Prefazione
Pur essendo scritti in un lungo lasso di tempo, dal 1921 al 1972, gli scritti che qui raggruppiamo sotto il titolo Partito rivoluzionario e azione economica, sono legati da un unico filo. Essi dimostrano come la posizione politico-programmatica dei comunisti rivoluzionari non possa variare a capriccio nel tempo, ma si debba fondare sullo stadio di sviluppo (storico, non contingente) dei rapporti fra le classi. Nei confronti delle lotte rivendicative del proletariato e dell'evoluzione storica delle forme più diverse di associazione economica la posizione dei comunisti non può cambiare, non essendo cambiata, nell'arco di questo secolo, la natura dei rapporti sociali, se non per un ulteriore sviluppo delle forze produttive. La continuità si pone quindi in diretto contrasto con l'empirismo e l'assenza di principii, propri dei revisionisti e degli opportunisti.
Il primo articolo, intitolato Riformismo sindacale e apparso nel 1921, testimonia come i sindacati operai tendessero già allora (ma il fenomeno ha origini ben più lontane) a trasportarsi sul piano della collaborazione con la classe dominante e col suo organo di amministrazione e difesa, lo Stato, nel gestire l'economia capitalistica nel modo più efficiente e più atto ad illudere gli sfruttati di poterne attendere un miglioramento duraturo della propria condizione, come pretendono i tipici esponenti del sindacalismo attuale.
Il sindacato è un organismo che risponde ad esigenze economiche immediate: in genere per la difesa dell'esistente, più di rado per la conquista di miglioramenti nell'ambito di esso. Il fatto è che anche solo per questi obiettivi che non spostano assolutamente nulla dal punto di vista della collocazione sociale del proletariato, l'attività sindacale mette in contrapposizione, nello stesso tempo, gli appartenenti alle due classi antagoniste. Perciò è per sua natura in bilico fra una funzione conservatrice e una funzione di rottura dei rapporti di produzione. La funzione conservatrice si manifesta nella lotta quotidiana degli operai per difendere la loro condizione in questa società, ovvero nel curare i sintomi dovuti al loro sfruttamento, senza toccare le cause profonde di questo. Entro certi limiti ciò è addirittura benefico nei confronti del capitalismo, perché contribuisce alla sua stabilizzazione. In momenti di alta tensione sociale può invece manifestarsi una funzione di rottura che coinvolge gli organismi immediati, sindacato compreso. In presenza di una contrapposizione fisica di classe, il proletariato può in questi casi utilizzare l'esperienza accumulata in quella che Lenin definisce "guerriglia contro il capitale" e rompere la stabilità capitalistica. Ma ciò può avvenire soltanto attraverso la direzione politica rivoluzionaria.
Nel primo dopoguerra la tendenza conservatrice (usiamo questo termine nel senso stretto: che conserva ciò che c'è) del movimento sindacale è stata vigorosamente contrastata da una classe operaia in poderoso slancio sotto la pressione di condizioni materiali intollerabili. Ciò fu reso possibile soprattutto dalla presenza operante di un movimento comunista rivoluzionario mondiale. Ma la tendenza conservatrice ha in via del tutto naturale il sopravvento quando la situazione è controllata dalle forze conservatrici. Essa si è perciò enormemente rafforzata nei settant'anni successivi, soprattutto grazie a due elementi: la generalizzazione delle caratteristiche dell'imperialismo già analizzate da Lenin e la controrivoluzione staliniana che è entrata a far parte delle stesse forze dell'imperialismo.
Oggi, dopo l'esperienza sostanzialmente irreversibile del sindacalismo corporativo fascista, non si può neppure più parlare di una "tendenza conservatrice" dei sindacati, ma di una funzione stabilizzatrice della società svolta nella piena consapevolezza del ruolo da parte dei loro dirigenti.
L'integrazione sindacale nello Stato borghese è bene illustrata nel testo dal titolo Partito rivoluzionario e azione economica, apparso nel 1952 e dal quale prendiamo il titolo per l'intera raccolta.
Le tre fasi storiche del movimento sindacale ivi delineate, in maniera volutamente sintetica per mettere in evidenza i fenomeni più rilevanti, non vanno ovviamente intese come rigidamente distinte e separate. Esse sono fasi dialetticamente incrociantisi di un unico processo, il cui risultato ultimo è l'inserimento sempre più stretto degli organismi sindacali nei meccanismi di uno Stato capitalistico sempre più accentratore, perché dominato dalle grandi concentrazioni industriali e finanziarie tipiche dell'imperialismo.
