fresca la decisione del Congresso internazionale di Basilea. In quella decisione si diceva che in caso di guerra si dovessero impiegare tutti i mezzi per "far insorgere il popolo ed accelerare la disfatta del capitali­smo". Ma già il giorno appresso gli stessi partiti e gli stessi dirigenti scrive­vano sulla necessità di "difendere la patria" (vale a dire lo Stato-brigante della propria borghesia) e la "Arbeiter Zeitung" di Vienna affermava che bi­sognava difendere la "umanità tedesca" (!!).

Per comprendere lo sfacelo e la ingloriosa morte della II Internazionale, dobbiamo renderci conto delle condizioni, nelle quali si sviluppò il movi­mento operaio prima della guerra. Fino a quel momento il capitalismo dei paesi europei e degli Stati Uniti si sviluppò a spese delle colonie. E qui esso si manifestò nel suo aspetto più brutale ed inumano. Con tutti i sistemi i mezzi dello sfruttamento, della rapina, dell'inganno, della violenza vennero spremuti dai popoli coloniali valori che procuravano ricchi profitti al capita­le finanziario europeo ed americano. Quanto più forte e più potente si senti­va un trust capitalistico-statale sul mercato mondiale, tanto maggiori erano i profitti che esso intascava mediante lo sfruttamento delle colonie. Questo soprapprofitto gli permetteva di concedere ai suoi schiavi salariati una mer­cede superiore alla normale. S'intende non a tutti, ma soltanto agli operai qualificati. Questi strati della classe operaia vennero corrotti col denaro dal capitale. Questi operai ragionavano così:" Se la nostra industria possiede mercati di vendita nelle colonie africane, questo è un vantaggio anche per noi. L'industria si svilupperà, i guadagni dei padroni aumenteranno e così qualcosa ci sarà anche per noi". In questo modo il capitale incatena i suoi schiavi salariati al proprio carro.

Le masse operaie non erano abituate - e non ne avevano neppure l'occa­sione - a condurre una lotta su scala internazionale. L'attività delle loro or­ganizzazioni nella maggior parte dei casi era circoscritta al territorio dello Stato della propria borghesia. E questa "propria" borghesia seppe guada­gnare una parte della classe operaia, e specialmente gli operai qualificati, alla sua politica coloniale. Anche i dirigenti delle organizzazioni operaie, la burocrazia sindacale ed i rappresentanti parlamentari, che occupavano po­sticini più o meno comodi ed erano abituati ad un'attività "pacifica", e "legale", caddero nella pania tesa dalla borghesia. Il lato brutale del capitali­smo, del resto, si manifestava spiccatamente nelle colonie. Nell'Europa e nell'America l'industria si sviluppava rapidamente, e la lotta della classe operaia assumeva forme più o meno pacifiche. Grandi rivoluzioni non si erano più verificate dopo il 1871, e per la maggior parte dei paesi dopo il 1848 (ad eccezione della Russia). Tutti si erano ormai familiarizzati col pensiero che il capitalismo si sarebbe anche nell'avvenire pacificamente evoluto, ed anche quando si parlava di future guerre, nessuno ci pensava se­riamente. Una parte degli operai e fra essi anche i dirigenti, sempre più si abituarono all'idea, che anche la classe operaia fosse interessata alla politica coloniale e che essa dovesse perciò assecondare le iniziative e le azioni della propria borghesia tendenti a dare sviluppo e prosperità a "questo interesse di tutta la nazione". Per conseguenza anche le masse piccolo-borghesi co­minciarono ad affluire nella socialdemocrazia. Nessuna meraviglia, quindi, se nel momento decisivo l'attaccamento allo Stato imperialista ebbe il so­pravvento sulla solidarietà internazionale della classe operaia.

La causa precipua dello sfacelo della II Internazionale era dunque dovu­ta al fatto che la politica coloniale e la posizione monopolistica dei maggiori trusts capitalistico-statali legavano gli operai e soprattutto le "aristocrazie" della classe operaia allo Stato imperialista della borghesia.

