Prefazione

La Premessa del 1953 al Dialogato, qui di seguito pubblicata, riprende alcuni argomenti delle varie Tesi che la Sinistra ha prodotto in questo dopoguerra. Essa perciò inquadra sia il contenuto dell'intero volume che l'ambiente di lavoro in cui è stato elaborato e le questioni di metodo. Infatti, come la Sinistra ha più volte ribadito, ogni singolo argomento deve essere trattato considerandolo nel processo storico complessivo, processo che comprende lo sviluppo generale delle forze produttive, dei rapporti di produzione e dei rapporti fra le maggiori classi presenti nella società.

La premessa non ha quindi bisogno di un aggiornamento. In essa Bordiga enuncia le ragioni che contrappongono la Sinistra allo stalinismo, con una impostazione globale dei problemi valida a collocare questo testo nella dinamica storica della rivoluzione e della controrivoluzione. Nel volume Dialogato coi morti, uscito a stampa dopo il XX Congresso del Partito Comunista Russo nel 1956, ne troviamo una prima verifica, quindi i due testi sono da leggere in sequenza, in quanto complementari. Gli avvenimenti successivi saranno un'ulteriore verifica per la correttezza dell'analisi in essi contenuta.

Lo studio della Sinistra sulla Russia staliniana ha portato alla pubblicazione di una enorme mole di materiale. La ragione potrebbe non essere immediatamente compresa da chi si accingesse oggi alla lettura senza conoscere la battaglia che si svolse nell'arco che va dal 1921 alla fine degli anni '60. E le nuove generazioni, che non hanno neppure conosciuto l'epoca staliniana dopo Stalin, potrebbero trovare eccessiva la montagna di pagine dedicate allaStruttura economica e sociale della Russia d'oggi, come si intitola il più completo tra gli studi sull'argomento.

L'obiezione, pur comprensibile, non avrebbe fondamento marxista, giacché non è possibile fare un pieno bilancio di ciò che accadde negli anni '20 senza analizzarne a fondo le conseguenze; d'altra parte non è possibile, senza tale bilancio, spingersi non solo ai giorni nostri ma anche nel futuro, quando le conseguenze saranno ancora presenti. Infatti è di fondamentale importanza, per il marxismo, trattare le trasformazioni economiche e sociali a partire dall'invarianza di alcuni elementi di cui è possibile isolare il nocciolo togliendo di mezzo le incrostazioni create dagli uomini, sempre interessati a dare giustificazione teorica o ideale alle loro azioni. Per esempio la Sinistra ha dimostrato che tra il tardo utopismo degenere di un Proudhon, il fascismo, il gramscismo e lo stalinismo, esiste un nocciolo comune.

La dimostrazione che in Russia ci fosse capitalismo non avrebbe avuto nessun senso se l'etichettare socialismo il capitalismo non avesse implicazioni reali per quanto riguarda la posizione reciproca delle classi, nel maturare dei rapporti capitalistici mondiali, nell'estendersi e rafforzarsi della controrivoluzione. Nel capitoletto Domani e ieri, ribadendo che l'industrialismo di stato non cambia i rapporti di produzione capitalistici, si afferma non solo che esso è stato indispensabile per condurre a termine la rivoluzione capitalistica in Russia, ma che l'aperta confessione della sua natura sarebbe stata utile anche in senso rivoluzionario proletario.

In Russia gli economisti e i grandi manager delle imprese statali sapevano benissimo che là erano operanti tutte le categorie capitalistiche sprigionate dall'operare della legge del valore, ma la politica nazionale dello Stato russo non poteva ammettere di essere capitalista e militarmente imperialista come gli avversari d'Occidente. Ciò creava un paradosso di portata mondiale, ingannando il proletariato di tutti i paesi sulla reale politica sovietica. La propaganda nazionale dei due grandi schieramenti aveva esasperato i suoi aspetti ideologici all'uscita della Seconda Guerra Mondiale, e il controllo di vastissime aree geografiche con centinaia di milioni di abitanti dipendeva, oltre che da capitali, truppe d'occupazione e missili, anche dalle opposte crociate, l'una per "la libertà e la democrazia", l'altra per "il socialismo". Queste due crociate, che avvelenavano il proletariato mondiale, impossibilitato a vedere che cosa realmente si celasse dietro l'enfasi propagandistica e dietro l'incombenza di una terza guerra mondiale sospesa come una spada di Damocle sulle loro teste, erano alimentate dal preteso socialismo russo. La mistificazione agiva con effetti materiali sull'intero pianeta.