Le scissioni sindacali in Italia, uscito nel 1949 sull'allora nostro quindicinale Battaglia comunista, confuta l'illusione, alimentata ad arte nella classe operaia dall'opportunismo, che la scissione avvenuta in quell'anno nel "sindacato unico" uscito dalla guerra come figlio della collaborazione fra "comunisti", socialdemocratici, democristiani, repubblicani e simili, potesse significare il ritorno della neo-costituita CGIL almeno alle tradizioni di relativa indipendenza del sindacato operaio dallo Stato borghese.
Il sindacato unico nato nel 1945 era irrimediabilmente "tricolore", cioè votato alla causa della ricostruzione nazionale e della buona salute della economia borghese; tale sarebbe rimasta la CGIL (quanto alla CISL e alla UIL, lo erano per definizione), senza neppure una goccia di rosso ed anzi con l'irrevocabile destino di affondare ogni giorno di più nel pantano di cui oggi respiriamo tutto il fetore. Ne risultava implicitamente smentita anche l'illusione inversa, che cioè una riunificazione delle tre maggiori confederazioni avrebbe fatto perdere alla CGIL un sia pur vago carattere di classe , permettendo di conseguenza un automatico riformarsi del sindacalismo rosso. D'altra parte, riunificando e separando nuovamente negli anni successivi le loro strutture nel settore dell'industria metalmeccanica, le tre confederazioni hanno dimostrato di subire in pieno l'ambiguità della loro situazione: sono responsabili e civili nei rapporti con la classe che dovrebbe essere avversaria, ma non possono però spingersi fino all'aperto corporativismo fascista. Con l'attuale struttura dello Stato, che è totalitaria e corporativa come quella fascista ma democratica nel trattare le questioni di classe, le tre confederazioni non possono semplicemente ignorare le spinte presenti nella classe operaia (ne sarebbero travolti), quindi acconsentono all'unità e anche alla lotta quando occorre, e soprattutto quando ciò non mette in discussione la loro responsabilità verso l'economia borghese. In questo caso l'unità serve solo per ricondurre il movimento nell'ambito dello sviluppo aclassista della produzione.
I comunisti non si limitano a constatare una tendenza obiettiva irreversibile, né si arrendono alla sconfitta che rappresenta per il movimento operaio lo svolgersi finora incontrastato del processo appena tratteggiato. Nel 1921, quando uscì il secondo degli articoli che riproduciamo, Il fronte unico, non solo si poteva e si doveva lottare per condurre potenzialmente tutti gli operai, di qualunque affiliazione politica, sul terreno di un'unica battaglia di resistenza allo sfruttamento capitalistico, con metodi di azione e con obiettivi immediati unificanti (economico-sindacali e, in una certa misura, anche politici) per battersi contro il fronte unito degli sfruttatori, ma si poteva e si doveva operare altresì per la fusione dei tre sindacati che allora, per le ragioni già dette, mantenevano, sia pur fra contrasti, il carattere di organizzazioni tendenzialmente autonome dallo Stato (CGIL, USI, Sindacato Ferrovieri: nessuno avrebbe considerato operai i sindacati bianchi o gialli, di ispirazione cattolica o repubblicana!)
La prospettiva era quella di conquistare il sindacato unito alla direzione comunista, unica possibilità di reale "indipendenza" dell'associazione economica proletaria. Se oggi porsi questo problema sarebbe irrealistico, resta il fatto che soltanto su questa via è possibile una seria e consistente ripresa di classe del proletariato, e l'articolo dimostra come, nella visione marxista, l'opera di affasciamento degli strati più vasti possibili della classe operaia sul terreno della difesa delle condizioni di vita e di lavoro, non solo non contraddice allo sforzo per organizzare in partito politico un nucleo di proletari, necessariamente minoritario perché selezionato, ma rappresenti l'altra faccia del medesimo problema: quello della preparazione rivoluzionaria.
