Premessa

Nello studio del fascismo la storiografia borghese non va oltre la descrizione degli avvenimenti collegandoli, nel migliore dei casi, alla ricerca delle cause politiche ed economiche, intendendo con quest'ultimo termine il rapporto fra le persone e gli istituti che governano l'economia. Per lo studioso borghese fascismo e democrazia sono contrapposti, mentre per noi sono complementari. Ma l'essenza vera del fascismo, dice la nostra corrente, ha vinto politicamente anche se ha perso la guerra sul campo di battaglia.

Per noi il fascismo ha origine nello sviluppo dei rapporti di produzione, perciò nell'economia materiale. Essa ha effetti tecnici quanto sociali e il tentativo di controllarli genera una sovrastruttura politica, a sua volta elemento materiale di controllo dell'economia. Il fascismo è prodotto dalla maturità del capitalismo giunto alla massima espressione, fenomeno che deve essere visto in termini mondiali e non solo italiani. Il fascismo rappresenta un fenomeno generalizzato a tutti quei paesi che negli anni '20 giungono ad una certa fase dell'accumulazione del capitale: il fenomeno ha le stesse radici ovunque e le differenze devono essere rapportate allo stato in cui si trovano i rapporti sociali nei vari paesi. In Italia e in Germania vi era un assalto diretto del proletariato contro la borghesia, mentre negli Stati Uniti il pericolo non esisteva. Ma il fascismo fu un New Deal mondiale che finì per coinvolgere, con aspetti peculiari, anche la Russia.

Non è un caso che Keynes, il formulatore delle ricette per rivitalizzare l'accumulazione attraverso l'intervento dello Stato, pubblichi i suoi studi nello stesso periodo storico. Non è un caso che il vecchio riformismo socialdemocratico trovi nel fascismo il suo dialettico realizzatore. Il mondo capitalistico è diventato troppo vasto e complesso, troppo potente e integrato perché i fattori economici e il controllo dei loro effetti vengano lasciati all'iniziativa dei singoli o dei gruppi.

Perciò, dicemmo subito dopo l'ultima guerra, "il fascismo può dal punto di vista economico definirsi come un tentativo di autocontrollo e di autolimitazione del capitalismo tendente a frenare in una disciplina centralizzata le punte più allarmanti dei fenomeni economici che conducono a rendere insanabili le contraddizioni del sistema. Dal punto di vista sociale può definirsi il tentativo da parte della borghesia di darsi una coscienza collettiva di classe, e di contrapporre propri schieramenti e inquadrature politiche e militari alle forze di classe minacciosamente determinatesi nella classe proletaria. Politicamente il fascismo costituisce lo stadio nel quale la classe dominante liquida le vecchie gerarchie di servitori del capitale troppo incancrenite nell'uso dei metodi dell'inganno democratico. La nuova forma con la quale il capitalismo borghese amministrerà il mondo, se e fino a quando non lo travolgerà la rivoluzione del proletariato, va facendo la sua apparizione con un processo che non va decifrato con i banali e scolastici metodi del critico filisteo (cioè interpretare il fascismo come un ritorno indietro nella storia). Chiunque senta minimamente l'effetto di una tale interpretazione e ne segua minimamente le suggestioni e le preoccupazioni è fuori dal campo e dalla politica comunisti ". Queste sono parole del 1945, valide ancora oggi, anzi, più valide di allora.

Nostra intenzione iniziale era di pubblicare in italiano i testi contenuti in Communisme et fascisme apparso in francese nel 1970. Il libro raccoglieva alcuni degli scritti più importanti della Sinistra Comunista Italiana, nei primi anni alla guida del Partito Comunista d'Italia e poi in opposizione alla direzione del Partito e dell'Internazionale Comunista in via di degenerazione, sul fascismo.

Durante la ricerca degli articoli, apparsi originariamente negli organi del Partito degli anni '20, abbiamo trovato altro materiale che ci è parso utile inserire. Il lavoro appare quindi più "corposo", essendo il numero degli articoli praticamente triplicato.

Ripercorrere la storia delle battaglie teoriche e pratiche di quegli anni significa continuare la Storia della Sinistra Comunista, compito non di questo lavoro.

Gli ultimi capitoli del III° volume della Storia della Sinistra affrontano (fino al giugno 1921) l'argomento che qui trattiamo e ad essi rimandiamo per la ricostruzione storica del periodo.

Già alla fine del 1920 si andava, in Italia, verso una situazione controrivoluzionaria ed il giovane Partito Comunista fondato a Livorno dovette far fronte non solo all'attacco delle forze borghesi, statali e non, ma anche alle indicazioni inizialmente incerte e tatticamente errate dell'Internazionale Comunista che, come si scrisse già nel dicembre 1923, danneggiarono il movimento comunista in Italia e il suo sviluppo. Ci soffermiamo in modo sintetico su due questioni: la posizione della Sinistra nella sua lotta contro il fascismo e la questione del rapporto con il P.S.I. che occupò (dal 1921 al 1923) un lungo ed aspro dibattito.

