La crisi della Fiat è la crisi generale del modo di produzione capitalistico
1 febbraio 1994
Continuare ad attribuire l'attuale crisi automobilistica italiana all'incapacità gestionale di questo o quel gruppo dirigente, come fanno sindacati e politici interessati, è inutile e fuorviante.
I dati della produzione e delle vendite del settore automobilistico sono omogenei su scala mondiale e dimostrano un divario tra capacità produttiva e assorbimento del mercato. D'altra parte l'attuale crisi non è solo crisi del modello di sviluppo basato sulla "quattroruote", ma di tutti i settori produttivi, e lo stesso fenomeno si ripete per le società produttrici di computer (IBM, Bull, Olivetti, etc.) indicando che questa non è solo crisi del settori tradizionali.
La crisi è dovuta all'aumento costante della produttività, ottenuto tramite la continua introduzione di nuove tecnologie e metodi. Questo aumento, che è contemporaneamente aumento enorme dello sfruttamento dei lavoratori, si scontra con la limitatezza di un mercato che non è più in grado di assorbire la vulcanica produzione di merci con cui il capitalismo cerca di soddisfare la sua insaziabile necessità di profitto. Questo fenomeno non è nazionale ma mondiale.
Le "strategie" che i sindacati confederali ci propinano da decenni, sposando la causa "patriottica" della competitività e della produttività, non rispondono alle necessità di difesa degli interessi vitali dei lavoratori. Anche la semplice difesa del "posto di lavoro", che non sia accompagnata da una chiara denuncia del "normale" funzionamento dell'economia capitalistica, non può che assecondare la disastrosa concorrenza tra gli occupati. E' ovvio che la concorrenza capitalistica della FIAT contro la Volkswagen si traduce nei fatti, se non interviene la lotta di classe, in una concorrenza fra operai non solo di FIAT e Volkswagen, ma di Mirafiori e Melfi, Alfa e FIAT, Arese e Pomigliano, e così via, in una spirale destinata a sviluppare all'infinito regionalismi e settorialismi assolutamente mortali per la necessaria unità della classe proletaria, in cui rientrano allo stesso titolo occupati e disoccupati.
I contratti di solidarietà, sbandierati in Italia e in Germania come se rappresentassero una soluzione all'anarchia produttiva capitalistica, sono ammortizzatori sociali indispensabili al capitalismo: proprio per questo sono destinati non solo ad essere applicati per abbassare il salario, ma anche per fornire un'ancora di salvezza ad un sistema che sta andando verso la catastrofe. Si tenta di far passare come opera pia ed umanitaria un mezzuccio per aumentare il profitto dei capitalisti in crisi, mentre la crisi stessa è frutto delle tendenze inarrestabili dello sviluppo capitalistico, le quali comportano la progressiva riduzione della quantità di lavoro umano necessario nella produzione.
Là dove sono già stati applicati, i cosiddetti contratti di solidarietà non solo non hanno contribuito a salvare posti di lavoro, ma hanno aiutato i singoli capitalisti a mettersi in tasca un sacco di soldi dilazionando fallimenti già decisi o semplicemente introducendo forme velate di vera e propria schiavitù col ricatto continuo della disoccupazione.
Non sono necessari governi di sinistra o sinistre sindacali per richiedere l'applicazione o l'ideazione di nuovi ammortizzatori sociali: sono gli stessi economisti e reggicoda del capitale a indicarne la necessità, come fa per esempio La Stampa additando come modello da seguire le nuove forme di politica industriale introdotte negli Stati Uniti, che secondo Deaglio "implicano potentissimi sostegni indiretti alle imprese". Senonché si tace sul fatto che proprio negli Stati Uniti è in aumento la povertà assoluta di fasce sempre più vaste della popolazione.
Finché rimane in piedi l'attuale modo di produzione capitalistico, indipendentemente da una sua situazione di crisi o meno, è vitale per i proletari rivendicare comunque la possibilità di esistenza attraverso la garanzia del salario pieno in qualsiasi situazione, anche quando si perde il posto di lavoro. Non esistono palliativi: gli aiuti ai capitalisti in crisi si trasformano in sciacallaggi e speculazioni sui fallimenti, tirati in lungo per trasferire alla spesa pubblica ogni disastro privato. I contratti di solidarietà non sono altro che uno dei mezzi per permettere ai capitalisti di usare i proletari come carne da cannone nella guerra di concorrenza e, al limite, come arma di ricatto per estorcere banditescamente quattrini alla società. L'attuale sistema economico e sociale, basato sullo sfruttamento della forza-lavoro, segue il suo percorso catastrofico e nulla può "migliorarlo": ogni intervento gli dà ossigeno e peggiora le condizioni dello sfruttamento. Esso può solo essere tolto di mezzo con un'azione coerente di tutta la classe proletaria, ricongiunta storicamente alla sua teoria rivoluzionaria e alla pratica immediata che ne deriva.