La dimostrazione che il proletariato non deve rivendicare una giustizia nel rapporto che lo lega al capitalista, è condotta nei tre articoli Marxismo e miseria, Lotta di classe e "offensive padronali" e Precisazioni. Il riformismo che inevitabilmente permea il sindacato come permea il finto partito di classe, predica la crescita economica, quindi la lotta alla miseria attraverso investimenti e, naturalmente, riforme di struttura. Ma il proletario è per definizione un senza riserve e un senza riserve ipoteca la propria stessa esistenza per sopravvivere, perché deve vendere la propria forza-lavoro. Non ha nulla che lo possa tenere in vita se il mercato delle sue braccia non ne richiede l'utilizzo. L'appropriazione del plusvalore nel processo produttivo è il meccanismo che lo rende paupero, lo stesso meccanismo che invece rende possidente il capitalista. La guerra distrugge persino le suppellettili del proletario senza proprietà, ma non distrugge i titoli di possesso del capitalista. "I titoli del possidente sopravvivono in parte a qualunque distruzione materiale perché sono diritti sociali sanciti dallo sfruttamento altrui... Le guerre hanno dunque rovesciato senza possibilità di equivoco altri milioni e milioni di uomini nei ranghi di quelli che nulla hanno da perdere... fuorché le loro catene".
La nota Precisazioni su Marxismo e miseria e Lotta di classe e "offensive padronali" è uno di quei capisaldi che, nati per confutare di passata alcune idee confuse, rimangono poi come pietre angolari a segnare il lavoro futuro dei militanti rivoluzionari.
La questione è ultranota: i proletari sono meno poveri oggi di quanto non lo fossero un tempo. Quindi la legge marxista della miseria crescente è sbagliata. La breve nota riporta uno schema che echeggia come uno sparo in grado di tappare la bocca per sempre agli apologeti del capitale e ai loro servitori: "Nei calcoli sul riparto del plusvalore... bisogna fare attenzione a questo: non dividere la massa dei salari per il numero degli operai occupati, ma per il numero totale dei proletari... La legge viene in piena luce. Più accumulazione, minor numero di borghesi. Più accumulazione, maggior numero di operai, ancora maggior numero di proletari semioccupati e disoccupati e di peso morto di sovrappopolazione senza risorse. Più accumulazione, più ricchezza borghese, più miseria proletaria"
Il calcolo sul riparto semplice del plusvalore ci offre lo specchio della miseria crescente relativa, quello sul riparto complessivo del plusvalore rende "chiaro il passo di Marx sulla legge assoluta". Quando i partiti del falso marxismo chiamavano il proletariato a lottare per la falsa dottrina dell'aumento produttivo come aumento della ricchezza di tutti, era necessario spiegare che con ciò non si faceva altro che tradire tutti quanti i principii basilari del marxismo.
Albione e la vendetta dei numi corona i precedenti articoli con osservazioni intorno al rapporto stretto esistente fra la politica internazionale e lo sfruttamento del proletariato nei diversi paesi. Nella consueta presentazione "sul filo del tempo" il testo riprende la polemica fra Marx e Gladstone dimostrando che, siccome il disagio della classe operaia è ammesso dal primo ministro inglese anche nelle congiunture di prosperità economica, la legge della miseria crescente della classe operaia è operante non in via congiunturale ma per i meccanismi dell'accumulazione.
Nel secondo dopoguerra la congiuntura non è per nulla favorevole all'Inghilterra. Gli Stati Uniti vincitori espandono la loro influenza economica tramite l'influenza delle loro truppe di occupazione e la crisi che investe l'area della Sterlina non è che una conseguenza del declino britannico di fronte all'avanzata americana.
Ma le crisi valutarie internazionali non sono che il riflesso di una ripartizione del plusvalore dovuta in parte alla concorrenza e in parte al gioco della potenza militare che si traduce in monopolio e quindi in rendita. Rendita intesa in senso capitalistico, cioè come sovrapprofitto, cioè come plusvalore supplementare di cui qualcuno può impossessarsi. Ecco quindi che sulla legge della miseria crescente si innesta il discorso sui contrasti interimperialistici, sull'uso propagandistico che si fa di essi da parte dell'opportunismo e su ciò che veramente interessa i comunisti rivoluzionari: il contrasto fra capitale internazionale e lavoro umano.
Testo importante che noi inseriamo nella questione della lotta e dell'organizzazione a fini economici per sottolineare i compiti del partito rivoluzionario anche in questo campo della sua attività, i mezzi e la tattica correlati al fine ultimo della rivoluzione: "Le due illusioni controrivoluzionarie che si possa avviare la classe operaia di un paese ad un definitivo e progressivo benessere o con il flusso illimitato di scambi con l'estero (Gladstone e Truman) o con la costrizione entro un consumo interno di prodotti interni (Butler e Stalin) si integrano e si completano dialetticamente in una sola tesi: la liberazione della classe che lavora dallo sfruttamento, dall'infelicità e dalla dispettosità di incartapecoriti numi si realizza solo spezzando l'inganno della economia monetaria e mercantile, uscendo dai limiti della economia simbolica, sia il simbolo oro, argento, banconota o assegno bancario, per arrivare alla economia fisica, che conoscerà e risolverà problemi di materie, macchine e uomini e non di simboli, non più sensati e benefici degli antichi e maligni iddii".
