1° Maggio, giornata internazionale per la lotta di classe
30 aprile 1985
Così era nata quasi cento anni fa la chiamata alla lotta per la riduzione della giornata lavorativa al di sopra delle nazionalità, delle categorie, di ogni divisione tra lavoratori.
Oggi tutti i sindacati, in tutti i paesi, trasformano il 1° maggio in una manifestazione di solidarietà verso l'economia nazionale, a sostegno degli interessi di un paese contro l'altro, vero e proprio salto in avanti verso la giustificazione di ogni tipo di guerra commerciale o guerra vera e propria.
Questa crisi che dura dalla fine della ricostruzione postbellica e che obbliga all'intensificazione dello sfruttamento per far costare le merci nazionali meno di altre merci prodotte da altri operai in altri paesi, non ha soluzione "naturale", non vi saranno altri boom economici. La concorrenza commerciale è spietata e così sarà spietato lo sfruttamento all'interno dei singoli paesi per rendere più competitive le proprie merci. Il fatto è che tutti i paesi adottano le stesse misure per ottenere gli stessi risultati.
Questa logica o la si accetta fino in fondo, o la si rifiuta fino in fondo. Non vi sono vie di mezzo, e sindacati e partiti "socialisti" e "comunisti" da anni dimostrano quale strada chiaramente percorrono: quella di accettare fino in fondo la responsabilità nello sfruttamento del proletariato per salvare le borghesie e le sue patrie.
Tutto questo comporta un peggioramento delle condizioni di vita dei proletari di tutto il mondo, anche se a gradi diversi e in diverse situazioni. Se assistiamo da una parte alla progressiva scomparsa della impostazione di difesa classista delle organizzazioni che si ricollegano al movimento operaio, dall'altra assistiamo alla manifestazione mai sopita della lotta di classe. Finché esisterà il conflitto tra capitale e lavoro, esisterà il conflitto fra la classe dei capitalisti e la classe dei lavoratori. Così, sul fatto generale del peggioramento delle condizioni di vita, vediamo esplodere episodi di lotta nei paesi più diversi: fatti apparentemente slegati l'uno dall'altro, ma intimamente connessi dalla necessità generalizzata per la borghesia di abbassare il livello di vita di interi strati della popolazione mondiale. Per alcuni è la morte per fame, per altri è la perdita di condizioni già raggiunte. I moti della Polonia, della Tunisia, del Marocco, del Brasile e, ultimamente, del Sud Africa, della Danimarca e del Sudan, hanno tutti questo elemento in comune. Il capitalismo è un fenomeno mondiale, la crisi è mondiale, la lotta di classe non può avere frontiere o interessi nazionali.
Se gli strati della popolazione mondiale toccati dalle condizioni di miseria comprendono più classi e più condizioni sociali, solo il proletariato può dare una risposta univoca e coerente allo stato di decomposizione della società capitalistica prima che una guerra (o più guerre) e altre ricostruzioni diano ossigeno al cadavere. Ciò può accadere attraverso una sola strada: il rinascere di un vasto movimento di classe che si riappropri di sue specifiche forme organizzative immediate quali sono i sindacati, parallelamente allo svilupparsi del partito politico di classe, sulla base della tradizione teorica che lo stesso movimento operaio ha già espresso e che continua ad esprimere anche se è stato tradito dalle organizzazioni ufficiali: il marxismo rivoluzionario.