Dalla richiesta delle 35 ore alla difesa dei 35 anni
12 ottobre 1994
Quando vogliono toglierci qualcosa e peggiorare le nostre condizioni di vita è ovvio che occorre impedirlo a tutti i costi, con lo sciopero e con la piazza. Ma bisogna chiedersi perché questo governo può essere così sicuro di sé nel prendere certi provvedimenti. Un giornalista famoso ha scoperto, bontà sua, che questo è un governo di classe. I dirigenti sindacali, nel loro linguaggio imbastardito, ci dicono che l'attuale governo "prende ai poveri per dare ai ricchi" come in una favola di Robin Hood rovesciata. Chiederemo a Berlusconi-sceriffo di Nottingham di devolvere la Fininvest in elemosine per i poveri?
Occorre rinfacciare a questi signori alcune cose. Il sindacato chiede dunque ai "ricchi" di non fare più i "ricchi". Se dovessimo scendere sul suo terreno moralistico, diremmo che è più facile per un "ricco" passare per l'evangelica cruna dell'ago che rinunciare di propria iniziativa al plusvalore estorto ai proletari. I "ricchi", che noi preferiamo chiamare capitalisti, fanno semplicemente il loro mestiere: quello di sfruttare il lavoro salariato col massimo profitto. Non si capisce perciò l'indignazione (a dire il vero sempre tardiva) di dirigenti sindacali che sono sempre stati comprensivi sulla formazione del profitto.
In questo "libero mercato" di cui si blatera tanto, la forza lavoro si compra e si vende come tutte le altre merci. I capitalisti che la comprano hanno il "diritto" di sfruttarla e da parte loro i lavoratori che la vendono hanno il "diritto" di farsi sfruttare il meno possibile. Quando ci sono "diritti" che si contrappongono alla pari, da che mondo è mondo decide la forza, e la forza i dirigenti sindacali, molto responsabili di fronte all'economia nazionale dei capitalisti, non hanno mai avuto intenzione di usarla sul serio. Sono tanto restii ad usare la forza che preferiscono sedersi intorno ad un tavolo e partecipare alle decisioni su come il plusvalore debba essere estorto e distribuito, su quale debba essere il "costo del lavoro" e quali debbano essere le scelte economiche del governo capitalista.
Tutti ricordiamo la bozza del "Protocollo di luglio" del '92 e l'ondata di rabbia incontenibile che sollevò la piazza nel successivo settembre. Come mai quello stesso protocollo fu definito e firmato un anno dopo al solito tavolo governo-confindustria-sindacati e infine approvato dalle assemblee? Nelle assemblee l'accordo fu presentato come un vantaggioso elemento di contrattazione e di programmazione dell'economia futura. Le violente critiche dei lavoratori che votarono contro furono messe a tacere. Ci dissero che i benefici effetti sarebbero stati evidenti solo in futuro, quando la legge sarebbe stata a regime sotto il controllo del sindacato. Che il taglio della scala mobile sarebbe stato compensato ecc.
Ma il futuro è arrivato. Il "Protocollo sulla politica dei redditi e dell'occupazione" del luglio '93 prevedeva un abbassamento drastico del costo del lavoro per allargare la base produttiva. Ciò significa abbassare i salari e aumentare i profitti nella speranza che questi vengano reinvestiti in un piano economico ambizioso quanto impossibile. Denunciammo nelle assemblee che oltre tutto, per attuare quel piano, sarebbe occorso un governo con poteri speciali.
Oggi il l'attuale governo incomincia ad applicare la "politica dei redditi" alle categorie (presenti e future) fuori dal ciclo produttivo, domani applicherà alla lettera l'accordo del 23 luglio a tutto il mondo del lavoro. I sindacati reclamano a gran voce questa applicazione, dimostrando che quando si imbocca la strada della collaborazione di classe non ci sono limiti alla decenza. Anche lo spostamento a 65 anni dell'età pensionabile e l'eliminazione delle pensioni di anzianità sono previsti dall'accordo di luglio, dove in più paragrafi si ripete che occorre uniformare le condizioni italiane a quelle del resto dell'Europa.
La realtà è che gli attuali provvedimenti non sfiorano neppure la vera sostanza di una politica dei redditi come quella che servirebbe alla borghesia e che è contenuta nel "Protocollo di luglio". In quel documento sono previste modifiche strutturali così vaste che nessun partito di governo potrebbe introdurre senza spezzare i legami con il suo elettorato. La crisi della chiacchiera parlamentare è sotto gli occhi di tutti: piacerebbe tanto alla borghesia risolverla a suo modo, ma i "ricchi" sono in pochi a votare e bisognerebbe trovare il modo per far tacere i "poveri".
Le classiche richieste del movimento proletario non rappresentano affatto un bagaglio sentimentale e tantomeno "arcaico", ma sono l'unico modo per difendere gli interessi di tutti i proletari, occupati, disoccupati, giovani e pensionati. Con la riduzione drastica ed effettiva dell'orario di lavoro, con la difesa del potere d'acquisto del salario e con la richiesta del salario garantito a giovani e disoccupati, si elimina ogni spazio di manovra per spostare il plusvalore verso i capitalisti o, come dicono i sindacati, dai "poveri" verso i "ricchi". Ma soprattutto si scende in piazza per noi stessi come classe, invece che contro un governo di capitalisti di "destra" a sostegno di un altro eventuale governo di capitalisti di "centro" o di "sinistra".