Il rivoluzionario marxista non confronta con il passato ma con il futuro

Semilavorati e continuità

Scienza economica marxista come programma rivoluzionario non è il titolo originale ma quello che abbiamo scelto per questa raccolta di articoli-resoconto. Essi rappresentavano la parte "economica" delle riunioni generali del Partito Comunista Internazionale dall'ottobre '59 al settembre '64. Il titolo scelto corrisponde a quello di un capitolo interno e non a quello originale che era semplicemente Questioni di economia marxista; esso rispecchia meglio il contenuto che è quello di dimostrare quanto ormai sia necessario il passaggio ad una nuova forma sociale.

La pubblicazione degli articoli iniziò sui numeri 22 e 23 de Il programma comunista nel 1959, proseguì sui numeri 1, 2, 12, 13, 19, 20, 21 del 1960, sui numeri 1, 2, 19 e 20 del 1962, 8 e 9 del 1963, e terminò sul numero 16 del 1964. Come più volte ricordato in apertura dei resoconti sulle riunioni generali, si tratta di semilavorati che venivano proposti a tutta l'organizzazione come materiale di studio e che sarebbero serviti per elaborazioni successive. I testi non erano immutabili, come ricordano le nostre Tesi di Napoli né volevano e potevano essere perfetti di getto, dato che non si lavorava per una perfezione fine a sé stessa, cioè non si adottavano metodi di natura estetico-editoriale ma di esattezza scientifica. Si trattava (e si tratta) di lavoro pratico per la rivoluzione, non di lavoro per il mercato dei libri.

Per questo si poteva affermare che venivano messi a disposizione "prodotti soltanto semilavorati e quasi grezzi, che sarebbero bastati ai compagni per tirare innanzi", come si legge nella premessa a Rivoluzioni storiche della specie che vive, opera e conosce in Programma n. 8 del 1960, intitolata Costruzione generale del rude lavoro del nostro movimento.

"Lavoriamo a frammenti e non stiamo costruendo un'enciclopedia comunista. Altrimenti non può essere", dato che la controrivoluzione limita la quantità di energia applicabile. Soltanto nei periodi in cui la rivoluzione matura, l'umanità produce le sue Enciclopedie, come ne produsse la classe borghese, peraltro già come risultato impersonale del vittorioso nuovo modo di produzione. La nostra enciclopedia per ora è il Manifesto di Marx ed Engels, dice il testo citato. La vittoria della rivoluzione nel '17 in Russia cui fosse seguita quella occidentale "poteva darci una enciclopedia integrata e inviolabile, ma le urgenze della storia lo impedirono ai primi congressi; la prospettiva della rivoluzione era in quella fase al tempo stesso troppo ricca di illusioni generose e di traditrici insidie. Non si poteva né si voleva fermarsi e si andò avanti accettando troppi amici ed alleati, rinviando la selezione a dopo la vittoria. La storia non ha scelte ma cause, e ne seguì la catastrofe. Se non si potette stereotipare l'enciclopedia quando eravamo troppo forti, non si può pretendere di farlo quando si è troppo deboli [...] La rivoluzione delle generazioni avvenire salderà insieme i pezzi che i nostri sforzi limitati ma non timorosi collegano alla trama del quadro originale, già perfetto, come cento volte ripeteremo, oltre un secolo prima di oggi".

Tra i semilavorati occorre quindi operare un collegamento, non perché essi siano separati come opere a sé stanti, ma proprio perché esiste un nesso che li rende unitari. Insomma, la loro separazione deriva soltanto dall'esigenza di seguire i tempi di preparazione delle relazioni e dell'uscita a puntate sulla stampa di partito. Così i testi che qui presentiamo devono essere letti con quelli che non solo sono espressamente citati, come l'Abaco dell'economia marxista, ma fanno parte integrante di un ciclo indivisibile: per esempio gli Elementi dell'economia marxista, o la serie sul Corso del capitalismo mondiale, oppure Vulcano della produzione o palude del mercato? e altri ancora, oggi tutti disponibili in ristampa. Il nesso è: il capitalismo, sia occidentale che russo, ha dato tutto ciò che poteva dare allo sviluppo delle forze produttive. Non esiste una curva discendente del capitalismo proprio perché è ascendente e continua la curva della forza produttiva sociale, ma è confermata la previsione di Marx sulla caduta del saggio di profitto. La riduzione degli incrementi annui della produzione industriale in ogni paese in cui si sviluppa il capitalismo e nel quale il capitalismo invecchia, corrisponde alla legge della caduta tendenziale del saggio di profitto ed è l'unico modo per calcolarne le conseguenze a partire dai dati che ci mette a disposizione la borghesia.

Dunque, con l'avanzare del mondo verso un capitalismo sempre più generalizzato e integrato, non si giunge tanto ad un supercapitalismo quanto, all'opposto, ad una dimostrazione palese che è necessario un cambio qualitativo nella società, un passaggio storico.

Scienza economica marxista concentra l'analisi su due concetti fondamentali: la riproduzione del capitale (quindi le possibilità di accumulazione e il meccanismo della crisi) e il confronto fra la società capitalistica e società futura, confronto con il quale si mette in evidenza lo spreco immane di energie, di prodotti e di lavoro insiti nella sopravvivenza dell'attuale modo di produzione.

I testi di partito erano spesso redatti a più mani, scritti e rielaborati in un lavoro misto, sia personale che collettivo. Nel caso di Scienza economica marxista, attorno al tema centrale sviluppato da Bordiga si raccoglie il materiale elaborato da e con altri compagni e verificato prima della pubblicazione in quelle che venivano chiamate scherzosamente "riunioni dei negri" dal termine usato da Alessandro Dumas padre per indicare quel vero e proprio laboratorio collettivo che sfornava i "suoi" romanzi. Dal testo abbiamo tolto alcuni riferimenti redazionali che servivano semplicemente a collegare le varie puntate, ma uno lo vogliamo riportare per intero. In esso Bordiga scrive:

"Il relatore sull'argomento della presentazione della dottrina economica del marxismo premise che dato il carico di lavoro in questa riunione ancora una volta si sarebbe segnato il passo in questo studio che nei suoi risultati definitivi è da vario tempo ancora fermo ai due fascicoli dell'Abaco dell'economia marxista che hanno data l'espressione in formule quantitative delle fondamentali dottrine del Capitale per l'intero Primo Libro e per la sola Prima Sezione del Secondo.

Nelle precedenti riunioni si è varie volte riferito (come anche nei resoconti apparsi su queste pagine) delle sezioni successive del Secondo Libro fino alla teoria della accumulazione semplice e progressiva, ma i non pochi materiali arrecati abbisognano di un coordinamento definitivo di formule, schemi e quadri che sono stati varie volte mostrati alle riunioni ma non ancora pubblicati. Tale compito è ponderoso e richiede l'apporto collettivo degli sforzi di tutto il movimento; la principale difficoltà sta nel fatto che la materia del Secondo Volume, sulla circolazione del capitale (il tema da cui esce la condanna economico-storica del modo capitalistico di produzione) non l'abbiamo che per tronconi, senza la sistematica pensata da Marx, e senza che Engels per espressa sua dichiarazione abbia voluto costruire una sistematica propria, ritenendo di non avere il diritto di sostituire opera propria alle pagine meravigliose ma solo "semilavorate" lasciate dalla penna del gigante Marx.

Il compito sarà meno arduo per il Terzo Libro, che, studiando il processo di insieme, ha un tema più sociale-politico che conduceva direttamente al programma del partito, quando la redazione ne venne spezzata sul tema: le classi; a grande sfruttamento di tutto l'opportunismo carognone successivo e anche recentissimo.

Poiché noi rifiutiamo nettamente ogni pretesa di aggiornatori del sistema, e non vogliamo inventare le parti rimaste nell'ombra per effetto delle forze agenti nella lotta storica, e riaffermiamo che il marxismo si formò in un tutto monolitico e definitivo proprio nell'epoca 1840-70 in cui lavorò Marx (e così sarebbe stato anche se la persona Carlo Marx non fosse mai nata), la principale via per affrontare il problema che ci siamo posti, e che le necessità della annosa lotta contro i deformatori ci hanno posto, è di utilizzare le fonti del marxismo in Marx ed Engels soprattutto, ma anche altrove; e quindi la ricerca sui testi storici è il compito fondamentale.

Tale via non è da percorrere da un solo uomo e nemmeno da una sola generazione, essa esige la partecipazione di tutto il partito da tutte le sue sedi e in tutti i suoi aggruppamenti delle varie lingue, tra le quali la più interessante è ovviamente quella tedesca, se pure oggi il movimento tedesco si presenta come il più sconquassato dalla crisi generale.

Anche in questo settore i compagni del gruppo parigino hanno fornito materiale ricco e preziosissimo che si è andato accumulando senza che ancora si sia potuto tutto utilizzare, e in questa non lunga esposizione attingeremo ad esso sia pure in modo non del tutto organico".