Era quindi per motivi politici che Stalin (o meglio, la forza sociale che egli rappresentava) si rifiutava di riconoscere che in Russia si era sviluppato capitalismo e non socialismo; ed era per gli stessi motivi che i politici erano obbligati all'abiura quando si lasciavano sfuggire la verità, mentre ai tecnici e agli economisti, che erano posti quotidianamente di fronte a problemi materiali di produzione e di mercato, si concedeva un qualche margine di discussione nelle accademie e, soprattutto, negli uffici economici.

Non vi sarebbe stato nulla di strano nell'ammettere che un partito comunista fosse costretto a pilotare l'economia verso il capitalismo maturo: anche Lenin aveva dichiarato che l'industrializzazione e il capitalismo di stato alla tedesca, sotto il controllo del proletariato e del suo partito, costituivano le basi indispensabili per fare i passi successivi. Purtroppo, mancata la rivoluzione in Occidente, le forze che Stalin rappresentava erano anche quelle del capitalismo nazionale russo, che aveva bisogno di una politica da grande potenza per la difesa dell'immensa area in cui il giovanile sviluppo industriale avveniva, ancora troppo debole per scontrarsi ad armi pari sui mercati internazionali e quindi estremamente autoprotettivo.

Negando il capitalismo russo, Stalin non faceva che ritardare l'esplodere della verità e rimandarla al giorno in cui questa non si sarebbe più potuta nascondere, cioè quando sarebbe venuta meno l'accelerazione forzata dei piani statali, quando sarebbe finita l'epoca della crescita quantitativa e sarebbe incominciata quella della crescita qualitativa. Ogni marxista conseguente avrebbe tratto conclusioni ovvie dalla dinamica dei fatti russi, dato che ogni paese, come dice Marx, può vedere nei paesi più sviluppati nient'altro che il suo proprio futuro; ma ciò era negato a chi era stato gettato sulla scena dalle condizioni storiche per difendere lo sviluppo nazionale, cioè a chi viveva dall'interno lo sviluppo del capitalismo russo.

L'ostinarsi nella negazione del capitalismo russo, battezzato d'ufficio socialismo, avrebbe prodotto effetti ancora più esplosivi proprio per semplice accumulo di potenziale di fronte all'inevitabile maturazione dei rapporti economico-sociali, esattamente come, allontanando gli elettrodi di fronte ad un potenziale elettrico crescente, non si fa che ingigantire la scarica attraverso l'aria ionizzata.

Più ci si inoltrava nella mistificazione, più diventava inevitabile il crollo di fronte ai fatti concreti. Se il socialismo fosse rimasto relegato ad una futura realizzazione si sarebbe almeno lasciato un margine imprecisato alla durata della sua "costruzione" ma, dichiarando che la costruzione era terminata e che il socialismo era realizzato, tutta la sovrastruttura politica basata sulla mistificazione andava automaticamente verso la catastrofe. Insomma, la gestione quotidiana del pieno capitalismo aveva ormai reso la Grande Confessione cosa sicura.

Continuare con l'aumento quantitativo dell'industrializzazione ai ritmi del capitalismo giovane è impossibile. La necessità di passare al capitalismo maturo, che significa mercato aperto, rendita fondiaria sviluppata, capitale finanziario, era già manifesta negli anni '50 quando si era rivelato impossibile risolvere l'annoso problema dei rapporti fra agricoltura e industria. Rendita fondiaria in regime di capitalismo significa quota di plusvalore tolta al capitale produttivo e data alla classe che ha il monopolio del suolo. Solo nel capitalismo moderno si ha un'integrazione fra rendita e capitale, nel senso che la rendita è un serbatoio di raccolta del sovrapprofitto di alcuni capitalisti, serbatoio dal quale, attraverso il sistema bancario, altri capitalisti attingono per i loro investimenti.

Il sistema colcosiano, misto di conduzione cooperativa e familiare, invece di raccogliere una quota capitale e incanalarlo verso i flussi finanziari, lo disperdeva nell'autoconsumo di un'economia miserabile, un circolo vizioso da cui era impossibile uscire. La conduzione agraria russa significava quindi una confessione di impotenza capitalistica, prima ancora che di mancato socialismo, rappresentava un freno non più sopportabile allo sviluppo, lo specchio di un mercato che aveva bisogno di esplodere.

