I fattori di razza e nazione nella teoria marxista (1)

Introduzione

Impotenza della banale posizione negativista

Razze, nazioni o classi?

1. Il metodo della Sinistra comunista italiana ed internazionale nulla ha mai avuto di comune con il falso estremismo dogmatico e settario che pretenderebbe con vuote negazioni verbali e letterarie di superare forze presenti nei reali processi della storia.

In un recente "filo del tempo" che introduce una serie di trattazioni della questione nazionale-coloniale e della questione agraria - e quindi delle principali contemporanee questioni sociali in cui sono in gioco forze notevoli non limitate al capitale industriale e al proletariato salariato - si è dimostrato con citazioni documentarie che il marxismo rivoluzionario perfettamente ortodosso e radicale riconosce l'importanza presente di tali fattori e la corrispondente necessità di avere in ordine ad essi una pratica di classe e di partito adatta; e ciò non solo citando Marx, Engels e Lenin ma gli stessi documenti base, dal 1920 al 1926, della opposizione di sinistra nell'Internazionale e del Partito Comunista d'Italia che in quel tratto ne faceva parte integrante.

Soltanto nelle vuote insinuazioni degli avversari della Sinistra, incanalati da allora sulla via dell'opportunismo, e oggi naufragati paurosamente nel rinnegamento del marxismo classista e nella politica controrivoluzionaria, la Sinistra sarebbe stata partecipe dell'errore assolutista e metafisico secondo cui il Partito Comunista non deve di altro occuparsi che di un duello tra le forze pure del capitale moderno e degli operai di azienda, dal quale sorgerà la rivoluzione proletaria, negando ed ignorando l'influenza sulla lotta sociale di ogni altra classe e di ogni altro fattore. Nella nostra recente opera di riproposizione dei cardini dell'economia marxista e del programma rivoluzionario marxista abbiamo mostrato con ampiezza come questa "fase" pura nella realtà non esiste neanche oggi e in nessun paese, nemmeno nei più densamente industriali e in quelli di più antica affermazione del dominio politico della borghesia come possono essere Inghilterra, Francia, Stati Uniti; anzi che essa non si verificherà mai in nessun posto, non essendone affatto l'attesa una condizione per la vittoria rivoluzionaria del proletariato.

E' dunque una pura scempiaggine dire che essendo il marxismo la teoria della moderna lotta di classe tra capitalisti ed operai, ed il comunismo il movimento che conduce la lotta del proletariato, noi neghiamo effetto storico alle forze sociali di altre classi, ad esempio i contadini, e alle tendenze e pressioni razziali e nazionali, e nello stabilire la nostra azione trascuriamo come superflui tali elementi.

2. Il materialismo storico, presentando in modo nuovo ed originale il corso della preistoria, non ha solo considerato, studiato e valutato i processi di formazione di famiglie, gruppi, tribù, razze e popoli fino al formarsi delle nazioni e degli Stati politici, ma appunto ne ha dato la spiegazione come connessi e condizionati allo sviluppo delle forze produttive e come manifestazione e conferma della teoria del determinismo economico.

Indubbiamente la famiglia e l'orda sono forme che incontriamo anche presso le specie animali, e si suole dire che anche le più evolute di esse, se cominciano a presentar esempi di organizzazione collettiva a fini di comune difesa e conservazione ed anche di raccolta e provvista di alimenti, non presentano ancora una attività produttiva, che distingue l'uomo anche il più antico. Meglio sarebbe dire che distingue la specie umana non la conoscenza o il pensiero o la particella di divina luce, ma la capacità di produrre non solo oggetti da consumare, ma anche oggetti da dedicare alla ulteriore produzione, come i primi per quanto rudimentali utensili di caccia, di pesca, di raccolta di frutti, e poi di lavoro agricolo e artigiano. Questa prima necessità di organizzare la produzione dell'utensile si innesta, a caratterizzare la specie umana, con quella di dare una disciplina e una normativa al processo riproduttivo, superando la occasionalità del rapporto sessuale con forme assai più complesse di quelle che presentava il mondo animale. Soprattutto nella classica opera di Engels, cui si attingerà largamente, è mostrata la connessione inseparabile, se non la identità, dell'evolvere delle istituzioni familiari e di quelle produttive.

Nella visione marxista del corso storico umano quindi, anche prima che le classi sociali siano presenti - tutta la nostra battaglia teorica sfocia nel mostrare che esse non sono eterne; ebbero principio e avranno fine - è data la sola possibile spiegazione, su basi scientifiche e materiali, della funzione del clan, della tribù e della razza e del loro ordinarsi in forme sempre più complesse per effetto dei caratteri dell'ambiente fisico e dell'incremento delle forze produttive e della tecnica di cui la collettività viene a disporre.

3. Il fattore storico delle nazionalità e delle grandi lotte di esse e per esse, variamente presente in tutta la storia, è decisivo all'apparire della forma sociale borghese e capitalista man mano che questa dilaga sulla terra, e Marx al suo tempo dette il massimo dell'attenzione, non minore di quella dedicata ai processi dell'economia sociale, alle lotte e guerre di sistemazione nazionale. Esistendo ormai dal 1848 la dottrina ed il partito del proletariato, Marx non dette solo la teorica spiegazione di quelle lotte secondo il determinismo economico, ma si preoccupò di stabilire i limiti e le condizioni di tempo e di luogo per l'appoggio ad insurrezioni e guerre statali indipendentiste.

Sviluppatesi le grandi unità organizzate di popoli e di nazioni, e sovrapposte ad esse ed al loro dinamismo sociale ormai differenziato in caste e classi le forme e gerarchie statali, il fattore razziale e nazionale è seguito nel suo diverso gioco nelle varie epoche storiche: schiavismo, signoria, feudalesimo, capitalismo. La sua importanza è diversa nelle varie forme, come si vedrà nella seconda parte e come tante volte si è esposto. Nella moderna epoca, in cui si è iniziato e si diffonde nel mondo il trapasso dalla forma feudale, di dipendenza personale, scambio limitato e locale, a quella borghese di servitù economica e formazione dei grandi mercati unitari nazionali, verso il mercato mondiale, la sistemazione della nazionalità secondo razza, lingua, tradizioni e cultura e la rivendicazione che Lenin riassumeva nella formula "una nazione, uno Stato" (allorché spiegava che bisognava lottare per essa ma dire che era formula borghese e non proletaria e socialista) è di forza fondamentale nella dinamica della storia. Questo che Lenin constata per il tempo prima del 1917 nell'Europa Orientale fu vero per Marx dal 1848 per tutta l'Europa Occidentale (meno l'Inghilterra) e fino al 1871, come ben noto. Ed è vero oggi fuori d'Europa in parti immense delle terre abitate, per quanto il processo sia eccitato e accelerato dalla potenza degli scambi economici e di ogni genere a scala mondiale. E' quindi attuale il problema della posizione da assumere di fronte alle tendenze irresistibili nei popoli "arretrati" a lotte nazionali di indipendenza.

Opportunismo nella questione nazionale

4. Il nodo dialettico della questione sta non nell'identificare una alleanza nella fisica lotta ai fini rivoluzionari antifeudali tra Stati borghesi e classe e partito operaio con un rinnegamento della dottrina e della politica della lotta di classe, ma nel mostrare che anche nelle condizioni storiche e nelle aree geografiche in cui quella alleanza è necessaria e ineluttabile deve restare integra, ed essere anzi portata al massimo la critica teorica programmatica e politica ai fini e alle ideologie per cui combattono gli elementi borghesi e piccolo-borghesi.

Mostreremo nella terza e finale parte come Marx, mentre sostiene con ogni sua forza ad esempio l'indipendenza polacca o irlandese, non cessa non solo dal condannare ma dal demolire a fondo e schiacciare sotto la derisione il bagaglio idealistico dei fautori borghesi e piccolo-borghesi della giustizia democratica e della libertà dei popoli. Mentre per noi il mercato nazionale e lo Stato capitalista nazionale centralizzato sono un ponte di passaggio inevitabile alla economia internazionale che avrà soppresso Stato e mercato, per i santoni che Marx beffa in Mazzini, Garibaldi, Kossuth, Sobietsky, ecc., la sistemazione democratica in Stati nazionali è un punto di arrivo che porrà fine ad ogni lotta sociale, e si vuole lo Stato nazionale omogeneo perché in esso i padroni non appariranno nemici e stranieri ai lavoratori sfruttati. In quel momento storico il fronte ruota, e la classe operaia si getterà nella guerra civile contro lo Stato della propria "patria". Questo momento si avvicina e le sue condizioni si formano nel corso del processo delle rivoluzioni e guerre nazionali borghesi di sistemazione d'Europa (oggi anche di Asia e Africa): ecco il problema senza cessa mutevole e dai variabilissimi indirizzi che va decifrato.

5. Opportunismo, tradimento, rinnegamento e azione controrivoluzionaria e filo-capitalista degli attuali falsi comunisti stalinisti, hanno in questo settore (non meno che in quello strettamente economico, sociale, di politica cosiddetta interna) duplice portata. Essi rimettono in auge esigenze e valori democratici nazionali, con aperti e spinti blocchi politici, anche nell'Occidente capitalista avanzatissimo ove la plausibilità di alleanze simili era esclusa dal 1871; ma inoltre diffondono nelle masse il sacro rispetto alla ideologia nazionale patriottica e popolare identificata con quella dei borghesi loro alleati, e corteggiano anzi i campioni di tale politica, che Marx e Lenin ferocemente staffilarono, proseguendo nella estirpazione di ogni senso di classe nei lavoratori che sventuratamente li seguono.

Sciocco sarebbe scambiare con una attenuante per l'infamia dei partiti che oggi pretendono rappresentare gli operai, soprattutto in Italia, col falso nome di comunisti e socialisti, il riconoscimento che è metodo marxista ammesso quello di partecipare ad alleanze nazionali rivoluzionarie da parte dei partiti operai, purché ben lontano dai confini del secolo ventesimo e dell'Europa storico-geografica. Quando nel conflitto sorto nel pieno quadro dell'Occidente sviluppato (Francia, Inghilterra, America, Italia, Germania, Austria) si praticano dallo Stato russo e da tutti i partiti della ex Terza Internazionale Comunista alleanze di guerra a turno con tutti gli Stati borghesi, non esistendo più né Napoleoni terzi, né Nicola secondi e simili, si lacera direttamente, da un lato l'Indirizzo di Marx per la Prima Internazionale alla Comune di Parigi del 1871 che chiudeva e denunziava per sempre ogni alleanza con "eserciti nazionali" in quanto "da oggi in poi confederati tutti contro il proletariato insorto", da un altro le tesi di Lenin sulla guerra 1914 e per la fondazione della Terza Internazionale, in cui si stabiliva che, iniziata la fase delle guerre generali imperialiste, nulla più avevano a che vedere con la politica degli Stati le rivendicazioni democratiche e indipendentiste, condannando insieme socialnazionali traditori di qua e di là dal Reno o dalla Vistola.

Una semplice proposta di "riapertura di termini" concessa al capitalismo, spostando il 1871, e il 1917, al 1939 e al 1953, con ulteriore proroga non calcolabile, non saprebbe avere serio ingresso senza la squalifica del metodo marxista di lettura della storia tutto intiero, agli svolti cruciali in cui la sua potenza dottrinale cominciò ad intaccare nel vivo della difesa del passato: il 1848 europeo, il 1905 russo. Di più essa urta con il rinnegamento di tutta l'analisi economica e sociale classica, nel tentativo di assimilare alle superstiti feudali forme di quel tempo i recenti totalitarismi fascisti (e anche non fascisti, al tempo della spartizione polacca!

Ma la sentenza di tradimento diametrale sta nel secondo aspetto: la obliterazione totale ed integrale di quella critica ai "valori" propri del pensiero borghese, che esaltano, come punto di sistemazione del tremendo cammino della umanità, un mondo aclassista di autonomie popolari, di nazionalità libere, di patrie indipendenti e pacifiche. Ed infatti Marx e Lenin nel momento in cui erano ancora costretti a stringer patti con i fautori di questo marcio bagaglio, portarono alla più alta virulenza la lotta per liberare la classe operaia dai feticci di patria nazione e democrazia agitati dai "santoni" del radicalismo borghese, e seppero allo svolto storico rompere con essi anche nel fatto, e quando il rapporto di forze lo permise senza pietà ne iugularono il movimento. Questi di oggi hanno ereditato la funzione di sacerdoti di quei feticci e di quei miti; non si tratta di un patto storico che romperanno più tardi del previsto, ma si tratta dell'asservimento totale alle rivendicazioni proprie della borghesia capitalista per l'optimum del regime che ne consente privilegi e potere.

La tesi interessa perché collima con la dimostrazione, data tra l'altro nel Dialogato con Stalin e in altre riunioni sul terreno della scienza economica, che la Russia di oggi è uno Stato di compiuta rivoluzione capitalistica, e che sulla sua merce sociale stanno a posto le bandiere di nazionalità e di patria, come il militarismo più esasperato.