Il testo che pubblichiamo in appendice, Il partito di fronte alla questione sindacale, apparso nell'organo del Partito Comunista Internazionale Il Programma Comunista nel febbraio del 1972 e ripubblicato in opuscolo con il titolo Punti di orientamento e direttive pratiche di azione sindacale , riprende tutti questi temi rivendicando l'imprescindibile necessità, per i comunisti rivoluzionari, di partecipare attivamente alle lotte economiche del proletariato e alle organizzazioni sindacali aperte a tutti gli operai, anche se dirette dai peggiori opportunisti.
Non è mai successo nella storia del movimento operaio che i sindacati svolgessero opera rigorosamente di classe o che fossero esenti da pesanti ipoteche riformistiche. Marx disse cose feroci sugli operai inglesi inquadrati nelle Trade Unions e indifferenti alla loro condizione di sfruttati. L'alternativa non è mai stata per i comunisti quella di fondare sindacati "rossi" in alternativa a quelli esistenti. Si è sempre trattato, invece, di mostrare nei fatti, con il rigore del proprio metodo di lotta e delle proprie parole d'ordine che la stessa "funzione sindacale si completa e si integra solo se alla dirigenza degli organismi economici (e delle lotte rivendicative) sta il partito politico di classe del proletariato".
La stessa lotta rivoluzionaria ha bisogno di una rete di organizzazioni immediate, economiche o meno, conquistabili alla guida del partito di classe. Ciò indipendentemente dal tormentato processo di disfacimento, ricomposizione, rigenerazione degli organismi attuali in fasi di ben più alta tensione sociale e politica rispetto ad oggi, le sole che possono permettere un cambiamento.
Il testo, sotto forma di tesine , come alla sua comparsa fu chiamato, risente delle stesse determinazioni di cui parla a proposito dello sviluppo della lotta di classe, delle organizzazioni economiche e del partito rivoluzionario. La discussione intorno alla "questione sindacale" si è sempre fatta acuta, nelle alterne vicende del partito formale, nella misura in cui si è fatto acuto il problema reale della possibilità di partecipazione e dell'indirizzo delle lotte immediate.
Era appena passato il cosiddetto Autunno caldo, che di "caldo" dal punto di vista rivoluzionario non aveva certamente nulla; un massiccio ciclo di lotte aveva portato ad una soddisfazione di richieste normative e salariali, ma le illusioni residue del Maggio francese avevano anche provocato un senso di insoddisfazione e di incertezza; la folle articolazione della lotta e la sua durata nel tempo con lo stillicidio degli scioperi a ore aveva contribuito ad estendere la critica alle centrali sindacali e alle loro dirigenze partitiche. Erano nati organismi immediati in opposizione al sindacalismo opportunista e, non potendo svilupparsi un tradeunionismo classico in alternativa, si era sviluppato un combattivo sindacalismo minoritario "rosso", alquanto ininfluente, velleitario, improvvisato e quindi dilettantistico, confuso. Nessuno di questi aggettivi deve confondere il lettore: la nostra critica non ha nulla di spregiativo; semplicemente registra il dato di fatto di un sussulto di lotta e di auto-organizzazione, durato lungo tutti gli anni '70, che attingeva non solo all'ideologia, ma anche alla prassi correnti pur criticandole violentemente a parole.
Per esempio, il "movimento" si paludava di un'esteriorità violenta, ma era una violenza di tipo individuale che non aveva nulla a che fare con quella di classe: gli episodi violenti nelle fabbriche furono di numero e di portata ben più modesta di quanto la borghesia avesse interesse far credere. In realtà venivano continuamente riproposte posizioni politiche ricucite su quelle dell'opportunismo che si voleva combattere, un "illegalismo bastardo" come l'abbiamo chiamato nell'immediato dopoguerra, per la rivendicazione di libertà, democrazia e giustizia salariale. Il terrorismo assorbì pienamente l'atteggiamento rivendicazionista di tipo sindacal-contrattuale fino ai vertici raccapriccianti dei "processi", sia alle persone che, nei documenti politici, alla forma capitalistica. Non è un caso che alla fine, alcune frange di "illegalismo bastardo" giungessero a sottolineare perfettamente questa contraddizione presentandosi con il senno di poi come recipiente raccoglitore di un "vero riformismo", senza il quale la spontaneità sarebbe finita in un terrorismo endemico.