Infatti, il rapporto fra agricoltura e industria, tollerato nella sua forma colcosiana arretrata, era anche lo specchio dei rapporti fra Stato e azienda, fra azienda e azienda: la mancata accumulazione nelle campagne, con la mancata trasformazione di parte del plusvalore in rendita e quindi la mancata chiusura del ciclo capitalistico che fa della terra merce e serbatoio di valore, rendevano il capitalismo di stato russo più arretrato di quello tedesco invocato da Lenin nel 1918 come base per la trasformazione successiva. Lo Stato non sovrintendeva l'insieme del capitalismo russo, ma si doveva abbassare a gestire l'azienda singola, isola tra isole, ognuna delle quali era organizzata con il metodo dell'autosufficienza e dell'autoconsumo, come le vecchie fabbriche ottocentesche che si producevano tutto, dalla vite all'energia.

L'effetto economico dirompente, però, non veniva tanto dalla terra agricola quanto dal suolo urbano e dalle proprietà immobiliari che sopra vi erano costruite. La separazione del profitto dalla rendita, che invece nel capitalismo sono passaggio dall'uno all'altra, doveva avere effetti più devastanti della separazione tra metodo di conduzione industriale e metodo di conduzione agraria. Mentre vi sono innumerevoli dati sull'economia russa e sui rapporti tra industria e campagna, ve ne sono pochissimi sull'urbanizzazione, sulla costruzione degli alloggi e sull'impatto economico di tale immensa opera. Eppure tra il 1921 e il 1960 sono state costruite, a cura di società cooperative, abitazioni urbane per 220 milioni di abitanti, quasi quattro volte l'attuale Italia, urbana e no. Nei paesi capitalistici "normali" l'edilizia è sempre stato un formidabile fattore di sviluppo, non tanto per la produzione che implica, quanto per la raccolta e il serbatoio di capitale che rappresenta. Non poteva essere introdotto il criterio del plusvalore-profitto nell'industria senza che automaticamente questo si ripercuotesse sulla ripartizione dello stesso plusvalore in profitto d'impresa, interesse e rendita. In Russia si produceva da decenni una massa monetaria abnorme rispetto al valore nominale del rublo, cioè alla sua possibilità di conversione in merci tangibili. Ma in campo monetario, dove la forma dei titoli giunge ad estremi di fantasia incredibili, è abnorme solo ciò che non è garantito; ed è garantito solo ciò che, rispetto alla massa monetaria, rappresenta la certezza della solvibilità, vale a dire il "fido" (garanzia del potere economico) o l'ipoteca (garanzia dell'oggetto materiale). Alla lunga non può esistere una massa monetaria cui non corrisponda una massa coerente di merci, compresi soprattutto i terreni e le case.

La Grande Confessione, quindi, oltre ad essere stata il prodotto necessario della fine di un'epoca, del passaggio dall'industrialismo di stato ibridato con forme di cooperazione agricola familiare, al capitalismo delle società per azioni, della finanza e della speculazione sofisticata, è anche stata il prodotto della necessità del capitalismo mondiale di raggiungere una sempre più grande integrazione dei mercati.

La difesa a oltranza di un capitalismo chiamato socialismo non ha ottenuto altro che ritardare un passaggio previsto, ma ha anche ingigantito la tragedia del proletariato russo, che ha dovuto sopportare gli effetti del crollo produttivo e amministrativo avvenuto tutto d'un colpo.

Ora, si poteva marxisticamente ammettere che Stalin rappresentasse un movimento reale, una forza che portava al capitalismo maturo "non in carrozza ma in aeroplano" (inizio dell'Antimeriggio nel dialogato), ma non si poteva concedere a questo movimento di essere sotto guida marxista perché non veniva dichiarata apertamente "la direzione del moto", il passaggio feudalesimo-capitalismo-socialismo-comunismo. Se ciò non avveniva, significava che "il radar era impazzito".