6. Sarebbe errore gravissimo il non vedere e il negare che nel mondo presente hanno ancora effetto ed influenza grandissima i fattori etnici e nazionali, ed è ancora attuale l'esatto studio dei limiti di tempo e di spazio in cui sommovimenti per l'indipendenza nazionale, legati ad una rivoluzione sociale contro forme precapitalistiche (asiatiche, schiaviste, feudali) hanno ancora il carattere di condizioni necessarie del trapasso al socialismo, con la fondazione di Stati nazionali di tipo moderno (ad esempio in India, Cina, Egitto, Persia, ecc.).

La discriminazione tra tali situazioni è resa difficile da un lato dal fattore dell'esterofobia determinata dallo spietato colonialismo capitalista, dall'altro da quello della estrema diffusione mondiale presente di risorse produttive e di apporto di merci ai più remoti mercati; ma alla scala mondiale il problema scottante nel 1920 anche nell'area dell'ex impero russo, di dare appoggio politico ed armato a moti indipendentisti di popoli di Oriente, non è in alcun modo chiuso.

Il dire ad esempio che il rapporto tra capitale industriale e classe degli operai salariati si pone nello stesso modo, putacaso, nel Belgio e nel Siam, e che la prassi della relativa lotta si stabilisce senza tener conto in nessuno dei due casi di fattori di razza o di nazionalità, non significa essere estremisti, ma in effetti significa non aver capito nulla del marxismo.

Non è togliendo al marxismo la sua profondità e vastità ed anche la sua dura ed aspra complessità, che si acquista il diritto di sbugiardarne, ed un giorno di abbatterne, gli spregevoli rinnegati.

Parte prima

Riproduzione della specie ed economia produttiva inseparabili aspetti della base materiale del processo storico

Lavoro e sesso

1. Il materialismo storico perde ogni senso, ove si consenta che come fattore estraneo al campo della economia sociale si introduca quello del preteso carattere individuale dell'appetito sessuale, che genererebbe derivazioni e costruzioni di origine extra economica fino alle più evanescenti e spirituali.

Occorrerebbe ben più vasta mobilitazione di materiale scientifico, sempre sulla base della massima diffidenza per la decadente e venale scienza ufficiale del periodo attuale, se qui la polemica fosse volta solo contro gli avversari frontali e integrali del marxismo. Come sempre ci preoccupano al massimo grado, quali fattori antirivoluzionari, quelle correnti che mostrano accettare alcuni lati del marxismo, e poi trattano problemi collettivi e umani essenziali pretendendo che siano posti fuori delle sue frontiere.

E' chiaro che fideisti ed idealisti, istituendo nella spiegazione della natura gerarchie di valori, tendano a sollevare i problemi del sesso e dell'amore in una sfera e in un grado che di molto sovrasta quello dell'economia, volgarmente intesa come campo della soddisfazione di bisogni alimentari e affini. Se l'elemento che solleva e discrimina la specie homo sapiens dalle altre animali davvero venisse non dal fisico effetto di una lunga evoluzione in un complesso ambiente di fattori materiali, ma scendesse dalla immissione di una particola di uno spirito cosmico non riducibile alla materia, sarebbe chiaro che nella riproduzione di un essere da un altro, di un cervello pensante da un altro, deve occorrere un rapporto più nobile che nel semplice riempimento quotidiano dello stomaco. Se, anche senza dipingere questo spirito-Persona immateriale, si ammette che comunque nella dinamica dell'umano pensiero sia insita una virtù e una potenza che preesiste o extraesiste alla materia, resta anche evidente che si deve sollevare in un campo più arcano il meccanismo che surroga l'io generante all'io generato, con le stesse ineccepibili facoltà, ipoteticamente premesse ad ogni contatto con la natura fisica e ad ogni cognizione.

E' al materialista dialettico che è imperdonabile supporre che la sottostruttura economica, nelle forze e nelle leggi della quale si cerca la spiegazione della storia politica dell'umanità, comprenda solo la produzione ed il consumo della più o meno vasta gamma di beni occorrenti a tenere in vita l'individuo; che a tale campo si limitino i rapporti materiali tra individui, e che dal gioco delle forze che legano queste innumeri molecole isolate si compongano le norme, regole e leggi del fatto sociale; mentre tutta una serie di soddisfazioni della vita restano fuori di questa costruzione; e sono per molti dilettanti quelle che vanno dal sex-appeal fino ai godimenti estetici o intellettuali. Tale accezione del marxismo è spaventosamente falsa, è il peggiore degli antimarxismi in circolazione, ed oltre al ricadere implicito ma inesorabile nell'idealismo borghese, piomba non meno crassamente in pieno individualismo, altro non meno essenziale carattere del pensiero reazionario; e ciò tanto se sia posto in prima linea e come grandezza base l'individuo biologico, che quello psichico.

Il fattore materiale non "genera" quello sovrastrutturale (giuridico, politico, filosofico) facendo tutto questo corso entro un individuo, e nemmeno per una generativa catena ereditaria di individui, restando poi da fare le "medie" per la base economica e per il coronamento culturale. La base è un sistema di fattori fisici e palpabili che avvolgono tutti gli individui e li determinano al loro comportamento anche singolo, e che in tanto esiste in quanto quegli individui hanno preso a formare una specie sociale, e la sovrastruttura è un derivato da quelle condizioni di base, determinabile sullo studio di esse e calcolabile su di esse, senza preoccuparsi dei mille svolgimenti particolari e dei piccoli scarti da persona a persona.

L'errore dunque di limitatezza marxista di cui si tratta è un errore di principio che riportando l'esame delle cause dei processi storici da un lato a fattori ideali fuori della natura fisica, dall'altro alla preminenza del risibile cittadino Individuo, non lascia al materialismo dialettico campo alcuno e lo rende impotente a concludere anche a proposito della contabilità del panificio o della salsamenteria.

2. La deplorata abdicazione del marxismo dal dominio sul campo sessuale e riproduttivo con tutte le sue ricchissime derivazioni ignora le opposte concezioni, borghese e comunista, della economia, e quindi decade da tutta la possente conquista che Marx realizzò sulla rovina delle scuole capitaliste. Per esse economia è insieme di rapporti che poggiano tutti su scambio tra due individui di oggetti reciprocamente utili alla propria conservazione, sia pure tra essi compresa la forza lavorativa. Ne concludono che non ci furono né saranno economie senza scambio, merce e proprietà. Per noi economia comprende tutto il vasto complesso della attività di specie, di gruppo umano, influente sui rapporti con l'ambiente naturale fisico; e il determinismo economico non regge solo l'epoca della proprietà privata ma tutta la storia della specie.

Tutti i marxisti considerano come tesi acquisite quelle che dicono: la proprietà privata non è eterna; vi fu l'epoca del comunismo primitivo che la ignorò, e andiamo verso l'epoca del comunismo sociale; la famiglia non è eterna, e tanto meno la famiglia monogama: apparve molto tardi ed in una più elevata epoca dovrà sparire; non eterno è lo Stato: apparve in uno stadio assai avanzato della "civiltà" e scomparirà con la divisione della società in classi e con queste.

Ora, è chiaro che tutte queste verità non sono conciliabili con una visione della prassi storica che si fondi sulla dinamica degli individui e su una concessione anche minima alla loro autonomia e iniziativa, alla loro libertà, coscienza, volontà e simili gingilli. Esse sono dimostrabili solo in quanto si conchiude che l'elemento determinante è un faticoso adattarsi e ordinarsi delle collettività degli uomini alle difficoltà e ostacoli del luogo e del tempo in cui si trovano, risolvendo non miliardi di problemi di adattamento di singoli uomini, ma quello, sempre più tendente ad essere visto in modo unitario, dell'adattamento prolungato di tutta la specie come insieme alle esigenze che pongono le circostanze esterne. A questo ineluttabilmente conducono l'aumento del numero dei componenti la specie, il cadere delle barriere che li separavano, l'ampliarsi allucinante dei mezzi tecnici a disposizione, la possibilità del maneggio di questi solo per organamenti collettivi di individui innumeri, e così via.

Per un popolo primitivo può pensarsi che sociologia sia alimentazione, da quando anche questo minimum non è più alla portata dello sforzo individuale come nella bestia; ma poi è sociologia la sanità pubblica, la generazione, l'eugenetica, domani il piano annuale delle nascite.

Individuo e specie

3. La conservazione dell'individuo in cui sempre si cerca il misterioso primo motore degli eventi non è che una manifestazione derivata e secondaria della conservazione e dello sviluppo della specie, indipendentemente dalle tradizionali presentazioni di una provvidenza naturale o sovrannaturale, del gioco dell'istinto o del raziocinio; e ciò è tanto più vero quanto più si tratta di una specie sociale e di una società dagli aspetti sviluppati e complessi.

Può sembrare lapalissiano dire che tutto si potrebbe chiudere nella conservazione del singolo individuo, come base e motore di ogni altro fenomeno, se l'individuo fosse immortale. Per essere tale dovrebbe essere immutabile, non invecchiare, e frattanto è proprio l'organismo vivente e quello animale in prima linea che subisce, come sede di una impressionante catena di movimenti, di circolazioni e di metabolismi, la sorte di un inesorabile e inesausto mutarsi fin nell'intimo della minima cellula. E' un assurdo in termini l'immagine di un complesso che viva sostituendo di continuo gli elementi perduti e restando uguale a se stesso, come forse sarebbe un cristallo che, immerso nella soluzione della stessa sostanza solida chimicamente pura, diminuisse o crescesse per un ciclico variare di temperature o pressioni esterne. Ma se si è parlato da alcuni di vita del cristallo (e oggi dell'atomo) è perché può nascere, ingrandire, diminuire, sparire e perfino sdoppiarsi e moltiplicarsi.

Questo appare molto banale ma è utile a far riflettere che la convinzione feticistica di molti (anche pretesi marxisti) nella primordialità del fattore individuale biologico non è che un avanzo delle prime grossolane convinzioni sulla immortalità dell'anima personale. In nessuna religione l'egoismo borghese più plateale, e sprezzante ferocemente la vita della specie e la carità per la specie, si è meglio innestato, come in quelle che affermano immortale l'anima, e in questa forma fantastica mettono in primo piano la sorte della persona soggettiva a dispetto di quella di tutte le altre.

Spiace pensare alla transitorietà del dimenarsi della nostra povera carcassa, e il rifugio se non è nella certezza della vita oltretomba trova un buon surrogato in illusioni intellettualistiche - ed oggi esistenzialistiche - sullo stigma inconfondibile che ogni soggetto ha, o crede di avere, anche quando si attaglia nel modo più pecorile sulle falsarighe della moda, e scimmiotta passivo tutte le altre marionette umane. E' allora che si sprigiona l'inno alle inenarrabili altezze dell'emotività, della voluttà, della esaltazione artistica, dell'estasi cerebrale, che sarebbero attinte solo nel chiuso della cellula individuale - laddove la verità è l'esattissimo opposto.

Tornando al modo materiale come effettivamente i fatti si svolgono sotto il nostro naso, è ovvio che ogni individuo perfetto, sano ed adulto quando è nel pieno vigore delle forze può provvedere - riferiamoci ad una economia del tutto primordiale - a produrre ogni giorno quanto gli occorre consumare. Ma la instabilità di questa situazione singolo per singolo determinerebbe presto la fine dell'individuo (e della specie se fosse una stupida saldatura di individui per le costole un dopo l'altro) se mancasse il flusso della riproduzione, per cui in un corpo organico vi sono rari individui bastevoli a se stessi, i vecchi che più non possono render tanto, i giovanissimi che hanno bisogno di essere alimentati per produrre domani. Ogni ciclo economico è impensabile, e nessuna equazione economica possiamo scrivere, senza introdurre nel calcolo queste essenziali grandezze: età, validità, sanità.

Volendo essere pedestri scriveremmo la formula economica di una umanità partenogenetica, unisessuale. Ma non ci è dato constatarla. Dobbiamo allora introdurre la grandezza sesso, poiché la generazione si fa per due sessi eterogenei, e prevedere anche le pause produttive da gestazione e allattamento...

Solo dopo aver fatto tanto potremo aver detto di avere scritto le equazioni di condizione che descrivono totalmente la "base", la "sottostruttura" economica della società, da cui dedurremo (lasciato ormai per sempre quel fantoccio dell'individuo che non ha saputo né eternarsi né da solo rinnovarsi, e che nel corso del gran cammino ne saprà sempre di meno) tutta la gamma infinita delle manifestazioni di specie che solo così si sono rese possibili fino ai più alti fenomeni di pensiero.