Nella storia del movimento operaio troviamo anche altri casi in cui gli operai cooperarono con i loro sfruttatori. Per esempio ai tempi in cui ope­raio e padrone sedevano ancora al medesimo tavolo. Allora l'operaio consi­derava la fabbrica del suo padrone quasi come la sua; il padrone non era il nemico per lui, ma il "fornitore di lavoro". Soltanto col correre del tempo gli operai delle diverse fabbriche cominciarono ad unirsi contro tutti i padroni. Allorché i grandi paesi si trasformarono in "trusts capitalistico-statali" gli operai diedero prova dinanzi ad essi dello stesso attaccamento, che li aveva già legati ai singoli padroni.

È stata necessaria la guerra per insegnare alla classe operaia che non le conviene assecondare la politica del proprio Stato borghese, ma che è anzi suo dovere di abbattere in blocco questi Stati borghesi e di accingersi all'in­staurazione della dittatura proletaria.

37. Le parole d'ordine della difesa nazionale e del pacifismo

Il tradimento della causa degli operai e della lotta comune della classe operaia venne giustificata dai dirigenti dei partiti socialisti e della II Inter­nazionale col pretesto dovere della "difesa nazionale".

Noi abbiamo già visto che in una guerra imperialista nessuna delle grandi potenze si "difende", ma tutte attaccano. La parola d'ordine della di­fesa nazionale era semplicemente un inganno col quale i dirigenti cercarono di mascherare il loro tradimento.

A questo punto dobbiamo considerare più da vicino tale questione.

Che cosa è veramente la patria? Che cosa si intende sotto questo ter­mi­ne? Un aggruppamento di uomini che parlano la stessa lingua? Oppure una "nazione"? Nient'affatto. Prendiamo per esempio la Russia zarista. Quando la borghesia russa sbraitava di difendere la patria, essa non pensava ad un territorio popolato da una sola nazione, per esempio da noi grandi Russi; non, essa pensava all'intero territorio della Russia popolato da vari popoli. Che cosa si trattava allora di difendere? Nient'altro che il potere statale della borghesia e dei latifondisti russi. Alla difesa di questo potere statale vennero chiamati gli operai e contadini russi (in realtà non a difenderlo ma ad estendere i suoi confini fino a Costantinopoli ed a Cracovia). Quando la borghesia tedesca fece gran clamore intorno alla difesa della "patria", di che cosa si trattava allora? Anche in questo caso del potere della borghesia tede­sca, dell' allargamento dei confini del brigantesco impero degli Hohenzol­lern.

Noi dobbiamo perciò domandarci se la classe operaia ha veramente una patria sotto il dominio del capitalismo. Marx si esprime esplicitamente a questo riguardo nel "Manifesto comunista": "gli operai non hanno patria" Perché? Per la semplice ragione che sotto il dominio del capitalismo essi non dispongono di alcun potere, dato che l'intero potere si trova nelle mani della borghesia, e perché nella società capitalistica lo Stato non è altro che un mezzo di oppressione e di asservimento della classe operaia. La classe ope­raia ha il compito di distruggere lo Stato della borghesia e non di difenderlo. Il proletariato avrà una patria soltanto quando esso avrà conquistato il potere dello Stato e sarà divenuto il padrone del paese. Soltanto allora il proletaria­to dovrà difendere la sua patria, poiché allora egli difenderà veramente il proprio potere e la propria causa e non il potere dei suoi nemici e la causa dei suoi oppressori.