Scienza contro moralismo

Al centro dell'elaborazione sullo sciupìo sociale che è il tema conduttore dei testi, è l'insensatezza della riproduzione capitalistica, resa evidente già dalla formulazione del percorso tramite cui avviene la valorizzazione del capitale. Il denaro, prima di diventare altro denaro maggiorato in quantità, deve diventare merce. Il ciclo non può compiersi senza passare attraverso la produzione e la realizzazione del surplus, ovviamente trovando acquirenti sul mercato. Per quanto ciò possa sembrare banale, in questo ciclo sta descritta la vita ma anche la morte del capitale. È su questi temi che si è sviluppata in passato la polemica fra gli apologeti dell'eternità del Capitale, i rivoluzionari che volevano distruggerlo e i riformisti che pretendevano di cambiarlo a partire dalle sue stesse leggi.

Se invece di un ciclo continuo avessimo un punto di partenza, per esempio il denaro, poi la produzione, poi la merce attraverso cui avere più denaro, avrebbero ragione i falsi marxisti moralisti che vedono nel capitalismo una specie di truffa, un furto del plusvalore, cioè un furto di quella parte della giornata lavorativa in cui l'operaio non lavora per sé ma per il padrone. Io ho forza lavoro e tu hai denaro: in un patto tra soci, il processo lavorativo cui diamo luogo produce una merce venduta e un ricavo che va diviso esattamente a metà, dedotto l'interesse che ti prenderai per aver anticipato denaro. Se ti accaparrassi più del pattuito io ti denuncerei perché sarebbe come se tu mi avessi fatto lavorare gratis, nessuna regola morale o giuridica ammette che si possa lavorare per nulla in una società non schiavistica. Ma in una società che funzionasse soltanto sulla base di contratti individuali, dopo alcuni cicli di fregatura i "fregati" non ci cascherebbero più.

Così non è. Il rapporto capitalistico è un rapporto sociale che si forma storicamente in un grande arco di tempo nel quale matura un rapporto di produzione che separa lavoro da capitale. In tale separazione il plusvalore può concretizzarsi soltanto quando il capitalista acquista merci, tra cui la forza-lavoro, e le getta nel processo produttivo dal quale ricava altre merci che vende. Queste merci gli appartengono con tutti i crismi della moralità e della legge ed egli ne fa ciò che vuole. Il carattere feticistico della merce consiste proprio in questo: che nella merce si incorpora lavoro sociale che diventa proprietà particolare ma deve confrontarsi di nuovo socialmente sul mercato, condizione che rende materiali i rapporti fra persone e sociali i rapporti fra cose. Un processo storico che cancella l'origine del ciclo produttivo e rende indifferente se incominciare da D in D → M → P → D o da P, cioè P → M → D → P.

Se siamo soci mi paghi un servizio e il valore della merce va spartito a metà. Se non lo fai potrò far valere il mio diritto. Se invece siamo operaio e padrone, mi paghi la merce forza-lavoro al prezzo di mercato cioè secondo giustizia e diritto. Il mio diritto e la mia giustizia saranno moralmente pari ai tuoi ma, come dice Marx, "diritto contro diritto decide la forza". Qui non c'entra più la morale ma la lotta di classe, perché nel rapporto fra operaio e padrone si è annullato storicamente il punto d'origine del processo.

La condanna storica della società capitalistica non sta in una ingiusta suddivisione del frutto del lavoro. O meglio: la suddivisione avviene e l'appropriazione del plusvalore anche, ma avvengono secondo il diritto; non c'è da cambiare il diritto ma da conseguire il rivolgimento totale di questo modo di produzione basato sull'appropriazione privata del frutto del lavoro sociale. Non si tratta di spezzare la catena in un determinato punto che ci è indifferente, si tratta di eliminare la infernale reazione a catena che permette l'accumulazione capitalistica.

Chi si accinge quindi a studiare il capitalismo al livello della circolazione delle merci e della formazione dei prezzi per trarne delle indicazioni sul suo funzionamento ed eventualmente sulla sua passibilità di riforma, si ferma al circolo vizioso ed infinito Denaro → Merce → più Denaro ecc. La circolazione è il mezzo passivo e infecondo dell'accumulazione, anche se quest'ultima non può avvenire senza che il denaro e le merci si scambino sul mercato, abbiano cioè una circolazione.

Produzione privata e distribuzione sociale

Ma anche accogliendo tutte le categorie marxiste e soffermandoci su di esse come su di un semplice insieme meccanico, non riusciremmo a scandagliare abbastanza a fondo la vera natura del capitalismo. Se ci basassimo soltanto sulla divisione della giornata lavorativa in lavoro per la riproduzione della forza-lavoro dell'operaio e lavoro erogato per la formazione del plusvalore che va al capitalista, non avremmo capito la vera natura delle catene che legano lo sviluppo ulteriore delle forze produttive della società.

Se il capitalista consumasse e gozzovigliasse fino a mangiarsi tutto il plusvalore non dimostrerebbe tanto l'immoralità del suo sistema economico quanto la sua individuale stupidità. Ma è proprio questa invece la tendenza superficiale dei correnti critici del capitalismo che si fermano al miserabile livello di "analisi" dello spreco e del parassitismo. Se il capitalista, singolo o collettivo (Stato) si comportasse veramente a quel modo, si verificherebbe un passaggio dalla riproduzione allargata ad una situazione di riproduzione semplice, nella quale il sistema capitalistico sarebbe inchiodato al non-sviluppo storico.

Il passaggio a condizioni di riproduzione semplice, o addirittura a condizioni di disaccumulazione può avvenire durante le crisi, ma esso non può essere un fatto permanente nell'economia capitalistica; esso può avvenire solo transitoriamente, mai per "colpa" di qualcuno, bensì per contraddizioni intrinseche nel modo di produzione capitalistico. In breve, tralasciando l'ingordigia di capitalisti che dovrebbero consumare tutto il plusvalore, abbiamo che il ciclo di trasformazione del denaro in merce (o della merce in denaro) è soggetto alla divisione della società in rami di produzione e in singole aziende le quali non sono mai in armonia ma in concorrenza. Esse acquistano merce, ricevono denaro, riacquistano merce e forza-lavoro in modo del tutto anarchico per cui, lungi dal sincronizzare le proprie azioni sullo sfondo dell'intera società, agiscono singolarmente e creano la potenzialità di crisi (per esempio ingolfando i magazzini dei rivenditori) prima che entrino in funzione i meccanismi regolatori della domanda e dell'offerta idolatrati dagli economisti borghesi.

I meccanismi regolatori del capitalismo non sono coscienti, essi seguono deterministicamente i rapporti causa-effetto e quindi intervengono dopo che si sono verificate condizioni irregolari da parte della produzione rispetto al mercato. Il meccanismo regolatore del capitalismo per eccellenza non è la programmazione economica ma la crisi, la guerra, la distruzione di capitale e di uomini.

Quando, si afferma nel testo, ci troviamo di fronte ad una società che funziona per aziende, singole o raggruppate che siano, e queste aziende vendono o comprano merci alla fine o all'inizio del ciclo, non importa se esse sono di proprietà di un capitalista o se addirittura il capitalista non esiste: ci troviamo di fronte, comunque, ad un sistema produttivo di stampo prettamente capitalista. E viene ricordata "la solita Russia".

Il massimo guaio del capitalismo è quello di produrre e di realizzare privatamente ma di aver bisogno, per queste due funzioni, di una distribuzione sociale del prodotto, per cui le merci di ogni capitalista si confrontano immediatamente con le merci di tutti gli altri.

Questo duplice aspetto della merce è superato solo con l'eliminazione della merce stessa. L'antitesi del modo di produzione appena descritto è una società in cui l'anarchia sia superata con il superamento del sistema d'azienda; in cui all'inizio del ciclo e alla sua fine non entrino od escano merci, ma prodotti di consumo regolati dalla umana soddisfazione dei bisogni e non dalla necessità fine a sé stessa di creare plusvalore, affinché "questo proporzionamento avvenga per misure fisiche e non per misure di valore economico, fino al punto che la soddisfazione dell'umano bisogno e l'attività per conseguirla coincidano in un atto solo ed in una stessa umana gioia".

Continuità e invarianza non sono solo parole

Il metodo di lavoro che stava alla base dei risultati raggiunti e pubblicati, come Scienza economica marxista, scaturisce sempre dalla necessità di non isolare mai un problema singolo, ma di inquadrarlo nella complessiva concezione della critica a questa società, unico modo per raggiungere una sicurezza teorica anche nella definizione dei compiti futuri. Come non si può studiare il capitalismo senza studiare la società mercantile precedente e dalla quale esso scaturisce, così non si può avere (e offrire ad altri nella normale opera di propaganda e proselitismo) una concezione della società futura senza inquadrarla nell'intero percorso dell'umanità attraverso i successivi modi di produzione.

I testi della nostra corrente si intersecano e si collegano tra di loro e alla produzione scritta marxista in una infinita proposizione di spunti. Il marxismo è totalitario nel senso che ingloba tutte le discipline del mondo scientifico, economico, sociale ecc. Ha anticipato ciò che gli scienziati borghesi, costretti dal contatto con il mondo materiale a muoversi materialisticamente in contrasto con il loro idealismo, hanno chiamato interdisciplina, con una parola che denuncia essa stessa l'incomprensione della globalità dell'approccio scientifico: le discipline rimangono separate, ogni tanto c'è bisogno di un coordinamento tra di esse, ma niente più.

