Appunti sulla guerra in Afghanistan

7 ottobre. E' iniziato l'attacco. Il Pakistan e i suoi generali golpisti sono ormai sotto tutela americana e non fiatano. Dopo quasi un mese di osservazione satellitare e di ricognizione sul campo per mezzo degli aerei-robot pilotati dagli Stati Uniti, tutto ciò che è bombardabile è stato classificato e sarà polverizzato. La grande contraddizione fra il possesso di immense risorse tecniche e il bisogno di truppe di terra per ora sarà risolta distruggendo tutto ciò che sembra una "base" e uccidendo tutto quello che si muove ed emette calore: un satellite non distingue fra una capra e un uomo, fra un pastore e un taliban.

14 ottobre. Un articolo di Paul Krugman sulla crisi americana, sul pericolo di entrare in una recessione come quella giapponese ma a carattere mondiale ha fatto il giro del mondo. La previsione è che la guerra possa fornire elementi per risollevare l'economia americana e quindi mondiale. Sul territorio afghano intanto gli Stati Uniti hanno utilizzato anche gli AC-130, cannoniere volanti con una tremenda capacità di fuoco che da bassa quota svolgono il ruolo di "rifinire" il lavoro dei bombardieri. All'ONU qualcuno ha protestato per il fatto che gli stessi aerei sono utilizzati per gettare viveri alla popolazione. Se la guerra durerà fino all'inverno, sono previsti 7 milioni di profughi. L'ONU ha lanciato il World Food Programm for Afghanistan. Sul territorio americano sono stati trovati focolai di Antrace provocati da una polvere inviata per posta. Il DNA del batterio modificato sembra russo o irakeno.

18 ottobre. L'Inghilterra ha inviato 4.000 uomini presso le coste afghane, l'Australia 1.500, la Francia ne invierà 2.000, la Germania 2.700, l'Italia 2.300. Più navi, aerei e strutture logistiche. Non è chiaro cosa faranno queste truppe simboliche, visto che il territorio è immenso, montagnoso, poco conosciuto e senza strade. Si parla di operazioni di commando e di ordine pubblico quando saranno sbaragliati i taliban e conquistate le città.

22 ottobre. L'aviazione americana ha colpito sistematicamente tutto ciò che rappresenta un bersaglio. Oltre alle scontate vittime civili, sono state bombardate dighe, depositi di cibo e medicinali delle organizzazioni umanitarie. Persino della Croce Rossa. L'impressione è che ciò non rappresenti affatto una serie di "danni collaterali" ma una politica consapevole per annichilire tutto ciò che di civile si trova al suolo, in modo da isolare ogni movimento dall'apparenza militare e colpirlo.

27 ottobre. Gli attacchi aerei si sono spostati nelle regioni settentrionali dove le truppe dei Taliban fronteggiano da anni l'Alleanza del Nord. L'intervento dei B52 e l'utilizzo del bombardamento a tappeto dimostra che la guerra è entrata nella fase finale, come nel Golfo, quando fu imminente l'attacco da terra. Infatti i cronisti riportano che vi è attività frenetica fra le truppe dell'Alleanza, compreso il tentativo di apparire presentabili, con divise e camion nuovi. Le cifre però sono quelle che si sapevano già: 15.000 combattenti e pochi mezzi.

30 ottobre. Molti lettori ci hanno scritto sottolineando il fatto che l'attacco dell'11 settembre ha scatenato una politica estera americana più aggressiva che mai, per cui l'Afghanistan, che si apprestano a "pacificare", non è che l'inizio. E' vero, ma questa politica di guerra globale sarebbe stata varata anche senza l'attacco dell'11 settembre, anzi, "continuata". L'episodio ha solo grandemente accelerato il processo. Da molto tempo diciamo che gli Stati Uniti, con la loro dipendenza dal mercato mondiale e con la mondializzazione di tutti i processi capitalistici, stavano andando verso una crisi sistemica di grandi proporzioni. Vedendo che per sette volte consecutive l'abbassamento dei tassi della FED non dava risultati visibili neppure a breve scadenza (cioè nel mondo della securityzation), ci siamo chiesti quali altri espedienti avrebbero potuto escogitare per uscire dalla crisi. Da dieci anni il Giappone è in stagnazione e l'Europa non sta meglio, mentre gran parte delle nuove economie è in crisi almeno dal 1997. La guerra sarà pesantemente utilizzata soprattutto su questo fronte.

2 novembre. Si moltiplicano gli articoli che parlano chiaro sull'effetto economico della guerra e sul fatto che le aziende ne approfittano per attuare licenziamenti: 450.000 nell'ultimo mese, da aggiungere ai 150.000 delle linee aere a settembre. L'attacco a Washington e New York ha permesso agli Stati Uniti di statizzare nuovamente l'economia e di iniettare nel sistema nuove risorse in "deficit spending", unico modo per tamponare il disastro all'interno; nello stesso tempo la guerra proietta nuovamente l'America sulla scena internazionale come protagonista trascinando la "great coalition" volente o nolente. Comunque negli States non tutti sono allineati con il governo, molti hanno reagito all'ondata di sanfedismo, anche se si tratta ovviamente di una minoranza. Prendono piede le posizioni di coloro che sono favorevoli alla tortura degli indiziati di terrorismo, delle schedature dei dissenzienti, dei tribunali speciali ecc.