La borghesia comprende tutto ciò ottimamente e lo possiamo dimostrare coi seguenti dati. Allorché il proletariato russo conquistò il potere, la bor­ghesia russa dichiarò la guerra al proprio paese, alleandosi con quanti erano disposti a prestarle man forte: coi Tedeschi, coi Giapponesi, con gli Inglesi, con gli Americani e magari col diavolo. Perché? perché essa aveva perduto in Russia il potere, la sua patria dell'oppressione e dello sfruttamento bor­ghese. Ma essa è sempre pronta ad annientare la Russia proletaria, vale a dire il potere dei Sovieti. La stessa cosa avvenne in Ungheria. Anche là la borghesia parlava di difesa della patria finché il potere si trovò nelle sue mani, ma si affrettò ad allearsi coi nemici di ieri, coi Rumeni, coi Cecoslo­vacchi e coll'Intesa per soffocare l'Ungheria proletaria. Ciò vuol dire che la borghesia sa benissimo di che cosa si tratta. Essa chiama in nome della pa­tria tutti i cittadini alla difesa del proprio potere borghese e condanna per al­to tradimento quanti non ne vogliono sapere, ma non si lascia arrestare da nessuno scrupolo se si tratta di combattere la patria proletaria.

Il proletariato deve imparare dalla borghesia. Esso deve distruggere la patria borghese e non difenderla o contribuire ad ingrandirla. Esso ha però il dovere di difendere la sua patria proletaria con tutte le sue forze fino all'ul­tima goccia di sangue.

I nostri avversari potrebbero qui obiettare: Voi riconoscete dunque che la politica coloniale e l'imperialismo hanno contribuito allo sviluppo dell'in­dustria dei grandi Stati e che alcune briciole sono andate anche a favore della classe operaia. Ne consegue che conviene difendere il proprio padrone ed aiutarlo nella sua lotta contro i concorrenti. Ciò non è affatto vero. Pren­diamo, per esempio, due industriali: Schulz e Petrof, due accaniti concor­renti fra di loro. Supponiamo che lo Shulz dica ai suoi operai: "Amici! Di­fendetemi con tutte le vostre forze! Arrecate tutti i danni che potete alla fab­brica di Petrof, alla sua persona, ai suoi operai, ecc. In tal caso io rovinerò il Petrof, la mia azienda prospererà ed i miei affari andranno a gonfie vele. Allora anche voi otterrete dai miei guadagni un aumento di salario". La stes­sa storia racconta il Petrof ai suoi operai.

Supponiamo che lo Shulz abbia vinto il questa lotta. Può darsi che dap­prima egli conceda qualche aumento di salario ai suoi operai, ma più tardi egli si rimangerà tutte le promesse fatte. E se gli operai di Shulz, entrati in sciopero, chiederanno la solidarietà degli operai di Petrof, questi ultimi po­tranno loro rispondere: "Che cosa volete da noi? Prima ci avete giuocato un brutto tiro ed ora venite a chiedere un aiuto da noi? Andatevene!" Così uno sciopero comune non può effettuarsi, e la disunione degli operai rafforza la posizione del capitalista. Questi, dopo aver vinto il concorrente, rivolge le sue armi contro gli operai disuniti. Gli operai di Shulz hanno avuto, è vero, in seguito all'aumento del salario un piccolo vantaggio effimero, ma più tardi essi perdono anche questa piccola conquista. La stessa cosa avviene nella lotta internazionale. Lo Stato borghese rappresenta una associazione di proprietari. Quando una tale associazione vuole arricchirsi a spese di un'al­tra, essa trova modo di ottenere il consenso degli operai col denaro. Lo sfa­ce­lo della II Internazionale ed il tradimento del socialismo da parte dei diri­genti avvenne, perché questi erano disposti a "difendere" lo Stato bor­ghese per ottenere qualche briciola che cadeva dalla mensa dei padroni. Ma du­rante la guerra, quando gli operai in seguito al tradimento erano ormai di­visi, il capitale si scaraventò su di essi con feroce violenza. Gli operai si ac­corsero di aver sbagliato i calcoli, e si persuasero che i dirigenti dei partiti socialisti li avevano venduti per pochi denari. Con questo riconoscimento comincia la rinascenza del socialismo. Le prime proteste vennero elevate dalle file degli operai non qualificati ed i vecchi dirigenti invece continuaro­no ancora per qualche tempo il loro gioco ed il loro tradimento.