Il marxismo invece lascia una traccia storica scritta che rappresenta la base per la scienza unica di cui oggi si sente il bisogno senza tuttavia capire che significato possa avere. I testi prodotti negli anni '50 e '60 dalla Sinistra si ricollegano direttamente agli altri testi del marxismo come Einstein si ricollega a Newton, integrandolo e aggiungendo un gradino alla scala della conoscenza che è comunque sempre poggiata sui primi gradini. Il marxismo anticipa la "biblioteca totale" vagheggiata dalla letteratura o, se vogliamo un riferimento informatico, un "ipertesto" attraverso cui il militante non degenerato naviga con sicurezza, attingendo materiale e costruendone di nuovo semplicemente portando a migliore definizione ciò che nella struttura originaria già esiste. La biblioteca totale marxista comprende anche ciò che la borghesia pensa di sé stessa e del suo sistema economico, dato che la critica è negazione della negazione. Ma anche per via del fatto che la borghesia è costretta ad arrendersi di fronte al marxismo quando debba utilizzare il metodo scientifico per ottenere qualche suo risultato tecnico.

Il concetto di invarianza è prepotentemente sottolineato in questa come in altre raccolte proprio per i riferimenti continui lungo i rami della conoscenza. Invarianza è anche, addirittura, l'indicazione pratica per il lavoro a venire, per cui il lavoro stesso non è mai concluso, è un processo dinamico, un semilavorato continuo che ricorda il percorso della scienza della natura verso la conoscenza con le sue approssimazioni successive e le intuizioni folgoranti che esplodono "catastroficamente" dopo che si è accumulato potenziale sufficiente per il salto discontinuo, per la singolarità storica rappresentata dalle rivoluzioni.

Così nel corso della lettura si incontra tanto la citazione fedele dai sacri testi quanto la provocatoria dilatazione, fino all'estremo della comprensibilità, di un lampo d'intuizione di poche parole di Marx ("Il capitalismo non esiste"); oppure si riprendono lavori passati e si anticipano lavori futuri; oppure ancora, si intreccia il formalismo matematico con descrizioni che hanno valore letterario alla stregua delle grandi opere scientifiche del passato, come nei formidabili testi "Sul filo del tempo" da noi tutti pubblicati.

"Scienza economica marxista come programma rivoluzionario" è dunque un titolo scelto anche per sottolineare la continuità con l'approccio globale alla scienza quale lo troviamo nell'Antidühring o in Dialettica della natura di Engels. Scienza come programma rivoluzionario significa unire natura ad artificio, fisica a società, astrazione ad attualità concreta, in una generale relazione dialettica che non ammette mai di isolare una parte dal tutto. Programma è un codice che scaturisce dalla dinamica del passato per affrontare un risultato futuro o per ottenerlo: più è parziale il programma, più sarà parziale il risultato affrontato od ottenuto.

Lo studio dei meccanismi attraverso cui il Capitale prepara le basi materiali della società futura si riferisce quindi alle società passate e trae conclusioni che servono da ponte per lo studio ulteriore: il capitalismo è una rivoluzione se confrontato con il passato e non è male in sé, anche se è una delle più "fetenti" società che siano mai esistite, ma il confronto non ci dice nulla se non viene fatto anche con la società futura, unico indice di quanto l'umanità ci rimetta nel rimanere ancorata a questa specifica forma di produzione dura a morire.

Il lavoro sulle caratteristiche dell'accumulazione, della crisi e sullo sciupìo di umana energia è quindi collegato "al lavoro, da molto tempo in cantiere nella nostra attività collettiva, di ordinamento della serie tipo delle forme sociali, che sarà tema di prossime elaborazioni e riunioni ed è contemplata internazionalmente nei 'programmi di lavoro' della nostra organizzazione, che sa che si potrà operare in estensione solo dopo avere operato in profondità, senza isterismi frettolosi".

Tale compito sarà poi affrontato e i suoi risultati pubblicati sulla stampa di partito con il titolo Le forme di produzione successive nella teoria marxista, anche questo oggi disponibile.

Luxemburg, Bucharin e l'accumulazione

Il capitalismo, analizzato con metodo scientifico, rivela dei meccanismi di funzionamento che non gli permettono di sopravvivere. Eppure, sorprendentemente, come osserva Marx nel capitolo sulle cause antagonistiche alla caduta del saggio di profitto, sopravvive. Anche nel nostro testo si afferma che il capitalismo chimicamente puro, ridotto ad un rapporto fra soli industriali e proletari, i quali ultimi acquistano, producono, consumano e preparano con il plusvalore le quote aggiuntive di capitale, non potrebbe funzionare. Eppure funziona e sopravvive a sé stesso con grande capacità di annichilire la potenzialità della classe che ha il compito storico di affossarlo.

Il fatto è che il capitalismo non è chimicamente puro ed ha ancora margine per incorporare, cioè espropriare, vaste aree del mondo non ancora capitalistico. Non intendiamo necessariamente aree geografiche. Nessuna società capitalistica, per quanto progredita, è composta da soli proletari e capitalisti. Il fenomeno dell'espropriazione di classi non proletarie e non borghesi che vanno ad ingrossare le file dei senza-riserve è un fenomeno alterno. Da una parte il Capitale espropria contadini e artigiani gettandoli nel proletariato, creando quindi le basi per un allargamento della produzione, con l'aumento del numero dei proletari e dei capitalisti, con l'aumento dei consumi dell'intera società, quindi allargando il ciclo produttivo. Dall'altra, l'introduzione di macchine e di sistemi automatici o di metodi più razionali elimina dal ciclo produttivo uomini che vanno ad ingrossare la sovrappopolazione relativa. L'espropriazione e l'aumento della proletarizzazione possono benissimo accompagnarsi all'espulsione di forza lavoro dalle fabbriche e alla creazione, a seconda se gli affari vanno bene o male, di nuove leve delle mezze classi o di nuove leve di senza-riserve, proletari senza lavoro, contadini senza più terra ma senza nessuna possibilità di diventare proletari.

Se l'alternanza di espansione e crisi coincide comunque con l'allargamento della base produttiva, se aumentano comunque i consumi e il numero dei proletari, se comunque nella circolazione il plusvalore viene realizzato e reimmesso nella produzione e nei consumi, allora il meccanismo dell'accumulazione funziona. "Se tutte quelle condizioni si verificassero" dice il testo "è certo che il capitalismo potrebbe durare eterno; ma è appunto perché nella realtà sociale non si verificano mai che esso va verso la sua fine".

È a questo punto che viene introdotto il commento sulla grandiosa polemica che contrappose e contrappone i marxisti ortodossi a tutti gli altri marxisti imbastarditi, quindi non marxisti. Si può sostenere una teoria del crollo del capitalismo e quindi attendere che la sua malattia endogena lo porti alla fine? O si può sostenere, al contrario, che il capitalismo ha in sé risorse sufficienti per diventare un supercapitalismo eterno per cui lo si può solo riformare? Come tutti sanno la disputa fu titanica e dura tuttora che di titani sulla scena non ce ne sono proprio.

Il testo pone a confronto solo le tesi dei marxisti ortodossi Luxemburg e Bucharin. Entrambi hanno ragione sui punti fondamentali, entrambi sbagliano su questioni di secondaria importanza. Il testo li salva entrambi perché combattono dalla stessa parte della barricata contro le deviazioni socialdemocratiche e riformiste. Ma aggiunge qualcosa alla polemica, qualcosa che né la Luxemburg né Bucharin avevano pienamente avvertito: la società futura non è semplicemente un altro modo di ripartire il plusvalore creato nella produzione, è qualcosa di infinitamente diverso: "una volta eliminato il pluslavoro, tutta la vita della specie umana consterà di tempo di lavoro necessario e più precisamente la vita stessa sarà veramente necessaria alla società per sé stessa, quando produce mezzi materiali, quando pensa, mangia e dorme". Guai concepire, come fa specialmente Bucharin, la società futura come una società dell'equilibrio nell'accumulazione, della ripartizione del surplus nella società programmata.

D'altra parte né la Luxemburg né Bucharin ebbero modo di superare lo scoglio perché furono assassinati dalla controrivoluzione. La Sinistra si assunse il compito e dimostrò che il comunismo è molto di più che la semplice assenza del capitalismo. Ecco perché è importante la polemica o, meglio, il tentativo contrastato di ricercare le vere caratteristiche della società futura, deducibili solamente dalla negazione totale delle categorie esistenti in quella presente.

Se il capitalismo chimicamente puro ricordato in precedenza non sopravviverebbe alla prova dei fatti e non sarebbe neppure possibile, "è evidente il gioco dello scontro tra forma pienamente borghese e forme economiche preborghesi, che la Luxemburg introduce giustamente ma senza nulla aggiungere al marxismo; per il quale è classicamente chiaro che il contatto deve vedersi sia storicamente che geograficamente; ed ecco un altro immenso campo di lavoro della nostra organizzazione sul tremendo problema dei popoli 'arretrati'".