Ovviamente in Stalin la confessione era implicita, dato che ammetteva la sopravvivenza della legge del valore in pieno socialismo, e di conseguenza di tutte le categorie capitalistiche. Ciò era evidente non solo agli occhi di un marxista, ma anche di un qualsiasi economista borghese che appena avesse voglia di uscire dagli schemi stereotipati contro il "totalitarismo comunista" russo (vedi per esempio Capitalismo classico, socialismo romantico). Sta di fatto che la confessione implicita, ingannando il proletariato e rafforzando la controrivoluzione, non modificava l'effetto tremendamente reale che la mistificazione esplicita avrebbe provocato. La prova che tale mistificazione era funzionale alla politica interna ed estera russa consiste nel fatto che Stalin dovette lottare fino alla fine per mantenerla in piedi a qualsiasi costo, anche contro i dirigenti dell'apparato, specialmente quelli tecnici, che in Russia tendevano ad ammettere la realtà, quindi ad anticipare la confessione.

Un anno prima di morire Stalin scriveva che vi erano elementi "i quali affermano che, siccome la società socialista non liquida le forme mercantili di produzione, dovrebbero da noi ripristinarsi tutte le categorie economiche proprie del capitalismo". Vi era quindi una lotta politica sull'argomento. Bordiga commenta nel testo: "Il solo fatto che si sia adoperato uno scritto teorico e non una condanna a morte mostra che non è lontana la tappa della confessione".

In effetti non era neppure vicina. Perché? Per quale distorsione storica il mito del socialismo russo realizzato è potuto sopravvivere così a lungo?

Proprio a causa della debolezza intrinseca del capitalismo e dello Stato russi, c'è stato bisogno di trasformare, nel lessico e negli atteggiamenti politici, una dinamica verso il socialismo in socialismo realizzato. Esso diventava un mito utilizzabile come arma a disposizione della politica e della diplomazia statali tipiche della Russia staliniana, nonché delle operazioni militari per il controllo di una parte del pianeta in concorrenza con l'America. Un capitalismo poderoso avrebbe opposto al suo concorrente, invece della coesistenza pacifica e pretesi modelli sociali, ciò che ogni capitalismo oppone all'altro: la guerra commerciale e il tentativo di supremazia sui mercati. Un capitalismo debole avrebbe subìto l'iniziativa di quelli più potenti, mentre un capitalismo debole guidato da un vero partito comunista verso mete più mature, cioè verso il socialismo, avrebbe dovuto cercare di resistere a tutti i costi, salvaguardando soprattutto il futuro della rivoluzione mondiale anche a scapito della politica nazionale. E questi erano argomenti già risolti sia da Lenin che da Trotzky e dalla Sinistra italiana.

Che la questione sia importante per spiegare le determinazioni materiali dello stalinismo è dimostrato dall'accanimento con cui in Russia si combatté contro ogni tentativo di salvaguardare le basi della rivoluzione invece di quelle del potenziamento nazionale, i cui riflessi avrebbero non "bolscevizzato" ma "russificato" tutti i partiti comunisti. Nell'articolo su Molotov qui pubblicato, Bordiga insiste sulla recidività di Stalin nell'affrontare con piglio nazionale le grandi questioni internazionali. Ciò serve a ribadire che il sopravvento di forze sociali in determinati momenti della storia non è dovuto a certi uomini piuttosto che ad altri, ma alla spinta di fatti materiali insopprimibili. Stalin non diventò capo del partito russo per un suo particolare colpo di mano. Egli rappresentava già prima una forza sociale pronta a prendere il sopravvento se la controrivoluzione si fosse messa a cercare i suoi strumenti.

Nel febbraio del 1926, in margine al VI Esecutivo Allargato, vi fu un incontro fra Stalin e la delegazione italiana. Bordiga pose la questione in modo tanto diretto da mettere persino in imbarazzo l'interprete che doveva tradurre le domande a Stalin. Purtroppo il resoconto sintetizza le domande e riporta in modo esteso solo le risposte di Stalin, ma è sufficiente per capire come la Sinistra avesse già ben inquadrato il problema e vedesse nella lotta contro Trotzky solo un effetto del sopravvento di forze nazionali rispetto a quelle della rivoluzione internazionale.