La "mozione" che la Sinistra presentò alla Conferenza di Como (maggio 1924) ci dà un quadro esatto della situazione; in essa si dichiarava che le divergenze tra P.C. d'Italia e Internazionale derivavano da una diversa valutazione dei problemi della tattica internazionale che si traducevano sia nella valutazione della situazione italiana che nei compiti del Partito in Italia. Si precisava inoltre che l'esecutivo del partito aveva applicato la sua linea di azione fino allo sciopero dell'agosto del 1922. "In tale momento culminante sembrò alla Internazionale Comunista che la via della conquista di una maggiore forza in Italia fosse data invece dalla scissione del partito socialista italiano con la fusione dei massimalisti e del nostro partito. Da quel momento, la Internazionale Comunista, come era suo diritto incontestato, avocò praticamente a se la direzione dell'azione in Italia, che ispirò al nuovo obiettivo. Fin da allora i dirigenti del P.C.I. si sentirono e si proclamarono incompatibili alla direzione di tale politica da essi non condivisa. Al IV Congresso, dopo aver ancora una volta sostenuto nelle Commissioni il loro punto di vista, essi, nel rinunciare a parlare contro la nuova politica nel Plenum del Congresso, precisarono il loro atteggiamento impegnando la più assoluta disciplina di tutto il Partito e di loro stessi come militi del Partito medesimo, ma esplicitamente ne declinarono il compito di direzione politica".

Le "interpretazioni del fascismo" sono diverse e ovviamente seguono lo schieramento di classe di cui sono portavoce. Questo distingue non solo l'interpretazione marxista da quella borghese ma, come vedremo, anche il separarsi di diverse interpretazioni all'interno del movimento operaio, testimonianza dello slittamento su posizioni interclassiste e controrivoluzionarie del "centrismo italiano" e della degenerazione della Internazionale comunista.

Nella storiografia ufficiale la Sinistra è stata accusata di aver sottovalutato il "pericolo fascista" e di aver impostato l'azione del Partito Comunista d'Italia, dalla sua fondazione, essenzialmente contro la socialdemocrazia. Questa critica non solo denota la sua natura riformista ma è anche falsa.

La funzione della socialdemocrazia (insieme a Come matura il Noskismo) dimostrano a sufficienza il ruolo svolto dalla socialdemocrazia nel preparare il posto al fascismo, sia frenando il proletariato di fronte all'offensiva armata della borghesia (vedi: I socialdemocratici e la violenza), sia, dove essa era già al potere, come in Germania, distruggendo con le armi le organizzazioni operaie. D'altra parte, "l'alternativa socialdemocratica" non era proprio irreale in Italia, almeno fino all'estate del 1922, dato che Turati, in quel periodo, venne convocato al Quirinale per una eventuale partecipazione governativa.

Quello che invece ci si dimentica sempre di dire (e che i testi che qui ripubblichiamo mettono in evidenza) è che il Partito Comunista d'Italia fu il solo partito dell'Europa occidentale che accettò, in condizioni estremamente difficili, di combattere il fascismo sul suo terreno chiamando il proletariato a "rispondere con la preparazione alla preparazione, con l'organizzazione all'organizzazione, con l'inquadramento all'inquadramento, con la disciplina alla disciplina, con la forza alla forza, con le armi alle armi" (in Appello contro la reazione fascista).

Nella sua lotta la Sinistra (e con lei, unanime allora tutto il Partito) non cedette ad alcuna velleità democratica (ed è questo quello che più scoccia ai nostri critici democratici), ad alcun accordo per "aumentare le forze" e diminuire la saldezza e la chiarezza della organizzazione e del programma rivoluzionario. Il Partito si doveva battere contro lo Stato democratico, le bande fasciste e la socialdemocrazia e in questo era solo in una solitudine che da debolezza doveva divenire forza. Per ribadire, se ce ne fosse ancora bisogno, che non ci fu proprio nessun misconoscimento del fascismo (a chi ci accusa di averlo reputato un fenomeno transitorio e passeggero) ci basti citare quanto si scriveva nel novembre 1922 (in un testo che non è compreso, in quanto già pubblicato, in questa raccolta):

"Non vi è alcuna probabilità che il fenomeno fascista abbia a cessare per dar luogo ad un regime di liberalismo pratico e di neutralità dello Stato nelle lotte tra classi e partiti, nemmeno nella misura in cui si simulava in altri periodi meno critici l'apparenza giuridica di tutto questo. La situazione tende a due ben distinti sbocchi: o allo schiacciamento del proletariato e dei suoi sindacati e ad un regime di sfruttamento negriero, o a una risposta rivoluzionaria delle masse che in tal caso contro di sé troveranno la coalizione del fascismo, dello Stato e di tutte le forze che difendono il fondamento democratico delle presenti istituzioni".