In ogni modo il nostro testo insiste su un concetto fondamentale che nella disputa storica viene a volte sottovalutato o addirittura dimenticato: "La dottrina marxista delle crisi compare nella riproduzione semplice [...] Quando il sistema capitalistico entra in crisi non avviene soltanto la contraddizione stridente e lacerante con la sua esigenza storica di allargarsi, ma avviene addirittura che viene impedita la sua circolazione in quantità costante, ossia si ha una riproduzione negativa rispetto alla riproduzione semplice, una parte di valore che già ha preso la forma di capitale produttivo, industriale, si polverizza, e la somma sociale dei mezzi di produzione circolanti come capitali discende paurosamente dal livello storico raggiunto".

Il capitalismo non "realizza"

La formalizzazione matematica promessa nel testo per quanto ne sappiamo non fu mai elaborata e sicuramente mai pubblicata, quindi il dibattito tra Rosa e Nikolaj Ivanovich viene riportato in modo descrittivo. Esso riguardava un punto essenziale: la realizzazione del plusvalore, ovvero della totalità del valore incorporato nelle merci che escono dalle fabbriche, dedotto il capitale anticipato. La domanda è: nell'ipotesi che tutti nella società siano capitalisti industriali o proletari salariati, chi acquista, nella reiterazione del ciclo M → D → M ecc. la quota di prodotti che rappresenta plusvalore da reinvestire? Il testo risponde argomentando seccamente:

"Per principio il capitalismo non realizza, il che determina la sovversione delle equivalenze merci-moneta, e lo sbocco è di regalare o distruggere , peggio che svendere, le sue merci, ossia dilapidare la umana forza lavoro, per la impossibilità di dare al lavoro una disciplina organizzata".

Lette oggi, 1992, queste parole del 1960, si possono immediatamente collegare alla crisi attuale, ben più evidente, perché più maturo è il capitalismo, di allora. Oggi le merci si regalano a coloro che sono stati sradicati dall'economia locale di sussistenza ma sono esclusi dal circuito capitalistico, o si distruggono in un vortice infernale di breve ammortamento e di concorrenza che ha portato i prezzi delle merci industriali a livelli insopportabili per il profitto. La ricerca della produttività individuale delle singole aziende si scontra con l'anarchia sociale che nessuna regolamentazione e successiva deregolamentazione ha potuto evitare. Il sostegno all'agricoltura ha portato a prezzi singoli bassi ma a costi reali insostenibili dagli Stati e a una sovrapproduzione relativa per cui montagne di prodotti vengono trasformati in cibo per gli animali o semplicemente distrutti. Il mondo non capitalistico interno ed esterno alle frontiere dei singoli paesi è in rovina e non può rappresentare il tramite per la realizzazione del plusvalore se non in maniera insufficiente. La rendita urbana e mineraria è l'unica garanzia per la solvibilità dei capitali che vagano in cerca di valorizzazione nelle borse e fra i titoli di Stato facendo giganteggiare la finanziarizzazione delle attività dell'intero pianeta.

Questo risultato, ampiamente previsto da Marx quando affermava che con il crescere della forza produttiva della società sempre più plusvalore si sarebbe tradotto in rendita, è sottolineato da Lenin con l'analisi dell'imperialismo, fase suprema del capitalismo in cui gli Stati più potenti si trasformano in parassiti dell'umanità e mantengono questa condizione con la forza delle armi e con il controllo dei flussi di capitale in cerca di valorizzazione.

Marx fa un'osservazione fondamentale contro gli economisti del suo tempo: il passaggio da merce a merce attraverso il denaro non è una forma di baratto mediata da una merce particolare, ma una forma sociale evoluta di scambio, non più tra valori d'uso ma tra tempi di lavoro e valori d'uso. Questa separazione contiene in sé il potenziale non realizzo del valore. Il mercato, cioè la circolazione, è un limite assoluto allo sviluppo delle forze produttive e un limite relativo alla realizzazione del plusvalore. Un limite assoluto, perché la forza produttiva sociale si blocca di fronte alla non completa utilizzazione del potenziale di fabbrica nella produzione di valori di scambio; un limite relativo, perché non si può produrre a volontà, ma solo in rapporto al bisogno sociale di valori d'uso.

Inoltre, il valore di una merce nel corso della sua stessa produzione può essere diverso dal valore delle merci corrispondenti quando essa sarà messa sul mercato. Siccome la forza produttiva sociale aumenta, il ritardo fra produzione e realizzazione, cioè vendita, rappresenta un ragione immanente di svalorizzazione. Una merce che stia due mesi in magazzino prima di essere venduta ha perso due mesi nella competizione con le sue simili appena sfornate dalla linea di montaggio. Per quanto impercettibile possa sembrare questo processo, esso si aggiunge sia al processo parallelo di obsolescenza delle lavorazioni necessarie per produrre la merce in questione, sia al fatto che nella competizione l'unica cosa sicura è la produzione, non certo la vendita. D'altra parte, in certi settori, come quello dell'elettronica o dell'informatica, i due mesi di magazzino sono realmente una perdita garantita, come può succedere, dato il frenetico progresso tecnico, che un prodotto esca sul mercato già vecchio, quindi con valore alto e quindi irrealizzabile.

Il capitalista si presenta come soggetto di scambio sul mercato in quanto produttore, ma il suo interlocutore è un soggetto di scambio che gli si presenta come consumatore. Si può agevolmente vedere che lo scambio merce-denaro può non avvenire per via della semplice separazione tra i due tipi di valore che si incontrano per scambiarsi. Se ciò avviene, il prodotto, cioè la merce, non solo non acquisisce plusvalore, ma perde addirittura il valore originario, finché lo scambio non avvenga. La tendenza al ritardo nello scambio è immediatamente svalorizzazione, quindi il problema della realizzazione del plusvalore ha, in Marx, delle implicazioni ancora maggiori di quanto la Luxemburg scopra con la sua indagine (confrontare nei Grundrisse, da pag. 367 dell'edizione Einaudi). Tant'è vero che la separatezza e la svalorizzazione non rappresentano l'unico problema. Per lo scambio, quindi per la realizzazione del valore di scambio, occorre passare tramite il denaro, il quale altro non è che plusvalore precedente:

"Il plusvalore creato in un punto richiede la creazione di plusvalore in un altro punto, con il quale possa scambiarsi... Una condizione della produzione fondata sul capitale è quindi la produzione di un cerchio della circolazione costantemente allargato... La tendenza a creare il mercato mondiale è data immediatamente nel concetto del capitale stesso... Il commercio non si presenta più come funzione che ha luogo tra le produzioni autonome per lo scambio dell'eccedenza, bensì come presupposto sostanzialmente universale e momento della produzione stessa".

Soltanto l'ipotetico denaro originario precapitalistico non è ancora plusvalore, oppure l'oro e l'argento cavato dalle miniere, che è immediatamente denaro.

Risulta evidente che la ricerca va impostata ponendosi in un'ottica esterna al capitalismo, altrimenti diventa impossibile immaginare qualcosa di diverso dalla separatezza degli elementi che si devono scambiare sul mercato. Solo in una società non capitalistica sarà possibile produrre un non-valore di scambio, cioè una non-merce, cioè un valore d'uso immediatamente per il consumo. Ciò significa eliminare anche la separatezza fra produttore e consumatore, fare in modo che siano la stessa entità. Ciò che manca sia alla Luxemburg che a Bucharin è la forza di porsi al di fuori del capitalismo per capire l'importanza della negazione delle categorie capitalistiche. Infatti la Luxemburg banalizza la questione del surplus nel socialismo, mentre Bucharin giunge ad affermare che già nel capitalismo di stato la pianificazione può teoricamente evitare la crisi.

Dopo Marx, la Sinistra è l'unica a riprendere il metodo di spingere il confronto con la società futura per avere strumenti migliori di critica alla società capitalistica. La polemica dei due rivoluzionari rimane quindi a un livello inferiore rispetto ai risultati già presenti in Marx.

Mentre Bucharin dimostra contro la Luxemburg che gli schemi di Marx possono essere conclusivi con lo sviluppo del capitalismo, la grande rivoluzionaria puntava proprio a dimostrare che il capitalismo avanzava verso la sua fase suprema, quella che non gli avrebbe permesso di realizzare il plusvalore estorto alla classe operaia. La dinamica di Bucharin era limitata alla dinamica del capitale e, pur essendo corretta l'impostazione teorica, non teneva sufficientemente conto della dinamica storica, della limitatezza del globo terrestre, ma soprattutto della contraddizione fondamentale: il capitalismo distrugge esso stesso le condizioni del proprio sviluppo. L'espropriazione delle classi non capitalistiche procede più velocemente dell'assorbimento di queste nella popolazione proletarizzata.

Bucharin era nel giusto con la sua limpida ed evidente formalizzazione del problema, la sua esposizione quasi didattica degli schemi di Marx, mentre la Luxemburg in vari punti si inceppa dal punto di vista teorico. Ma la Luxemburg vede più lontano e la sua formidabile intuizione è materia che abbiamo oggi sotto agli occhi. Il capitalismo è una società del continuo disequilibrio e riesce a raggiungere un ordine precario solo mettendosi in contraddizione continuamente con sé stesso. Come dice Marx a proposito di uno studio su Say, il capitalismo procede per aggiustamenti dei guai che provoca, il suo ordine è dovuto al caso e gli osservatori passivi di questo movimento non sono che degli scienziati del caso.