3 novembre. Da quando il Washington Post ha pubblicato le indiscrezioni dell'FBI sulla provenienza americana del terrorismo all'Antrace le notizie si sono diradate. Comunque sembra certo che il DNA modificato del batterio sia opera americana. Sull'Economist l'Arabia Saudita ha pubblicato una pagina a pagamento per dire 1) che il re Fahd si è sempre adoperato per l'unità dei musulmani; 2) che il fondamento per la sua politica estera è la pace secondo giustizia; 3) che della diplomazia non rumorosa ha fatto un principio; 4) che ha applicato il principio islamico della responsabilità universale dell'individuo e quindi della nazione verso tutti i popoli del mondo. In un numero successivo della rivista ha rincarato la dose per la campagna d'immagine: non più una, ma dodici pagine, dicasi dodici, di autoelogio sperticato; persino il tentativo di far passare il consulto tribale per una forma superiore di democrazia. A chi sarà rivolto il messaggio? Quali paure sottintende?

6 novembre. Dopo i bombardamenti a tappeto l'Alleanza del Nord ha fatto qualche prova di attacco sul fronte di Kabul senza suscitare particolari reazioni da parte del nemico. Sul fronte della discussione a proposito del ruolo degli USA era inevitabile che prima o poi uscisse un libro come quello di Chalmers Johnson (Blowback, contraccolpo, edito in Italia da Garzanti) sulla politica estera americana nel mondo e sulle conseguenze che questa può provocare nella società internazionale. Il libro è stato scritto e pubblicato prima dell'11 settembre e ovviamente è diventato un best-seller. Il catalogo dei comportamenti imperialistici e dei loro effetti però non è sufficiente a spiegare perché un intero sistema capitalistico mondiale sta andando in crisi. E l'America può fare ben poco, sia che bombardi i suoi obiettivi, veri o pretestuosi che siano, sia che intervenga effettivamente cercando di modificare il suo approccio violento verso le altre società. E' uscito anche un commento ragionato di Gore Vidal, profondo conoscitore della storia non ufficiale degli Stati Uniti (La fine della libertà, Fazi).

7 novembre. La Chiesa prende posizione; il Papa rappresenta l'esigenza ecumenica, l'apparato è filo-americano, la base in genere pacifista. Abbiamo ricevuto attraverso il nostro sito un documento di denuncia della guerra scritto da un missionario. Per certi versi è migliore di tanti volantini "rivoluzionari" e senz'altro più coerente. In esso si ricorda che il cattolico L'Avvenire a settembre aveva pubblicato un articolo intitolato: "Ora Washington impari a stare al mondo". Si cita Chalmers Johnson e se ne traggono conclusioni moralistiche, ma accompagnate da una buona descrizione della realtà. In effetti gli Stati Uniti "stanno al mondo" nell'unica maniera che conoscono, non per niente sono diventati quel che sono. Un imperialismo che si vede erodere posizioni vitali di dominio non può fare diversamente che attaccare, sopportandone le conseguenze. Altrimenti rischia di fare la fine che ha fatto l'Inghilterra, e qualche altra grande potenza cercherà di prenderne il posto. Ovviamente non sarà permesso che ciò accada. Gli Stati Uniti non possono aspettare inerti che l'Europa si unisca davvero o che la Cina e l'India diventino grandi potenze, fra dieci o venti anni. Devono fare guerra preventiva, in modo da assicurarsi una balcanizzazione del mondo, e moltiplicare le loro 800 basi militari, la loro "intelligence", i loro reparti speciali e la loro capacità di interdire il territorio senza inviare troppi soldati a terra. Per la guerra convenzionale devono trovare - e fare in modo che ci siano - truppe altrui, di paesi e popoli che nel frattempo sono stati messi l'uno contro l'altro. Questo provocherà il "contraccolpo" di Chalmers Johnson, e Bush l'ha già detto: "Occorre che gli americani si abituino a convivere con lo stato di guerra anche interno". Consigliamo di leggere un documento interessante: il Quadrennial Defense Review Report, uscito a settembre ma evidentemente scritto prima, con l'introduzione di Rumsfeld (è in inglese, si trova sul Web, chi lo vuole ricevere, può chiederlo anche a noi, come altri documenti significativi).