Un altro mezzo per trarre in inganno ed infrollire le masse era, oltre la difesa della patria borghese, il cosiddetto pacifismo. Che cosa si intende sotto questa parola? Essa denota la concezione utopistica che già nella so­cietà capitalistica, senza rivoluzioni e senza insurrezioni del proletariato ecc., possa instaurarsi il regno della pace sulla terra. Basterebbe istituire tribunali arbitrali, abolire la diplomazia segreta, effettuare il disarmo - limi­tando in principio gli armamenti - ecc., perché tutto andasse per il meglio.

L'errore fondamentale del pacifismo è quello di credere che la borghesia possa mai accettare cose di questo genere, come il disarmo, ecc. È un perfet­to nonsenso il voler predicare il disarmo nell'epoca dell'imperialismo e della guerra civile. La borghesia continuerà ad armarsi malgrado i pii desideri dei pacifisti. E se il proletariato disarmerà o non si armerà, esso si esporrà semplicemente al proprio annientamento. Il ciò appunto consiste l'inganno del proletariato per mezzo delle ideologie pacifiste, il cui scopo è quello di distogliere la classe operaia dalla lotta armata per il comunismo.

Il miglior esempio del carattere menzognero del pacifismo è dato dalla politica di Wilson e dai suoi 14 punti, che sotto il manto dei più nobili idea­li, compresa la società delle nazioni, nascondono la rapina mondiale e la guerra civile contro il proletariato. Di quali infamie siano capaci i pacifisti lo vediamo nei seguenti esempi. L'ex presidente degli Stati Uniti Taft è uno dei fondatori della Unione pacifista americana e nello steso tempo un acceso imperialista; il noto fabbricante di automobili americane, Ford, mentre or­ganizzava intere spedizioni in Europa per strombazzare il suo pacifismo, in­tascava centinaia di milioni di dollari di profitti di guerra, poiché tutti i suoi stabilimenti lavoravano per la guerra. Uno dei più autorevoli pacifisti, A. Fried, nel suo "Manuale del pacifismo" (II volume, pag. 149) scorge la "fratellanza dei popoli" fra l'altro nella comune campagna annessionistica degli imperialisti contro la Cina del 1900. La patente rapina commessa in comune da tutte le potenze ai danni della Cina viene battezzata come "affratellamento dei popoli". Ed ora i pacifisti ci propinano la frase della "società delle nazioni", che in realtà non è altro che una società di capitali­sti.

38. I socialpatrioti

Le parole d'ordine ingannevoli, con cui la borghesia imbottiva giorno per giorno i crani delle masse proletarie per mezzo di tutta la sua stampa (giornali, riviste, opuscoli, ecc.), divennero anche le parole d'ordine dei tra­ditori del socialismo.

I vecchi partiti socialisti si dividono in quasi tutti i paesi in tre correnti: i traditori spudorati ma sinceri, o socialpatrioti; i traditori inconfessi e ten­tennanti, i cosiddetti "centristi"; ed infine quelli che rimasero fedeli al so­cialismo. Da questi ultimi gruppi si svilupparono più tardi i partiti comuni­sti.

Come socialpatrioti, vale a dire come predicatori di odio nazionale sotto la bandiera del socialismo, come fautori della politica brigantesca degli Stati borghesi e spacciatori dell'inganno della difesa nazionale, si rivelarono i capi di quasi tutti gli antichi partiti socialisti; In Germania: Scheidemann, Ebert, Heine, David ed altri; in Inghilterra: Henderson; in America : Samuel Gompers (il dirigente dei sindacati); in Francia: Renaudel, Albert Thomas, Jules Guesde ed i dirigenti sindacali come Jouhaux; in Russia: Plechanof, Potressof, i socialrivoluzionari di destra (Breschko-Breschovskaja, Kerenski, Cernof); in Austria: Renner, Seitz, Victor Adler; in Ungheria: Garami, Bu­chinger ed altri.