Accumulazione russa

Come si adatta bene questa descrizione agli attuali economisti borghesi, maghi dell'analisi tecnica degli andamenti, meccanici ragionieri del trend, perfezionisti della proiezione statistica su un futuro che guardano come il cartomante guarda i tarocchi.

Osserviamo l'economia chiusa dell'ex Unione Sovietica. Il capitalismo russo si è espanso nel primo periodo a ritmi eccezionali eliminando a volte spontaneamente, a volte con determinata ferocia, i residui della vecchia società. In ciò non si è differenziato dallo storico comportamento della società borghese nei confronti delle altre società, come ben dimostra la Luxemburg nella parte descrittiva della sua Accumulazione a proposito dell'espansione coloniale delle grandi potenze. L'economia russa post rivoluzionaria aveva a disposizione materia sufficiente per garantire una veloce realizzazione del plusvalore: isole moderne di capitalismo appena trapiantato, uno Stato centralizzato sotto il controllo della dittatura proletaria, un partito che conosceva bene i meccanismi di sviluppo del capitalismo e un enorme serbatoio di contadini e artigiani da proletarizzare. Ma la chiusura su sé stessa della rivoluzione a causa del riflusso occidentale e dell'isolamento internazionale che ne seguiva, costringeva il meccanismo di accumulazione all'interno dello Stato Nazionale, essendo i rapporti di scambio con gli altri paesi quasi esclusivamente rappresentati dalle materie prime. La Russia era costretta alle condizioni primitive che Marx utilizza nel suo esempio di conclusione dello schema riproduttivo: pagava il plusvalore altrui, ne rendeva possibile la realizzazione fornendo oro dalle sue miniere. Acquistava senza vendere, cioè pagando con ciò che traeva dalla terra, mentre i suoi partners vendevano senza acquistare dato che prendevano oro in cambio di macchine e manufatti. L'oro è direttamente denaro perché così si è venuto a determinare nella storia, ma il meccanismo non cambia se al posto dell'oro mettiamo qualsiasi materia prima: ferro, petrolio, gas, legname, diamanti, tutto ciò che ha realmente rappresentato veicolo di cambio con il capitalismo più sviluppato.

Raggiunto un certo grado di sviluppo, le risorse interne per l'accumulazione non potevano più bastare: la vendita di materie prime diventava percentualmente poco importante rispetto al volume della produzione interna e comunque bastava appena per pagare i materiali ad alta tecnologia o altre limitate importazioni; il Colcos, per molto tempo pilastro dell'economia dopo l'industria pesante, non accumulava come le aziende agrarie ma addirittura dissipava in mille rivoli la rendita che, invece di essere concentrata nelle banche per costituire capitale per lo sviluppo del credito, veniva consumata o tesaurizzata improduttivamente nell'economia parcellare di famiglia. Non si poteva utilizzare neppure l'immensa quantità di plusvalore assorbita dalla rendita urbana, dato che non esistevano grandi proprietari e grandi costruttori che rendessero possibile una concentrazione di capitale sufficiente per riciclarla nel settore industriale attraverso le banche: anche in questo caso la gigantesca attività edilizia in centinaia di città (una cubatura totale pari a 150 città come Torino costruita ex novo in 70 anni) era sostanzialmente demandata alle cooperative che, come i Colcos, rappresentavano una dispersione del capitale invece della necessaria concentrazione.

Studiando la realtà russa con gli elementi messi a disposizione dalla Luxemburg, vediamo che Bucharin aveva ragione fino a che sono state possibili le grandi avanzate della produzione, della proletarizzazione e dei consumi; ma ha avuto in definitiva ragione la Luxemburg non appena lo sviluppo si è scontrato con la chiusura dello schema.

Il capitalismo da molto tempo ormai trova piccolo il mondo intero e un capitalismo delle dimensioni di quello russo non poteva sopportare più a lungo di essere soffocato entro limiti invalicabili e non comunicare con il mondo.

Lavoro in eredità

La mistificazione su cui si sono basate molte critiche alla Luxemburg è la confusione che i suoi detrattori hanno fatto fra domanda esterna al circuito capitalistico e domanda esterna ai paesi capitalistici, come se per sopravvivere il capitalismo avesse bisogno per forza di colonie. Il problema non è questo. Il commercio fra aree capitalistiche e aree non capitalistiche, dice il nostro testo, "dev'essere quindi inteso nel senso non della geografia politica delle diverse nazioni, ma in quello dell'economia sociale presa nel suo complesso, e, dato al termine 'commercio internazionale' il contenuto che gli compete, si vede che la domanda la quale provoca l'allargamento della riproduzione totale è una domanda esterna alla società capitalistica, non proveniente né da proletari né da capitalisti: chi realizza il plusvalore è dunque questa domanda esterna, qualunque essa sia".

Lo schema della Luxemburg è molto semplice e i suoi critici borghesi ne trascurano la portata in genere fissandosi sugli "errori teorici" della formalizzazione. Essi, come si dice in un passo tratto da In difesa della Luxemburg, apparso su Il programma comunista n. 21 del 1960, "si guardano bene dal richiamare il lettore a quello che è il pregio indistruttibile dell'opera: l'analisi delle condizioni storiche reali in cui l'accumulazione capitalistica si svolge e dei problemi politici, rivoluzionari e di classe che essa impone al proletariato e al suo partito".

Il capitalismo si nutre di non-capitalismo; nutrendosene lo distrugge; quando sarà tutto distrutto sarà anche giunta l'ora della fine del capitalismo. Ciò non significa affatto dire: sediamoci e aspettiamo che il capitalismo si suicidi. L'intuizione della Luxemburg sta in una tendenza storica, tanto più valida quanto più si va avanti con la trasformazione del mondo in un'unica area capitalistica. Ma la lotta rivoluzionaria può abbreviare il decorso storico ed anche evitare che il sopravvivere del capitalismo decomposto porti ad una decomposizione di tutte le classi, prevista in linea teorica da Marx, e da cui l'umanità faticherebbe non poco a sollevarsi.

Le questioni non sono affatto semplici e neppure risolte. La discussione continua tuttora e il nostro testo raccomanda al movimento di lavorare attorno alla soluzione: "Lo studio ulteriore di questo dibattito non può che mostrare come i grandi rivoluzionari Luxemburg e Bucharin siano dalla stessa parte della barricata contro i nefasti dell'opportunismo revisionista, che in forma parallela entrambi li uccise. Tuttavia è un dovere del movimento marxista che segue loro e noi di porre ordine in queste questioni portando nella giusta luce i passaggi vitali tra la trattazione economica e quella storica e politica, e, per dirla nel solito modo abbreviato, filosofica".

Abbiamo preso alla lettera questa raccomandazione e abbiamo cercato di dare il nostro contributo ai testi collegati con la pubblicazione sulla senilità del capitalismo (Crisi storica del capitalismo senile) e quella specifica sulle questioni legate all'accumulazione e ai processi reali del capitalismo verso la sua maturazione (Teoria dell'accumulazione capitalistica - Dinamica dei processi storici).

Tremendo Marx

La dimostrazione della Luxemburg ci avvicina ad un campo parimenti trattato nei testi che presentiamo e che è quello della necessaria transitorietà del capitalismo. La insensata "giostra a vuoto" dell'accumulazione capitalistica è già la dimostrazione della potenziale scomparsa del capitalismo. Se il particolare rapporto borghese viene studiato nella sua dinamica è del tutto evidente che esso, come tutti i rapporti precedenti, va verso un suo storico superamento. Ma non si tratta di attendere che vi sia uno scioglimento automatico del processo, nascita - decorso vitale - senilità - morte. Il capitalismo dimostra con il suo modo di funzionare che, giunto ad uno sviluppo in cui ha dato luogo a tutti gli elementi della sua sopravvivenza (sistema del credito, capitale azionario, impersonalità del capitale, eliminazione della funzione del capitalista come persona), ha raggiunto la dimostrazione della sua propria non-esistenza.

"Fate qualche esercizio del muscolo della dialettica. Il ragionamento col quale noi proviamo che il capitalismo esiste oggi in Russia è lo stesso col quale, in un passo tremendo, Marx deduce che il capitalismo non esisteva già nel 1860-70 in Inghilterra ed Europa!" Ecco che cosa dice Marx: "Questa proposizione è egualmente la proposizione della non esistenza della produzione capitalistica, e perciò della non esistenza dello stesso capitalista industriale. Infatti il capitalismo è già fondamentalmente soppresso dalla proposizione che il godimento e non l'arricchimento sia il motivo determinante".

Il capitalismo, potenzialmente già superato dal processo storico dell'umanità verso la fine del vero medioevo, quello che separa il comunismo primitivo dal comunismo sviluppato, sopravvive soltanto in quanto divora inutilmente energia umana, che viene dissipata nel tentativo di governare la propria anarchia produttiva e distributiva.

Tutta la seconda parte dei testi presentati analizza dettagliatamente lo sciupìo capitalistico.

Il controllo delle attività capitalistiche avviene attraverso il valore di scambio di ogni merce, intendendo per merce i prodotti del lavoro ma anche il lavoro stesso, compreso quello occorrente per amministrare il lavoro altrui e i valori prodotti da questo lavoro.