10 novembre. Truppe legate all'Alleanza del Nord hanno conquistato Mazar-i-Sharif, città santa dove è sepolto Alì, il genero di Maometto. Non ci sono stati combattimenti perché i Taliban si sono ritirati. Dalle valli a nord di Kabul l'Alleanza marcia sulla capitale e Jalalabad, ormai sguarnite anch'esse. Mazar e Kabul sono divise da montagne e valli imponenti e la strada che le collega non solo è lunga, tortuosa, a grandi altezze e dissestata, ma è stata fatta saltare in più punti, comprese le gallerie, perciò i due attacchi devono essere stati indipendenti l'uno dall'altro e non in successione come hanno riportato i giornalisti. L'appendice della guerra per ora è uno scontro di afghani contro afghani, scontro in cui i nemici di oggi sono stati inventati ieri dagli Stati Uniti, compreso il diavolo bin Laden. L'avanzata si avvale dunque di combattenti locali che non facevano parte dell'Alleanza ma che le si sono aggregati adesso.

11 novembre. Alle molte domande che ci fanno i lettori, ne aggiungiamo alcune altre per sottolineare la natura dell'imperialismo americano, costretto ad essere in contraddizione con la natura del Capitale globale. Perché gli Stati Uniti hanno sempre foraggiato i regimi più reazionari del mondo? Perché non attaccano l'Arabia Saudita, che è la fonte di finanziamento per tutti gli integralismi islamici? Perché hanno fatto la guerra all'Iraq, repubblica laica, invece di favorire da parte sua la conquista di tutta la penisola arabica e farselo alleato? Perché non hanno deposto essi stessi lo Scià di Persia lasciando nascere la repubblica borghese (era già pronta, sostenuta da vastissimi movimenti proletari e popolari) invece di aprire la strada al ritorno di Komeini? La risposta va cercata nella politica economica statale, che è in contrasto con l'economia globale, nel fatto che per gli americani vale più il motto "divide et impera" che l'armonizzazione del capitalismo planetario. E per loro il risultato di foraggiare satrapie, dittature, mafie, tribalismi e massacri, è indifferente, purché siano fatti gli interessi del capitale nazionale. Perché Bush dovrebbe fare diversamente da tutti coloro che l'hanno preceduto?

13 novembre. E' caduto un aereo a New York. Ha perso i due motori e il timone di coda; pezzi della fusoliera si sono sparsi per centinaia di metri. L'inchiesta ha concluso che è stato un incidente, ma alcuni esperti dicono che sembra si sia trattato di un attentato. In effetti la dinamica è ben poco chiara: i dati ufficiali forniti contrastano con quelli giornalistici, con le fotografie e con le testimonianze dirette. L'ipotesi del missile è la più plausibile (non tutti gli Stinger forniti dagli americani per la guerra afghana contro i russi potrebbero essere rimasti in Afghanistan). Comunque non si saprà mai. Per quanto riguarda l'Afghanistan la Russia è certamente dietro i movimenti delle truppe dell'Alleanza. Putin deve però stare al gioco degli Stati Uniti. Sa benissimo che ai suoi confini meridionali può essere scatenato un putiferio di guerre islamico-tribali di tipo ceceno o afghano. L'Italietta è con l'America, volente o nolente. Stiamo assistendo alla partenza di truppe chiaramente configurate come d'attacco con gran sventolamento di bandiere e discorsi patriottici. La patria si difende ovunque quando lo spazio vitale dell'America fa il giro del pianeta, come giustamente già notava la nostra corrente nel contesto degli scenari possibili per la futura Terza Guerra Mondiale. Può darsi che gli islamici rompano per primi "la catena imperialistica", ma è difficile; pensiamo piuttosto che la rottura avverrà prima sul fronte interno degli stati capitalistici più importanti. In fondo la sconfitta americana in Vietnam e quella russa in Afghanistan furono dovute non alle armi nemiche ma al collasso più o meno visibile del fronte interno.

14 novembre. Mentre cade Kabul alcuni lettori ci chiedono: che fare per lottare contro la guerra? Bisogna avere il coraggio di dire chiaramente che al microscopico livello dei gruppi comunisti si può fare poco o niente. Si può "non tradire", come fece la Sinistra Comunista "italiana", rifiutando di schierarsi a favore degli stalinisti allo scoppio della guerra civile in Spagna. Sarebbe già un risultato grandioso non schierarsi fra le componenti di questa guerra: esse sono esclusivamente borghesi o preborghesi. Si può resistere sul terreno della preparazione e della sopravvivenza di una scuola, di una corrente effettiva che sappia un domani affrontare ogni situazione senza, appunto, tradire e sbagliare fronte. Questo sì che si può fare.

