Accordo sul costo del lavoro, sindacati e scioperi

20 ottobre 1993

Il titolo completo dell'accordo firmato il 23 luglio scorso è: "Protocollo sulla politica dei redditi e dell'occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo". Esso riprende i temi contenuti nella bozza firmata esattamente un anno prima e violentemente rifiutata dai lavoratori.

Come giustamente essi avevano avvertito scendendo in piazza anche contro i sindacati, l'accordo sul costo del lavoro non rappresenta nessun vantaggio ma solo un peggioramento delle condizioni esistenti.

Si tratta in realtà non tanto di un accordo sindacale quanto del programma politico dello Stato italiano per il rilancio dell'economia attraverso l'appoggio statale alla formazione del profitto d'industria e quindi attraverso il controllo dei "redditi". Ma "reddito" è una parola vaga che indica sia la parcella dell'avvocato che la paga dell'operaio, sia la rendita dell'azionista che la pensione sociale del barbone. L'unico "reddito" controllabile e fiscalizzabile sul serio è quello del salariato.

Una politica di sostegno all'economia ha bisogno dell'appoggio sindacale perché significa in primo luogo sostegno del profitto e, siccome tutto ciò che va al profitto viene tolto ai salariati, bisogna anche tenere buoni questi ultimi e convincerli che non c'è altro da fare.

E così, nonostante la violenta opposizione dell'anno scorso sugli stessi temi, nascondendo il vero contenuto dell'accordo e presentandolo come un vantaggio sui giornali, sui volantini, nelle assemblee, si è riusciti a farlo approvare dai lavoratori. Non avevano forse detto: "mai più senza la verifica"? In realtà hanno votato 10 lavoratori su 100 e di questi solo 6 a favore!

Si è addirittura affermato da parte sindacale che l'appoggio alla formazione del profitto ha una ricaduta favorevole sull'occupazione e sul benessere dei salariati. Questi campioni dell'appoggio incondizionato degli interessi padronali sarebbero semplicemente da buttare fuori a calci ed è inutile ricordargli che la rivoluzione industriale è avvenuta da un secolo, che i salariati hanno migliorato le loro condizioni ma si sono enormemente impoveriti in rapporto alla ricchezza accumulata e che ogni espediente per stimolare la disastrata economia non fa altro che creare nuove condizioni di crisi con più disoccupazione e più spreco sociale.

Anche le sedicenti opposizioni sindacali hanno puntato tutta la loro grande critica sull'aspetto contrattuale, che rappresenta un decimo dell'intero testo, senza occuparsi delle gravissime implicazioni complessive.

Il protocollo firmato dedica pochi punti essenziali alla politica del lavoro in mezzo a molte pagine di politica economica: 1) blocco della dinamica salariale; 2) restrizione delle possibilità contrattuali; 3) semplificazione delle procedure di licenziamento; 4) parcheggio dei giovani senza lavoro in strutture scolastiche e formative inutili; 5) legalizzazione della forza lavoro in affitto; 6) contratti di "formazione" fino a 32 anni di età, con la possibilità per il padrone di non pagare le ore che considera "formative".

In compenso l'intervento di "sostegno al sistema produttivo" è spiegato in modo minuzioso e si può riassumere nel motto "debito pubblico guadagno privato", con la differenza rispetto al passato che il debito pubblico è giunto a livelli insopportabili, quindi lo Stato si pone il compito di rastrellare capitali presso i "cittadini" per darli al "sistema produttivo" insieme alle attività industriali pubbliche, le banche, gli immobili ecc.

Secondo il documento lo Stato si ritira come sfruttatore diretto della forza lavoro e si assume il compito di guidare l'economia nazionale attraverso il controllo diretto di tutta l'attività economica in modo centralizzato attraverso i canali del credito, delle opere pubbliche, della distribuzione delle conoscenze, della politica delle tariffe che non sono più "servizio" ma devono diventare compatibili con il "normale" profitto. Lo Stato si pone il paradossale compito di fare da garante totalitario ad un liberismo economico che il normale e libero svolgersi dell'attività capitalistica soffoca continuamente nella tendenza al monopolio e alla corruzione.

Affinché questo progetto sia realizzabile - bisogna dirlo chiaro - occorre un controllo ferreo dell'intera società tramite un esecutivo (governo) che non si perda dietro chiacchiere parlamentari, occorre che il sindacato sia perfettamente integrato nel progetto in modo da permettere il supersfruttamento della forza lavoro nazionale in concorrenza con quella degli altri paesi. Occorre infine una centralizzazione massima delle decisioni, insomma, una prassi dittatoriale in politica e in economia. Non saranno certo i proletari a piangere se la borghesia riduce il suo parlamento a inutile finzione: la rivoluzione che verrà non avrà bisogno di fingere democrazia.

I problemi che il documento governativo-industriale-sindacale cerca di risolvere sono in realtà irrisolvibili. La produttività è troppo alta in confronto alla quantità di forza lavoro disponibile e l'orario di lavoro fisso alle otto ore è un controsenso storico. C'è disoccupazione e crisi non perché si produce poco, ma perché si produce troppo e non si riesce a vendere, mentre miliardi di uomini non hanno di che sfamarsi. L'economia dei paesi industrializzati ha un incremento vicino allo zero con 40 milioni di disoccupati destinati ad aumentare. Questa situazione è irreversibile, non torneranno mai più la piena occupazione e gli alti ritmi di crescita del passato.

L'abbassamento drastico della giornata lavorativa con la difesa del salario di occupati e disoccupati sarebbe l'unica rivendicazione seria per difendere le condizioni di vita del proletariato e unirlo. Sarebbe anche l'unico modo per colpire alle radici corruzione e parassitismo su cui ci rompono giornalmente le tasche e che traggono alimento dall'altissima produttività dei pochi che rimangono nel ciclo produttivo. Ma non esiste sindacato al mondo in grado di adottare una politica di classe, a meno che una grandissima ondata di lotta non sconvolga l'attuale compromesso sociale e la imponga.

Volantini