Di fronte alla vittoria del fascismo, il Partito comunista doveva, nell'illegalità come nella legalità, continuare il suo lavoro di preparazione rivoluzionaria. Non doveva lasciarsi deviare e scoraggiare nel momento della sconfitta, ma soprattutto − ed è questo uno dei nodi centrali − non si doveva prendere pretesto dalla sconfitta per modificare e cambiare il programma e abbracciare quello che oppone la legge all'illegalità, la democrazia al totalitarismo, l'antiparlamento antifascista (come vedremo) al parlamento spazzato via dal fascismo.

Per la Sinistra la sconfitta non doveva essere motivo di disperazione. Si doveva mantenere un orientamento sicuro, senza oscillazioni né deviazioni, un orientamento che doveva fare del partito un polo di attrazione verso il nord rivoluzionario e non prendere, come avvenne per il partito italiano e l'Internazionale, la via opposta all'inseguimento del miraggio democratico ed antifascista. Si raddoppiò invece il male della mancata vittoria rivoluzionaria con quello della distruzione totale della organizzazione rivoluzionaria di classe, del partito comunista.

"[...] non si seppe evitare che al prevalere delle forze di classe conservatrici nel grande scontro, si associasse la totale degenerazione del moto della classe rivoluzionaria, come dottrina e come organizzazione. Non abbiamo oggi proletari rivoluzionari sconfitti ma fermi nella loro teoria, nel loro programma e nel loro partito, sia pure minoritario, ma abbiamo una classe che ha perduto il suo orizzonte e partiti che, soprattutto dove sono rimasti pletorici, sono al servizio dell'ideologia e delle forze di classe nemica". Questo scrivevamo (Il Programma Comunista n. 1, 1956) e questo è il succo della questione.

Già nell'estate del 1921 l'Internazionale Comunista che, dopo il III Congresso, si proponeva di rilanciare l'unificazione tra comunisti e socialisti per un grande partito di massa e spingeva per una mobilitazione da "fronte unico" (politico) contro il fascismo, criticò l'atteggiamento del Partito Comunista d'Italia di fronte agli Arditi del Popolo (si vedano i due articoli Il valore dell'isolamento eLa politica del Partito Comunistamira diritta e precisa al suo scopo: la rivoluzione ed inoltre l' Intervista pubblicata in appendice).

In una lettera non datata (ma presumibilmente del novembre 1921) l'Internazionale Comunista scriveva:

"Dove erano in quel momento i comunisti? Erano occupati ad esaminare con una lente d'ingrandimento il movimento per decidere se era sufficientemente marxista e conforme al programma? [...] Il PCI doveva penetrare subito energicamente nel movimento degli Arditi, fare schierare attorno a sé gli operai e in tal modo convertire in simpatizzanti gli elementi piccolo-borghesi, denunciare gli avventurieri ed eliminarli dai posti di direzione, porre elementi di fiducia in testa al movimento. [...] Ci pare che abbiate trattato il problema in modo troppo teorico e di principio. [...] Per il nostro movimento è sempre più vantaggioso compiere errori con le masse che lontano dalle masse".

Senza ripercorrere la storia degli Arditi del Popolo è sufficiente sottolineare due punti. Entrambi sono ribaditi da vari articoli del Partito Comunista d'Italia.

Per il primo: "L'inquadramento militare rivoluzionario del proletariato deve essere a base di Partito, strettamente collegato alla rete degli organi politici del Partito, e quindi i comunisti non possono né devono partecipare ad iniziative di tal natura provenienti da altri partiti o comunque sorte al di fuori del loro partito. La preparazione e l'azione militare esigono una disciplina almeno pari a quella politica del Partito comunista. Non si può ubbidire a due distinte discipline" (in Per l'inquadramento del partito, Il Comunista 14 luglio 1921).

Per il secondo basta ripetere che il programma (confuso) degli Arditi del Popolo puntava nient'altro che ad un ristabilimento, contro le violenze fasciste, "dell'ordine della vita civile". Una alleanza con loro sarebbe stata l'anteprima del futuro... Comitato di Liberazione Nazionale.

Nulla impedì ai comunisti di battersi, insieme agli "Arditi" per le strade e per le piazze: tutto vietava al Partito Comunista di cedere la sua organizzazione militare ad un organismo completamente estraneo ai suoi fini.

Una volta realizzato l'obiettivo degli Arditi del Popolo cosa avrebbero fatto quelle forze a cui il Partito si sarebbe dovuto subordinare se non rivolgere le armi contro i comunisti, nemici di quell'ordine borghese? Il Partito rifiutò quindi, giustamente, di fondere il suo inquadramento militare in quello di un movimento politicamente equivoco e la cui direzione si poneva sul terreno della legalità democratica.

Al IV Congresso (novembre 1922), che si tenne appena avvenuta la "Marcia su Roma", si parlò diffusamente del fascismo. La relazione di Bordiga fu preceduta da una ampia relazione di Radek sullo stesso tema. Zinoviev, presidente dell'Internazionale, introduceva così il tema:

"Fra i compagni italiani si disputa sul significato degli avvenimenti che si verificano in Italia in questo momento: un colpo di stato o una commedia? Forse tutte e due le cose. Dal punto di vista storico è una farsa. Fra qualche mese, la situazione volgerà in favore della classe operaia".