15 Novembre. Dopo la presa di Kabul le notizie dal "fronte" afghano annunciano che l'Alleanza del Nord ha "conquistato", nonostante il monito americano per un arresto delle operazioni, i due terzi del paese, Mazar-i-Sharif, Kabul, Jalalabad, Herat, Gardez, Zaranj e un enorme territorio, Kandahar e Kunduz sono assediate. Un territorio grande quasi come due volte l'Italia sarebbe caduto sotto il controllo dei 15.000 guerriglieri dell'Alleanza in pochi giorni. Questo è ovviamente impossibile, basta guardare la cartina, misurare le distanze e osservare il terreno montagnoso senza strade e senza ferrovie. L'Alleanza non ha assolutamente uomini sufficienti non solo per un'operazione di questa vastità, ma neanche per qualsiasi operazione militare locale seria, non ne ha i mezzi. Anche tenendo conto del fatto che i Taliban si sono evidentemente ritirati, qualcosa non funziona. Sorge il sospetto che sia in corso una grande balcanizzazione afghana. L'Alleanza è formata da tribù tagike nemiche del Pakistan, ed esse si stanno consolidando a ridosso di quest'ultimo. I gruppi pashtun, stessa etnia dei pakistani occidentali, e loro alleati si sono probabilmente sollevati occupando territorio in vista degli schieramenti interni di potere nel prossimo futuro. Le minoranze sciite al confine dell'Iran hanno fatto lo stesso. Così si spiegherebbe la "liberazione" quasi istantanea e non come frutto di un'avanzata: in effetti le truppe quasi inesistenti dell'Alleanza non hanno marciato per migliaia di chilometri ma hanno soltanto preso Kabul installandovi un governo provvisorio che teme persino di dichiarasi tale. Le tribù stanno trattando sulla suddivisione del territorio, mentre diverse città sono già state acquisite agli interessi di alcuni "signori della guerra" locali.

16 novembre. Dell'aereo caduto a New York non sentiremo più parlare, ma l'ultima spiegazione che è stata fornita per il disastro, quella della turbolenza di un aereo che precedeva, sembra più bislacca delle altre: gli aerei militari fanno regolarmente rifornimento in volo a distanze assai minori e non si disfano in aria per questo. Prendiamo per buona la tesi dell'incidente, ma con sospetto. La ritirata delle forze dei Taliban di fronte alla sproporzione delle forze dimostra che tutte le guerriglie e i "terrorismi" sopravvivono solo se c'è qualcuno dall'esterno che li alimenta o se possono rifornirsi in un vasto territorio amico. Senza questa condizione non ci sarebbe stata neppure la guerra del Vietnam. Infatti in Afghanistan sarà ben difficile risolvere qualcosa: per adesso ci sono interessi incrociati di Iran, Russia, Pakistan e USA. Qualcuno aggiunge la Cina, e c'è da tener conto delle etnie e persino delle tribù interne che non badano certo a calcoli internazionali.

17 novembre. Con un'operazione condotta a mezzo di un drone, cioè un aereo telecomandato, è stato fatto saltare un gruppo di dirigenti dell'organizzazione di bin Laden. Alcune migliaia di Taliban sono assediati a Kunduz e a Kandahar, che continuano ad essere bombardate. La situazione si fa caotica perché la "liberazione" dovuta a forze irrisorie non permette un controllo del territorio. Russia, Cina e Pakistan potrebbero reclamare un controllo specifico delle rispettive zone raggiunte dai loro rispettivi alleati. Lo scacchiere si complica e può darsi che nel gioco complessivo la superpotenza americana perda nell'immediato l'orientamento e non sappia più controllare le mosse dei suoi troppi improvvisi alleati. Si dice che l'Afghanistan intero sia stato liberato meno alcune sacche di resistenza. Ma non è vero, sul terreno le cose stanno in modo diverso. I 15.000 miliziani raccogliticci di etnie diverse che fino a poco fa si ammazzavano tra loro non controllano nulla. Il vero controllo è in mano alle tribù che sembra si stiano schierando a suon di dollari. Le milizie tagike dell'Alleanza non possono nulla contro questo stato di cose e dovranno dipendere dagli aiuti internazionali. I feroci Taliban sembrano spariti. A parte qualche cadavere messo in mostra per la televisione a Kabul, il "male" si è dileguato. Applausi per i "liberatori", ovviamente. Proprio a Kabul è perlomeno di cattivo gusto: è la terza o quarta volta nel giro di vent'anni che si applaude a qualche liberatore che si è dimostrato peggio degli "oppressori" (nel caso dell'Alleanza del Nord sarebbe la seconda volta per gli stessi). Specialmente raccomandabile il "generale" Abdul Rashid Dostum, figura ossendowskiana di massacratore e torturatore, che si è preso la città di Mazar-i-Sharif.

18 novembre. All'orizzonte si profila sempre più netta la balcanizzazione afghana, e già iraniani, russi, turkmeni, tagiki, cinesi, pakistani (in senso orario sulla cartina) senza contare le tribù interne, litigano per fare i padrini di qualcuno. Gli americani rappresenteranno l'ago della bilancia e sarà interessante vedere sul campo quali intenzioni abbiano. Probabilmente buona parte dei 30.000 taliban scomparsi dovranno andarseli a cercare, con gli 80.000 che erano dislocati in Pakistan, in giro per il mondo. Bin Laden magari è a New York in albergo, con la barba tagliata, anzi, in clinica a farsi curare i reni accudito da qualche amico della CIA, come sembra abbia fatto negli Emirati quando era già super-ricercato. Con buona pace alla "lotta contro il terrorismo".