Secondo la scuola economica russa (ma anche polacca e in genere stalinista) si trae da Marx il permanere della contabilità di scambio, quindi implicitamente dello scambio stesso, nella società socialista. Sopravvivenza dello scambio e del valore di scambio significa sopravvivenza della legge degli equivalenti, la quale può esistere solo se si rapportano tutte le merci ad un equivalente unico: il tempo di lavoro. La scuola economica stalinista riconosce implicitamente che il cosiddetto socialismo russo non è altro che capitalismo che sfrutta lavoro salariato.

La dissipazione dovuta alle spese commerciali può essere eliminata da una distribuzione in armonia con i bisogni e la produzione. Tali spese rientrano nella generale attività umana devoluta al soddisfacimento di un livello generalizzato di bisogni e quelle inutili possono sparire in breve con un semplice atto politico.

Le spese di contabilità e di amministrazione sono invece legate alla trasformazione economica. Sono assenti o insignificanti in una società primitiva, aumentano con il mercantilismo, raggiungono il massimo grado con l'economia capitalistica sviluppata e il predominio dello Stato nel governo dell'economia, come oggi, che uno Stato moderno spende circa la metà del valore prodotto ex novo in un anno dall'intera popolazione per la propria macchina burocratica. La burocrazia è un fenomeno che si ridurrà drasticamente con il socialismo, e scomparirà con la scomparsa delle categorie capitalistiche (scambio attraverso il valore, contabilità, lavoro salariato, macchina statale). La burocrazia non è quindi un ceto a sé stante, ma il riflesso di un preciso rapporto sociale. Lo spreco dovuto al suo mantenimento e quello da essa stessa provocato è transitorio insieme alle sue determinazioni economiche. Il riferimento alla "solita Russia" è evidente.

Una svista di Engels

Nel comunismo sarà ancora necessaria una contabilità, ma essa non registrerà più valori equivalenti bensì quantità fisiche necessarie, si passerà dalla contabilità di segni astratti di valore a quella di quantità dimensionali: numero di lavoratori, quintali di grano, ore di lavoro ecc.

Engels dice esplicitamente in una nota al Secondo Libro del Capitale di aver eliminato passi contraddittori di Marx in cui egli si perderebbe in un campo che conosceva poco, quello della contabilità commerciale. Sebbene Marx abbia lasciato "un grosso fascio di quaderni nei quali egli ha svolto ogni sorta di calcoli commerciali illustrati in numerosi esempi", secondo Engels Marx aveva dato "importanza immeritata ad una circostanza che in effetti ha scarso rilievo". Pur non dubitando che dal materiale a disposizione non si potesse trarre più di quanto non abbia fatto Engels, nel nostro testo non si condivide del tutto la spiegazione di quest'ultimo.

"Che il capitalismo per tenersi in vita consumi più o meno di mezzi monetari, in sé stesso non interessa molto, e fin qui Engels ha ragione. Ma interessa la costruzione marxista nella contestura di tutte le sue parti il confronto differenziale fra le forme storiche, quella precapitalistica ed il capitalismo industriale, e tra questo e il comunismo [...] Il problema di Marx lo possiamo definire come la ricerca del grado di sciupìo di ciascuna forma sociale. Noi non guardiamo alla ricchezza sciupata; e tanto meno all'oro o agli altri tremolanti suoi simboli, ma al lavoro umano, al grado di sacrifizio e di tormento che alla specie umana, e alla sua parte attiva avanti tutto, arreca la produzione di una certa massa di consumi, e di propri consumi".

Dobbiamo aggiungere qualcosa al testo, alla luce dello studio di altri semilavorati come Proprietà e Capitale o altri fecondissimi resoconti di riunioni comparsi sull'organo della nostra corrente.

Engels dice, nell'annotazione citata: ciò che importa è "la dimostrazione che, da un lato, una parte considerevole del capitale industriale dev'essere sempre presente in forma denaro, e che dall'altro una parte ancor più considerevole deve assumere temporaneamente la forma denaro". Il punto di partenza di questa considerazione è il motivo dell'intero capitolo XV di Marx che contiene spunti molto importanti per la nostra ricerca sul capitalismo maturo.

Marx si chiede come si possa calcolare la quantità di denaro che occorre per far fronte alla produzione tra l'inizio e la fine del ciclo, da quando viene anticipato il capitale a quando viene venduta la merce per realizzare il plusvalore. Nel corso della ricerca viene argomentata la conclusione appena citata di Engels: bisogna tenere in cassa sempre una certa quantità di capitale in forma di denaro mentre in circostanze dovute alla separazione fra le aziende e in ultima analisi all'anarchia produttiva, di volta in volta occorre averne una quantità ancora maggiore.

Marx argomenta minuziosamente spiegando persino il meccanismo attraverso cui si giunge a far lavorare i proletari per esempio mezza giornata (non c'era ancora la Cassa Integrazione Guadagni) oppure, all'inverso, a far lavorare contemporaneamente un maggior numero di proletari (turni) per sopperire alle influenze del tempo di rotazione sulla grandezza del capitale anticipato. E il tempo di rotazione dipende da cause "esterne" alla singola azienda.

Con la verifica storica della legge della caduta tendenziale del saggio di profitto è chiaro che oggi è sempre più difficile, anzi, impossibile, trasformare una grande quantità di capitale nel denaro necessario per far fronte alle anticipazioni. Da molto tempo ormai per questo denaro si ricorre al sistema bancario. Ciò diminuisce il profitto esattamente della quota dovuta alla banca per l'interesse. I proletari per definizione non risparmiano, essendo il salario l'equivalente della loro propria riproduzione fisica; i capitalisti che chiedono il denaro al sistema bancario è perché evidentemente non ne hanno da collocare a risparmio. Da dove vengono i capitali che le banche mettono a disposizione? Marx offre una definizione cristallina del capitale bancario: esso è la somma dei capitali che rimangono "liberi" nella società e che sono concentrati attraverso la banca, solo modo per poterli utilizzare nelle quantità e concentrazioni necessarie al capitalismo moderno. Ma da chi provengono i capitali che rimangono liberi nella società?

Dottrina del grado di dissipazione capitalistico

Ci viene spontaneo il collegamento con Rosa Luxemburg. La ricerca sullo sciupìo rappresenta un legame fondamentale con quella sulla possibilità di realizzazione del plusvalore. Attraverso un'altra strada abbiamo verificato che il capitalista deve ad un certo punto rivolgersi alla banca per avere denaro che non può essere denaro di un altro capitalista.

Ma un altro mostruoso veicolo di sciupìo si rivela per questa strada. Ad un certo grado di sviluppo del capitalismo, non è solo il capitalista che ha bisogno di anticipi di denaro, ma è tutta la società, è lo Stato stesso a battere cassa. Quello Stato che permette e facilita la riduzione a metà del lavoro in singole fabbriche, ma non può permettere che milioni di disoccupati abbassino i consumi a livello insopportabile per l'economia e per la pace di classe e quindi ricorre a svariati e costosi meccanismi di ammortizzamento sociale. Quello Stato che crea intorno alla classe produttiva un cordone sanitario di mezze classi distribuendo a piene mani il plusvalore creato nelle fabbriche, ma non può permettersi l'insorgere di ceti parassitari extracapitalistici che sostituiscono quelli espropriati direttamente dallo sviluppo capitalistico e incominciano ad esercitare un potere indipendente. Quello Stato che ha utilizzato a piene mai il plusvalore abbondante del periodo di ricostruzione ai fini di conservazione di classe e che ora si ritrova a dover sostenerne l'onere come spesa inutile e dannosa, tanto che la conservazione di classe diventa immediatamente taglio della spesa.

Ecco che anche il debito di una società rappresenta un buon indice del grado di dissipazione del capitalismo nel tentativo di sopravvivere a sé stesso. Quantifichiamolo: 1.800.000 miliardi di lire di debito statale italiano, cui si somma il debito privato che non sappiamo a quanto ammonti ma che non è azzardato rapportare alla stessa cifra. Due anni e più di valore prodotto ex novo, due anni di lavoro per una ventina di milioni di proletari, da calcolare in valore-lavoro più plusvalore.

Il capitalismo moderno ha ampiamente bruciato ogni tentativo di quantificazione da parte di Marx nel secolo scorso. Altro che spreco dovuto all'immobilizzazione di una grande quantità di circolante. Lo Stato deve oggi setacciare l'intera società perché non può permettersi che neanche una lira rimanga immobilizzata, tutto deve diventare capitale da anticipare per lo stimolo dell'economia che non ha più risorse autonome per funzionare. Ogni lira "libera nella società" deve essere presa a prestito pagando gravosi interessi o dividendi tramite titoli di stato o azioni di aziende pubbliche, private o in via di privatizzazione. Ma torniamo a Marx.

Se noi confrontiamo con il passato non ci sono dubbi: a parità di merci utili prodotte, il capitalismo nelle sue prime fasi ha rappresentato un vantaggio, un'economia di impegno lavorativo, di applicazione di energia umana. Occorre molto "circolante" (che è lavoro umano accumulato), ma in compenso la produzione in grande stile, l'organizzazione e la disciplina del lavoro sopperiscono e l'umanità fa un vero salto qualitativo.