Un articolista recentissimo (Yourgrau di Johannesburg) nell'esporre la teoria del sistema generale di Bertalannfy che vorrebbe sintetizzare i principii dei due famosi sistemi controversi: vitalismo e meccanismo, pur riconoscendo solo a denti stretti che il materialismo in biologia guadagna terreno, ricorda il paradosso di non facile confutazione: un solo coniglio non è un coniglio, due conigli soltanto possono essere un coniglio. Sei, o individuo, espulso dall'ultima trincea, quella di Onan. Follia dunque è trattare economia senza trattare riproduzione della specie. E tanto è noto dai testi classici. Aprendo la prefazione della Origine della famiglia, della proprietà e dello Stato, in questi termini pone Engels una pietra angolare del marxismo: "Secondo la concezione materialista il momento determinante della storia [intendete momento non nel senso temporale ma in quello meccanico, di impulso che avvia una rotazione], in ultima istanza, è la produzione e la riproduzione della vita immediata. Ma questa è, a sua volta, di duplice specie. Da un lato la produzione di mezzi di sussistenza, di generi per l'alimentazione, di oggetti di vestiario, di abitazioni e di strumenti necessari per queste cose, dall'altro, la produzione degli uomini stessi, la riproduzione della specie. Le istituzioni sociali entro le quali gli uomini di una determinata epoca storica e di un determinato paese vivono, sono condizionate da entrambe le specie della produzione; dallo stadio di sviluppo del lavoro, da una parte, e della famiglia, dall'altra".

Da quando la teoria è stata fondata, la interpretazione materialistica della storia abbraccia in tono unico i dati relativi al grado di sviluppo della tecnica e del lavoro produttivo e quelli relativi alla "produzione dei produttori" ossia alla sfera sessuale. La classe lavoratrice è la prima delle forze produttive, dice Marx. Altrettanto e più importante è sapere come si riproduce la classe che lavora, dello studiare come si produce e riproduce la massa delle merci, la ricchezza ed il capitale. Il salariato classico e nullatenente dell'antichità non fu ufficialmente definito a Roma lavoratore, ma proletario. La sua funzione caratteristica era non quella di dare alla società e alle classi dominanti il lavoro delle proprie braccia, ma di generare, senza controlli e limiti, nella propria ruvida alcova, i braccianti di domani.

Il piccolo borghese moderno nella sua vuotaggine pensa che gli sarebbe tanto più dolce il secondo lavoro quanto più amaro il primo. Ma il piccolo borghese è quello che, porco e filisteo quanto il grande borghese, contrappone alla potenza di questo tutte le impotenze.

4. Nello stesso modo le prime comunità si ordinano per il lavoro produttivo con la rudimentale tecnica che fa la sua comparsa, e si ordinano ai fini dell'accoppiamento e della riproduzione, dell'allevamento e protezione dei piccoli. Le due forme sono in continua connessione e quindi la famiglia nelle diverse forme è anch'essa un rapporto di produzione e cambia secondo che cambiano le condizioni dell'ambiente e le forze produttive disponibili.

Non potremo comprendere in questa esposizione il richiamo dei successivi stadi selvaggi e barbari che le razze umane hanno attraversato caratterizzati dalle risorse di vita e dagli aggregati familiari, rimandando per questo alla brillante opera di Engels.

Dopo aver vissuto sugli alberi nutrendosi di frutta, l'uomo conobbe prima la pesca e il fuoco, e imparò a percorrere le coste e i fiumi in modo che i vari ceppi cominciarono a incontrarsi. Seguì la caccia con l'uso delle prime armi, e nello stato barbaro apparvero prima l'addomesticamento degli animali e poi l'agricoltura, che segnarono il passaggio dal nomadismo alle sedi stabili. Corrispondentemente le forme sessuali non erano ancora la monogamia e nemmeno la poligamia; questa fu preceduta dal matriarcato in cui la madre aveva la preminenza morale e sociale, e dalla famiglia di gruppo in cui i maschi e femmine della stessa gens si univano tra di loro variamente, come scoprì il Morgan per gli indiani di America che ancora, quando li conobbero i bianchi, benché divenuti monogami chiamavano padre gli zii paterni, pur distinguendo la madre dalle zie. In queste fratrìe ove non vigeva autorità costituita nemmeno vi era divisione alcuna di proprietà e di suolo.

Può darsi che un embrione di ordinamento per poter seguire e difendere i nati sia proprio degli animali superiori e si debba all'istinto. Solo invece l'animale ragionevole, l'uomo, si darebbe ordinamenti ai fini della tecnica economica, restando l'istinto dominatore della sfera degli affetti di sesso e di famiglia. Se ciò fosse vero l'intelligenza, che comunemente si ammette sostituire l'istinto e renderlo inattivo, dividerebbe con questo il campo a metà. Ma ciò è invece metafisica. Una bella definizione dell'istinto è in uno studio del Thomas, la Trinité-Victor, 1952 (se citiamo qualche studio recente e di cultori di discipline speciali è al solo fine di togliere a non pochi la impressione che i dati di un Engels o di un Morgan, rivoluzionari e perseguitati nel campo burbanzoso della cultura borghese, siano "non aggiornati" o "superati" dalla ultima letteratura scientifica...): L'istinto è la conoscenza ereditaria di un piano di vita della specie. Nel corso della evoluzione e della selezione naturale - che nel campo animale possiamo ammettere sia derivata da un urto degli individui come tali contro l'ambiente, solo per via fisica, fisiologica - si determina la obbedienza degli esemplari della stessa specie ad un comportamento comune, soprattutto nel campo riproduttivo. Tale comportamento per ammissione di tutti è automatico "non cosciente" e "non razionale". E' comprensibile che questo modo di comportarsi si trasmetta per la via ereditaria, così come i caratteri morfologici e strutturali dell'organismo, e il meccanismo di trasmissione si chiuda nel gioco (alquanto ancora da chiarire per la scienza) dei geni (con una sola i, signori individualisti!) e di altre particole dei liquidi e cellule germinative e fecondative.

Questo meccanismo che ha per veicolo ogni singolo non provvede che ad un rudimentale minimum di norma, di piano di vita, atto a fronteggiare difficoltà ambienti.

Nella specie sociale la collaborazione di lavoro anche primitiva conduce più oltre, e tramanda ben altre consuetudini e normative che servono di regola. Per il borghese e l'idealista la differenza sta nell'elemento raziocinante e cosciente che determina volontà di agire, e sorge il libero arbitrio del fideista, la libertà personale dell'illuminista. Non qui si esaurisce questo punto essenziale. La posizione nostra è che non aggiungiamo una nuova potenza dell'individuo, il pensiero e lo spirito, che di nuovo sposti tutti i dati come il preteso principio vitale rispetto al meccanismo fisico. Aggiungiamo invece una nuova potenza collettiva, tutta derivata dalla necessità della produzione sociale che impone regole ed ordini più complessi e che, come sposta l'istinto atto a guidare singoli dalla pura sfera sessuale a quella tecnica, lo sposta a maggior ragione dalla sfera individuale a quella sociale. Non è l'individuo che ha sviluppata e nobilitata la specie, è la vita di specie che ha sviluppato l'individuo a nuove dinamiche e a più alte sfere.

Ciò che è primordiale e bestiale, sta nell'individuo. Ciò che è sviluppato, complesso, ed ordinato, costituendo un piano di vita non automatico ma organizzato e organizzabile, deriva dalla vita collettiva e nasce dapprima fuori dei cervelli dei singoli, per poi divenirne per difficili vie dotazione. Nel senso che anche noi possiamo dare, fuori di ogni idealismo, alle espressioni di pensiero, conoscenza, scienza, si tratta di prodotti della vita sociale: gli individui, nessuno escluso, non ne sono i donatori, ma i donatari e nella società attuale ancora i parassiti.

Che all'inizio e fin dall'inizio la regolazione economica e quella sessuale siano state intrecciate nell'ordinare la vita associata degli uomini, lo si legge sotto il velame di tutti i miti religiosi, che nella valutazione marxista non sono gratuite fantasie e vuote fandonie a cui basti rifiutare fede, come per il corrente e borghese libero pensatore, ma che occorre decifrare quali prime tramandazioni di sapere collettivo in elaborazione.

Nella Genesi (libro II, versetti 19 e 20) Iddio, prima ancora della creazione di Eva e quindi della espulsione dal paradiso terrestre (in cui Adamo ed Eva sarebbero vissuti soli, eterni anche nel fisico, a condizione di cogliere senza sforzo i frutti del nutrimento, ma non quelli della scienza) forma dal terriccio gli animali di tutte le specie, e li presenta ad Adamo che apprende a chiamarli secondo il loro nome. Di questa pratica il testo dà la spiegazione: Adae vero non inveniebatur adiutor similis eius. Ciò vuol dire che Adamo non aveva allora alcun aiutante (cooperatore) della sua stessa specie. Gli sarà data Eva, ma non per farla lavorare o fecondarla. Sembra previsto che ai due sia dunque lecito adattare al loro servizio gli animali. Fatto il grave errore di cominciare dall'astuto serpente, Iddio muta il destino dell'umanità. Fuori dall'Eden soltanto Eva "conoscerà" il suo compagno, ne avrà figli che partorirà con dolore ed egli guadagnerà la vita col sudore della fronte. Anche dunque nella involuta ma millenaria sapienza del mito nascono collegate produzione e riproduzione. Se addomesticherà gli animali Adamo, sarà con fatica, avendo egli ormai adiutores, lavoratori, della stessa sua specie, similes eius. Assai rapidamente è caduto nel nulla l'Individuo, immutabile, intranseunte, digiuno del pane amaro e grande della sapienza, mostro ed aborto sacro al piacere dell'ozio, vero dannato al digiuno di opera, di amore e di scienza, cui pretesi materialisti del secolo attuale ancora vorrebbero sacrificare stolidi incensi: al suo posto la specie che pensa perché lavora, tra tanti adiutores, vicini, fratelli.

Eredità biologica e tradizione sociale

5. Fin dalle prime società umane il comportamento dei componenti dei gruppi diviene uniforme attraverso pratiche e funzioni di insieme che, rese necessarie dalle esigenze della produzione ed anche della riproduzione sessuale, prendono la forma di cerimonie, di feste, di riti a carattere religioso. Questo primo meccanismo di vita collettiva e regola non scritta e nemmeno imposta o violata, diviene possibile non per insufflate o innate idee di società o di morale proprie dell'animale uomo, ma per l'effetto deterministico della evoluzione tecnica lavorativa.

La storia degli usi e costumi dei primi popoli, prima delle costituzioni scritte e del diritto coattivo, e il confronto colla vita delle tribù selvagge al primo contatto con l'uomo bianco, si spiegano soltanto con simili criteri di indagine. Ovvia è la ricorrenza stagionale delle feste in quanto stagionalmente ricorrono aratura, semina, raccolto. All'inizio, stagionale è anche per la specie uomo l'epoca dell'amore e della fecondazione, che l'ulteriore evoluzione condurrà ad essere, a differenza di ogni animale, esigenza di ogni tempo. Dei popoli dell'Africa sono descritte da romanzieri che hanno acquisita la cultura dei bianchi le feste a sfondo sessuale. Ogni anno si liberano gli adolescenti venuti a pubertà da legami imposti poco dopo la nascita ai loro organi, e alla cruenta operazione dei sacerdoti segue nella eccitazione del rumore e delle bevande un'orgia sessuale. Ma evidentemente anche una simile tecnica è sorta per preservare la prolificità della razza in condizioni difficili e che conducono a degenerazione ed impotenza ove manchi altro controllo, e forse vi sono cose più schifose nella inchiesta Kinsey sul comportamento dei sessi al tempo del capitale.

Che generazione e produzione vadano garantite insieme è antica tesi marxista e lo prova anche una bellissima citazione di Engels, sul proposito di Carlo Magno di migliorare la cultura agraria decaduta al suo tempo colla fondazione (non di colcos) di ville imperiali. Queste erano gestite da conventi e fallirono, come avvenne in tutto il Medio Evo: il complesso unisessuale e a-generativo non risponde alle esigenze di una attivata produzione. Ad esempio la regola di S. Benedetto può sembrare uno statuto comunista, tanto severamente - imposto il lavoro - è vietata qualunque appropriazione personale del minimo bene o prodotto, e consumo fuori della mensa in comune. Ma un tale ordinamento, per la sua castità e sterilità, incapace a riprodurre i suoi componenti, restò fuori della vita e della storia. Uno studio sugli ordinamenti paralleli di frati e di monache nel loro primo intento potrebbe forse fare molta luce sul problema della scarsa produzione rispetto al consumo del Medio Evo, specie in certe ardue e mirabili concezioni di Francesco e di Chiara, che non miravano alla macerazione per salvare lo spirito ma ad una riforma sociale per meglio nutrire la carne livida delle classi diseredate.