19 novembre. I tagiki dell'Alleanza hanno praticamente forzato i tempi insediando Rabbani a Kabul. Controllando con attenzione le mappe, si ha conferma che non vi è stata avanzata ma contemporanea caduta di molte città. Lo strano dell'occupazione di così grande parte dell'Afghanistan non consiste nel fatto che è avvenuta: i Taliban se ne vanno e altri ne prendono il posto, sembra normale. Sarebbe però interessante sapere chi sono questi "altri" nelle varie province conquistate. L'Alleanza del Nord controllava il 10% del territorio, con i confini relativamente vicino a Kabul ma molto lontana da Mazar-i-Sharif e specialmente dalle città più a sud.  La mappa delle strade non coincide con i percorsi che sarebbe stato necessario seguire per raggiungere le città segnalate nella sequenza descritta dai giornali. Le ferrovie in Afghanistan praticamente non esistono. Mazar, come s'è visto, è collegata a Kabul solo con una lunghissima strada dal percorso tortuoso. Senza mezzi di trasporto non si conquista nulla, e solo a Kabul si sono visti dei Mercedes nuovi, probabilmente requisiti. I carri armati e i cingolati in possesso dell'Alleanza sono vecchi residuati russi, i più recenti che si vedono nelle foto sono degli anni '50. Sono utilizzati più che altro come artiglieria fissa ed erano per la maggior parte interrati fino alla torretta. Tra l'altro i tank sono fatti per combattere e non per viaggiare, di solito si trasportano in camion o in treno. Da Nord a Sud le valli sono trasversali all'ipotetica avanzata e ci sono passi di tipo himalayano a 5.000 metri di altitudine che in questa stagione immaginiamo siano innevati. Insomma, per andare dall'Hindu Kush a Kandahar con delle truppe non bastano tre giorni. A Kandahar c'è stata trattativa, segno che fra i militi che erano in città e quelli che assediavano stava maturando un cambiamento di fronte. In genere l'Alleanza non ha potuto far altro che insediare nelle città solo rappresentanze minuscole, giusto per occupare simbolicamente il municipio e il posto di polizia, dato che non ha uomini a sufficienza. Adesso potrebbe scoppiare un conflitto fra afghani e "stranieri", come sta succedendo un po' dappertutto.

20 novembre. Le città afghane sono residui della società asiatica, sono centri di traffico, non producono nulla. Prenderle ha un significato simbolico, ma se i bazar non ricevono merce, la gente muore di fame. Tiene l'Afghanistan chi tiene le strade e i passi, non le città. Sulla strada fra Kabul e Jalalabad sono stati uccisi quattro giornalisti che pur facevano parte di un convoglio, segno che fuori dalle città il controllo è del primo che capita. Chi controllerà il territorio? I giornali dicono: le truppe speciali che dovranno arrivare. Sulla carta le truppe speciali e i commando sono potentissimi, ma sul terreno le cose stanno ben diversamente. Il Jane's Information Group, che è fonte sicurissima sulle cose militari, afferma che il gran parlare di commando con tanto di filmati è tutta una montatura perché in effetti né in America né in Inghilterra esistono come reparti operativi, cioè in grado di essere inviati in Afghanistan. Ci sono solo poche centinaia di uomini, come in Italia e altrove. Infatti il Washington Post ha rivelato che l'unico blitz notturno è stato quasi un disastro. Gli unici che hanno sviluppato seriamente quel tipo di dottrina militare e la conseguente attrezzatura sono gli israeliani. Gli inglesi stanno meglio degli americani da questo punto di vista, ma anche in questo caso le loro truppe risultano efficienti solo di fronte a un nemico che sia molto inferiore come preparazione: durante la guerra per le Falkland-Malvine le truppe speciali hanno fatto figuracce tremende e hanno vinto solo perché i comandanti argentini erano dei perfetti incapaci. Tutto ciò anche se la presa delle isole è stata dipinta come un'epopea eroica. Una sottovalutazione degli anglo-americani è sempre fuori luogo, come la storia insegna, ma tenersi in allenamento controballistico è buona norma in ogni tipo di guerra.

21 novembre. Leggiamo sui giornali che all'Alleanza adesso si attribuiscono 30.000 uomini: avrebbe dunque raddoppiato le truppe; evidentemente in Afghanistan si fa in fretta a cambiare esercito. Che fanno i russi? E gli iraniani? E i pakistani? Da queste tre domande dipende la fine che faranno Rabbani, Dostum e gli altri che si son presi le città a titolo personale (finché serve a qualcuno). C'è persino un po' di nervosismo per la presenza di truppe straniere, che pure hanno dato più che una mano alla "conquista". Se inizia la guerriglia (ma, come abbiamo visto, ci vuole qualcuno che la alimenti dall'esterno con logistica e soprattutto con armi moderne) sono guai per tutti coloro che rimangono nell'area. Gli esperti calcolano che occorrerebbero munite basi di controguerriglia, fortificate e inaccessibili, che cioè circondate da una fascia di sicurezza di almeno 10 km, fascia che dovrebbe essere a sua volta pattugliata ecc.; secondo Jane's i commando non sono adatti:

"Dagli attacchi terroristici su Nuova York e Washington in poi si è sentito parlare molto di Special Forces, e i media sono pieni di istruzioni e diagrammi che spiegano in dettaglio come quelle americane e inglesi siano in azione per vincere la "guerra al terrorismo". La verità brutale è che non esiste niente che somigli all'esistenza di Special Forces adeguate a questo compito. Per la loro reale natura le Special Forces comportano numeri estremamente limitati. Soldati adatti alle Special Forces sono difficili da trovare. Per entrare nell'UK Special Forces generalmente occorrono al minimo tre anni di selezione. Fonti militari affermano che per ogni 100 volontari, solo 15 superano la selezione e solo 10 arrivano a terminare l'addestramento".