Il confronto non con il passato, ma con la forma di produzione futura ci dà immediatamente la misura di un ulteriore, enorme vantaggio sociale: viene mantenuta la produzione in grande, automatizzata e razionale, ma si getta alle ortiche la necessità di immobilizzare una massa di tempo di lavoro sotto forma monetaria.

"Si tratta di costruire la dottrina del grado di dissipazione propria della produzione capitalista che è dissipazione e sciupìo di tempo umano di lavoro".

Nel nostro Quaderno n. 9, Teoria dell'accumulazione capitalistica, abbiamo dimostrato matematicamente che il saggio di plusvalore del 100% scelto da Marx per le sue dimostrazioni era un tasso medio di sfruttamento (termine equivalente) ottimale per il ciclo capitalistico. La prima forma di dissipazione è dunque rappresentata dal lavoro non pagato rispetto al lavoro necessario a riprodurre la forza-lavoro e posto da Marx, come dal testo qui presentato, metà e metà, oppure 1/1, cioè il 100% accennato. La rappresentazione matematica ci rende immediatamente percepibile un fatto che la società moderna esaspera ma che Marx aveva già annotato: un saggio di sfruttamento maggiore significa maggiore automazione degli impianti, maggiore spesa per macchine e rinnovamento tecnico, quindi minore saggio di profitto. L'estremo macchinismo che dovesse sostituire tutti gli uomini con macchine sarebbe a saggio zero. Nella società reale, ad una caduta del saggio di profitto per via dell'aumentata forza produttiva della società si risponde con un allargamento della scala della produzione, in modo da compensare il declino del saggio di profitto con l'aumento della sua massa. Ma siccome ciò non può farlo tutta la società, dato che diminuirebbe enormemente il numero degli occupati, ecco che la via naturale attraverso cui si ristabilisce il saggio medio è quella dello sviluppo di rami di attività a bassa composizione organica, dove il rapporto uomo-macchina è a favore dell'uomo, nel senso che numerosi operai mettono in moto meno capitale anticipato, lavorano più a lungo e sono pagati di meno. Insomma, nella società capitalistica moderna vi è un continuo aggiustamento (o conflitto) fra alta e bassa composizione organica del capitale, tra estorsione di plusvalore relativo (macchinismo) e plusvalore assoluto (manodopera fatta lavorare più a lungo con paga più bassa).

Scaletta della dissipazione e indicatori del benessere

Se il Primo libro de Il Capitale ci insegna che il primo livello di dissipazione si calcola dal saggio di plusvalore, cioè dal rapporto fra plusvalore e salario, constatiamo con Marx, nell'ambito dello studio sullo sciupìo, che attinente a questo primo livello vi è l'impossibilità per il capitalismo di sollevare l'uomo dalla fatica e dal lavoro con l'introduzione piena delle macchine. Esse si rivelano, ad un certo grado di introduzione generalizzata, un potente fattore di disequilibrio economico e quindi sociale. Ma questa forma di dissipazione, dice il testo, è ancora la meno preoccupante: "Il primo momento della dottrina marxista conclude a questa prima condanna del mondo presente: grado di sciupìo di una metà".

Se questa forma dissipativa è insita nel puro processo produttivo, ciò che succede prima e dopo è ancora peggio. Nella trasformazione da denaro a merce e poi da merce a denaro vi sono altre fonti di passivo sociale che studiate da una società futura relegheranno il capitalismo alla storia della società della follia pura.

Ricapitolando il percorso del nostro testo abbiamo:

  • 1) Sciupìo nella produzione.
  • 2) Sciupìo nella necessità di garantirsi un capitale anticipato (immobilizzi).
  • 3) Sciupìo nella circolazione propriamente detta (spese di circolazione).
  • 4) Sciupìo nella contabilità a base di valore.
  • 5) Sciupìo nel bisogno di moneta.
  • 6) Sciupìo nella conservazione della moneta e delle merci.
  • 7) Sciupìo nella insensata circolazione nazionale e internazionale delle merci.

Per l'analisi delle singole voci rimandiamo al testo, che peraltro non approfondisce argomenti che potrebbero fornirci dati quantitativi interessanti. Per esempio, quanto "costa" alla società il sistema bancario con sportelli, impiegati, forzieri, allarmi, blindature, guardiani armati ecc.? Quanto "costa" l'anarchia produttiva che disloca le singole unità aziendali dove più aggrada al singolo capitalista con il risultato di spostare freneticamente montagne di merci per migliaia di chilometri lungo strade, cieli, ferrovie? Quanto "costa" la pratica di riempire i magazzini dei rivenditori intermedi con l'inevitabile deterioramento od obsolescenza delle merci? Quanto "costa" sfornare ogni anno una cinquantina di milioni di autoveicoli che se ne stanno inchiodati nei parcheggi per il 90% della loro esistenza, con il loro corollario di 250.000 morti nella corsa imbecille alla velocità cui si contrappongono intasamenti disumani? Quanto "costa" un apparato medico e sanitario che prospera sulla malattia e la sofferenza sulle quali fa giganteschi profitti che verrebbero a mancare se solo si lavorasse per evitare la malattia e la sofferenza? Un indicatore del benessere è il numero dei posti letto ospedalieri in rapporto agli abitanti: quindi una società di sani con basso "consumo" di assistenza sanitaria sarebbe degradata rispetto ad una società di malati che hanno continuamente bisogno di ricoveri ospedalieri!

Altro esempio dell'assurdo utilizzo degli indicatori del benessere: se dovesse peggiorare il sistema della distribuzione dei prodotti con maggiore consumo di autocarri, treni, autostrade, ferrovie, aerei, carburanti, energia e lavoro umano perso in questa giostra bestiale, la società del "benessere" registrerebbe contabilmente non un aumento dello spreco, ma quello del famigerato Prodotto Interno Lordo.

Ora, tutti gli elementi che contribuiscono allo sciupìo sociale derivano in parte dal modo di essere del capitalismo, l'esistenza di moneta, lo sfruttamento, la separatezza delle aziende e quindi l'anarchia produttiva e distributiva, ma la fonte principale è nel meccanismo della rotazione del capitale anticipato e il testo dimostra che la ricerca di Marx su questo "non era una bazzecola".

Se due capitali diversi, per diverse circostanze hanno cicli diversi di rotazione, si avrà che produrranno annualmente saggi diversi di sfruttamento o di plusvalore anche se il rapporto parziale (all'interno di un ciclo) fra salario e plusvalore è sempre lo stesso. Quello che ci interessa è il capitale anticipato per salari, quello che interviene nella formazione del plusvalore, quindi nella determinazione del saggio. Se il primo capitale variabile anticipato ha dieci rotazioni l'anno, fermo restando che in ogni rotazione il saggio p/v è sempre il classico 100%, il saggio annuale di plusvalore sarà del 1.000% perché il capitale variabile ricorrente nelle rotazioni è stato messo fuori una sola volta per tutte. Esso è riciclato, per così dire, in un iter produttivo, mentre capitale fisso e capitale costante (impianti, materie prime ecc.) fluiscono invariati nella merce prodotta.

Se il secondo capitale variabile anticipato ha una rotazione annuale di uno invece di dieci, avremo che il suo tasso di plusvalore annuale è pari al 100% invece che al 1.000% del primo capitale.

Marx ne ricava una dimostrazione contro la pretesa della scuola ricardiana di ricercare il saggio di plusvalore non dal confronto fra capitale variabile e plusvalore, ma "da influenze inspiegabili nascenti dal processo produttivo". Ma nello stesso tempo dimostra come la differenza fra capitali e fra condizioni produttive, cioè la separazione per aziende, possa portare due capitali identici a muovere forza lavoro in modo differentissimo.

Una società senza capitale, che non sia presa dalla frenesia di colmare differenze di durata dei cicli da settore a settore con accantonamenti, anticipi o relazioni fra tempo di rotazione e grandezza del capitale anticipato, sarà liberata da uno spreco immane e le energie salvaguardate potranno essere indirizzate verso obiettivi utili ad un grande ed armonioso sviluppo dell'umanità.

Se la misura dello spreco sociale fosse semplicemente quella dello sfruttamento in sé dei singoli operai, al quale contrapporre qualche argomentazione di tipo rivendicativo, saremmo dei volgarissimi immediatisti, regrediti ad un anarcosindacalismo di tipo ottocentesco. Ma è proprio questa concezione, dal testo definita angusta, che ci troviamo di fronte il più delle volte quando affrontiamo le posizioni di tutti coloro che in un modo o nell'altro si richiamano ancora al marxismo.

La famiglia, cellula controrivoluzionaria

Una immensa fonte di sciupìo è poi la "sminuzzatura dell'umanità nelle cellule famigliari molecolari". Se Engels sottolineava la pletora di servitori in un capitalismo ancora padronale, il nostro testo sottolinea che la "democratizzazione" del lavoro domestico anche presso le classi medie non comporta affatto una diminuzione dello spreco diretto dovuto all'utilizzo di lavoratori non produttivi, "i cui effetti economici sono tuttavia meno deleteri di quelli sociali e politici, in quanto è lì il vero limite che tarpa le ali alla nascita dell'uomo sociale nuovo".