Il discorso e l'analisi di Radek poi sono sostanzialmente diverse dall'intervento del Partito italiano. Nel rapporto di Bordiga il fascismo è "un grande movimento unitario della classe dominante", per Radek invece la matrice più importante del fascismo è la piccola borghesia: il fascismo è la piccola borghesia che va al potere:

"I fascisti rappresentano la piccola borghesia che, sostenuta dalla borghesia, giunge al potere e ciò sarà sufficiente per realizzare non il programma della piccola borghesia ma quello del capitalismo. Per questo questa controrivoluzione urlante è la più debole tra le potenze controrivoluzionarie d'Europa. [...] Ciò che è precisamente la forza del fascismo è anche la causa della sua morte: dato che era un partito piccolo-borghese, possedeva un fronte di attacco ampio e l'entusiasmo con cui ci ha combattuto. Ma dato che è un grande partito della piccola borghesia, non potrà realizzare la politica del capitalismo italiano senza suscitare delle rivolte nel suo campo".

Nel giugno del 1923 si tiene il III Esecutivo Allargato dell'Internazionale Comunista in cui viene approvata una risoluzione sul fascismo che cerca di mettere in evidenza la crisi e i contrasti che il fascismo suscita all'interno delle forze borghesi e si prevede una sua rapida fine. Importante, sempre in questo E.A., è la relazione di Clara Zetkin che punta, nella sua esposizione, alla riproposizione del fronte unico nella lotta antifascista. Si ripresenta, pesantemente, il problema delle alleanze della classe operaia:

"Noi dobbiamo sostenere un'incessante azione ideologica e politica per conquistare queste masse; comprendere chiaramente che esse non cercano solo una via di uscita dalla loro miseria, ma vogliono idee nuove. Dobbiamo abbandonare i vecchi schemi della nostra attività. [...] I partiti comunisti non devono essere solo i difensori dei lavoratori manuali, ma anche di quelli intellettuali. Devono essere alla testa di tutti gli strati sociali che, per i loro vitali interessi e per quelli del loro avvenire, si trovano in contrasto con il dominio della borghesia".

Radek, nello stesso E. A. aggiungerà:

"[...] noi crediamo che la grande maggioranza delle masse agitate da sentimenti nazionali appartenga non al campo del capitale, ma a quello del lavoro". Su queste posizioni si sofferma diffusamente l'Introduzione cui rimandiamo.

Il V Congresso dell'I.C., che si tiene nel luglio del 1924 sulla scia degli avvenimenti in Germania (e in Bulgaria) dell'autunno 1923, mostra un brusco cambiamento nelle posizioni dell'Internazionale.

Nelle conclusioni "sulla tattica comunista" si dirà:

"Già da lungo tempo (i capi socialdemocratici) da ala destra del movimento operaio degenerano sempre più fino a divenire ala sinistra della borghesia e talvolta un'ala del fascismo. Per questo è storicamente falso parlare di vittoria del fascismo sulla socialdemocrazia. Il fascismo e la socialdemocrazia (per quanto riguarda i dirigenti) sono la mano destra e la mano sinistra del capitalismo contemporaneo, scosso dalla prima guerra imperialista mondiale e dalla prima rivolta dei lavoratori ".

Lo stesso Stalin comincia a "teorizzare" e nel settembre 1924 scriverà:

"Il fascismo è l'organizzazione di combattimento della borghesia che poggia sul sostegno attivo della democrazia. La socialdemocrazia è, obiettivamente, l'ala moderata del fascismo. Non vi è ragione di supporre che l'organizzazione di combattimento della borghesia possa conseguire successi decisivi nelle battaglie e nel governo di un paese senza l'appoggio attivo della socialdemocrazia. Vi sono altrettante poche ragioni di supporre che la socialdemocrazia possa ottenere successi decisivi nelle battaglie e nel governo di un paese senza l'appoggio attivo dell'organizzazione di combattimento della borghesia. Queste organizzazioni non si escludono tra di loro, ma si completano a vicenda. Non sono antagoniste ma gemelle".

La Sinistra riproporrà la sua analisi in un lungo discorso al V Congresso, non si lascerà influenzare dalle pretese sterzate a sinistra, mosse contingenti che precludono ad altre sterzate, ma ribadirà la rettilineità e la continuità delle posizioni marxiste. Quanto all'avvicinamento ad essa che la nuova teoria del "socialfascismo" potrebbe supporre, si ripeterà che socialdemocrazia e fascismo restano due metodi distinti di governo che vengono alternati a seconda della necessità della difesa del dominio capitalista. Con la formula del "socialfascismo" anzi si fornisce il miglior terreno di sviluppo alla socialdemocrazia che ora non deve più difendersi dall'accusa di essere una forza al servizio del capitalismo, ma da quella, molto più facile da controbattere, di essere fascista.

Abbandoniamo ora le vicende dell'I.C., per prendere in considerazione, rapidamente, le posizioni che viene assumendo la nuova Centrale del P.C.d'I..