Tutti erano per la "difesa" della patria borghese. Alcuni di essi si rivela­rono apertamente come fautori di una politica di rapina, dichiarandosi favo­revoli alle annessioni di territori stranieri, agli indennizzi di guerra ed alla conquista di colonie (socialimperialisti). Essi appoggiarono, durante la guerra, questa politica non soltanto votando i crediti di guerra, ma facendo attiva propaganda nazionalista ed imperialista. Il manifesto di Plechanof venne affisso in Russia dietro ordine del ministro zarista Chvostof. Il gene­ra­le Kornilof nominò Plechanof ministro nel suo gabinetto. Kerenski (socialrivoluzionario) e Zeretelli (menscevico) nascosero al popolo i trattati segreti dello Zar; dopo le giornate di luglio il proletariato di Pietrogrado venne da essi perseguitato in tutti i modi; i socialrivoluzionari e i menscevi­chi presero parte al governo di Kolciak; Rosanof era una spia di Judenic. In una parola, essi furono sempre alleati della borghesia per la difesa della pa­tria di lor signori e per l'annientamento della patria soviettista del proletaria­to. I socialpatrioti francesi fecero parte di governi di guerra (Guesde, Al­bert, Thomas), diedero il loro appoggio a tutti i piani annessionisti degli al­leati, approvarono l'intervento armato in Russia tendente a soffocare la rivo­luzione proletaria. I socialpatrioti tedeschi andarono già sotto Guglielmo al governo (Scheidemann), aiutarono l'imperialismo tedesco a soffocare la ri­vo­luzione finlandese ed a depredare l'Ucraina e la Grande Russia; membri del partito socialdemocratico tedesco (Winnig a Riga) diressero i combatti­menti contro operai russi e lettoni; i socialpatrioti assassinarono Carlo Liebknecht e Rosa Luxemburg e soffocarono nel sangue le insurrezioni degli operai comunisti a Berlino, Amburgo, Lipsia, Monaco, ecc. I socialpatrioti ungheresi appoggiarono a suo tempo il governo monarchico e tradirono più tardi la repubblica dei Sovieti. In una parola, essi si sono dimostrati in tutti i paesi i carnefici della classe operaia.

Quando Plechanof era ancora un rivoluzionario, egli scriveva sul gior­na­le "Iskra", che usciva allora all'estero, che il secolo XX, cui era riser­bata la realizzazione del socialismo, avrebbe con tutta probabilità visto una pro­fonda scissione nel campo socialista ed una grande ed accanita lotta fra le due frazioni. Come ai tempi della Rivoluzione francese del 1789-1793 il partito rivoluzionario radicale (la "Montagna") condusse una guerra civile contro il partito moderato e più tardi controrivoluzionario (la "Gironda"), così avverrà anche nel secolo XX, allorché i compagni di una volta si trove­ranno in due campi avversi, perché una parte di essi sarà passata nel campo della borghesia.

Questa profezia di Plechanof si è pienamente avverata: senonché egli non sapeva allora che gli avvenimenti lo avrebbero portato dalla parte dei traditori.

I socialpatrioti (od opportunisti) si trasformarono in aperti nemici della classe proletaria. Nella grande rivoluzione mondiale essi combattono nelle file dei bianchi contro i rossi, in stretta alleanza coi militaristi, capitalisti e latifondisti. S'intende che il proletariato deve condurre contro di essi, come contro la borghesia di cui son diventati strumenti, una lotta senza quartiere.

I residui della seconda Internazionale, che questi partiti cercano di rav­vivare, non sono in fondo altro che un ufficio della "Società delle nazioni", un'arma della borghesia nella sua lotta contro il proletariato.

