Palestina, scontro fra borghesie vigliacche
La guerra impari fra Israele e i Palestinesi non può portare a nessun risultato finché rimane nell'ambito di due opposte "questioni nazionali". Fin dall'inizio la borghesia ebraica non poteva risolvere da sola il problema del suo Stato e fu utilizzata dall'imperialismo americano nell'ambito della lotta contro i vecchi imperialismo europei e della penetrazione strategica in Medio Oriente. Il terrorismo ebraico degli inizi e poi la guerra avevano cacciato i Palestinesi dalle loro terre, costringendoli nell'orbita politica delle nazioni arabe. Alcune di queste a loro volta erano state costrette ad accettare l'appoggio ambiguo e tentennante dell'URSS.
Gli equilibri di allora, già nefasti per i Palestinesi e per gli arabi in generale, non esistono più. Oggi meno che mai i Palestinesi possono risolvere il loro problema nazionale mettendolo ancora una volta nelle mani delle borghesie arabe inconseguenti e divise. In ogni caso, è pura apparenza ogni politica nazionale autonoma in un'area delicata come quella del Medio Oriente: la borghesia israeliana è al servizio degli USA, quella palestinese dipende dagli stati arabi, quelle di questi ultimi dipendono dalla politica mondiale degli Stati Uniti. Anche l'Europa, nonostante le proprie velleità di indipendenza economica e politica rispetto all'imperialismo americano, si dimostra in realtà impotente, succuba e persino servile.
Di fronte a questi dati di fatto storici, l'aspirazione palestinese ad uno Stato indipendente si scontra con una prospettiva reale del tutto rovinosa: se esso sarà frutto di accordi fra potenze, sorgerà si di un territorio disarmato e soffocato, senza economia, senza sovranità nazionale; se sarà "concesso" da Israele come conseguenza delle operazioni militari sarà un grande campo di concentramento sottoposto ad ogni arbitrio dell'avversario. La "questione palestinese" non ha soluzione se non si inserisce nell'ambito della crescita del proletariato (che non è né arabo né ebraico) nella prospettiva della rivoluzione, non nazionale, ma proletaria.
Superata l'epoca delle rivoluzioni nazionali, la vera soluzione delle contese fra borghesie nazionali è la guerra fra Stati. Questa è però la soluzione già tentata tre volte da parte araba, e la spietata borghesia israeliana, con l'aiuto degli Stati Uniti, ha risposto ogni volta sconfiggendo gli attaccanti. Un'eventuale nuova guerra non potrebbe che terminare come sono terminate tutte le altre. La rivoluzione borghese in quell'area è già avvenuta e, per ragioni internazionali, ha segno israeliano. La realtà brutale è che una seconda rivoluzione borghese di segno arabo-palestinese non ha storia. Per questo la situazione s'impaluda in un massacro ottuso, crudele, insensato, da entrambe le parti. Spietatezza contro "martirio".
"Diritto all'autodeterminazione" è una parola d'ordine che tanto ha confuso i sostenitori della causa palestinese e di tante altre situazioni analoghe. I comunisti la inseriscono nel loro programma quando vi siano le condizioni materiali e pratiche che permettano un'effettiva soluzione, non perché sia una rivendicazione di per sé rivoluzionaria. Anzi essa si frappone alla prospettiva rivoluzionaria, ed è giocoforza acconsentire ad essa per sbarazzarsene. I comunisti sono contrari alla frammentazione degli stati esistenti. Solo se la lotta per tale diritto ha senso storico ed è realistica noi l'appoggiamo, anche partecipandovi in modo attivo. Se fosse stato possibile l'avremmo fatto negli anni '30, al tempo degli scioperi generali in tutta l'area quando molte delle terre arabe erano sotto mandato britannico.
La "distruzione dello Stato di Israele", posto che sia un obiettivo realistico, capovolgerebbe semplicemente la situazione, mettendo la popolazione ebraica nelle condizioni di quella palestinese. Di certo le soluzioni prospettate nell'ambito degli annosi accordi sono sfavorevoli da ogni punto di vista: da quello puramente borghese, perché due opposte questioni nazionali sullo stesso territorio non hanno soluzione; da quello puramente comunista perché, invece di sbarazzare il terreno della questione nazionale, la rendono più virulenta che mai; da quello sia borghese che comunista perché non favoriscono le condizioni per lo sviluppo del proletariato né israeliano né palestinese. La lotta palestinese è uno dei classici casi risolvibili solo nella prospettiva rivoluzionaria comunista, per quanto tale sbocco sia lontano nel tempo. Non si tratta di una formula abusata, di quelle che demandano ogni soluzione ad un incerto futuro, ma di un processo già in atto.
La tragedia del martoriato popolo palestinese è già parte integrante del gran sommovimento che coinvolge centinaia di milioni di uomini, in guerre apparentemente "nazionali" ma in realtà frutto della conquista del mondo da parte del Capitale, frutto cioè dell'abbattimento delle nazioni, non della loro esaltazione. Negli anni '70 alcune frange palestinesi avevano accennato a una soluzione: sottrarre la direzione del movimento alle borghesie e unire i proletari delle due parti nella prospettiva di un unico Stato né arabo né ebraico, più esteso dell'attuale Israele. Al di là delle confusioni di allora sul "socialismo", questa è ancora l'unica via che non sia semplicemente quella reazionaria borghese, ebraica o araba che sia. E' in tale contesto che i Palestinesi, in autentica autonomia rispetto ai loro falsi tutori, possono sconfiggere il nemico borghese comune.
"n+1", rivista sul movimento reale che abolisce lo stato di cose presente
http://www.ica-net.it/quinterna/ - Suppl. al n. 6 della rivista "n+1", reg. trib. Torino n. 5401 del 14 giugno 2000. Fotocopiato in proprio, 5 aprile 2002.