Il 1924 è l'anno dell'esordio della nuova direzione del Partito Comunista d'Italia (direzione imposta d'autorità dall'I.C.); esordio difficile e pencolante perché alla Conferenza di Como del maggio la Sinistra è ancora nettamente maggioritaria.

C'è una parola che segna l'avvento della nuova direzione e questa è "Unità"; non solo L'Unità è il titolo del nuovo quotidiano che esce a febbraio, ma "Unità proletaria" è la sigla con cui si presenta alle elezioni dell'aprile 1924, proponendo di costituire un blocco ai due partiti socialisti (Il PSU respinge la proposta, il PSI fa lo stesso, solo i terzini accettano di presentarsi sotto la lista "Alleanza per l'unità proletaria"); unità ancora tra proletariato e contadiname, tra Nord e Sud, unità infine nella proposta gramsciana di una "Repubblica federale degli operai e contadini". Questa unità da unità proletaria diventerà, come vedremo, unità antifascista.

Il periodo che va da luglio a dicembre del 1924 è catastrofico per la nuova direzione. Nel giugno viene assassinato Matteotti. Le opposizioni ai fascisti in parlamento formano un "Comitato delle opposizioni" decidendo di astenersi dal partecipare all'attività parlamentare finché non fossero chiarite le responsabilità dell'assassinio di Matteotti. Il gruppo parlamentare comunista si unisce al "Comitato" e abbandona Montecitorio. È l'inizio ufficiale dell'antifascismo democratico. I deputati comunisti escono poi dal "Comitato delle opposizioni"; in ottobre il C.C. del Partito Comunista lancia la proposta di trasformare l'opposizione aventiniana in una "assemblea parlamentare" delle opposizioni: è la proposta dell'"anti-parlamento". Nel novembre il gruppo parlamentare comunista rientra alla Camera e sarà Repossi (uomo della Sinistra) che pronuncerà il suo discorso, tra clamori e urla, contro il fascismo.

La Sinistra manterrà la sua linea chiara e limpida. Bordiga al Congresso federale di Napoli (settembre 1924) dirà: "Antitesi fondamentale non è fascismo − antifascismo, ma resta per noi immutabile la vecchia antitesi: dominio del capitalismo − dominio del proletariato"; e in Il pericolo opportunista e l'Internazionale (in L'Unità, 30 settembre 1925): "Questa proposta [l'Antiparlamento] di sfacciato sapore democratico cavallottiano savonaroliano o peggio per noi non ha diritto di cittadinanza nel campo del comunismo, non viola solo le norme tattiche ma gli stessi nostri principii". (Si veda anche la lettera del 2 novembre 1924, da noi riprodotta).

Il Congresso di Lione rappresenta il bivio definitivo, lo spartiacque tra il "vecchio" e il "nuovo" partito. Le tesi di Lione della maggioranza sono la base per il Fronte Popolare, per la politica di unità nazionale, per la via italiana al socialismo e rappresentano la vittoria definitiva della controrivoluzione.

Il fascismo diventa una forza antinazionale e il Partito Comunista quella che può salvare la Nazione.

Veniamo ora alla questione, centrale in quegli anni, del rapporto con il P.S.I. che occupò fin dalla sua fondazione il P.C. d'Italia in un dibattito aspro e difficile con l'I.C. e che bloccò poi tutta l'attività del partito per giungere infine alla sostituzione della sua direzione con quella "centrista". Mosca puntava molto su questa fusione per creare un partito di massa che avrebbe dovuto contrastare meglio e sconfiggere il fascismo. Questa tattica si dimostrò, come vedremo, contraddittoria e perdente.

Non ritorniamo sull'avversione verso la scissione di Livorno manifestata apertamente da buona parte del Partito tedesco (Levi e soci); per ciò rimandiamo ai capitoli finali del 3° volume della Storia della Sinistra. Veniamo invece al 3° Congresso dell'I.C. (giugno-luglio 1921) in cui vengono sì difesi la scissione di Livorno e l'operato del P.C.d'I., ma nella Risoluzione sulla questione italiana si dice che: "Il Congresso mondiale, rispondendo all'appello del Congresso di Livorno, dichiara categoricamente: finché il PSI non avrà espulso coloro che hanno partecipato alla conferenza di Reggio Emilia e coloro che li appoggiano, il Partito Socialista italiano non potrà far parte dell'Internazionale Comunista. Se questa condizione preliminare e ultimativa viene soddisfatta, il Congresso mondiale incarica l'Esecutivo di compiere i passi necessari perché il P.S.I., una volta espulsi gli elementi riformisti e centristi, e il P.C.I. si fondano e costituiscano una sezione unificata dell'Internazionale comunista ".