6. L'insieme sempre più ricco col passare del tempo delle norme di tecnica lavorativa nei vari campi di pesca, caccia, armentizia, agricoltura, coordinate al comportamento seguito da adulti validi, vecchi, giovani, madri gestenti e allevanti, coppie che si univano ai fini generativi, viene trasmesso da generazione in generazione per una doppia via: quella organica e quella sociale. Per la prima via le impronte ereditarie trasportano le attitudini e gli adattamenti del fisico dall'individuo generatore al generato, e giocano i secondari scarti personali; per la seconda, sempre più grandeggiante, il corpo di risorse del gruppo si tramanda per una via extrafisiologica ma non meno materiale, che è la stessa per tutti, e risiede nella "attrezzatura" ed "utensileria" di tutti i tipi che la collettività è riuscita a darsi.

In alcuni "Fili del tempo" fu mostrato che fino alla scoperta di mezzi di trasmissione più comodi come la scrittura, i monumenti, poi la stampa, ecc., si dovette fare leva massima sulla memoria dei singoli, esercitandola con forme collettive comuni. Dal primo monito materno andiamo fino alle conversazioni a temi obbligati fino alla noia dei vecchi, e alle recitazioni collettive: canto e musica sono supporti della memoria e la prima scienza è ammannita in versi e non in prosa, con accompagnamento musicale. Molta moderna sapienza della civiltà capitalista non potrebbe circolare che nella veste di orripilanti cacofonie!

Il seguito di tutto questo corredo impersonale, collettivo, che il gruppo umano si passa traverso il tempo non può certo esporsi senza una trattazione sistematica, ma la legge di essa fu accennata: esso stanca, man mano che il meccanismo si arricchisce, sempre meno la testa del singolo, e tutti sono sempre più portati a raggiungere uno stesso comune livello: il grande uomo, personaggio quasi sempre da leggenda, diviene sempre più inutile, sempre più inutile essendo palleggiare un'arma più grande di quelle degli altri, o fare una moltiplicazione più presto: un robot tra non molto sarà il più intelligente cittadino di questo stupidissimo mondo borghese, e forse al creder dei più il Dittatore su immensi paesi. Comunque la potenza sociale prevale sempre di più su quella organica, che in ogni caso è la piattaforma di quella dello spirito individuale. Anche qui può farsi richiamo ed una interessante sintesi recente:

Wallon, Collège de France, 1953: L'organique et le social chez l'homme. Pure criticando il materialismo meccanicista (del tempo borghese, e quindi agente entro l'individuo) l'autore illustra i sistemi di comunicazione tra gli uomini sociali e cita Marx, come vedremo a proposito del linguaggio in questa stessa parte. Ma registra nella sua rassegna il fallimento dell'idealismo e della moderna forma esistenzialista con una formula appropriata: "L'idealismo non si è contentato di circoscrivere il reale entro i limiti della Immagine (nella nostra mente). Esso ha altresì circoscritta l'immagine di ciò che considera come il reale!". E perviene dopo la rassegna delle varie recentissime vedute alla saggia conclusione: "Tra impressioni organiche ed immagini mentali non cessano di svolgersi azioni e reazioni mutue che mostrano quanto sono vuote le distinzioni di specie che i vari sistemi filosofici fanno tra la materia e il pensiero, l'esistenza e l'intelligenza, il corpo e lo spirito".

Da molti di questi apporti può dedursi che il metodo marxista ha finora dato la possibilità di dare alla scienza senza etichetta (o con etichetta di contrabbando) l'handicap di cento buoni anni di lavoro.

Fattori naturali e sviluppo storico

7. Con un ben lungo cammino le condizioni di vita delle prime gentes, delle, fratrìe comuniste, si evolvono, e naturalmente il ritmo non è per tutte lo stesso, diverse essendo le condizioni di ambiente fisico: natura del suolo e fenomeni geologici, situazione geografica e altimetria, corsi d'acqua, distanza dal mare, climatologia delle varie zone, flora, fauna e, così via. Con variabili cicli si passa dal nomadismo di orde vaganti alla sede fissa, alla sempre minore disponibilità di terra libera da occupatori, agli incontri e contatti tra tribù di sangue diverso, ed anche ai conflitti, alle invasioni ed in ultimo agli asservimenti, una delle origini della nascente divisione in classi delle antiche società ugualitarie.

Nelle prime lotte tra gentes, Engels ricorda, non essendo ammessa né la personale servitù né la commistione del sangue, la vittoria significava lo spietato annientamento della comunità sconfitta in tutti i suoi componenti. Ciò era effetto della necessità di non ammettere troppi lavoratori in terra ristretta e di non disordinare la disciplina sessuale e generativa, binari inseparabili dello sviluppo sociale. In seguito i rapporti furono più complessi e gli incroci e le fusioni frequenti, tanto più facilmente nei paesi temperati e fertili che videro i primi grandi popoli stabili. In questa prima parte non si vuole tuttavia ancora uscire dal campo preistorico. Quanto influiscano i dati geofisici nel più largo senso si vede anche dal confronto fatto da Engels a proposito del grande passo produttivo della sottomissione degli animali all'uomo, come nutrimento non solo ma come forza di lavoro. Mentre l'Eurasia possiede tutte le specie di animali utili all'addomesticamento, l'America non ne aveva in pratica che una sola, il lama, specie di grosso ovino (tutti gli altri vi furono acclimatati in tempi storici). Ne segue che i popoli di quel continente da quel punto si "fermano" nello sviluppo sociale rispetto a quelli del continente antico. I fideisti ne dettero spiegazione affermando nei primi tempi dopo Colombo che la redenzione non si era estesa a quella parte del pianeta, e in quelle teste non era sceso il lume dello spirito eterno. Evidentemente è ben altro ragionare se si spiega tutto non con l'assenza dell'Essere supremo, ma con quella di alcune modestissime specie di bestie.

Ma quel ragionare faceva comodo ai cristianissimi coloni trattandosi di sterminare gli indiani aborigeni come animali feroci, e di trasportare in loco i negri di Africa riducendoli a schiavitù, e compiendo una rivoluzione etnica di cui il futuro solo potrà tirare le somme.

Preistoria e linguaggio

8. Il passaggio dal fattore razziale a quello nazionale può molto generalmente essere messo in corrispondenza al passaggio da preistoria a storia. Nazione s'intende un complesso di cui l'etnica non è che uno degli aspetti e in ben pochi casi quello dominante. Prima quindi di entrare nel campo della portata storica del fattore nazionale si presenta il problema degli altri fattori che vengono ad integrare quello della integrità razziale: primissimo quello del linguaggio. Non si può dare altra spiegazione della origine del linguaggio e delle lingue che quella tratta dai caratteri materiali dell'ambiente e dalla organizzazione produttiva. La lingua del gruppo umano è uno dei suoi mezzi di produzione.

Quanto sopra stabilito, sulla stretta connessione tra legame di sangue nelle prime tribù e inizio di una produzione sociale con date attrezzature di utensili, e sulla preminenza del rapporto tra gruppo umano e ambiente fisico sulla iniziativa e tendenza dell'individuo, sta nel nocciolo del materialismo storico. Due testi distanti tra loro mezzo secolo lo ribadiscono. Marx nelle Tesi su Feuerbach dice nel 1845: "L'essenza umana non è qualcosa di astratto insita nel singolo individuo. Nella sua realtà essa è l'insieme delle condizioni sociali". Intendiamo, noi marxisti, per condizioni sociali il sangue, la sede fisica, l'utensileria, l'organizzazione del gruppo dato.

Engels in una lettera del 1894 già da noi largamente usata per combattere il pregiudizio della funzione dell'individuo (Grande uomo, Battilocchio) nella storia, risponde al quesito: Quale sia la parte rappresentata dal momento (vedi punto tre) della razza e della individualità storica nella concezione materialistica della storia di Marx e di Engels. Come avemmo di recente a rammentare, Engels, sollecitato a passare all'individualità e a quel Napoleone che era evidentemente nel subcosciente dell'interrogatore per buttarlo giù di scanno senza il minimo esitare, sul punto razza non ci dà che un colpo solo di scalpello: "Ma la razza stessa è un fattore economico".

Le mezzecalzette della pseudocultura borghese possono ridere quando ci si ferma un poco a rilanciare l'arco immenso che va dai primi principii al risultato finale, come fa ad esempio la possente e dura a cedere scuola cattolica nel corso prestigioso dal caos primitivo alla eterna beatitudine delle creature.

I primi gruppi sono di sangue strettamente puro e sono gruppi-famiglia. Sono alla stessa stregua gruppi-lavoro ossia la loro "economia" è una reazione di tutti all'ambiente fisico in cui ciascuno ha lo stesso rapporto: non vi è proprietà personale, non classi sociali, non potere politico e Stato.

Non essendo noi né metafisici né mistici accettiamo, senza cospargerci il capo di cenere o considerare il genere umano insozzato da macchie da lavare, che insorga e proceda in mille sviluppi la commistione del sangue, la divisione del lavoro, la spartizione della società in classi, lo Stato, la guerra civile. Ma alla fine del ciclo con un miscuglio etnico generale e indecifrabile ormai, con una tecnica produttiva di intervento sull'ambiente di una tale complessa potenza che già prevede di occuparsi della regolazione dei fatti del pianeta, vediamo, con la fine di ogni discriminazione razziale e sociale, la economia di bel nuovo comunista, ossia la fine alla scala terrestre della proprietà individuale, da cui si erano generati i transitori culti dei mostruosi feticci: la persona, la famiglia, la patria.

Tuttavia all'inizio la economia di ogni popolo e il suo grado di attrezzatura produttiva è sua caratteristica insieme al tipo etnico.

Le ultime ricerche nelle tenebre preistoriche hanno condotto la scienza delle origini umane a riconoscere più punti di partenza nell'apparire dell'animale uomo sulla terra, e dalla evoluzione di altre specie. Non si può più parlare di un "albero genealogico" dell'umanità tutta e nemmeno delle sue sezioni. Uno studio di Etienne Patte (Facoltà di Scienze di Poitiers, 1953) combatté efficacemente la insufficienza di tale immagine tradizionale. Nell'albero ogni biforcazione tra due rami o ramoscelli è per così dire irrevocabile: di norma i due gruppi non vengono più ad "anastomizzarsi". La generazione umana è invece una rete inestricabile i cui tratti si rilegano di continuo tra loro: se non vi fossero stati incroci tra parenti ognuno di noi avrebbe otto bisavoli in tre generazioni, ossia in un secolo, ma già mille anni fa avrebbe oltre un miliardo di antenati, e dando alla specie l'età di seicento millenni, che sembra probabile, il numero di antenati sarebbe indicato da cifre astronomiche con migliaia di zeri. Rete dunque e non albero. Ed infatti nelle statistiche etniche nei popoli moderni i rappresentanti di tipi etnici puri figurano con percentuali bassissime. Di qui la bella definizione della umanità come un sungameion ossia, grecamente, un complesso in cui ci si incrocia in tutti i sensi: il verbo gaméo indica atto sessuale e rito nuziale. E si risale alla regola un po' semplicistica: l'incrocio di specie è sterile, quello di razze fecondo.

Comprensibile è la posizione del Papa che, nel respingere ogni minorità razziale, punto di vista nel senso storico ben avanzato, vuole che di razze si parli per le bestie ma non per gli uomini. Malgrado la sua cura nel seguire i dati ultimi delle scienze e la loro spesso geniale collimazione con quelli del dogma, non gli è dato abbandonare il biblico (sebbene più ebraico che cattolico sul terreno filosofico) albero genealogico che scende da Adamo.

Altro autore di tendenza spiccatamente antimaterialista non può tuttavia non concludere nel respingere la vecchia separazione di metodi tra antropologia e storiografia, in quanto quella i dati positivi se li deve cercare, questa li trova belli e fatti e soprattutto messi in serie cronologica. Nessuno dubita che Cesare visse prima di Napoleone; ma è un grosso quesito la precedenza tra l'uomo di Neanderthal e l'antropomorfo Proconsul...

Invece appunto la potenza del metodo materialista, applicato ai dati che la ricerca ha fornito, stabilisce facilmente la sintesi tra i due stadi, anche se la razza fosse un più decisivo fattore economico nelle gentes preistoriche, e la nazione, entità assai più complessa, nel mondo contemporaneo.

E' solo su questa strada che si può dare il suo posto alla funzione del linguaggio, comune all'inizio ad uno stretto gruppo consanguineo e collaborante senza legami con gruppi esterni, o con soli legami di conflitti armati, comune invece oggi a popolazioni che occupano territori estesissimi.

Hanno espressione comune fonetica all'inizio i gruppi che hanno, al tempo stesso, comune la cerchia di riproduzione e l'attrezzatura e capacità produttiva di quanto è necessario alla vita materiale.