39. Il "Centro"

Questa corrente deve la sua denominazione al fatto che essa si destreg­gia fra i comunisti da una parte ed i socialpatrioti dall'altra. A questa cor­rente appartengono in Russia i Menscevichi di sinistra con Martof alla testa; in Germania il partito socialista indipendente con Kautsky e Ledebour; in Francia il gruppo Longuet; in America il partito socialista americano con Hilquith; in Inghilterra una parte del partito socialista britannico ed il par­tito indipendente del lavoro, ecc.

All'inizio della guerra tutta questa gente, d'accordo con i socialtraditori, era per la difesa nazionale e contro la rivoluzione. Kautsky scriveva allora la cosa più terribile essere "l'invasione nemica" e che soltanto dopo la guerra si potesse riprenderne la lotta contro la borghesia. In tempo di guerra l'Inter­nazionale, secondo Kautsky, non avrebbe nulla da fare. Dopo la "conclusione della pace" il signor Kautsky scriveva che, essendo tutto di­strutto, non era il caso di pensare al socialismo. Insomma: durante la guerra non bisogna lottare perché la lotta sarebbe senza prospettive e conviene per­ciò rimandarla ai tempi di pace; ma, d'altra parte, anche in tempi di pace non si deve lottare perché bisogna ricostruire ciò che la guerra ha distrutto. La teoria di Kautsky è, come si vede, la filosofia del nullismo e dell'impo­tenza assoluta che addormenta e paralizza le energie del proletariato. Ma il più grave si è che Kautsky iniziò nel periodo rivoluzionario una furibonda campagna contro i Bolscevichi. Dimentico degli insegnamenti di Marx, egli condannò aspramente la dittatura proletaria, il terrorismo, ecc., senza accor­gersi di aiutare con ciò il terrore bianco della borghesia. Le sue speranze sono in fondo quelle dei pacifisti (tribunali arbitrali, ecc.), ed in ciò egli non si distingue da un pacifista borghese qualunque.

La politica del "Centro" consiste sostanzialmente in ciò, che esso ten­tenna impotente fra la borghesia ed il proletariato, inciampa nei propri piedi, volendo conciliare l'inconciliabile e trattenendo il proletariato nei momenti decisivi. Durante la rivoluzione d'ottobre i centristi russi (Martof e comp.) deploravano la violenza dei Bolscevichi; essi cercavano di "riconciliare" tutti, aiutando così la guardie bianche ed indebolendo le energie del proleta­riato nella sua lotta. Il partito menscevico non espulse nemmeno quelli dei suoi membri che avevano preso parte alle congiure dei generali ed avevano prestato loro servizi di spionaggio. Nei giorni più critici per il proletariato, i centristi organizzarono agitazioni e scioperi a favore della Costituente e con­tro la dittatura proletaria; durante l'offensiva di Kolciak alcuni di questi Menscevichi lanciarono, d'accordo coi cospiratori borghesi, la parola d'or­dine di porre fine alla guerra civile (il menscevico Plesscof). Gli "indipendenti" della Germania, durante le insurrezioni proletarie a Berlino, fecero la parte dei traditori, contribuendo coi loro tentativi "conciliativi" alla disfatta della classe operaia; fra gli "indipendenti" vi sono molti fautori delle collaborazioni coi maggioritari. Ma il più esiziale si è che essi non esplicano nessuna propaganda per l'insurrezione delle masse contro la borghesia, cullando il proletariato con delle parole d'ordine pacifiste. In Francia ed in Inghilterra i centristi "condannano" la controrivoluzione; "protestano" a pa­role contro l'intervento in Russia, ma rivelano la loro assoluta incapacità di condurre le masse all'azione.

Attualmente i centristi sono altrettanto dannosi quanto i socialpatrioti. Anche i centristi e "Kautskyani" si sforzano di infondere nuova vita al cada­vere della seconda Internazionale e di raggiungere una "riconciliazione" coi capitalisti. È evidente che senza una definitiva rottura e senza lotta con essi, la vittoria sulla controrivoluzione non è possibile.