Il Partito italiano risponde con numerosi articoli; in uno di questi (Il congresso internazionale comunista decide sulla questione italiana, in Il Comunista 24-7-1921) si scrive riferendosi alla risoluzione dell'I.C. prima riportata:

"Questa parte non la condividiamo affatto [...] Il Congresso mondiale rinnova l'invito al Partito Socialista di eliminare la destra riformista. Questo può significare due cose: o si ritiene che la sinistra del Partito Socialista possa essere "utilmente aggiunta" al Partito Comunista d'Italia, o si pensa soltanto che − dato che è probabilissimo che il Partito Socialista non si scinda − il rinnovato e lunganime invito servirà a chiarire meglio dinanzi alle masse il torto dei socialdemocratici in tutto l'andamento della vertenza. Andremmo troppo per le lunghe, e troppi elementi di indole teorica e tattica dovremmo invocare, per spiegare come noi da una valutazione generale dei problemi del comunismo, siamo condotti a non condividere né l'uno né l'altro criterio".

Riportiamo ancora da un altro articolo (Il tira e molla dell'opportunismo italiano, in Il Comunista 21-7-1921):

"[...] i comunisti italiani, se sono prontissimi a 'qualunque' sacrificio alla disciplina accentratrice internazionale che risulti dalle risoluzioni del Congresso, non 'molleranno' mai neppure un millimetro della più ferma delle loro opinioni: che cioè la 'sinistra' del vecchio e glorioso partito socialista italiano è quella che raccoglie nelle file del suo stato maggiore gli opportunisti più nefasti e i più insidiosi nemici della rivoluzione proletaria. Non ci vedrete mai a ballare il trescone imbecille dell'embrassons-nous, smorfia tipicamente opportunista contro la quale milita tutto il nostro passato di inflessibile fedeltà all'ammaestramento, veramente glorioso, scaturito dagli ultimi anni di lotta socialista in Italia: tu non distinguerai tra gli avversari; tu non perdonerai ai rinnegati!".

Da notare che in questo periodo la politica del PSI è incentrata (vedi gli articoli da noi pubblicati) sul rifiuto della violenza e sul patto di pacificazione coi fascisti...

Comunque al Congresso socialista di Milano (ottobre 1921) si mantiene l'unità del PSI.

Nel marzo del 1922 si tiene il II° Congresso del P.C.d'Italia. Le tesi sulla tattica, qui approvate, erano già state presentate all'Internazionale Comunista il cui Presidium così le commentò:

"Le tesi della direzione del partito dimostrano che esso non ha superato l'infantilismo, la malattia di un giovane sterile radicalismo, di un radicalismo il quale si risolve in una paura settaria del contatto con la vita reale, in una mancanza di fiducia nelle proprie forze e nella tendenza rivoluzionaria della classe operaia quando questa entra in lotta".

Intanto si era ricostituito nel gennaio 1922 il "gruppo massimalista per la III Internazionale" e dalla fine di maggio uscì a Milano il Più Avanti con il sottotitolo di "foglio socialista per la III Internazionale". L'I.C. torna quindi alla carica per la riunificazione tra i due partiti e, quando nell'ottobre del 1922 il Congresso di Roma del PSI espelle i turatiani, dà l'indicazione di organizzare commissioni paritetiche per la fusione.

Il Comitato Esecutivo del P.C.d'Italia scrive, fra l'altro, alla delegazione italiana a Mosca il 25-8-1922:

"Non si riuscirà mai a modellarci sullo stampo per la fabbricazione di fessi in serie, perché alle nostre opinioni coscienziosamente maturate non rinunciamo, non avendole improvvisate a scopi di successo personale e di influenza sulle masse".

Nel novembre-dicembre 1922 si riunisce il IV Congresso dell'I.C.; la questione italiana è uno dei temi principale del Congresso, la Centrale del Partito italiano si oppone alla fusione. Riceve questa lettera dal C.C. del P.C.U.S.:

"Alla delegazione del P.C.d'Italia:

Cari amici,

la situazione della questione italiana al Congresso è tale che noi crediamo nostro dovere dirvi apertamente e da buoni compagni ciò che segue:

La Grande Commissione del Congresso si è dichiarata all'unanimità di essere per principio per la fusione del P.C.d'Italia con il PSI; non vi è dubbio che anche il Congresso approverà all'unanimità questa discussione. Questo è un fatto del quale non potete non tener conto. Le vostre opposizioni sono già state sentite. Ma il congresso deciderà − è questo del tutto chiaro − altrimenti. Ora tutta la questione consiste in ciò: come passerà questa questione al Plenum del congresso, se da parte vostra non saranno commessi tali errori, che potrebbero fiaccare le posizioni dei comunisti italiani verso gli elementi dei massimalisti. Questo sarebbe molto triste. Se gli oratori della vostra maggioranza anche al Plenum vorranno ostinatamente parlare contro la fusione, questo solo rinforzerà la posizione di quei massimalisti i quali meno di tutti si dovrebbe rinforzare. Lo spettacolo sarà assolutamente indesiderabile. Al Comitato Esecutivo dell'I.C. sarà difficile l'appoggio del P.C. d'Italia durante e dopo la fusione. Il P.C. d'Italia sarà del tutto isolato. Il danno politico sarà enorme. L'errore sarà irreparabile. Il nostro consiglio: voi potete al congresso fare una breve dichiarazione, che la maggioranza della vostra delegazione era contro la fusione e ha già portato le ragioni, ma dovete contemporaneamente dichiarare che siccome la commissione ha deciso altrimenti, voi accettate questa decisione e l'attuerete coscientemente. Se farete questo ci darete la possibilità di rivolgere tutta la polemica contro le posizioni del P.S.I. e la prospettiva non sarà invertita. Il nostro dovere è di avvertirvi contro un errore politico. Aspettiamo una vostra sollecita risposta. Per incarico del C.C. del P.C.U.S.:Lenin, Zinoviev, Trotzky, Radek, Bucharin ".