Può dirsi che l'uso di suoni per comunicazione tra individui si comincia a riscontrare presso le specie animali. Ma la modulazione del suono che possono emettere gli organi vocali di animali di una stessa specie (ereditarietà puramente fisiologica nella struttura e possibilità funzionale di tali organi) è molto lontana dalla formazione di una lingua con un dato complesso di vocaboli. Il vocabolo non fa la sua comparsa per designare il soggetto che parla o quello cui si dirige il discorso, l'esemplare di sesso opposto o la parte del corpo o la luce, la tenebra, la terra, l'acqua, il cibo o il pericolo. Il linguaggio per vocaboli nasce quando è nato il lavoro a mezzo di utensili, la produzione di oggetti di consumo a mezzo di opera associata di uomini.

Lavoro sociale e parola

9. Ogni attività umana comune a fini produttivi, nel più largo senso, esige per la utile collaborazione un sistema di comunicazione tra i lavoratori. Partendo dal semplice sforzo per la preda o per la difesa cui bastano gli incitamenti istintivi la spinta o l'urlo animale, allorché invece occorrono scelte di tempo o di luogo di azione, o di mezzo (attrezzo primitivo, arma, ecc.) in una serie lunghissima di tentativi falliti e di rettifiche, sorge la parola. Il procedimento è opposto a quello della illusione idealista: un innovatore immagina nel suo cervello senza mai averlo visto il nuovo metodo "tecnologico", lo spiega parlando agli altri, e ne dirige coi suoi ordini la realizzazione. Non la serie pensiero, parola, azione, ma proprio l'opposta.

Una riprova del reale processo naturale a proposito del linguaggio la troviamo ancora nel mito biblico, quello famoso della torre di Babele. Siamo già in presenza di un vero Stato dall'immenso potere con eserciti formidabili e cattura di prigionieri e di lavoratori forzati in numero immenso. Tale potere intraprende opere colossali soprattutto nella sua capitale (è storica la potenza della tecnica dei babilonesi non solo nell'edilizia ma nella idraulica fluviale e in campi affini) e secondo la leggenda vuole erigere una torre di altezza tale che con la cima abbia a toccare il cielo: è il solito mito della presunzione umana che la divinità atterra, come per il fuoco rapito da Prometeo, il volo di Dedalo, e così via. Gli innumerevoli operai, contromastri, architetti sono di diversa e lontana origine, non parlano le stesse lingue, non s'intendono tra di loro, la esecuzione dei progetti e delle disposizioni è caotica e contraddittoria e la costruzione, raggiunta una certa altezza, per gli errori dovuti alla confusione delle lingue non può che rovinare, sicché gli artefici o sono schiacciati o si disperdono atterriti dalla punizione degli dei.

Il significato involuto di tale storia è quello che non si può costruire se non si ha una lingua comune: pietre, braccia, leve, martelli, picconi non bastano se manca l'utensile, lo strumento di produzione, dato da uno stesso linguaggio e uno stesso lessico e formulario a tutti comune e ben noto. Nei selvaggi del centro dell'Africa si trova la stessa leggenda: la torre era fatta di legno e doveva arrivare alla luna. Oggi che tutti parliamo "americano" è un gioco da bambini elevare i grattacieli, stupidi più di assai di quelle torri geniali di barbari e di selvaggi.

Non vi è dunque dubbio alcuno che la definizione marxista del linguaggio sia che esso è uno degli strumenti della produzione. Il già citato articolo recentissimo del Wallon non può fare a meno di rifarsi, nell'esame delle più importanti dottrine, a quella da noi seguita: "Secondo Marx il linguaggio è legato alla produzione da parte degli uomini di istrumenti e di oggetti dotati di definita proprietà". E l'autore sceglie due citazioni magistrali, la prima di Marx (Ideologia tedesca): "Gli uomini si cominciano a distinguere dagli animali dal momento che cominciano a produrre i loro mezzi di sussistenza"; la seconda di Engels: "Dapprima il lavoro, in seguito e in combinazione con esso il linguaggio, ecco i due fattori più essenziali sotto l'influenza dei quali il cervello della scimmia si è trasformato gradualmente in cervello umano". Ed Engels quando scriveva non sapeva quali altri risultati riferiscono, loro malgrado, scrittori di pura filosofia idealista (Saller, Università di Monaco: Cos'è l'antropologia?). Oggi il cervello umano ha il volume di 1.400 centimetri cubici (dei genii e di noi fessi, lo sappiamo, lo sappiamo!). Un tempo lontanissimo, alla fase del sinantropo-pitecantropo con 1.000 centimetri cubici di cervello quel nostro antenato pare avesse già le prime nozioni di magia, seppelliva in certo modo i morti, sebbene fosse anche frequentemente cannibale; ma, oltre a usare da tempo il fuoco, aveva vari utensili: coppe per bere fatte di crani di bestie, armi di pietre, ecc. Ma le scoperte fatte specie nell'Africa del Sud hanno portato ben oltre: seicentomila anni fa (la cifra è del Wallon) un precocissimo nostro antenato, con soli 500 cmc. di cervello, usava già il fuoco, cacciava e mangiava la carne cotta degli animali, procedeva eretto come noi, e sola rettifica ai dati di Engels (1884), pare che già non vivesse sugli alberi come il suo stretto parente "australopiteco" ma si battesse coraggiosamente con le belve a livello del suolo.

Strano che lo scrittore da cui prendiamo queste notizie, smarrito da questi dati che martellano la teoria materialista nei suoi capisaldi, cerchi rifugio all'antropologia nella psicologia, per piangere sulle rovine dell'individuo elevato da un misterioso afflato extraorganico; e che nel tempo moderno della sovrappopolazione e del macchinismo degenererebbe a massa cessando di essere uomo. Ora, chi è più uomo: il simpatico pitecantropo da 500 cmc. (non me lo confondete con una volgare vetturetta utilitaria, di massa!) o lo scienziato, da 1.400, che dà la caccia alle farfalle sotto l'arco di Tito per erigere la pietosa equazione: scienza ufficiale più idealismo uguale disperazione?

Base economica e sovrastrutture

10. Il concetto di "base economica" di una data società umana si allarga dunque ben oltre i limiti di quella superficiale interpretazione che lo limita ai fatti della remunerazione del lavoro e dello scambio mercantile. Esso abbraccia tutto il campo delle forme di riproduzione della specie, o istituti familiari, e mentre ne formano parte integrante le risorse della tecnica e la dotazione di strumenti ed attrezzi materiali di ogni natura, non ne va limitata la portata a quella di un magazzino campionario, ma vi va incluso ogni meccanismo di cui si dispone per il trapasso di generazione in generazione di tutta la "sapienza tecnologica" sociale. In questo senso e come reti generali di comunicazione e trasmissione, vanno dopo il linguaggio parlato considerati e annoverati tra i mezzi di produzione, la scrittura, il canto, la musica, le arti grafiche, la stampa, in quanto sorgono come mezzi di trasmissione della dotazione produttiva. Nella considerazione marxista anche letteratura, poesia e scienza sono forme superiori e differenziate degli strumenti produttivi e nascono per rispondere alla medesima esigenza della vita mediata ed immediata della società.

Sorgono a tale proposito nel campo del movimento proletario questioni di interpretazione del materialismo storico: quali fenomeni sociali costituiscano in effetti la "base produttiva" o le condizioni economiche, cui si chiede la spiegazione delle sovrastrutture ideologiche, politiche, caratteristiche di una determinata società storica.

E' noto che al concetto di una lunga graduata evoluzione della società umana il marxismo oppone quello di brusche svolte di passaggio da un'epoca ad un'altra, caratterizzate da diverse forme e rapporti sociali. A questi svolti mutano la base produttiva e le sovrastrutture. Al fine di chiarire questo concetto si è più volte fatto ricorso a testi classici, sia per porre al loro luogo le varie formule e nozioni, sia per ben chiarire che cosa è che bruscamente muta nel momento della crisi rivoluzionaria.

Nelle citate lettere di chiarimento a giovani studiosi del marxismo, Engels insiste sulle reciproche reazioni tra la base e la sovrastruttura: lo Stato politico di una data classe è squisitamente una delle sovrastrutture, ma esso a sua volta agisce con atti come i dazi protettori, le imposte, ecc., sulla base economica, ricorda tra l'altro Engels.

Fu poi al tempo di Lenin particolarmente necessario chiarificare il processo della rivoluzione di classe. Lo Stato, il potere politico, è quella sovrastruttura che più squisitamente si infrange in modo che possiamo dire istantaneo, per cedere il posto ad altra struttura analoga ma opposta. Ma non con la stessa immediatezza si cambiano quei rapporti che vigono nella economia produttiva, pure essendo stato primo motore della rivoluzione il loro contrastare con le sviluppate forze produttive. Così non spariscono in un giorno salariato, mercantilismo, ecc. Quanto agli altri aspetti delle sovrastrutture, ve ne sono di ancora più duri a morire e che sopravviveranno alla stessa base economica primitiva (poniamo il capitalismo), ed essi sono le ideologie tradizionali diffuse, anche nel seno della classe rivoluzionaria vincitrice, dal lungo periodo di precedente servaggio. Così ad esempio la sovrastruttura diritto, come forma scritta e praticamente applicata, sarà mutata rapidamente - invece molto lentamente sparirà l'altra sovrastruttura delle credenze religiose.

In molte occasioni si è fatto ricorso alla lapidaria prefazione di Marx alla sua Critica della economia politica del 1859. Non sarà male fermarvisi prima di proseguire sulla questione della linguistica.

Forze produttive materiali della società. Sono, ai vari momenti dello sviluppo, la forza di lavoro delle braccia dell'uomo, gli utensili e strumenti di cui si dispone per applicarla, la fertilità della terra coltivata, le macchine che aggiungono alla forza dell'uomo le energie meccaniche e fisiche; tutti i procedimenti di applicazione alla terra e ai materiali di quelle forze manuali e meccaniche, procedimenti di cui una data società ha nozione e possesso.

Rapporti di produzione relativi ad un dato tipo di società sono "i necessari rapporti reciproci in cui gli uomini entrano nella produzione sociale della loro vita". Sono rapporti di produzione la libertà o il divieto di occupare terra per lavorarla, di disporre di utensili, macchine, manufatti, di disporre dei prodotti del lavoro per consumarli, spostarli, assegnarli ad altri. Ciò in genere. In particolare sono rapporti di produzione la schiavitù, il servaggio, il salariato, la mercatura, la proprietà terriera, l'impresa industriale. I rapporti di produzione, con espressione che riflette non l'aspetto economico ma quello giuridico, possono parimenti dirsi rapporti di proprietà o anche in altri testi forme di proprietà: sulla terra, sullo schiavo, sul prodotto del lavoro del servo, sulle merci, sulle officine e macchine, ecc. Tale insieme di rapporti costituisce la base o struttura economica della società.

Il concetto dinamico essenziale è il contrasto che si determina tra le forze di produzione, ad un loro grado di evoluzione e sviluppo, e i rapporti di produzione o di proprietà, i rapporti sociali (tutte formule equipollenti).

Sovrastruttura, ossia ciò che deriva, che si sovrappone alla struttura economica di base, è fondamentalmente in Marx la impalcatura giuridica e politica di ogni data società: costituzioni, leggi, magistrature, corpi armati, potere centrale di governo. Questa sovrastruttura ha tuttavia un aspetto materiale, concreto. Ma Marx tiene a distinguere tra la realtà del trapasso nei rapporti di produzione e in quelli di proprietà e di diritto, e in fine di potere, e il trapasso quale si presenta nella "coscienza" del tempo e anche della classe vincente. Questa (fino ad oggi) è una derivazione della derivazione; una sovrastruttura della sovrastruttura, e forma il campo mutevole della opinione comune, della ideologia, della filosofia, dell'arte e sotto un dato aspetto (fino a che non è una normativa pratica) della religione.

Modi di produzione (preferibile a questo concetto non applicare il termine forme, usato per il concetto più ristretto di forme di proprietà) - Produktionsweisen - sono "le epoche successive di formazione economica della società" che Marx richiama a grandi tratti come quelli asiatico, antico, feudale, borghese.

Bisogna concretare in un esempio: la rivoluzione borghese in Francia. Forze produttive: l'agricoltura e i contadini servi - l'artigianato con le sue botteghe cittadine - le grandeggianti manifatture e fabbriche, le loro maestranze. Rapporti di produzione o forme di proprietà tradizionali: la servitù dei contadini alla gleba e la potestà feudale sulla terra e i suoi coltivatori - i legami corporativi ai mestieri artigiani. Sovrastruttura giuridico politica: potere dell'ordine nobiliare e di quello ecclesiastico, monarchia assoluta. Sovrastruttura ideologica: autorità di diritto divino, cattolicesimo, ecc. Modo di produzione: feudalesimo.

Il trapasso rivoluzionario si presenta: in modo immediato come passaggio del potere dai nobili e preti ai borghesi; la nuova sovrastruttura giuridico-politica è la democrazia elettiva parlamentare. I rapporti di produzione infranti sono: la servitù della gleba e la corporazione artigiana; i nuovi che subentrano: il salariato industriale (sopravvivendo artigianato autonomo e piccola proprietà contadina), il libero commercio interno nazionale, anche della terra.