Il testo continua sostenendo che occorrerebbero le fanterie speciali come l'82ma americana con logistica apposita, tutte cose già viste e sentite dal tempo di Westmoreland in Vietnam. Per questo 1) si dovrà trovare un'altra soluzione rispetto a quelle attuali, per esempio creando eserciti fantoccio locali (ma con i fieri afghani è un compito arduo) e 2) succederà quello che è inevitabile e che da tempo diciamo a proposito dell'Arabia Saudita: si finirà per eliminare alla radice il problema, cioè si tenterà di eliminare tutto ciò che contribuisce ad alimentare il cosiddetto terrorismo a partire dai capitali disponibili. Forse è già successo qualcosa a Riyad e le dodici pagine dell'Economist non sono che il necrologio, non solo di Fahd, ma anche di buona parte dei 7.000 inaffidabili principi della dinastia saudita.

23 novembre. Le tribù hanno iniziato a trattare per il controllo del territorio. Il possesso delle città non conta nulla se le strade che da esse si diramano sono in mano altrui. Tra Jalalabad e Kabul è stata per esempio aggredita una colonna di giornalisti: chi non è riuscito a fuggire è stato ammazzato. I Taliban di Kunduz stanno trattando per un corridoio di fuga. Musharraf sarebbe d'accordo, gli Stati Uniti vogliono l'attacco. Una parte di pashtun pakistani è già stata portata via in elicottero dai servizi segreti del Pakistan. La Croce Rossa incomincia a trovare fosse comuni. E' molto probabile che le forze dell'Alleanza del Nord e degli improvvisi alleati non abbiano nessuna intenzione di fare prigionieri. Lo scontro senza vie d'uscita lascia solo due possibilità: o cadaveri, o sopravvissuti che continueranno a combattere coltivando odii futuri. Bush, in un discorso ai soldati ammette: il peggio deve ancora venire. E lo Stato Maggiore USA blocca il dispiegamento di inglesi, francesi, tedeschi e italiani già illusi di poter iniziare il "nation building". Anche il movimento delle truppe "umanitarie" è bloccato: tutti i mezzi vanno utilizzati per le priorità della guerra. La costruzione nazionale sarà demandata all'ONU. Ciò significa negoziati infiniti e agli americani non ne potrebbe importare di meno.

24 novembre. La CIA invia sue truppe speciali a Kunduz, dove si combatte ancora. Nel frattempo procede in diversi paesi ad arrestare "sospetti", alcune centinaia in USA, 350 all'estero. Le fosse comuni trovate dalla Croce Rossa sono a Herat e Mazar-i-Sharif: 600 cadaveri in quest'ultima, non si riesce a stabilire la provenienza dei massacrati. L'Alleanza si è asserragliata a Kabul ma non controlla altro. Washington non ritiene necessario un dispiegamento di aiuti. L'Europa insiste ma è tagliata fuori. Gli americani fanno sapere, attraverso il Pentagono, che potrebbero anche finire il "job" e andarsene per passare al prossimo obiettivo senza preoccuparsi del resto. Tutti dicono l'Iraq. L'Europa è contraria. Kofi Annan, cioè l'ONU, anche. Una parte dell'intellighenzia americana appoggia il movimento pacifista, che in parte assume aspetti radicali. Incominciano a comparire commenti di giornalisti non allineati. Il Web è in fermento. Il livello comunque è assai basso rispetto ai tempi del Vietnam, anche se da Berkeley giungono spinte di rottura. Carlo De Benedetti scrive su Repubblica: non si sconfigge la barbarie con un'altra barbarie.

25 novembre. Il giornalismo italico si sveglia improvvisamente dal torpore drogato del "siamo tutti americani". Il vuoto politico e militare d'Afghanistan è pauroso e risulta chiaro che gli americani non sono interessati a colmarlo. Di fronte allo sbandamento e ai massacri iniziano i distinguo. L'Europa si vanta di avere un giornalismo meno imbavagliato di quello americano. Naturalmente è una balla, non è storicamente vero, ma l'Europa è piuttosto scossa dall'indifferenza e nello stesso tempo dall'arroganza con cui l'America l'accantona. E' un effetto cercato: ognuno stia al suo posto. Intanto l'orrore spadroneggia. L'Alleanza comunica di continuo che non farà prigionieri fra i non afghani e naturalmente si scopre di continuo che è verissimo. Tra le truppe dell'Alleanza vi sono molti americani mimetizzati da mujahiddin.