Durante l'incontro i centristi si limitarono a chiedere alcune precisazioni sulle divergenze all'interno del Partito russo, soprattutto per quanto riguardava i problemi economici e le prospettive del movimento operaio internazionale. I rappresentanti della Sinistra cercarono invece di utilizzare i fatti (concessioni ai contadini medi e divergenze politiche ed economiche in seno al partito russo) per criticare l'impostazione generale della politica staliniana dal 1917 al 1926, non tanto per attaccare la persona di Stalin, quanto per dimostrare che in Russia stava prendendo il sopravvento una corrente che era in continuità non con Lenin ma con lo Stalin del 1917 che con Lenin era in contrasto. Giuseppe Berti, presente all'incontro, riferisce sullo "sforzo della maggioranza della delegazione e del suo presidente Togliatti, tutte le volte che Bordiga portava l'attacco sulla linea seguita da Stalin nel 1917, sulle responsabilità sue e dell'I.C. nel fallimento dell'Ottobre tedesco nel 1923, di riportare la discussione sul terreno delle divergenze più recenti, che si erano manifestate al XIV Congresso, in relazione soprattutto ai problemi economici russi". Togliatti, come tutti coloro che ormai ragionavano soltanto in termini di politica interna dell'IC, non poteva neppure capire che vi era un nesso fra il 1917 e il 1926, come vi era un nesso tra la tattica dell'Internazionale e la politica economica e nazionale russa. Infatti, redigendo il resoconto, "dimentica" di inserire l'ammissione di Stalin sul suo disaccordo con Lenin prima della Rivoluzione d'Ottobre.

Bordiga chiede spiegazioni sul comportamento ambiguo nei confronti di Trotzky: "Dal momento che ora il compagno Stalin si serve come argomento politico dell'errore compiuto nel 1917 da un gruppo di compagni, perché quando il compagno Trotzky ricordò anche lui questi fatti si organizzò contro di lui una campagna?" Stalin risponde: "Trotzky non fu combattuto per questo, ma perché riteneva e sosteneva la sua vecchia convinzione circa i rapporti tra il proletariato e i contadini, secondo la quale se non vi sarà la rivoluzione in altri paesi di Europa, non si può sviluppare la rivoluzione in Russia. Questa è una concezione socialdemocratica e per essa Trotzky venne combattuto".

Questa ammissione è di importanza fondamentale: la guerra interna nel partito russo, che portò alla eliminazione fisica di tutta la vecchia guardia bolscevica e di tutti gli oppositori di qualsiasi corrente fossero, non ha origine tanto in divergenze politiche o lotte di potere, quanto nell'affermarsi di forze schierate in difesa della costruzione del capitalismo nazionale russo invece che in difesa della rivoluzione internazionale. Questo compito non poteva essere portato a termine senza la mistificazione del "socialismo in un solo paese" perché era indispensabile coinvolgere non solo il proletariato russo ma quello mondiale. I proletari di tutti i paesi erano così arruolati nella crociata partigiana in difesa della costruzione del capitalismo in Russia. Il comunismo diventava un paravento ideologico, sostituto e surrogato di merci e capitale finanziario, adoperato insieme alle armi per la conquista di aree di influenza.

Terminato il periodo delle fucilazioni degli oppositori, l'avvicinarsi delle condizioni per la Grande Confessione non solo permise il "dibattito" teorico sulle questioni, ma anche l'accettazione di blande autocritiche da parte degli eretici. Quando Molotov venne chiamato all'abiura per aver detto che in Russia non c'era socialismo ma si stavano gettando le basi per esso, bastò una rettifica con un articolo di giornale. Come Bucharin molti anni prima, Molotov scrisse l'autocritica soppesando i termini in modo da non concedere nulla alla tesi opposta e, mentre il primo non poté evitare il plotone di esecuzione, il secondo salvò la pelle, fatto che dimostra quanto fossero maturi i tempi per abbandonare gli orpelli socialisteggianti e calare la maschera.

In Deretano di piombo, cervello marxista, al capitoletto Correttore pacchiano, è ricordato l'incontro del 1926. Già all'epoca Stalin non ammetteva l'assoluta equivalenza fra le espressioni "edificare le basi del socialismo" ed "edificare il capitalismo"; ma almeno concordava con la Sinistra sul fatto che l'economia russa si riduceva all'edificazione delle basi del socialismo e non poteva fare altro. Quando invece negli anni '50 sostenne che in Russia si stava edificando socialismo, l'enorme menzogna rappresentava già, implicitamente, la potenziale confessione aperta di capitalismo pieno che sarebbe venuta dopo. Stalin non era un fesso: che fosse consapevole o meno della menzogna, essa era certamente utilizzata a fini politici.

