Capitoli della guerra generale
Le nazioni più potenti del mondo hanno unito e mobilitato l’immensa capacità di distruzione del loro apparato militare. Quaranta altri paesi le fiancheggiano nella spedizione contro una delle terre più povere e isolate. La possente coalizione s’appresta dopo l’attacco a consolidare le posizioni con truppe di terra. L’azione sarà umanitaria, rassicurano: saranno uccisi o catturati i soli terroristi e il loro capo, mentre alle popolazioni saranno inviati aiuti per sopravvivere. Già sentito.
Le truppe scelte degli esperti del consenso sono mobilitate, condurranno metà della guerra. Accorreranno presto anche le truppe complementari delle Organizzazioni umanitarie, governative e non, ormai integrate nella logistica della macchina bellica moderna, con i suoi milioni di profughi.
La potenza planetaria americana doveva dare una risposta forte all’attacco sul suo territorio e la darà a suo modo, cioè senza compromessi. Gli Stati Uniti, pressati dalla crisi cronica mondiale, sanno benissimo che si trovano di fronte ad una biforcazione: o dominano il pianeta sul serio, o soccombono. Devono optare per la prima soluzione e il "terrorismo" è un’occasione formidabile per accelerare il processo. Guai ai Taliban e a Bin Laden, ma soprattutto guai a chi si opporrà alla visione geopolitica globale dell’America. L’Afghanistan è da millenni un crocevia strategico fra Est e Ovest, mentre le popolazioni islamiche sono in gran parte insediate sulle massime riserve di petrolio, a cominciare da quelle dell’Arabia Saudita. E proprio l’insediamento di basi americane permanenti in questo paese, la profanazione dei luoghi santi nel cuore dell’islam, aveva provocato la dichiarazione di guerra da parte del fondamentalismo. Ora si sta insinuando un cuneo americano in Asia, fra Cina e Russia, come si era insinuato sulle terre petrolifere.
Ma non si può controllare il mondo dall’assemblea di chiacchiere dell’ONU o da qualche simile democratico consesso: occorre agire a livello mondiale senza tanti sofismi. "O con noi o contro di noi", come minaccia il presidente americano. La crociata americana sarà telegenica e politically correct, ma drastica quanto mai. Occorre sia chiaro, dice l’America, che o si è nella coalizione o si è"terroristi", classificati fra i fiancheggiatori, ospiti, finanziatori ecc., quindi da sterminare.
Tuttavia è impossibile controllare il "terrorismo" alla fonte finché vengono rispettate le regole della sovranità nazionale. Come si fa a lottare contro il Male se vi sono ostacoli giuridici al movimento delle truppe e delle spie, se vi sono apparati bancari fermamente arroccati sul detto "pecunia non olet" (il denaro è tutto uguale, non si porta appresso l’odore del padrone)? Le borghesie d’Europa e d’Asia hanno perso definitivamente ogni parvenza di autonomia.
La guerra è investimento. Mentre procede sul campo, procede a Wall Street. L’imperialismo è la fase suprema del capitalismo, oltre di essa non non vi può essere sviluppo di "nuove" forme. Perciò l’accanita conservazione di quella esistente necessita del controllo militare, economico, politico e ideologico insieme. Territori ricchi di materie prime diventano obiettivi irrinunciabili. Territori strategici che abbiano un alto potenziale di instabilità sociale sono utilizzabili scagliandoli contro i concorrenti. L’Islam sarà un’arma americana, non islamica.
La vera guerra d’oggi non è quella che si vede. Il controllo politico, globale del mondo si sta dispiegando e parla il linguaggio della guerra, com’era inevitabile. Situazione delicata e pericolosa per il maggiore imperialismo in crisi, quello degli Stati Uniti: potrebbe essere incominciata la disgregazione del sistema che s’impernia sulla loro potenza e gli altri paesi imperialistici potrebbero non sopportare all’infinito una condizione di dipendenza. Del resto tutte le guerre portano in sé contraddizione enormi. Prima fra tutte quella sociale. Esse devono coinvolgere il proletariato, e il disfattismo rivoluzionario potrebbe esserne la conseguenza, come già s’intravvede proprio negli Stati Uniti.
8 ottobre 2001