I tentativi di ricostruire la seconda Internazionale vennero fatti sotto la benevola protezione della "Società delle Nazioni", visto che i socialpatrioti sono oggi realmente gli ultimi puntelli dell'ordinamento capitalista in de­composizione. La guerra imperialista poté durare cinque anni, soltanto per­ché i partiti socialisti avevano tradito la propria classe. Gli antichi partiti socialisti sono per il proletariato il maggiore ostacolo nella sua lotta per l'abbattimento del capitale. Durante la guerra i partiti dei socialtraditori ri­pe­tevano ciò che la borghesia loro dettava. Conclusa la pace di Versailles e costituita la "Società delle Nazioni", con la seconda Internazionale, accusa i Bolscevichi di terrorismo, di violazione della democrazia, di "imperialismo rosso". Invece di condurre una lotta a fondo contro gli imperialisti, i socialpatrioti e centristi si fanno banditori delle loro parole d'ordine.

40. La Internazionale Comunista

Come vedemmo, durante la guerra i socialpatrioti e centristi fecero propria la parola d'ordine della difesa della patria (borghese), dell'organiz­zazione statale dei nemici del proletariato. Per conseguenza si concluse con la borghesia la "pace civile" che significò sottomissione completa della clas­se proletaria allo Stato borghese. Venne abolito il diritto di sciopero e di pro­testa contro la borghesia criminale. I socialtraditori dichiararono: prima bi­sogna vincere i "nemici esterni" e poi si vedrà. In questo modo gli operai di tutti i paesi vennero abbandonati all'arbitrio della borghesia. Ma alcuni gruppi di socialisti onesti intuirono fin dal principio della guerra che la "difesa della patria" e la "pace civile" avrebbero legato mani e piedi al prole­tariato e che quelle parole d'ordine sarebbero state un vero tradimento verso la classe operaia. Il partito bolscevico dichiarò già nel 1914 che non la pace interna con la borghesia, ma la guerra civile contro di essa, cioè la rivolu­zione, si imponeva e che il primo dovere del proletariato era quello di abbat­tere la propria borghesia. In Germania il gruppo rimasto fedele alla causa del proletariato era capeggiato da Carlo Liebknecht e da Rosa Luxemburg (il gruppo "Internazionale"). Questo gruppo dichiarò che la cosa più importante era la solidarietà internazionale del proletariato. Poco tempo dopo Carlo Liebknecht lanciò apertamente la parola d'ordine della guerra civile e chia­mò la classe operaia all'insurrezione armata contro la borghesia. Così ebbe origine il partito dei Bolscevichi tedeschi, lo "Spartakusbund". Anche negli altri paesi avvennero scissioni degli antichi partiti. In Isvezia si formò il co­siddetto "Partito socialista di sinistra", in Norvegia la sinistra conquistò l'in­tiero partito. I socialisti italiani durante la guerra avevano sempre tenuta alta la bandiera dell'internazionalismo. Su questo terreno sorsero tentativi di unificazione, che alla conferenza di Zimmerwald e di Kienthal gettarono il seme dal quale doveva più tardi nascere la Internazionale Comunista. Ma ben presto si vide che vi si erano insinuati elementi sospetti del "centro" che di diedero a frenare il movimento. Per questa ragione in seno all'unione in­ternazionale di Zimmerwald si formò la "sinistra zimmerwaldiana", capeg­giata dal compagno Lenin. La sinistra zimmerwaldiana era favorevole all'azione risolutiva e criticava aspramente l'atteggiamento del "centro", gui­dato da Kautsky.