Quali mai potevano essere? Bordiga lo spiega ricorrendo per una volta al linguaggio di cui si servono i non marxisti, che ragionano in termini di azioni e lotte di uomini contro altri uomini, per descrivere gli avvenimenti: "Può darsi che Molotov abbia visto giunto il momento della Grande Confessione: non siamo socialismo, ma capitalismo, come voi, Occidente, quasi come voi. Può darsi che gli altri, o la voce misteriosa della Ragione di Stato, sacra pei deretani in velluto, abbia imposto di rinviare la Confessione. Questa verrà".

Può darsi quindi che Stalin abbia tappato la bocca a Molotov e agli altri per una Ragion di Stato. In nome del socialismo? No: la formula sintetizza le superiori esigenze del capitalismo odierno attraverso le sovrastrutture ideologiche, giuridiche e militari, lo sfruttamento bestiale del proletariato e i modernissimi crimini contro la specie umana.

Le basi per il socialismo, cioè il capitalismo, sono ora edificate, la necessità della tensione politica è caduta e la confessione è venuta, grandiosa, immediatamente e finalmente comprensibile per tutti. Eravamo soli contro milioni, e adesso il mito di un socialismo già presente in Russia non servirà più neppure come favola per i bambini. L'apertura dei mercati e l'allineamento del capitalismo russo a quello dei paesi più evoluti si rivelerà terribile per la stragrande maggioranza della popolazione dell'immenso paese e soprattutto per il proletariato, che sarà sempre più intimamente collegato con gli interessi di quello dell'Occidente e dell'Oriente estremo.

E' caduto anche un imbroglio semantico: all'epoca dello scritto su Molotov persino alcuni militanti del partito avevano stentato ad afferrare la differenza fra edificazione delle basi del socialismo (capitalismo) ed edificazione del socialismo. Le basi per il socialismo non si "edificano" più in nessuna parte importante del mondo perché ormai "la borghesia ha per noi edificato; essa doveva farlo, anzi non poteva non farlo". La rivoluzione e il socialismo non sono questione di forme organizzative o statali; il controllo statale sull'economia rappresenta uno strumento immediatamente utilizzabile dalla prossima forma sociale in una necessaria fase di transizione, quando lo Stato sarà in mano alla classe proletaria e al suo partito. Allora non ci sarà bisogno di chiamare socialismo realizzato tale fase di transizione, perché sarà chiaro che non vi saranno più ostacoli nel cammino verso l'obiettivo. Non sarà necessario, insomma, ingannare nessuno sulla reale marcia verso una forma superiore, marcia guidata dall'espressione politica di una rivoluzione (partito organico) non più arretrante di fronte a forze più grandi.

La soluzione è semplice, leggiamo nel finale dell'ultimo articolo qui pubblicato dove si cita Engels: sulla base dei risultati raggiunti dallo stesso capitalismo, la politica del proletariato al potere riconoscerà esplicitamente la natura del lavoro sociale capitalistico; riconoscerà e saprà, per questo, guidare il bisogno delle forze produttive di liberarsi dalle catene rappresentate dal vecchio modo di produzione; armonizzerà la nuova forma nascente con il già esistente carattere sociale della produzione; libererà il comunismo in divenire dai legami rappresentati dalle sopravvivenze capitalistiche.

Lo stalinismo ha bendato gli occhi al proletariato, come si dice nella Premessa del '53, ma il capitalismo stesso ha tolto la benda. Non esiste controrivoluzione che non sia nello stesso tempo movimento verso la rivoluzione: il proletariato con gli occhi bendati dallo stalinismo non ha potuto lavorare per l'accelerazione del movimento verso il comunismo, ma esso non è stato per questo impedito, perché la stessa sovrastruttura capitalistica ha lavorato alacremente per noi. Lo Stato rappresenta la dominazione reale del Capitale senza più bisogno che questo sia rappresentato da individui, perché basta e avanza l'impersonale "gestione" di una gerarchia di funzionari il cui interesse privato è nulla in confronto alla quantità di anarchia che viene così evitata. E questo è un reale passo avanti della rivoluzione, perché, come si ripete in più parti di questo volume, il capitalismo di stato, la regolazione dell'anarchia capitalistica è condizione favorevole alla transizione rivoluzionaria dell'economia.