La forza produttiva delle maestranze di fabbrica si svolge enormemente con l'assorbire ex contadini servi e artigiani. Si sviluppa in pari misura la forza del macchinario utensile e motore. La sovrastruttura ideologica subisce una lenta sostituzione cominciata prima della rivoluzione, non finita ancora: al fideismo e legittimismo subentrano il libero pensiero, l'illuminismo, il razionalismo.

Il nuovo modo di produzione, che dilaga sulla Francia e fuori al posto del feudalesimo, è il capitalismo: in esso il potere politico non è del "popolo" come nella coscienza "che quella rivoluzione ha di se stessa" ma della classe dei capitalisti industriali e dei proprietari borghesi di terra.

Per distinguere i due "strati" della sovrastruttura si potrebbero adottare i termini di sovrastrutture di forza (diritto positivo, Stato) e sovrastrutture di coscienza (ideologia, filosofia, religione, ecc.).

Marx dice che la forza materiale, la violenza, è a sua volta un agente economico. Engels nei passi citati e nel Feuerbach dice lo stesso con le parole che lo Stato (che è forza) agisce sulla economia e influenza la base economica.

Lo Stato di una nuova classe è dunque una molla potente perché mutino i rapporti produttivi. Dopo il 1789 quelli feudali in Francia furono rapidamente travolti in ragione dell'avanzato sviluppo delle moderne forze produttive che da tempo premevano. La stessa restaurazione del 1815, se dette il potere di nuovo alla aristocrazia terriera e ripristinò la monarchia legittimista, non pervenne tuttavia a rovesciare di nuovo i rapporti di produzione, le forme di proprietà, non fece regredire le manifatture e risorgere la grande proprietà signorile. Cambio di potere e trapasso di forme produttive possono bene andare storicamente e per limitati periodi in senso inverso.

Quid in Russia nell'Ottobre 1917? Il potere politico, sovrastruttura di forza che nel febbraio era passato dai feudali ai borghesi, passò ai lavoratori delle città sostenuti nella lotta dai contadini poveri. La sovrastruttura statale giuridica prese forme proletarie (dittatura e dispersione dell'assemblea democratica). Le sovrastrutture ideologiche ebbero un potente impulso in larghi strati verso quella propria del proletariato, nel mezzo al disperato resistere delle antiche e delle borghesi o semiborghesi. Le forze produttive in quanto di natura antifeudale presero slancio libero verso l'industria e l'agricoltura libera. Può dirsi che i rapporti di produzione, negli anni dopo l'Ottobre, divennero socialisti? No certamente, e ciò in qualunque caso esigerebbe un tempo non di mesi. Divennero essi semplicemente capitalisti? Non è esatto dire che divennero tutti e totalmente capitalisti perché a lungo sopravvissero forme precapitalistiche, come noto. Ma sarebbe tuttavia poco dire che presero impulso a trasformarsi soltanto in rapporti capitalisti.

A parte infatti le prime misure di comunismo da guerra civile ed antimercantili (case, pane, trasporti), dato che il potere è un agente economico di primo grado, altro è il trapasso dei rapporti di produzione sotto uno Stato borghese democratico altro sotto la dittatura politica proletaria.

Il modo di produzione si definisce da tutto il complesso dei rapporti di produzione e delle forme politiche e giuridiche. Se tutto il ciclo russo nell'arco svolto fino ad oggi ha condotto in pieno nel modo di produzione capitalistico, e oggi in Russia mancano rapporti socialisti di produzione, ciò è in relazione al fatto che dopo il 1917, dopo l'Ottobre, non è avvenuta la rivoluzione proletaria in Occidente, la cui importanza non era solo quella di puntellare il potere politico perché al proletariato russo non sfuggisse, come è poi stato, ma soprattutto di rovesciare nella economia russa forze produttive disponibili all'Ovest in eccesso, tali da determinare lo slancio verso il socialismo dei rapporti russi di produzione.

I rapporti di produzione non si verificano al momento della rivoluzione politica.

Poiché di un tale sviluppo il potere politico in Russia era l'altra condizione di uguale importanza (Lenin), è inesatta una formulazione che dica: solo compito storico del potere bolscevico dopo l'Ottobre è stato il passaggio dai rapporti sociali feudali a quelli borghesi. Fino al disperdersi dell'onda rivoluzionaria succeduta alla guerra mondiale del 1914, ossia circa fino al 1923, il compito del potere di Ottobre è consistito nel lavorare al trapasso dai modi e rapporti sociali feudali a quelli proletari. Tale lavoro si fece sulla sola via storica possibile e quindi sulla via maestra: solo dopo si può dare la formula che siamo in uno Stato che non è socialista né in modo attuale, né in modo potenziale. I rapporti di produzione successivi all'Ottobre sono in modo attuale parte pre-capitalisti parte capitalisti e in parte trascurabile quantitativamente post-capitalisti; la forma storica o meglio il modo di produzione storico non può dirsi capitalista, ma potenzialmente proletario e socialista. Questo è che importa!

Va dunque superata l'impasse della formula: base economica borghese, sovrastrutture proletarie e socialiste. E non certo negando il secondo termine, valido per sei anni almeno dopo la conquista della dittatura.

Stalin e la linguistica

11. La tesi staliniana che la lingua non è una sovrastruttura rispetto alla base economica, costituisce una falsa posizione del problema da risolvere, in quanto il risultato al quale Stalin voleva pervenire è un altro: in ogni passaggio da uno dei modi storici di produzione al successivo abbiamo mutamento sia della sovrastruttura che della base o struttura economica, mutamento dei poteri delle classi e della posizione delle classi nella società. Ma la lingua nazionale non segue le sorti né della base né delle sovrastrutture poiché non appartiene ad una classe ma a tutto l'insieme del popolo del dato paese. Quindi per salvare la lingua e la linguistica dagli effetti della rivoluzione sociale, si portano (piano piano insieme alla cultura nazionale e al culto della patria) sulla riva del turbinoso fiume della storia, fuori dal campo della base produttiva, fuori da quello delle derivazioni politiche e ideologiche.

Secondo Stalin, negli ultimi anni in Russia "è stata liquidata la vecchia base capitalista e una nuova base socialista, è stata costruita. Parallelamente è stata liquidata la sovrastruttura della base capitalistica e creata una nuova sovrastruttura corrispondente alla base socialista [...]. Ma nonostante ciò la lingua russa è rimasta fondamentalmente quella che era prima della rivoluzione di Ottobre".

Il pregio di questi signori (abbia ciò scritto Stalin o chi per lui, segretario x o ufficio y) è di avere imparato a fondo l'arte di paludarsi semplici, chiari, alla portata di tutti, come suol dirsi da un secolo nella propaganda della cultura borghese, e soprattutto disinvoltamente concreti. Ed intanto questo che sembra così immediato ed accessibile non è che trucco, e ricaduta tutto di un pezzo nel modo di pensare borghese più rancido.

Tutto il trapasso sarebbe avvenuto "parallelamente". E' tanto semplice! Non solo bisogna rispondere che quel trapasso non è avvenuto un bel corno, ma che se fosse avvenuto e quando avverrà le cose non andranno in quel modo! In questa formula da imbonitore di paesino non resta nulla del materialismo dialettico. La base influenza la struttura ed è attiva? Ed in qual senso la derivata sovrastruttura reagisce a sua volta e non è puramente plastica e passiva? E con quali cicli ed in quale ordine e con quale velocità storica avviene il trapasso e la sostituzione? Chiacchiere bizantine! Basta rimboccare la manica destra e poi la sinistra: Liquidazione! Creazione! Perdìo, fuori il creatore, fuori il liquidatore! Un simile materialismo non funziona senza un demiurgo, tutto è diventato cosciente e volontario, nulla più necessario e determinato.

Comunque l'argomentare si presta ad essere messo al passo sulla realtà: la base economica e la sovrastruttura, attraverso complesse vicende, da feudali che erano sotto lo Zar sono alla fine della vita di Stalin in pieno capitaliste. Siccome la lingua russa fondamentalmente è la stessa, la lingua non fa parte della sovrastruttura e non fa nemmeno parte della base.

Sembra che tutta la polemica sia diretta contro una scuola di linguistica improvvisamente sconfessata dall'alto, e che il capo di tale scuola sia il professore delle università sovietiche N. J. Marr, i cui testi ci sono ignoti. Egli avrebbe detto che la lingua fa parte della sovrastruttura. A sentire chi lo condanna, consideriamo N. J. Marr un buon marxista. Infatti è detto: "Una volta N. J. Marr constatando che la sua formula 'una lingua è una sovrastruttura rispetto alla base' incontrava obiezioni, decise di 'riaggiustare' la sua teoria e annunciò che 'la lingua è uno strumento della produzione'. Aveva ragione N. J. Marr di classificare la lingua tra gli strumenti della produzione? No, egli aveva certamente torto".

E perché? Secondo Stalin vi è una certa analogia tra la lingua e gli strumenti della produzione, perché anche questi possono avere una certa indifferenza verso le classi. Stalin vuol dire qui che ad esempio l'aratro come la zappa possono servire la società feudale e la borghese, e la socialista. Ma poi la differenza che darebbe marcio torto a N. J. Marr (e a Marx, e ad Engels: il lavoro, la produzione di utensili, in combinazione col linguaggio) è questa: gli strumenti di produzione producono beni materiali, la lingua no! Ma anche gli strumenti di produzione non producono beni materiali! I beni li produce l'uomo che li impugna! Gli strumenti sono impiegati dagli uomini nella produzione. Un bimbo per la prima volta afferra la zappa dalla lamina, e il padre gli urla: si prende per il manico. Quell'urlo, che diverrà poi una regolare "istruzione", è, quanto la zappa, impiegato alla produzione.

La spiritosa conclusione di Stalin rivela che il torto è suo: se la lingua, egli dice, producesse beni materiali, i chiacchieroni sarebbero le persone più ricche della terra! Ebbene, non è proprio così? L'operaio lavora con le sue braccia, l'ingegnere con la lingua: chi è pagato di più? Ci pare di aver narrato una volta del proprietario di provincia che, seduto all'ombra e pipando, senza posa incita il giornaliero che ha assunto, il quale suda e tace: mena lu zappone! Per tema che una breve sosta nel colpo gli tolga profitto.

Dialetticamente ci sentiamo di chiarire che Marr non ha riaggiustato nulla malgrado i fulmini a lui destinati: dialetticamente, perché non conosciamo lui, né i suoi libri. Anche noi abbiamo detto ad esempio che la poesia, dall'inizio del canto corale mnemonico, di tipo magico-mistico-tecnologico, primo mezzo di tramandare la dotazione sociale, ha il carattere di un mezzo di produzione. Poi al punto seguente abbiamo posto la poesia tra le sovrastrutture di una data epoca. Così per la lingua. Il linguaggio in generale, e il suo ordinamento in versi in generale sono strumenti della produzione. Ma una data poesia, una data scuola poetica, relativa ad un paese e ad un secolo, fanno parte, staccandosi dalle precedenti e dalle seguenti, della sovrastruttura ideologica ed artistica di una data forma economica, di un dato modo di produzione. Engels: lo stadio superiore della barbarie "comincia con la fusione del ferro greggio e compie il passaggio alla civiltà con l'invenzione della scrittura alfabetica ed il suo uso per trascrizioni letterarie [...] il suo fiore più alto ci si offre con i poemi omerici, principalmente con l'Iliade". Così potremmo cercare altri passi e mostrare la Commedia come epicedio del feudalesimo, le tragedie di Shakespeare come prologo al capitalismo.

Per l'ultimo grande pontefice del marxismo passerebbe come mezzo di produzione distintivo di un'epoca il ferro greggio, ma non la scrittura alfabetica, perché questa non produce beni materiali! Ma è l'uso umano della scrittura alfabetica che era indispensabile, tra l'altro, per arrivare agli acciai speciali della moderna siderurgia.

Così la lingua. In tutti i tempi è un mezzo di produzione, ma le singole lingue sono sovrastrutture, come quando l'Alighieri non scrive il suo poema nel latino dei classici o della Chiesa ma nel volgare italiano, o avviene con la Riforma il definitivo abbandono dell'antico sassone per il tedesco letterario moderno.

Così del resto per la zappa e per l'aratro. Se è vero che un dato strumento di produzione si può trovare a cavallo di due grandi epoche sociali separate da una rivoluzione di classe, è vero pure che il complesso della dotazione di utensili di una data società la fa "classificare" e la "costringe" - per l'urto ben noto contro i rapporti di produzione ad assumere la nuova forma che le compete. Troviamo il tornio da vasaio nella barbarie, il moderno tornio a motore di precisione nel capitalismo. Ed ogni tanto uno strumento antico scompare, come il classico arcolaio di Engels, arnese da museo.