La delegazione italiana risponde così:

"Mosca, 24 novembre 1922

Al C.C. del P.C.U.S. Mosca

Cari compagni,

riceviamo la lettera di oggi firmata Lenin, Zinoviev, Trotzky, Radek, Bucharin. Prendere la parola nel Plenum del Congresso sulla questione italiana sarebbe un dovere per la rappresentanza del P.C. d'Italia. Davanti all'assise suprema dell'I.C. il nostro intervento dovrebbe portare la difesa di tutta la nostra attitudine durante due anni di lavoro e di lotta per il comunismo, su una linea e con un metodo nei quali noi crediamo più che mai e il cui sviluppo conduce all'opposizione più netta alla fusione che l'I.C. sta per deliberare. Noi siamo d'avviso che le critiche al nostro contributo alla lotta internazionale rivoluzionaria sono quasi tutte non solamente ingiuste, ma spesso fondate su malintesi di fatto. Noi sappiamo che nelle riunioni delle commissioni non si sono discussi i nostri argomenti e le nostre proposte generali per lo sviluppo dell'azione comunista in Italia con l'ampiezza che sarebbe stata necessaria. La nostra convinzione non è per niente scossa. Lo dichiariamo apertamente. Ma un 'passo' del nostro partito fratello della Russia non è, per i comunisti italiani, un atto senza valore. Comprendiamo che si tratti di far forza su noi stessi e di rompere noi stessi la linea legittima del nostro contributo alla lotta dell'Internazionale, condotta fino ad oggi con slancio entusiastico che d'altronde non sarebbe né vorrebbe essere confusa con una testardaggine volgare. Noi prendiamo davanti al nostro partito la responsabilità di ritornare sulla risoluzione già presa. Dopo il vostro invito, il vostro fraterno consiglio, noi vi dichiariamo che la rappresentanza del P.C. d'Italia tacerà. Essa non sosterrà le opinioni che voi conoscete e della giustizia delle quali resta convinta".

L'Internazionale Comunista fissa la fusione degli organi di stampa dei due partiti a non oltre la prima settimana del gennaio 1923 e il primo Congresso del Partito Comunista Unificato d'Italia entro febbraio-marzo del 1923. In questa situazione si colloca la lettera di Bordiga del 6 gennaio 1923 che noi pubblichiamo nella raccolta. È uno scritto molto significativo; si sottolinea sia la situazione dell'attacco fascista montante sia la situazione di stallo in cui si viene a trovare il Partito a causa delle decisioni dell'Internazionale. Ad esso rimandiamo.

Tutto sembra quindi compiuto per la fusione, ma ora le riserve vengono dai socialisti. Il 14 gennaio 1923 si costituisce il "Comitato di difesa socialista", il cui scopo è quello di opporsi alla fusione. Nenni si impadronisce dell'Avanti! e diventa l'artefice di questa "nuova" politica. Nello stesso mese Bordiga ed altri dirigenti del P.C.d'Italia vengono arrestati.

Al Congresso che si tiene a Milano nell'aprile (1923) la schiacciante maggioranza del P.S.I. è contraria alla fusione con i comunisti.

Nel giugno dello stesso anno al 3° Esecutivo Allargato dell'I.C. viene confermata la tattica della unificazione e si attacca il Centro del P.C.d'Italia (in galera) per "aver boicottato la fusione".

Con una decisione dell'I.C. viene nominato un nuovo Comitato Esecutivo per il partito italiano per "garantire l'applicazione delle posizioni dell'I.C.". È l'inizio della direzione centrista del partito, prima titubante poi sempre più allineata con la direzione Internazionale.

Nel dicembre del 1923 Bordiga scriverà al C.E. del P.C.d'Italia:

"Io sono convinto che si sarebbe arrivati ad una ottima efficienza e ad un grande prestigio, se soltanto 'ci avessero lasciati fare'. La Internazionale ha creduto di mutare gli obiettivi che noi ci proponevamo (ed era giusto che tutto il lavoro dovesse essere sottoposto al suo giudizio e alla sua direzione) ma io ho il diritto di opinare che questo, senza assicurare i successi illusori che si attendevano dalla politica imperniata sulla conquista del PSI, che per me prima che impossibile è indesiderabile, ha danneggiato il movimento comunista in Italia e il suo sviluppo".