In Russia lo Stato non solo non era in procinto di estinguersi, come prevedevano Marx ed Engels in presenza di socialismo, ma si stava gonfiando, stava cioè portando alle estreme conseguenze il lavoro della vecchia talpa che eliminava cortine fumogene tra il proletariato e il dominio del Capitale. Si trattava comunque di riconoscere la superiorità relativa del totalitarismo sovietico rispetto alle forme anarchiche di accumulazione conosciute da altri paesi, il cui percorso è stato più lento. Progressivo per l'immenso e arretrato paese, se vogliamo usare un termine che la Sinistra ha usato contro i progressisti di ogni risma, affaccendati a tappare con sciorinature democratoidi le gallerie che la talpa diligentemente scavava. Progressivo e irreversibile, dato che anche in Occidente il totalitarismo era stato ed è progressivo, almeno da quando ne parlò Marx nel suo 18 Brumaio, dimostrando qual è per noi la natura dello scavo talpesco.

Oggi la Russia non riesce ad avere una vita democratica, nonostante la gran chiacchiera intorno al liberalismo. Nemmeno il vecchio Politburo aveva poteri accentrati come li ha l'attuale presidenza, espressione genuina di un potere più impersonale di prima perché proveniente non solo dal sottosuolo dell'accumulazione russa ma da tutto il mondo capitalistico, specie occidentale. Talmente impersonale che manda allo sbaraglio un sottopersonaggio come Eltsin, alquanto meno ingombrante di Baffone nel passaggio dall'accumulazione quantitativa alla finanziarizzazione selvaggia del capitalismo russo, freneticamente ansioso di omologarsi al ceppo internazionale.

Oggi, come ieri, i democratici si offendono quando un oppositore per puro cretinismo parlamentare li taccia di totalitarismo statale, salvo poi comportarsi allo stesso modo quando dall'opposizione debba passare al governo dell'economia. Tutti in gara di liberalismo ma, nei fatti, moderni fascisti dato che, per determinazione storica, il fascismo sconfitto è stato preso inconsapevolmente a modello dai suoi vincitori. Non potevano farne a meno, a Occidente come a Oriente, alla faccia delle campagne per il "mondo libero" e per la "democrazia socialista".

La Grande Confessione russa si manifesta dunque nelle parole e nei fatti: nei tentativi di rincorrere un'economia inselvatichita con provvedimenti liberisti che prendono semplicemente atto di ciò che sanguinosamente si è liberato; nei tentativi di controllare la super-concentrazione del capitale finanziario in troppo poche mani; in quelli di sconfiggere i vecchi orpelli pseudocomunisti agitati da una popolazione che ha fame e che vede nel capitalismo passato una dominazione meno feroce di quella del capitalismo finanziario modernissimo e scintillante. La stabilizzazione capitalistica, che è poi espropriazione di milioni di piccoli capitali a favore della concentrazione finanziaria, costa sangue, lerciume sociale e miseria, cose già viste; ma il processo è troppo rapido per creare la sua propria estetica: non vi saranno cinematografici Far West e film su Scarface russi; quelli americani sono passati e irripetibili. Degenerazione tipicamente russa? Retrocessione a capitalismo arcaico? Ma no, fenomeno moderno che accomuna Mosca alla New York attuale piuttosto che alla vecchia El Paso dei pistoleri disperati, o alle metropoli degli Al Capone e dei killer di Pinkerton.

Chi ha paura del capitalismo moderno? Chi si genuflette di fronte ai "mercati" (i quali poi non sono altro che grande speculazione internazionale) prostituendo anche i timidi residui riformisti alle esigenze del capitale? Ovvio: chi si è inserito così bene in questa società che avrebbe tutto da perdere se questa spingesse fino alle estreme conseguenze le sue caratteristiche peculiari, che Lenin chiamava tipiche del capitalismo di transizione ("Sei un grande borghese? Gioisci. Sei piccolo? Fattela nei pantaloni" dice Bordiga nel penultimo articolo qui pubblicato). Ecco allora che molti personaggi inneggiano alla democrazia di mercato, bofonchiano contro il capitalismo monopolistico, contro l'ingerenza dello Stato ecc. pur senza riuscire a spingere indietro un bel nulla rispetto alla storia.

"La chiave che mette tutti questi signori al loro posto è dunque semplice: la successione non è: fascismo, democrazia, socialismo - essa è invece: democrazia, fascismo, dittatura del proletariato. Chi vuole essere progressivo sia fascista, e quindi non presti il ben che menomo credito allo slogan della democrazia progressiva, a cui Togliatti non crede e di cui si pentirà lui stesso quando vedrà di aver solo fabbricato con esso futuri zimbelli dell'imbonitura americana, quando nella corsa al fascismo effettivo sotto l'etichetta della libertà gli anglo-sassoni avranno battuto i russi, a cui manca, più che quello della energia nucleare, il controllo del dollaro, sicché saranno forse comprati prima di essere sconfitti".