27 novembre. A Mazar-i-Sharif alcune centinaia di prigionieri Taliban erano stati ammassati in una antica fortezza. C'erano agenti della CIA all'interno, probabilmente per gli interrogatori. C'erano anche dei giornalisti. E' scoppiata una rivolta e ne è seguito un massacro. Un americano è stato ucciso, gli altri hanno chiamato l'aviazione, che ha bombardato. Più di 600 prigionieri sono stati uccisi. Molti sono stati trovati con le mani legate. Gli stessi giornalisti utilizzano l'espressione "pulizia etnica". Intanto Kandahar accerchiata resiste più di quanto si supponesse e si sta preparando un attacco un po' meno improvvisato di quello che avevano tentato le tribù locali contro i perdenti. Sono arrivati i marines, come gli esperti prevedevano. Hanno preso l'aeroporto di Kandahar e costruito una base a 90 Km, nel deserto piatto. Inavvicinabili. Evidentemente preparano un'azione combinata aria-terra.

28 novembre. A Bonn inizia la conferenza "sulla pace". In realtà è una spartizione dell'Afghanistan benedetta dai paesi imperialistici. Rabbani, ex presidente riconosciuto dall'ONU, viene messo da parte e denuncia le pressioni degli stranieri. Spunta Karzai, mediatore fra i gruppi etnici ma anche rappresentante della maggioranza pashtun che sta trattando con i taliban assediati a Kandahar. Frange nazionaliste-localiste come quella di Hekmatyar lo accusano subito di essere lo strumento politico degli americani. Comunque i "signori della guerra" stanno già consolidando il proprio potere regionale con alle spalle i paesi limitrofi. Un contingente russo si accampa alle porte di Kabul. Aerei americani bombardano l'Iraq del Nord, ma il governo iracheno ribadisce che non accetterà le "ispezioni", cioè la violazione della sovranità nazionale. Evidentemente si saggia il terreno ovunque.

30 novembre. Alla conferenza di Bonn si definiscono gli schieramenti. Al telefono è un mercato continuo tra i delegati e i capi clan in Afghanistan. Viene deciso il congelamento dell'intervento militare ONU. I giornalisti presenti al massacro di Mazar-i-Sharif confermano: è avvenuto sotto gli occhi dei militari americani che l'hanno facilitato con l'aviazione. Rumsfeld dice: la guerra è guerra. Francia e Germania sarebbero contrarie ad allargare il conflitto all'Iraq. E' un modo come un altro per cercar di capire quali siano le prossime mosse degli americani, dato che questi non badano a niente e a nessuno. Continuano i bombardamenti a Kandahar, ma non c'è più nulla da bombardare se non le case civili. Compaiono sui giornali e su Internet (CNN) schemi di fortezze sotterranee, come se le montagne fossero una gruviera di tunnel tecnologici, con aereazione, riscaldamento, sistemi di comunicazione. Difficile però che una popolazione dedita da secoli alla guerra aperta fra le montagne esprima reparti combattenti che si autosotterrano nei bunker. E' più verosimile che le grotte siano semplici magazzini.

3 dicembre. A Bonn si profila un'intesa. La vecchia guardia tagika di Massud è esautorata e l'Alleanza del Nord è adesso rappresentata dai giovani tagiki rampanti. E' ormai evidente che agiscono un'Alleanza del Sud, pashtun, a Kandahar; un'Alleanza dell'Est, azahara, a Herat; un'Alleanza del Nord-Ovest, uzbeka, rappresentata dal generale Dostum, a Mazar-i-Sharif. E chissà quante altre "alleanze" minori. Difficilmente la loya jirga, l'assemblea degli anziani delle tribù, avrà qualche voce in capitolo seppur sarà convocata. Il ministro della difesa americano Rumsfeld dichiara di aver individuato il nascondiglio di bin Laden, le grotte di Tora Bora. Nel frattempo si scoprono alcune ramificazioni dell'organizzazione internazionale e risulta chiaro che il "valore militare" dell'obbiettivo Osama è praticamente zero. Un simbolo. Chiunque può proseguire l'attività clandestina in giro per il mondo. Fra i "taliban" uccisi vi sono cadaveri di "arabi" che arabi non sono per niente. Ceceni, balcanici, persino cinesi; la rete di al Qaida è internazionale, prigionieri praticamente non ce ne sono. Sarà difficile individuare nei vari paesi gli attivisti gialli o biondi con gli occhi azzurri. Il ministro della giustizia americano chiede poteri speciali. Fra i sopravvissuti di Mazar è stato trovato un giovane taliban americano, subito preso in consegna dalla CIA.

