Prefazione
Non è da oggi che i marxisti devono demolire luoghi comuni dettati dall'incertezza della piccola borghesia che vagheggia una società capitalistica senza le insopportabili contraddizioni che necessariamente la accompagnano.
Marx ricordava nel Capitale che nessuna civiltà aveva mai prima d'ora inquinato a tal punto gli strumenti della sua stessa produzione e riproduzione da renderne impossibile l'utilizzo.
E di strada se n'è fatta dall'acqua sporca da trasformare in vapore a una distruzione dell'ambiente che gli stessi esperti borghesi paventano a livello planetario.
Nel Manifesto si deride il "socialismo borghese" i cui esponenti vorrebbero "le condizioni di vita della società moderna senza le lotte e i pericoli che necessariamente ne risultano. Vogliono la società attuale senza gli elementi che la rivoluzionano. Vorrebbero la borghesia senza il proletariato".
Demolire l'imbroglio di classe che si nasconde dietro la montatura ecologista non risponde soltanto all'esigenza di riportare sul binario scientifico la discussione sul reale pericolo che il perdurare del capitalismo comporta per la sopravvivenza della specie attuale e futura, ma rappresenta anche un'arma per dimostrare che non si può parlare di ambiente se non si abbina il discorso alle classi che questo ambiente frequentano e contribuiscono a determinare.
L'ambientalista di maniera deve spiegare che cosa succederebbe se venissero impiegati i capitali derivanti dal ciclo produttivo nella cura costante e capitalisticamente improduttiva dei corsi d'acqua e dei versanti montani, dei litorali e delle foreste. Deve spiegare come si potrebbe abolire il traffico privato e obbligare l'industria a produrre veicoli in grado di vivere e funzionare almeno trent'anni. Oppure come fare a meno di tutto il ciarpame elettromeccanoplastico che pur contribuisce all'asfittica riproduzione del capitale e alla negazione di ogni parvenza di bisogno umano nella specie "eletta". Deve spiegare, tra l'altro, come si dovrebbero ottenere i terawatt di energia necessaria al mantenimento dello spreco indispensabile alla sopravvivenza del capitalismo giunto alla sua fase demenziale ma tuttavia feroce, dato che il vento e il sole sono compatibili soltanto con un ciclo armonico dell'uomo con la natura.
Il piccolo borghese soffre anche di una schizofrenia storica che lo dilania attraendolo, a seconda dell'andamento delle crisi sociali ed economiche, fra la classe che sta al di sopra, cui ambirebbe appartenere, e la classe che sta al di sotto, la cui esistenza minacciosa lo terrorizza al pensiero di poterne un giorno far parte volente o nolente. Invidia il capitalista, che riesce ancora a trovarsi un ambiente esclusivo tenendo alla larga l'ingorgo democratico della sovrappopolazione relativa, e storce il naso di fronte alla massa che lo ossessiona, perché in fondo deve seguirla, dato che è da lei sola che può spillare i quattrini necessari alla sua gretta sopravvivenza. Quattrini che non trattiene alla fonte, come il fortunato capitalista, ma che deve rincorrere come plusvalore differito libero nella società.
Tutti responsabili, quindi, in perfetta democrazia, appunto, del guasto ecologico, fabbricatori, consumatori e smistatori di plusvalore altrui, e tutti egualmente colpiti dalle esalazioni come dal rumore, dall'invasione del brutto e dalla degenerazione della vita biologica. L'ecologismo sarebbe un problema aclassista, l'unico, con la religione, che unisce le genti per l'intrinseco valore del problema che pone.
No, le cose non stanno così.
Non c'è niente da fare, è il capitalismo che "inquina" l'universo vivibile e l'unica strada per la riconquista di un decente rapporto con la natura è la rivoluzione che dovrà impedirgli di continuare ad ammorbare.
La raccolta di testi che presentiamo affronta il problema della decadenza sociale e lo risolve con l'indagine sui meccanismi di accumulazione capitalistica. Dagli anni ai quali risalgono tali testi ad oggi il meccanismo dell'accumulazione è lo stesso, anzi, pochi decenni sono bastati a rendere palesi i temi dei "limiti dello sviluppo" che un tempo erano prerogativa dell'analisi marxista.