Tutta la gran politica della fusione con i socialisti non porta, in definitiva che alla confluenza dei "terzini" nel Partito Comunista nell'agosto del 1924. Il legame che questo gruppo aveva con la classe (o le masse) era praticamente nullo e tutto si limitò all'adesione nominale dei redattori di Pagine Rosse al Partito Comunista. Bella conclusione davvero!

Per concludere, ripubblichiamo tutti i testi come essi apparvero nei giornali e negli organi del partito di allora, firma compresa. Gli articoli firmati portano il nome dell'autore, quelli apparsi anonimi restano tali.

Nella polemica ricorrente sull'uso dei nomi non ci siamo mai fatti partigiani di tesi particolari, essendo il problema vero quello dell'uso improprio e dell'abuso. Nostra resta la parola d'ordine: " Basta coi nomi e coi miti fatti di nomi"; siamo sempre convinti che: "Dei capi geniali della storia solo una esigua minoranza è morta prima di passare all'opportunismo, e almeno i tre quarti della virulenza di questa malattia sociale vanno ravvisati nell'effetto sulle disgraziate masse dei nomi dei tanti che avevano un grande passato, avevano dato prove di eroismo, avevano fatto galera, ecc.,ecc. Erano stati utili alla rivoluzione per dieci, la fregano per cento. È vero anche per i puri e anche per i morti".

Non crediamo e non abbiamo mai creduto all'uso pubblicitario del "gran nome", come non abbiamo mai creduto a certi esorcismi iconoclasti; non ci sono ricette speciali per diffondere le posizioni rivoluzionarie e comuniste, perché gli ingredienti necessari si presentano solo alla scala storica e sociale. La cappa di piombo del conformismo di ogni genere si lacererà solo quando le masse si rimetteranno in moto per distruggere questa infame società.

I testi successivi al Secondo Dopoguerra e quelli di oggi sono tutti anonimi, opera di una collettività organizzata che continua il lavoro del marxismo rivoluzionario e per essi è inutile cercarne l'autore.

Note

[1] "Tesi della Sinistra", 1945. "Prometeo" nn. 4 e 5, 1946-1947. Ora in "L'assalto del dubbio revisionista ai fondamenti della teoria rivoluzionaria marxista", Quaderni Internazionalisti, 1992.

[2] Sono finora apparsi della "Storia della Sinistra Comunista" (edizioni "Il Programma Comunista") tre volumi. Il I°: "Dalle origini, attraverso il primo conflitto imperialistico, all'immediato dopoguerra 1912-1919"; il II°: "Dal Congresso di Bologna del PSI al secondo Congresso dell'Internazionale Comunista"; il III°: "Dal II° al III° Congresso dell'Internazionale Comunista, settembre 1920-giugno 1921".

[3] Importante è ancora il lavoro, pubblicato in francese su "Programme Communiste", "Le Parti Communiste d'Italie face a l'offensive fasciste (1921-1925)" nei numeri 45, 46, 47, 48-49, e 50 (1969-1971). Di questo lavoro in italiano è apparsa solo la prima parte nei numeri 16, 17, 18, 21 e 22 del 1967 e nei numeri 1, 2, 3 del 1968 di "Il Programma Comunista"; ancora, si può vedere: "Per la storia dell'azione pratica del partito negli anni 1921-22" in "Il Partito Comunista" nn. 27, 28, 29, 34, 38, 39, 43, 44, 50, 51, 52 (novembre 1976-dicembre 1978).

[4] Vedi: R. De Felice, "Le interpretazioni del fascismo", Laterza 1991.

[5] Si tratta della "Relazione del Partito Comunista d'Italia al IV Congresso dell'Internazionale Comunista. Novembre 1922" Iskra edizioni, 1976.

[6] Rosmer: "A Mosca al tempo di Lenin" vol. 2° pag. 137, Jaka Book 1970.

[7] Tradotto dal francese da: Pierre Frank "Histoire de l'I.C." Editions La Brèche, vol. I, pag. 230.

[8] Correspondance Internationale, 2 settembre 1924

[9] Opere Complete, vol. 6 pag. 351.

[10] Si veda anche: "Il Partito decapitato" e "La liquidazione della Sinistra del P.C.d'It." Edizioni L'Internazionale 1988 e 1991.

[11] Ad esempio: "La questione italiana al III Congresso Mondiale" ("Il Comunista" 2-6-1921), "Il PSI ed il Congresso di Mosca" (idem 23-6-1921), "Il tira e molla dell'opportunismo italiano" (idem 21-7-1921), "Il Congresso Internazionale Comunista decide sulla questione italiana" (idem 24-7-1921) e infine "I socialisti italiani e il comunismo" (idem 21-8-1921).

Prima di copertina
Comunismo e fascismo (1921-1926)

Quaderni di n+1 dall'archivio storico.

Organica presentazione di testi della Sinistra sul Fascismo che anticipano la classica posizione comunista: "Il peggior prodotto del Fascismo è stato l'Antifascismo".

Indice del volume

Comunismo e fascismo