Dopo la rivoluzione di ottobre e l'instaurazione del potere soviettista, la Russia divenne il fulcro principale del movimento internazionale. Per di­stinguersi dai socialtraditori, il Partito riprese l'antico glorioso nome di Par­tito Comunista. Sotto l'influenza della rivoluzione russa si formarono partiti comunisti anche in altri paesi. Lo "Spartakusbund" cambiò il suo nome in quello di Partito Comunista della Germania. Si costituirono partiti comuni­sti in Ungheria, nell'Austria tedesca, in Francia, ed in Finlandia. In America il "centro" escluse l'ala sinistra che si costituì in partito comunista. Il partito comunista d'Inghilterra venne fondato nell'autunno 1919. Dall'unione di questi partiti sorse l'Internazionale comunista. Nel marzo 1919 ebbe luogo al Cremlino, l'antico castello degli zar a Mosca, il primo Congresso Interna­zionale Comunista nel quale venne fondata la Internazionale Comunista. A questo Congresso parteciparono i rappresentanti dei partiti comunisti russo, tedesco, austro-tedesco, ungherese, svedese, norvegese, finlandese e di altre nazioni, nonché compagni francesi, americani ed inglesi.

Il Congresso accettò all'unanimità la piattaforma programmatica dei compagni tedeschi e russi. Il suo svolgimento dimostrò chiaramente che il proletariato è fermamente deciso a seguire la bandiera della dittatura prole­taria, del potere soviettista e del comunismo.

La terza Internazionale assunse il nome di Internazionale comunista, sull'esempio dell'Unione dei comunisti, il cui capo fu Carlo Marx. Con ogni sua azione l'Internazionale Comunista dimostra di seguire le orme di Marx, vale a dire di seguire la via rivoluzionaria che conduce all'abbattimento vio­lento dell'ordinamento capitalista.

Non c'è pertanto da stupirsi se quanto vi è di veramente e onesto e rivo­luzionario nel proletariato internazionale, aderisca alla nuova Internaziona­le, che riunisce tutte le forze dell'avanguardia proletaria.

La Internazionale Comunista dimostra già per il suo nome di non avere nulla in comune coi socialtraditori. Marx ed Engels ritenevano non esser giusto che un partito del proletariato rivoluzionario assumesse il nome di "Socialdemocrazia". Il termine "democrazia" denota una determinata forma statale. Ma come abbiamo già detto sopra nella società futura non esisterà nessuna forma di Stato; mentre nel periodo di transizione dovrà imperare la dittatura del proletariato. I traditori della classe operaia non riescono a supe­rare la repubblica borghese, mentre noi moviamo verso la realizzazione del comunismo.

Engels scrisse nella prefazione al "Manifesto comunista" che sotto il te­rmine di "Socialismo" (a suo tempo) si doveva intendere il movimento degli intellettuali radicali, mentre il termine di "Comunismo" denotava il movi­mento della classe operaia. Oggigiorno si verifica lo stesso fenomeno. I co­munisti poggiano esclusivamente sulla classe operaia, mentre i "Socialdemocratici" hanno le loro basi nella "aristocrazia operaia", negli in­tellettuali, nell'artigianato e nei piccoli bottegai, insomma nella piccola bor­ghesia.

L'Internazionale Comunista traduce la dottrina di Marx in realtà storica, epurandola di tutte le escrescenze che il periodo di "pacifico" svolgimento del capitalismo aveva maturato. Quello che il grande maestro del socialismo predicava sessanta anni or sono si realizza oggi sotto la guida della Interna­zionale Comunista.

Letteratura. - Lenin e Zinovief, Il socialismo e la guerra; Lenin e Zinovief, Contro corrente; G. Zinovief, La guerra e la crisi del socialismo, parti I e II; N. Lenin, La rivoluzione proletaria e il rinne­gato Kautsky; G. Gorter, L'imperialismo, manifesto di Zimmerwald e relazione della Commissione di Zimmerwald; Rivista Internazionale Comu­nista.

Prima di copertina
L'ABC del comunismo

Quaderni di n+1 dall'archivio storico.

Scritto nel 1919 da Bucharin e Preobragenskij, questo volumetto fu tra i primi saggi che la III Internazionale raccomandò a tutti i Partiti comunisti del mondo come efficace strumento di propaganda del programma e dell'impostazione tattica del comunismo.

Indice del volume

L'ABC del comunismo