Mentre allora lo sviluppo economico dovuto alla ricostruzione postbellica si rifletteva su di una ideologia dell'opulenza, oggi serpeggia l'incertezza interclassista per un mondo che sembra non avere neanche più la coesione del business ad ogni costo e della circolazione delle merci e dei capitali. L'ideologia si piega al dato di fatto e l'incertezza diventa teoria. Il mondo borghese capitola senza rendersene conto di fronte al marxismo proprio mentre esulta per lo scampato pericolo che, nel tentativo di esorcizzare una traiettoria inesorabile, crede di vedere in quello che chiama "crollo del comunismo".
Sospinta brutalmente da determinazioni materiali irrefrenabili, la sovrastruttura ideologica borghese è passata dall'Eldorado delle teorie sull'equilibrio al dramma annunciato delle teorie sulle catastrofi, dall'apologia della scienza e della tecnica, dal "rigurgito di triviale illuminismo" fuori epoca che accompagnava le mirabolanti imprese spaziali (militari) con codazzo di mezzibusti e pennivendoli dalla voce commossa nella strozza e nella penna, al piagnisteo sulla "delusione tecnologica", portatrice di progresso sì, ma di infelicità e imbarbarimento delle coscienze".
Ma quali coscienze. L'unica coscienza ammissibile è quella sociale, sintetizzata dal rapporto armonico tra l'uomo e la natura regolato nell'ambito di un'organizzazione non di classe, rappresentata da una centralizzazione organica dei problemi che il rapporto con la natura pone all'umanità.
Il marxismo, lungi dall'essere superato non si sa bene da che cosa, anticipava la necessità di un governo organico del rapporto con la natura e continua a sostenere che non è possibile tale governo se non si spazza via dalla faccia della terra l'attuale modo di produzione. Diceva Engels ne La dialettica della Natura:
"Non aduliamoci troppo per la nostra vittoria umana sulla natura. La natura si vendica di ogni nostra vittoria. Ogni vittoria ha infatti, in prima istanza, le conseguenze sulle quali avevamo fatto assegnamento; ma in seconda e terza istanza ha effetti del tutto diversi, imprevedibili, che troppo spesso annullano a loro volta le prime conseguenze. Le popolazioni che sradicavano i boschi in Mesopotamia, in Grecia, nell'Asia Minore e in altre regioni per procurarsi terreno coltivabile, non pensavano che così facendo creavano le condizioni per l'attuale desolazione di quelle regioni, in quanto sottraevano ad esse, estirpando i boschi, i centri di raccolta e i depositi di umidità. Gli italiani della regione alpina, nell'utilizzare sul versante sud gli abeti così gelosamente protetti al versante nord, non presentivano affatto che, così facendo, scavavano la fossa all'industria pastorizia sul loro territorio; e ancor meno immaginavano di sottrarre, in questo modo, alle loro sorgenti alpine per la maggior parte dell'anno quell'acqua che tanto più impietosamente quindi si sarebbe precipitata in torrenti al piano durante l'epoca delle pioggia. Coloro che diffusero in Europa la coltivazione della patata, non sapevano di diffondere la scrofola assieme al bulbo farinoso. Ad ogni passo ci vien ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore che domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa, ma che noi le apparteniamo con carne e sangue e cervello e viviamo nel suo grembo: tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra degli altri esseri viventi, di conoscere le sue leggi e di impiegarle nel modo più appropriato".
Se Engels fosse presente oggi non sarebbe così pacato nel suo esporre. L'uomo borghese ha una tremenda aggravante rispetto all'uomo dell'antichità classica che disboscava e desertificava i territori da lui abitati: allora i fenomeni duravano secoli e la conoscenza umana era del tutto insufficiente rispetto alle prospettive future, mentre oggi i fenomeni legati alla distruzione dell'ambiente sono conosciuti e si manifestano rapidamente. Assolviamo l'uomo antico e condanniamo senza riserve l'uomo borghese perché, pur essendo in grado di capire i meccanismi ecologici, predica per tranquillizzarsi individualmente, ma persegue il suo obiettivo capitalistico senza preoccuparsi minimamente delle conseguenze. E non potrebbe fare altrimenti, rimanendo borghese.