6 dicembre. La guerra afghana è praticamente finita. Per gli americani. Per gli afghani incomincia adesso. Fra le bande, fra le etnie, fra gli sponsor esteri del partigianismo locale. La "proxi war", la guerra per procura, si sposta in Somalia. E' praticamente deciso, sono già presenti truppe speciali. A meno che non sia disinformazione per coprire altri obiettivi. A proposito, nella capitale afghana e in alcune zone coperte dai trasmettitori, ritorna Telekabul. L'arma è la stessa che fu dei vari governi e poi anche dei taliban: quest'ultimi volevano impedire l'informazione pura e semplice, tutti gli altri la volevano impedire informando. Beh, come capita nel resto del mondo. Intanto a Kandahar si è sempre alla "vigilia dell'attacco" e i giornalisti non sanno più cosa scrivere mentre le tribù trattano e i taliban afghani assediati sono arruolati dall'assediante. Il mullah Omar lancia proclami di fuoco per l'estrema resistenza, ma probabilmente non è più a Kandahar da un pezzo. Così come bin Laden non sarà più nemmeno in Afghanistan, se mai c'è stato durante la guerra; tra l'altro, pare che ci siano una decina di sosia in circolazione. Hamid Karzai sta imponendosi come leader di governo. Ha combattuto, ha trovato accordi con i clan, ha trattato con i taliban erodendone la resistenza con promesse realistiche. Ha accettato di discutere con l'ONU e ha appoggiato il re fantoccio tanto per togliersi il problema di torno. A Bonn l'accordo fra le tribù coincide con la fine dei fuochi artificiali. La guerra vera, quella che non si vede, continua.

10 dicembre. Kandahar è caduta. I taliban si sono arresi, riarruolati, o semplicemente dileguati. Del mullah Omar non si sa più nulla. Degli "arabi" idem, e probabilmente non si saprà mai che fine abbiano fatto. Alcuni di essi, feriti, sono stati uccisi all'ospedale di Herat. Molti sono in Pakistan. Della guerra rimane perciò una penosa caccia all'uomo, con le truppe afghane "vincitrici" che non vogliono esporsi e gli americani che continuano a bombardare montagne brulle, cioè il luogo delle fantascientifiche caverne. Rumsfeld fa sapere che gli USA non scenderanno a patti con nessuno. Powell afferma categoricamente che la direzione degli avvenimenti resta in mano americana. Né ONU, né NATO, né tantomeno paesi terzi. Nemmeno nella fase di ricostruzione. Gli americani dicono di aver trovato un video con le prove definitive contro bin Laden per l'attacco agli Stati Uniti. Non se ne sa ancora nulla ma nessun giornalista fa mostra di agitarsi più di tanto a quel "definitive". Si può fare un film intero su bin Laden, non solo un video, per giunta amatoriale. Il saudita sarà "colpevole", ma è possibile anche di no. Fior di generali sostengono che l'attacco non è frutto di una banda di terroristi, ci dev'essere dietro uno Stato, forse più di uno. Comunque la macchina è in moto ed è indifferente rispetto all'obiettivo immediato. Intanto c'è chi giura di aver visto bin Laden in persona dirigere la guerriglia. Naturalmente in sella a un cavallo bianco. Dopo l'Inferno di cristallo 2, siamo alla sceneggiatura di Lawrence d'Arabia. Formidabile Hollywood!

11 dicembre. Tecnicamente i bombardamenti non servono più a nulla, ma il laboratorio afghano si presta ancora per qualche esperimento. Bombe perforanti, bombe guidate in orizzontale per colpire le porte blindate dei bunker, bombe "daisy cutter" per creare vaste onde d'urto distruttive, bombe laser, bombe a frammentazione. E missili, sensori, visori, satelliti, robot volanti, reti d'ascolto, spionaggio telematico, e pedine umane telecomandate in ambiente di "Battlespace management system", dove la gestione del campo di battaglia è simulata prima di ogni operazione e questa è avviata solo quando si ha la quasi certezza della "Information dominance", del dominio sulla conoscenza di tutti i parametri. Magari non tutti. Infatti il mullah Omar, bin Laden e gli uomini dell'armata internazionale se la sono squagliata. Li denuncerà probabilmente qualche pastore analfabeta incappato per caso in un cavallo bianco fuori posto.

12 dicembre. I combattenti dell'Alleanza (delle Alleanze) "conquistano" i primi contrafforti di Tora Bora. Di al Qaida non c'è traccia, i taliban e gli "arabi" si sono ritirati. Hanno lasciato molte caverne piene di munizioni, vettovaglie, materiale logistico. Alcune caverne sono ancora quelle utilizzate durante la guerra agli inglesi nell'800. Sono state ampliate e ne sono state scavate di nuove durante la guerra contro i russi vent'anni fa. In Tv e nelle foto satellitari sembrano tombe etrusche: profondo taglio nella roccia, minuscola entrata, cunicolo in profondità. Niente tecnologia, niente "Spectre" per gli 007 arrivati sul posto travestiti da afghani al seguito delle bande assediatrici. Foto panoramiche e ingrandimenti sul sito della CNN. Si parla di una fuga verso il Pakistan. Ma la catena dell'Hindu Kush forma valli che portano al di là della frontiera con passi a quote molto elevate, difficile passare d'inverno, sulla neve, con occhi e sensori elettronici nel cielo sovrastante. Il prossimo capitolo della guerra sarà da un'altra parte del mondo, contro gli stessi personaggi o i loro sostituti.

Volantini