Così per la zappa e l'aratro. La società del capitalismo industriale non ha la possibilità di eliminare la piccola ed improba coltura della terra che torce la spina dorsale tanto orgogliosamente drizzata dal pitecantropo. Ma una organizzazione comunista su trama industriale completa conoscerà indubbiamente solo l'aratrice meccanica. E così sconvolgerà la lingua dei capitalisti, e non si sentiranno più le comuni formule usando le quali gli stalinisti affettano di condurre con essi il contraddittorio: morale, libertà, giustizia, legalità - popolare, progressivo, democratico, costituzionale, costruttivo, produttivo, umanitario, ecc., che appunto formano la dotazione grazie alla quale la maggior ricchezza finisce nelle tasche dei fanfaroni: funzione identica a quella di altri materiali utensili: il fischietto del capofabbrica, le manette del questurino.

Tesi idealista della lingua nazionale

12. Il negare che il linguaggio umano in genere abbia l'origine e la funzione di strumento produttivo, e che le società di classe abbiano tra le loro sovrastrutture (sia pure tra quelle di sostituzione non immediata, ma graduale) la locale e contingente lingua parlata e scritta, vale ricadere in pieno nelle dottrine idealiste, e vale abbracciare politicamente il postulato borghese del passaggio ad una lingua comune agli illetterati di vari dialetti e ai dotti di tutto un paese politicamente unito, vera rivoluzione linguistica che segnò l'avvento dell'epoca capitalistica.

Poiché secondo il testo in esame la lingua non è una sovrastruttura della base economica, e nemmeno è uno strumento produttivo, viene fatto di chiedersi quale ne sia la definizione. Ebbene eccola: "La lingua è un mezzo, uno strumento con l'aiuto del quale gli uomini comunicano gli uni con gli altri, scambiano i pensieri e giungono a comprendersi reciprocamente. Essendo direttamente connessa con il pensiero, la lingua registra e cristallizza in parole e in parole coordinate in proposizioni, i risultati del pensiero e i successi del lavoro di ricerca dell'uomo, rendendo così possibile lo scambio di idee nella società umana". Questa sarebbe dunque la soluzione marxista del quesito. Noi non vediamo quale ideologo ortodosso e tradizionale non possa sottoscrivere questa definizione. E' palese che secondo essa l'umanità progredisce attraverso un'opera di ricerca fatta nel pensiero e formulata in idee, passa da questa fase individuale a quella collettiva e di applicazione mediante l'uso del linguaggio che permette al ritrovatore di passare la sua conquista agli altri uomini. E' il perfetto rovescio dello sviluppo materialista di cui ci siamo occupati (collimando le abituali citazioni dei nostri testi di base): dall'azione alla parola, dalla parola all'idea, ma ciò inteso non come processo nell'individuo, bensì nella società, e quindi meglio: dal lavoro sociale al linguaggio, dal linguaggio alla scienza, al pensiero collettivo. La funzione di pensare nel singolo è derivata e passiva. La definizione di Stalin è dunque schietto idealismo. Il preteso scambio dei pensieri, è la proiezione nella fantasia del borghese scambio di merci.

Molto strano è che l'accusa di idealismo sia rivolta al disgraziato Marr il quale nel sostenere la tesi della mutazione nelle lingue pare sia giunto fino alla previsione di una decadenza della funzione del linguaggio per far luogo ad altre forme. Si accusa il Marr di avere con ciò ipotizzato un pensiero che si trasmette senza lingua, e sarebbe affondato nel pantano dell'idealismo. Ma in questo pantano fanno più pena quelli che ci sanno stare a galla. Viene trovata la tesi di Marr in contraddizione colla frase di Carlo Marx: "La lingua è la realtà immediata del pensiero [...]. Le idee non esistono separatamente dalla lingua".

Ma non è questa chiara tesi materialista negata in pieno proprio dalla definizione prima riportata di Stalin, secondo cui la lingua è ridotta ad un mezzo per scambiare idee e pensieri?

Ricostruiamo l'audace teoria del Marr a modo nostro (questo dovrebbe permettere il possesso di una teoria di partito al di sopra di generazioni e frontiere). La lingua è, fin qui perfino Stalin, uno strumento col quale gli uomini comunicano. La comunicazione tra gli uomini non avrebbe a che fare con la produzione?! Questo lo afferma la teoria economica borghese secondo cui si finge che ognuno produce da solo e poi conosce l'altro solo sul mercato, per veder di fregarlo. La espressione marxista giusta non sarebbe: comunicano per aiutarsi nel comprendersi, ma: comunicano per aiutarsi nel produrre. Quindi vi strappiamo di bocca che è giusto il criterio di mezzo di produzione. Quanto al metafisico comprendersi, sono passati seicentomila anni e a quanto pare tra scolari dello stesso maestro non ci capiamo ancora!

Ed allora la lingua è un mezzo tecnologico di comunicazione. E' il primo di tali mezzi. Ma è forse esso l'unico? No di certo. Ne appare nel corso dell'evoluzione sociale una serie sempre più ricca, e non è affatto fuori luogo la ricerca di Marr su quelli che potranno soppiantare la lingua parlata in grande misura. Con ciò Marr non dice affatto che il pensiero come elaborazione immateriale di un soggetto individuo passerà agli altri senza prendere la forma naturale del linguaggio. Marr evidentemente indica, con la formula tradotta "processo del pensiero", che si svilupperà in forme che saranno al di sopra della lingua, non la metafisica escogitazione individuale, ma la dotazione di conoscenza tecnologica propria di una società sviluppata. Nulla di escatologico e di magico.

Un esempio molto semplice. Il timoniere dell'imbarcazione a remi comanda "alla voce". Così il nocchiero della nave a vela e dei primi vaporetti. "Go ahead!". Avanti a tutta forza... Mezza forza indietro... La nave diventa troppo grande e il capitano urla in un portavoce che comunica con la sala macchine, ma poi ciò non basta, e prima degli altoparlanti (una vera invenzione retrograda) si fa un telegrafo meccanico, a maniglia, poi elettrico, che sposta le sfere del quadrante di segnali sotto l'occhio del macchinista. Infine il cruscotto di un grande aereo è tutto pieno di strumenti che trasmettono le possibili disposizioni ad ogni organo. La parola va cedendo il passo, ma a mezzi tanto materiali quanto essa, anche se evidentemente sono meno naturali, come gli utensili moderni sono meno naturali del ramo spezzato divenuto arma.

Inutile tracciare tale serie grandiosa. Parola parlata, parola scritta, stampa, e tutti gli infiniti algoritmi, le simboliche matematiche, che già sono divenuti internazionali; come in tutti i campi tecnici e di servizi generali vigono convenzioni ad uso universale per trasmettere comunicazioni precise meteorologiche, elettrotecniche, astronomiche, ecc. Tutte le applicazioni elettroniche, il radar e simili, tutti i tipi di registrazione di segnali arrivanti sono nuovi legami tra gli uomini resi necessari dai complessi sistemi di vita e produzione, che già in cento campi ignorano la parola, la grammatica, la sintassi, per la cui immanenza ed eternità Stalin spezza sul dorso di N. J. Marr formidabili lance.

Può forse il sistema capitalistico non pensare sempiterno il modo di coniugare il verbo avere, il verbo valutare, di declinare l'aggettivo possessivo, e di porre come cardine di ogni enunciazione il pronome personale? Un giorno se ne riderà come del Voi, del Lei, del Loro e del Sua Signoria e del servitor suo umilissimo e del "buoni affari" che si scambiano i commessi viaggiatori.

Riferimenti e deformazioni

13. In tutte le trattazioni marxiste è fondamentale la tesi che la rivendicazione di una lingua nazionale è una caratteristica storica di tutte le rivoluzioni antifeudali, essendo essa necessaria al legame e alla comunicazione tra tutte le piazze del sorto mercato nazionale, al trasferimento utile in tutto il territorio dei proletari divelti dalla gleba, alla lotta contro la influenza delle forme tradizionali religiose, scolastiche, culturali poggiate da un lato sull'uso del latino come lingua dotta, e sullo sminuzzamento in dialetti della parlata locale dall'altro.

Per sostenere la sua, veramente nuova nel senso del marxismo, teoria della lingua extraclassista, Stalin si preoccupa di superare la contraddizione, evidentemente invocata da varie parti, con testi di Lafargue, Marx, Engels, e perfino... Stalin. Il buon Lafargue viene buttato a mare senz'altro. Egli in un opuscolo, La lingua e la rivoluzione, aveva parlato di una improvvisa rivoluzione linguistica avvenuta in Francia tra il 1789 e il 1794. Periodo troppo breve, dice Stalin, e poi se mai un piccolo gruppo di vocaboli della lingua scomparve e fu sostituito con nuovi. Se mai, sono proprio quei vocaboli che avevano maggiore attinenza con i rapporti della vita sociale. Alcuni furono espulsi con leggi della Convenzione. E' noto l'aneddoto satirico controrivoluzionario. "Come vi chiamate, cittadino?". "Marquis de Saint Roiné". "Il n'y a plus de marquis! [non ci sono più marchesi]". "De Saint Roiné!". "Il n'y a plus de 'de'! [particola nobiliare]". "Saint Roiné!". "Il n'y a plus de Saints!". "Roiné!". "Il n'y a plus de rois!". "Je suis né! [io sono nato]", gridò il disgraziato. Stalin aveva ragione: il participio non era cambiato.

In un articolo, Sankt Max, che confessiamo di non conoscere, Carlo Marx aveva detto che i borghesi "hanno una loro lingua, prodotto della borghesia" e che tale lingua è permeata di uno stile di mercantilismo, di compravendita. Ed infatti i mercanti di Anversa si capivano in pieno Medioevo, con quelli di Firenze, e questa è una "gloria" della lingua italiana, lingua madre del capitale. Come nella musica ovunque scrivono andante, allegro, pianissimo e così via, così su qualunque piazza europea valgono le parole firma, sconto, tratta, riporto e dovunque si somiglia il pestifero gergo della corrispondenza commerciale "ad evasione della pregiata vostra a margine notata". Ora quale toppa mette Stalin alla incontrovertibile citazione? Invita a leggere altro passo dell'articolo: "Il concentramento dei dialetti in una unica lingua nazionale, è risultato del concentramento economico e politico". Ma dunque? La sovrastruttura lingua segue qui lo stesso processo della sovrastruttura Stato e della base economica. Ma come non è immanente e definitivo il concentrarsi del capitale, l'unificarsi dello scambio nazionale, il concentramento politico nello Stato capitalista, ma sono risultati storici legati al dominio e al ciclo borghese, così è di questo aderente fenomeno del passaggio dai dialetti locali alla lingua unitaria. Sono nazionali il mercato, lo Stato e il potere in quanto sono borghesi. Nazionale diviene la lingua, in quanto è lingua borghese.

Engels, sempre ricordato da Stalin, nella Situazione della classe lavoratrice in Inghilterra dice: "La classe operaia inglese è diventata un popolo completamente diverso dalla borghesia inglese [...] gli operai parlano un altro dialetto, hanno altre idee e concezioni, altri costumi e principii morali, altra religione e altra politica che la borghesia".

La toppa anche qui è poverissima: Engels non ammette con questo che vi siano lingue di classe, perché parla di dialetto, e il dialetto è un derivato della lingua nazionale. Ma non abbiamo stabilito che è la lingua nazionale una sintesi di dialetti (o l'esito di una lotta tra dialetti) e che questo è un processo di classe, legato alla vittoria di una precisa classe, la borghesia?

Lenin poi deve scusarsi di avere riconosciuto la esistenza di due culture sotto il capitalismo, una borghese e l'altra proletaria, e che la parola d'ordine della cultura nazionale sotto il capitalismo è una parola d'ordine nazionalista. Vada per la illusione di castrare Lafargue, bravomo, ma castrare di seguito Marx, Engels e Lenin è una grossa impresa. La risposta è che altro è lingua e altro è cultura. Ma che cosa viene prima? Per l'idealista che ammette il pensiero astratto la cultura è prima e al di sopra della lingua, ma per il materialista, dato che la parola preesiste all'idea, non può formarsi cultura che in base alla lingua. La posizione di Marx e di Lenin è dunque: la borghesia non ammetterà mai che la sua sia una cultura di classe, ma afferma che sia la cultura nazionale del dato popolo, e quindi la sopravvalutazione della lingua nazionale le serve da potente remora al formarsi di una cultura, meglio di una teoria, di classe, proletaria e rivoluzionaria.