Aprile 1997

Note

[1] Disponibile presso i Quaderni di n+1.

[2] Oltre ai due Dialogati e Struttura economica e sociale della Russia d'oggi (quest'ultima pubblicata su "Il programma comunista" tra il 1955 e il 1957) ricordiamo l'altro fondamentale testo intitolato Russia e rivoluzione nella teoria marxista. Nel testo che raccoglie le tesi dell'immediato dopoguerra L'assalto del dubbio revisionista ai fondamenti della teoria rivoluzionaria marxista è compresa una parte intitolata La Russia sovietica dalla Rivoluzione a oggi; la degenerazione politica dell'Internazionale controllata da partito russo è affrontata nei testi La tattica del Comintern dal 1926 al 1940 e La crisi del 1926 nel partito e nell'Internazionale. Tutti i testi sono disponibili preso i Quaderni di n+1.

[3] Alla fine degli anni '50, specialmente dopo la riforma industriale del 1957 che scioglieva i ministeri industriali e istituiva organi locali di controllo (sovnarchoz), si creò in Russia un movimento informale per il superamento del periodo di rigido controllo centrale dell'economia. Si sarebbe lasciato all'intervento statale il compito di sovrintendere alle necessità generali dell'economia, ma si sarebbe permesso alla struttura industriale il gioco della concorrenza considerando l'azienda come unità base dell'economia e il profitto come unico criterio per valutare l'attività produttiva. Ciò è esattamente quel che succede in tutti i paesi capitalistici, dove concorrenza, produttività e mercato hanno libero gioco e dove lo Stato interviene come "capitalista collettivo" a correggere l'anarchia della produzione e della distribuzione. I maggiori esponenti di questo movimento furono E. Liberman e V. Trapeznikov (cfr. Autori vari, Piano e profitto nell'Unione Sovietica, Editori Riuniti, 1965).

[4] Tre anni dopo cadeva il mito di Stalin. Il mito del socialismo russo è durato di più, ma ha avuto uno scioglimento più catastrofico del previsto. La caduta del Muro di Berlino, che rappresentava la separazione simbolica tra i mercati, ha dato il via, in pochissimo tempo, al disfacimento totale dell'URSS, alla scomparsa del Partito Comunista Russo, alla cancellazione del passato.

[5] Vedi in Malenkov-Stalin, toppa, non tappa, capitoletto L'incubatrice spenta.

[6] Se ne trova traccia nel finale dell'articolo Fiorite primavere del Capitale, dove Bordiga scrive: "Da, sì, egli rispose, colla abitudinale nettezza vigorosa, in una certa commissione, ad una esitante traduttrice della domanda".

[7] Annali Feltrinelli 1966, pag. 260.

[8] Annali cit. pag. 268.

[9] Capitoletto Per uso esterno, stesso articolo.

[10] Sul numero di Programma comunista successivo a quello contenente "Deretano di piombo, cervello marxista" si diceva: "Avevamo la pretesa di condensare chiaramente e in modo secco la posizione dialettica che fa tanta fatica a entrare in qualche testa e non fu digerita affatto quando si disse anni fa che la russia tende al capitalismo". Seguivano le precisazioni.

[11] Capitali o qualsiasi somma, anche il vecchio risparmio forzato dei proletari, bruciato a più riprese con piratesche operazioni di cambio. In pochi mesi una popolazione di quasi trecento milioni di abitanti è stata letteralmente spogliata mentre potenti centri finanziari sorgevano all'improvviso. In un paese più piccolo e arretrato, l'Albania, il processo è parso più primitivo ma sostanzialmente lo stesso.

[12] Tendenze e socialismo , in Prometeo del gennaio 1947. Ora, con altri articoli, nel volume dallo stesso titolo edito da Quaderni di n+1.

Prima di copertina
Dialogato con Stalin

Quaderni di n+1 dall'archivio storico.

Tre punti fondamentali per la demolizione critica dello stalinismo: in campo tattico, in campo politico e in campo economico; tre punti che identificano anche la sequenza in cui il marxismo è stato rinnegato in successive fasi storiche.

Indice del volume

Dialogato con Stalin