Ora, nella società attuale, la conoscenza, pur inficiata da gravi deficienze dovute a interessi di classe, non basta.
Nel testo che poniamo all'inizio come introduzione generale, Coltivazione delle catastrofi, si dice che
"nel tempo in cui il massimo bacchico furore pubblicitario è scatenato ad esaltare il progresso della scienza e della tecnica, l'effettiva attrezzatura e organizzazione delle generali reti di servizi con cui il formicaio degli uomini tutela il suo soggiorno sulla crosta terrestre, è in indecente regressione. Le nuove risorse, se sono in senso anche relativo al numero dei viventi e alle loro esigenze, maggiori delle antiche, sono sempre più indirizzate non alla sicurezza dei tutti, ma alla raffinata fregagione dei più".
L'amministrazione dell'intervento sulla natura non esiste più in ambito tardo-capitalistico perché la società nel suo insieme soggiace alle esigenze del capitale, sia quello dei singoli che soprattutto quello sociale, anonimo, senza fisico padrone. L'importanza dei testi, sottolineata dai temi contenuti nel testo d'apertura, consiste nella descrizione di una società ormai cadavere, incapace di governare la sua stessa esistenza, soccombente alle leggi che un tempo la fecero rivoluzionaria, impastoiata da burocrazie e mafie di ogni genere, tese soltanto ad un unico fine: la conservazione.
La scienza, la tecnologia, quindi la macchina e la sua applicazione alla produzione, dice Engels nello scritto citato, "fu destinata a rivoluzionare la situazione sociale di tutto il mondo, a procurare in particolare alla borghesia, in un primo tempo, il predominio sociale e politico, attraverso la concentrazione della ricchezza nelle mani della minoranza e la totale espropriazione della stragrande maggioranza, per generare poi, tra borghesia e proletariato una lotta di classe, che può aver fine solo con l'abbattimento della borghesia e l'abolizione di tutti i contrasti di classe. Ma anche in questo campo noi riusciamo solo gradualmente ad acquistare una chiara visione degli effetti sociali mediati, remoti, della nostra attività produttiva, attraverso una lunga e spesso dura esperienza, attraverso la raccolta e il vaglio del materiale storico; e così ci è data la possibilità di dominare e regolare anche questi effetti".
Noi, dunque, possiamo conoscere tramite studio ed esperienza i problemi inerenti la regolamentazione del comportamento umano in un rapporto organico con la natura. Ma in primo luogo la conoscenza attuale è limitata dagli interessi reali della borghesia. In secondo luogo la possibilità di dominare gli effetti sociali della produzione non dipende dalla conoscenza ma dai rapporti di classe. "Per realizzare questa regolamentazione", continua Engels, "occorre di più che non la sola conoscenza. Occorre un completo capovolgimento del modo di produzione da noi seguito fino ad oggi, e con esso di tutto il nostro attuale ordinamento sociale nel suo complesso".
In apertura collochiamo quindi un testo, Coltivazione delle catastrofi, che riassume lo spirito con cui furono redatti tutti gli altri: la catastrofe è il normale traguardo del corso capitalistico, così com'è anche un elemento dei suoi obiettivi intermedi, i disastri e le guerre.
Tale traguardo sarà anche l'atto d'inizio rivoluzionario della società umana.
Torino Novembre 1991.
Drammi gialli e sinistri della moderna decadenza sociale
Quaderni di n+1 dall'archivio storico.
Raccolta di testi sull'antitesi fra la dinamica del capitalismo e la vita sociale della specie umana in rapporto organico con la natura. Critica alla tecnologia come strumento dell'estorsione di plusvalore e della sua ripartizione in forma di rendita agraria e immobiliare. Il testo rappresenta anche una critica indiretta all'ecologismo riformista.