Viene il bello quando Stalin, a guisa di Filippo Argenti, addenta se stesso. Nel XVI Congresso del Partito egli aveva detto che all'epoca del socialismo mondiale tutte le lingue nazionali si fonderanno in una sola. La formula pare veramente la più radicale, e non è facile conciliarla con l'altra data assai dopo della lotta tra due lingue di cui una prevale e assorbe l'altra senza che lasci traccia. L'autore se la cava dicendo che non si è capito trattarsi di due epoche storiche ben diverse: la lotta e l'incrocio delle lingue avviene in pieno tempo capitalista, mentre la formazione della lingua internazionale avverrà in pieno socialismo; ed allora "è assurdo esigere che l'epoca del dominio del socialismo non sia in contraddizione con l'epoca del dominio del capitalismo, che il socialismo e il capitalismo non si escludano a vicenda". Oh bella, qui si resta di stucco. Non si è data tutta la forza della propaganda, da parte stalinista, a sostenere che il dominio del socialismo in Russia non solo non esclude quello del capitalismo in Occidente, ma può con esso pacificamente convivere?

Da tutto questo impiccio non si può dedurre che una sola legittima conclusione. Con le nazioni capitaliste dell'Ovest convive sì il potere russo, in quanto anche esso è un potere nazionale, con la sua lingua nazionale fieramente difesa nella sua integrità, lontano dalla futura lingua internazionale della stessa distanza che ormai separa la sua "cultura" dalla teoria rivoluzionaria del proletariato mondiale.

Eppure, che la formazione nazionale delle lingue rifletta strettamente quella degli Stati nazionali e dei mercati nazionali, e sia fatto proprio e caratteristico del tempo borghese, lo stesso autore è costretto in certi passi a darne atto. "Più tardi, con il sorgere del capitalismo, con la liquidazione dello sminuzzamento feudale e con la formazione del mercato nazionale, le nazionalità si sviluppano in nazioni e le lingue delle nazionalità in lingue nazionali". Questo è ben detto. Ma dopo è mal detto che "la storia ci dice che le lingue nazionali non sono lingue di classe ma lingue di tutto il popolo, comuni ai membri della nazione ed uniche per la nazione". La storia ha detto questo quando si è ricaduti nel capitalismo. Come secoli fa in Italia i signori, i preti e i dotti parlavano latino e il popolo una specie di dialetto toscano; come in Inghilterra i nobili parlavano francese e il popolo inglese; così in Russia la lotta rivoluzionaria aveva condotto a questo: gli aristocratici parlavano francese, i socialisti parlavano tedesco e i contadini parlavano, non diremo russo, ma una dozzina di lingue e un centinaio di dialetti. Se il movimento fosse continuato sulla via rivoluzionaria di Lenin presto avrebbe avuto anche una lingua sua propria: già si parlocchiava tutti un "francese internazionale". Ma Giuseppe Stalin non capiva neanche quello: solo il georgiano e il russo. Era l'uomo per la nuova situazione, per quella in cui una lingua ne inghiotte dieci altre e per farlo usa l'arma della tradizione letteraria; per la situazione di un autentico spietato nazionalismo, che con tutto il resto segue la legge di accentrare anche la lingua e dichiararne intangibile il patrimonio.

E' strano - o forse non lo è se questo movimento non rinunzia a sfruttare le simpatie e l'attaccamento del proletariato estero alle tradizioni marxiste - che il testo faccia proprio questo decisivo passo di Lenin: "La lingua è il mezzo più importante di comunicazione umana; l'unità della lingua ed il suo sviluppo senza ostacoli è una delle condizioni più importanti per un commercio realmente libero e vasto, adeguato al capitalismo moderno, per un libero e vasto aggruppamento della popolazione in classi". E' dunque ben chiaro che il postulato della lingua nazionale non è immanente ma storico: è legato - utilmente - all'avvento del capitalismo sviluppato.

Ma è chiaro che tutto cambia e si capovolge quando cade il capitalismo, cade il mercantilismo, e cade la divisione della società in classi. Con questi istituti sociali, le lingue nazionali periranno. Alla rivoluzione che contro essi tende, è estranea e nemica la rivendicazione della lingua nazionale, non appena il pieno capitalismo ha vinto.

Dipendenza personale ed economica

14. Costituisce deviazione radicale dal materialismo storico la sua limitazione alle epoche in cui vi sono rapporti direttamente mercantili e monetari tra detentori sia di prodotti che di strumenti produttivi, terra compresa, mentre la teoria va applicata anche alle epoche precedenti in cui non vi era ancora distinzione tra possessi di privati ma si ponevano le basi delle prime gerarchie nel rapporto sessuale e familiare. Questo errore di abbandonare a dati non deterministi la spiegazione della sfera dei fenomeni generativi e familiari fa ben riscontro all'altro estremo alla avulsione del fatto linguistico dalla dinamica delle classi; trattandosi sempre della tolleranza che decisivi settori della vita sociale possono essere sottratti alle leggi del materialismo dialettico.

In uno scritto condotto direttamente al fine di far cadere in difetto la interpretazione marxista della storia, e pretendendo che questa si riduca (come purtroppo nel concetto di alcuni incauti e improvveduti seguaci del movimento comunista) a dedurre gli sviluppi della storia politica dall'urto tra le classi che hanno diversa partecipazione alla ricchezza economica e alla sua spartizione, si assume come prova che Roma antica aveva già un ordinamento a tipo statale completo quando il gioco sociale non si svolgeva tra classi di ricchi patrizi terrieri, poveri e plebei contadini e artigiani, e schiavi, ma era ordinato sulla base della potestà del padre di famiglia.

L'autore dello scritto (De Vinscher, Bruxelles, 1952, Proprietà e potere familiare nell'antica Roma) distingue due fasi nella storia dell'ordinamento giuridico: quella più recente e che instaurò il ben noto diritto civile che la moderna borghesia ha fatto proprio, con la libera permutabilità di ogni oggetto e possesso sia mobile che immobile, e che potremmo dire fase "capitalista", e quella più antica in cui l'ordinamento e la legge civile erano ben diversi vietando in gran parte dei casi il trasferimento e la vendita se non con regole strettamente basate sull'ordine della famiglia, di tipo patriarcale. Sarebbe una fase "feudale", se premettiamo a questo feudalesimo e capitalismo nel mondo antico la caratteristica che in essi era presente una classe sociale che manca nel Medioevo ed Evo moderno, quella degli schiavi. Questi sono esclusi dalla legge e considerati come cose e non persone soggetto di diritto: nei limiti della cerchia degli uomini liberi, dei cittadini, una costituzione basata sulla famiglia e sulla personale dipendenza nel suo seno precede quella successiva fondata sul libero trapasso dei beni, purché consentano venditore e compratore.

Si vuole smentire la "priorità che il materialismo storico ha lungamente fatto riconoscere alle nozioni del diritto patrimoniale nello svolgimento delle istituzioni". Ciò sarebbe vero se la base cui fa riferimento il materialismo storico fosse il puro fenomeno economico, di proprietà, di patrimonio nel senso moderno, e se invece tale base non comprendesse tutta la vita di specie e di gruppo e qualunque disciplina dei rapporti che sorge dalla difficoltà dell'ambiente, e soprattutto la disciplina della generazione e dell'organizzazione familiare.

Come si sa e come vedremo ancora nella seconda parte, non appaiono proprietà private e istituzioni di potere di classe nelle antiche comunità o fratrìe. Bensì è già apparso il lavoro e la produzione e questa è la base materiale assai più vasta di quella strettamente intesa come giuridica ed economica cui il marxismo si riferisce: a tale base mostrammo che si collega la "produzione dei produttori" ossia la generazione dei componenti la tribù che si tramanda con assoluta purezza razziale.

In questa gens pura non vi è altra dipendenza ed autorità che quella del membro sano adulto e vigoroso sui giovani da allevare e preparare alla vita sociale semplice e serena. La prima autorità che sorge quando la promiscuità dei sessi tra gruppo di maschi e gruppo di femmine comincia a essere limitata è il matriarcato, in cui la mater è il capo della comunità: non si determina ancora spartizione delle terre o di altro. A questa pone base il patriarcato prima poligamo e poi monogamo: il maschio capo famiglia è un vero capo amministrativo politico e militare, disciplina la attività dei figli e più in là quella dei prigionieri e dei vinti resi in schiavitù. Siamo sulle soglie della formazione di uno Stato di classe.

A questo punto è possibile nelle grandi linee, intendere il vecchio ordinamento romano, cui si attribuisce la vita di un millennio (Giustiniano ne cancellò definitivamente le ultime tracce), del mancipium. Da questi, pater familias in seguito, dipendono uomini e cose: la donna o le donne, i figli, che sono liberi, gli schiavi e la loro prole, il bestiame tutto dell'azienda, la terra e tutti gli attrezzi prodotti e derrate. Tutte queste cose all'inizio non sono alienabili senza una rara e difficile procedura che si chiama emancipazione, o acquistabili senza l'inversa, che è la mancipatio. Di qui la famosa distinzione in res mancipii, cose inalienabili, e res nec mancipii, cose a piacere commerciabili, che fanno parte del normale patrimonium, suscettibile di estendersi e diminuirsi.

Ora, mentre nel secondo stadio, quando nulla è più res mancipii, e tutto è libero articolo di commercio (tra non schiavi) prevale il valore economico e pare ovvio a tutti che le lotte per il potere politico si incardinino sugli interessi di opposte classi sociali, secondo che è distribuita la terra e la ricchezza; nel primo al valore economico e al diritto patrimoniale da titolo di libero acquisto era sostituito un imperium personale del capo di famiglia, cui l'ordinamento che vige riconosce le tre facoltà del mancipium, della manus, e della patria potestas, che ne fanno il cardine della società del tempo.

Per il marxista è evidentemente un banale equivoco quello che al primo stadio di rapporti non si possa applicare il determinismo economico. L'equivoco si basa sulla tautologia che nell'ordinamento mercantile tutto si svolga tra "eguali" e che le dipendenze personali siano scomparse per cedere il luogo allo scambio tra equivalenti, secondo la famosa legge del valore. Ma il marxismo viene appunto a provare che lo scambio commerciale illimitato e "giustinianeo" dei prodotti e degli strumenti si risolve in una nuova e pesante dipendenza personale, pei componenti le classi sfruttate e lavoratrici.

E' dunque più che agevole sfuggire all'insidia che ogni volta che il rapporto sociale gravita sull'ordine familiare, esso non debba spiegarsi con l'economia produttiva ma col gioco di fattori "affettivi", e quindi che rientri a bandiera spiegata l'idealismo. Anche il sistema di rapporti basati sulla generazione e la famiglia è sorto per corrispondere nel modo migliore alla vita del gruppo nel suo ambiente fisico e alla produzione lavorativa necessaria, e la deduzione rientra nelle leggi del materialismo altrettanto bene come quando si è, molto più oltre, nella fase degli scambi unitari tra detentori individuali di prodotti.

Ma è certo di soccombere alla riscossa idealistica quel marxismo che questo non sappia vedere, e conceda per un momento che oltre ai fattori dell'interesse economico concretizzato nel possesso di un patrimonio privato e nello scambio di beni privati (inclusa tra i beni scambiabili la forza umana di lavoro) vivano come fattori separati non trattabili della stessa dinamica materialista quelli del sesso, dell'affetto familiare, dell'amore; e soprattutto cada nella crassa banalità che tali fattori in certi momenti sovrastano e capovolgono quello della base economica con forze superiori.

E' invece sulla unica pietra angolare dello sforzo per la vita immediata della specie, che integra inseparabilmente alimentazione e riproduzione, e se necessario subordina la conservazione dell'esemplare a quella della specie, che il materialismo storico poggia la faticosa immensa costruzione che in sé racchiude tutte le manifestazioni della umana attività fino alle ultime e più complesse e grandiose.

Chiuderemo questa parte con Engels ancora, a mostrare la solita fedeltà di scuola, o aborrimento da ogni novità. E' sempre l'evolvere degli strumenti produttivi che sta alla base del passaggio dall'imperium patriarcale alla proprietà privata libera. Nello stadio barbaro superiore già appare la divisione sociale del lavoro tra artigiani e agricoltori, la differenza tra città e campagna... La guerra e la schiavitù sono già nate da tempo:

"Accanto alla differenza tra liberi e schiavi appare quella tra ricchi e poveri; con la nuova divisione del lavoro appare una nuova scissione della società in classi. Le differenze dei possessi tra i singoli capifamiglia spezzano l'antica comunità familiare comunistica [...], e con essa la comune coltivazione del suolo a pro' e per conto di questa comunità. La terra coltivatile è assegnata per lo sfruttamento a famiglie singole, dapprima per un periodo di tempo, più tardi per sempre. Il passaggio alla piena proprietà privata si compie gradualmente e parallelamente a quello dal matrimonio di coppia alla monogamia. La famiglia singola comincia a divenire l'unità economica della società".

E una volta ancora la dialettica insegna come la famiglia singola, questo preteso valore sociale fondamentale vantato da fideisti e illuministi borghesi, che affetta le società a proprietà privata, anche essa è un istituto transitorio, e negatale ogni base fuori della materiale determinazione, che si cerchi nel sesso o nell'amore, sarà distrutta dalla vittoria del comunismo ed è già nella sua dinamica tutta studiata e condannata alla fine dalla teoria materialista.

Archivio storico 1952 - 1970