A parte l'ideologia che vi si sovrappose, un movimento reale aveva tentato di contrastare l'opportunismo sindacale e politico già dall'inizio degli anni '60. Le tesine registravano il fenomeno e lo mettevano in connessione con l'esperienza storica del partito. Era quindi corretto sottolineare come fosse inevitabile una politicizzazione del contrasto con le centrali sindacali e soprattutto con quelle staliniste. Ed era corretto sottolineare come, nel corso dell'ondata rivoluzionaria autentica futura, potessero sorgere organismi immediatamente politici, come lo furono i Soviet in Russia (e come lo fu il sindacato della grande ribellione polacca del 1980).
Era corretto rilevare la necessità di un chiarimento, nella propaganda e nell'azione quotidiana, il duro ma necessario cammino che si deve percorrere per rompere le pastoie riformiste con cui, nel secondo dopoguerra, l'opportunismo aveva paralizzato la classe operaia anche sul pur modesto terreno della lotta per un salario meno infame e per un tempo di lavoro meno asfissiante. Si trattava di elencare i presupposti minimi perché su questa strada si applicassero le tesi di partito, anche perché non erano poche le occasioni in cui gruppi di proletari che si organizzavano autonomamente staccandosi dalle organizzazioni ufficiali entravano direttamente in contatto con il partito tramite la lotta sindacale.
Ciò che non risalta a sufficienza nelle tesine è la dimostrazione che la maturità della situazione materiale di allora non era affatto di quella misura che permette il salto di qualità, tant'è vero che i maggiori critici di esse caddero proprio nella prassi che indicavano come errata nei Punti di orientamento. Sia che propugnassero un'azione sindacale "tradizionale", sia che tendessero a seguire la corrente velleitaria, anche i critici non si discostarono molto da un'azione purtroppo simile in tutti i gruppi esistenti. La soluzione, come al solito per i marxisti, non era nel "giusto mezzo" e non si poteva imporre con salomoniche decisioni di chicchessia.
L'impostazione secondo la quale si doveva " cominciare a marciare con decisione" conteneva un errore di fondo ricollegabile al volontarismo e presente in altri testi di partito circolati per una decina d'anni: se si comincia vuol dire che non si è fatto prima, e questo è in contrasto con le tesi della Sinistra secondo cui il partito, per quanto sfavorevole la situazione, non si nega per principio nessuna delle attività tipiche dei periodi favorevoli, nella misura in cui i reali rapporti di forza lo consentono. D'altra parte "cominciare a marciare con decisione" era un modo di dire derivato dalla concezione, da noi combattuta, che il partito dovesse quasi per sua forza interna, quindi per sua volontà, superare l'isolamento storico che lo separava dall'azione di indirizzo nei confronti delle "masse".
Per chi ha vissuto quel periodo travagliato è dunque facile scorgere nelle tesine non solo qualche imperfezione, ma anche un'eco di tendenze reali che dettero in seguito cattive dimostrazioni. Coloro che invece le leggono per la prima volta troveranno che esse riassumono abbastanza fedelmente le posizioni della Sinistra. In fondo rappresentano uno dei tanti semilavorati e anche un lavoro imperfetto non fa che sottolineare ciò che la stessa Sinistra ha sempre affermato: un partito non nasce e non si sviluppa nel Limbo ma attraverso determinazioni materiali che influiscono sui militanti, specie quando viene a mancare il contatto dinamico con la classe.
Le tesine sono parte della storia della nostra corrente e le pubblichiamo, così come sono state scritte, nel contesto di altri lavori di partito che le integrano. Vogliamo così fornire, a chi voglia studiare seriamente, gli strumenti necessari ad evitare - altro grande insegnamento della Sinistra - oltre agli errori passati, anche lo "sport della critica". A questo scopo, sempre sulla "questione sindacale" e in particolare sulla natura dell'intervento sindacale di partito in tutte le situazioni, abbiamo pubblicato anche il Quaderno n. 2, Sindacati e rivoluzione, che integra il presente volume.
Torino, febbraio 1992.
Partito rivoluzionario e azione economica
Quaderni di n+1 dall'archivio storico.
Le annose questioni che riguardano il rapporto fra il partito, le organizzazioni per la lotta immediata e le radici materiali della lotta di classe.