Relegata la servitù domestica a una fascia sociale più esigua di persone per via dell'aumentata differenza fra i pochi veri "ricchi" e il restante amalgama sociale delle mezze classi e delle non-classi, lo sciupìo sociale invece di diminuire si è moltiplicato attraverso la drastica diminuzione delle attività sociali e la smisurata dilatazione degli spazi per la coltivazione dell'egoismo individuale. Questa dilatazione non ha comportato soltanto la moltiplicazione degli oggetti che stipano gli alloggi, le rimesse e le strade e sono quasi sempre inutilizzati, ma anche il riflesso sociale del possesso e del consumo insensato: quello che il testo chiama "incafonimento colcosiano", vale a dire la precedenza dell'individualismo e dell'egoismo sulla vita di specie, il consumo prima di tutto della propria esistenza in funzione di orizzonti che non vanno al di là di ciò che grettamente si tocca, si vede, si annusa, si sente e si gusta. Quale odio per questa società troviamo già in Marx giovane quando osserva che il bisogno rozzo indotto dal capitalismo fa sì che l'uomo si senta bestia quando lavora, cioè fa l'unica cosa che lo distingue dalle bestie, e si sente uomo quando mobilita i suoi sensi elementari, cosa che fanno normalmente tutte le bestie.

I due fattori, quello economico e quello sociale, si integrano a vicenda e il colcosianesimo metropolitano dilaga fra i Babbit e i Brambilla, non uomini ma incafoniti bersagli di pubblicità consumistica, target del bisogno spasmodico di realizzazione di plusvalore; non più servi diretti ma con la stessa funzione, veicoli di lavoro improduttivo quanto i lacchè, i valletti, i cocchieri, i domestici. "Le funzioni servili nel magma sociale, se hanno in certo senso cambiata l'etichetta umiliante, non hanno certo migliorato la loro utilità, e le forme che hanno preso non sono né più utili né meno ignobili nella sostanza".

Nella vita sociale come in quella famigliare e individuale l'incafonito uomo consumatore è tramite inconsapevole di uno spreco di produzione, ma ancora di più rappresenta un blocco per ogni solidarietà con il suo simile. Non solidarietà in senso cristiano e caritatevole, ma autentico rapporto di specie. Il pretesto "idiota" di coltivare un amore per sé e per il proprio nucleo famigliare si riduce ad una enorme menzogna che riempie le cronache di violenza inaudita proprio contro l'individuo e la famiglia, consacrati nell'ideologia e massacrati nei fatti. Nessuna società era mai arrivata a idolatrare tanto il mito dell'individuo e nello stesso tempo a portare a livelli così alti l'omicidio gratuito (metaforico ma anche effettivo) dell'individuo stesso. Il serial killer non è soltanto un'invenzione letteraria decadente, è lo specchio di una società ipocrita che ha fatto il suo tempo.

Sopprimendo ogni circolazione dovuta allo scambio tra equivalenti, sopprimendo cioè l'appropriazione privata invece che sociale dei beni, e lasciando solo quella dovuta alla natura e all'utilità delle cose, si sopprime anche la divisione del lavoro fra fabbricanti, mercanti, contabili e guardiani, si sopprime per forza anche la divisione fra gli individui, caratteristica sociale portata dal capitalismo all'esasperazione.

La concezione privatistica di utilità impedisce anche dallo stesso punto di vista capitalistico un razionale utilizzo di risorse sociali: una industria attiva e vitale, "produttiva", come si dice, può fallire per mancanza di capitali e così mancare un successo futuro per impossibilità di investimento, mentre una industria assolutamente inutile, vecchia e improduttiva può sopravvivere per disponibilità finanziarie che hanno origine nella circolazione sociale del plusvalore creato altrove o addirittura al solo scopo di servire da paravento ad attività speculative pure, non escluso l'accaparramento di plusvalore attraverso leggi varie per il finanziamento.

Parassitismo: troppo valore da troppo pochi operai

L'intervento dello Stato nei fatti economici esaspera invece di attenuare il fenomeno privatistico, come dimostrano le varie ondate di scandali che si susseguono nei principali paesi. Il keynesismo spinto alla parossistica fase attuale finisce per favorire gruppi e privati speculatori che, approfittando dell'intervento statale per stimolare l'economia comatosa moderna, fanno ricadere sull'intera società opere quasi sempre inutili e spessissimo dannose per l'integrità dell'ambiente e per la salute delle persone. Pubblica utilità, cuccagna privata, fu intitolato un articolo della serie Sul filo del tempo che, estendendo concetti già espressi in Proprietà e Capitale, dimostra come lo Stato non faccia altro che rimettere in mano all'industria e alla speculazione privata anche le sue attività peculiari come l'espropriazione a fini urbanistici e agrari. Dimostrammo che la costruzione di una nuova fabbrica di automobili nell'Italia del Sud (Alfa Romeo) non era un investimento produttivo, bensì uno spreco del plusvalore prodotto nelle fabbriche già esistenti, ovunque fossero dislocate. Trent'anni dopo le cose si ripetono (FIAT).

In definitiva, la massima fonte di spreco sociale è dovuta al persistere del capitalismo che, sopravvivendo alla storia a causa della mancata rivoluzione, trova il suo sfogo in un vero imbarbarimento sociale dovuto a quello che abbiamo chiamato colcosianesimo industriale, la massiccia disponibilità di plusvalore differito che moltiplica gli strati sociali parassitari, compresa la pletora di piccoli e medi industriali con tutto il loro codazzo di azionisti e il garbuglio delle partecipazioni di holding finanziarie.

Il vero keynesismo moderno non può più essere quello nato in parallelo al New Deal degli anni '30, ma una sua controfigura imbastardita: l'industria non utilizza più gli strumenti messi a disposizione dello Stato per superare la crisi, ma è lo Stato che, rendendo permanente il suo intervento, fa nascere poli di attrazione di capitali vaganti in cerca di valorizzazione e questi, invertendo il precedente storico, si creano un'industria fittizia e assistita per continuare ad esistere e a circolare nella sfera finanziaria. Lo Stato non rappresenta più lo stimolatore dell'economia per attivare l'industria, ma è un'economia già stimolata, cioè drogata, che mantiene attivi interi rami d'industria che potrebbero chiudere tranquillamente in quanto ridondanti ed inutili in una società diversa.

Un conto è prendere soldi dallo Stato per finanziare gli investimenti in un'industria in crisi, tutt'altra cosa è creare apposta un'industria fasulla per mungere soldi allo Stato, cioè alla società, sfruttando tutti gli espedienti legali possibili. Questa è l'unica spiegazione di favolosi crack finanziari che vengono presentati come improvvisi mentre tutti sanno che essi hanno una preparazione di anni in cui cresce l'indebitamento al quale non fanno fronte per nulla i famosi "investimenti produttivi".

La moderna tragedia sta nel fatto che, mentre procede la concentrazione industriale, ma soprattutto finanziaria, procede anche la ciclica proliferazione e susseguente rovina di attività più o meno marginali, artigiane, piccolo-industriali, autonome, che sono il terreno di coltura delle non-classi ferocemente avverse alla rivoluzione, storicamente portate alla inutile ricerca di un miglioramento di una società irrimediabilmente non migliorabile. Attività su cui vegeta una sovrastruttura politica, come quella recente del partito leghista, perfettamente manovrabile ai fini della conservazione sociale.

Quando le cose vanno bene, le mezze classi sono antiproletarie perché comprate dalla grande borghesia che le utilizza come servitorame elettorale e pollame da spennare nel caso le cose vadano male. In questo secondo caso le dette mezze classi diventano ancora più ferocemente antiproletarie in quanto, essendo dedite ad attività perfettamente inutili ma in genere redditizie, sono le prime a risentire degli effetti della crisi. Per un proletario che si trovi in busta paga il 30% del salario in meno quando va in cassa integrazione, non cambia radicalmente il suo modo di vita e comunque rimane un senza-riserve come prima; ma per un bottegaio che diventi un senza-riserve per il quale non sono previsti ammortizzatori sociali, è precipitare in una condizione sconosciuta. Mentre un tempo l'espropriazione dei contadini e delle classi intermedie procedeva trasformando gli espropriati in proletari, oggi non vi è più posto e la prospettiva è quella di ingrossare semplicemente i ranghi della sovrappopolazione relativa. Di qui la feroce difesa ad ogni costo delle proprie condizioni e l'odio verso chi ha il "posto fisso".

Per noi, "pochi sfruttatori al posto di innumerevoli e pidocchiosi parassiti (ferocemente esosi verso i ceti sottoposti) sono stati sempre dal vero marxismo rivoluzionario considerati una condizione preferibile, tanto sul terreno della misura dello sciupìo sociale, quanto su quello della visione storica del procedere della rivoluzione comunista". La regressione verso forme arcaiche di produzione minuta e addirittura individuale è sintomo di crisi profonda del sistema.

Torino, novembre 1992

Note

[1] Qui pubblicato in appendice.

Copertina Scienza economica marxista
Scienza economica marxista come programma rivoluzionario

Quaderni di n+1 dall'archivio storico.

Una importante relazione del Partito Comunista Internazionale sulle "questioni fondamentali dell'economia marxista" nella quale si indaga intorno alla teoria della dissipazione capitalistica.

Indice del volume

Scienza economica marxista come programma rivoluzionario