Marxismo e questione miltare (2)
Esercito proletario e borghese
Nello studio dell'esercito proletario confrontato a quello borghese Engels considera tutti gli elementi che ne determinano la forza, tra i quali la devozione al nuovo potere proletario anche da parte degli elementi non proletari di cui si formerà l'esercito e degli stessi ufficiali subalterni provenienti dall'esercito dello stato borghese distrutto dalla rivoluzione. A creare questo clima contribuiranno "una direzione energica da parte del ministero della guerra, qualche successo e soprattutto i provvedimenti contro qualche caso di ammutinamento e diserzione".
Siccome il proletariato era ancora poco sviluppato in Francia al tempo in cui scrive, Engels sostiene: "II proletariato non potrà inviare che un debole contingente all'armata attiva; la sorgente essenziale della leva sarà dunque il sottoproletariato ed i contadini". Questa situazione si verificò effettivamente per la Russia del 1917: solo il 15% dei componenti l'esercito rosso erano proletari operai dell'industria; la stragrande maggioranza degli ufficiali proveniva dall'esercito zarista. Grazie alla funzione dei comunisti nell'esercito questo poté essere organizzato e disciplinato e cementato da un entusiasmo ineguagliabile contro le armate degli imperialisti e die de esempi numerosissimi di sacrifici eroici. Engels ha dimostrato che le armate borghesi rivoluzionarie "ore supponevano, in ragione della loro stessa tattica, un livello di formazione intellettuale (non scolastica, s'intende) più elevata delle armate feudali, e la possibilità di esercitarle.
Vediamo ora la decadenza della forza militare borghese; va da sé che non cerchiamo di battere qui, sulla carta, il nostro nemico! La lotta dei paesi coloniali, che doveva essere storicamente vittoriosa, non è stata per questo meno aspra e sanguinosa. Il proletariato avrà bisogne di tutte le sue forze, di tutto il suo coraggio e di tutto il suo spirito di sacrificio, per vincere.
Se, nel periodo rivoluzionario della borghesia, massività e mobilità delle forze armate si integrano e si completano a 'vicenda, col procedere dello sviluppo capitalistico questi due elementi entrano in opposizione e contraddizione reciproca. Nessun altro principio nuovo interviene: l'aumento smisurato della massa e della mobilità diventano antagonici. Da un lato, la potenza e massa di fuoco si può spostare a velocità inaudite (si pensi agli odierni missili), dall'altro vi sono milioni di uomini da spostare.
A conferma di ciò si ricorda che, nell'ultimo massacro mondiale, gli Americani impiegarono ben Quattro anni per preparare lo sbarco di 400.000 uomini, quando vi erano milioni di uomini in lotta. Per contro, con l'aviazione essi potevano trasportare con rapidità potenze di fuoco concentrate (bomba atomica) fra un punto e l'altro della terra, e distruggere intere città.
Non possiamo né vogliamo per ora entrare nel dettaglio, in quanto stiamo trattando solo le grandi linee della questione militare, ma ad ulteriore conferma della contraddizione fra i due elementi della massività e della mobilità dei mezzi di guerra, diamo un altro esempio: l'Algeria, Qui la lotta si svolge, in fondo, fra forze rivoluzionarie borghesi algerine e forze imperialiste e reazionarie-borghesi della Francia. Ebbene, queste ultime, pur essendo formate da più di un milione di uomini sostenuti da un apparato produttivo industriale moderno e disponendo di armi ultra-perfezionate (della NATO e degli alleati), conducono faticosamente una guerra disperata contro truppe che non vanno oltre i 25 mila armati ma sono sostenute dall'intera popolazione. Dopo 7 anni la "pacificazione" non è stata raggiunta ed il mostro imperialista cerca di negoziare la fine di ostilità che minano le sue stesse posizioni nella metropoli!
E' noto pure come in Indocina queste forze moderne siano state battute in tutte le regole dell'arte della guerra. Tale è la differenza fra le armate rivoluzionarie della borghesia in ascesa e quelle reazionarie della borghesia in declino !
Guai a te, borghesia!
Resta l'elemento di terrore di classe che fa regnare l'armamento e la militarizzazione crescente dei rapporti sociali. Vediamo quale deve essere l'atteggiamento del proletariato di fronte alle minacce apocalittiche della borghesia.
Engels, nell'Antidühring, così pone il problema: "L'armamento è divenuto il principale scopo dello stato; esso è diventato uno scopo in sé; i popoli non fanno più che nutrire e vestire i soldati. Il militarismo domina e divora l'Europa. Ma il militarismo porta in sé anche il germe della sua propria rovina. La concorrenza fra i diversi stati li obbliga da una parte a stanziare più denaro ogni anno per le forze arma tè e quindi ad accelerare sempre più la crisi finanziaria, dall'altra a prendere sempre più in considerazione il servizio militare obbligatorio e, in fin dei conti, a familiarizzare il popolo intero con il maneggio delle armi, dunque a rendersi capace, a un dato momento, di far trionfare la sua volontà di fronte a Sua Maestà il comando militare. E questo momento arriva quando la massa del popolo - i lavoratori delle città e delle campagne - acquista una volontà. A questo punto, l'esercito dinastico si converte in esercito popolare; la macchina si rifiuta di servire, il militarismo perisce per la dialettica del suo proprio sviluppo".
Lenin riprende esattamente lo stesso filo quando scrive nel 1916 Sulle parole d'ordine del disarmo : "Oggi la borghesia imperialista non militarizza solo i popoli interi ma anche la gioventù. Domani essa procederà alla militarizzazione delle donne. A tal proposito bisogna che noi diciamo: Tanto meglio! Lo si faccia; più si andrà in fretta, più presto verremo all'insurrezione armata contro il capitalismo. Come dei socialdemocratici possono sentirsi intimiditi dalla militarizzazione della gioventù, eco., se si ricordano l'esempio della Comune?". E, rivolgendosi alle donne dei proletari, ci dice quale sarà il loro atteggiamento di fronte a questa militarizzazione crescente sotto l'imperialismo: "Contro di ciò che faranno le donne dei proletari? Si limiteranno a maledire ogni guerra e tutto ciò che ha relazione con la guerra, e a reclamare il disarmo? Mai le donne della classe oppressa, che è realmente rivoluzionaria, si accontenteranno di un ruolo così vergognoso. Esse diranno ai loro figli: "Presto tu sarai grande. Ti daranno un fucile. Prendilo e apprendi bene il mestiere della guerra. E' una scienza indispensabile ai proletari, non per sparare sui loro fratelli, gli operai degli altri paesi, come si fa nella guerra attuale e come ti consigliano i traditori del socialismo, ma per lottare contro la borghesia del tuo proprio paese, al fine di mettere termine allo sfruttamento, alla miseria ed alle guerre, non con voti inoffensivi, ma riportando la vittoria sulla borghesia e disarmandola".
Engels scriveva a Lassalle (Mehring, t.4, p.185): "Viva la guerra, se i Russi ed i Francesi ci attaccano nello stesso tempo; quando si sarà con l'acqua alla gola, allora, in questa situazione disperata, tutti i partiti, da quelli che dominano oggi a quelli più meschini, dovranno logorarsi, e la nazione, per salvarsi, dovrà infine rivolgersi al partito più energico". E' la trasformazione della guerra tout court in guerra civile di classe.
Fin dal 1848, Engels, in un articolo sulla rivoluzione di Parigi, insegnava il radicalismo al proletariato: "Se gli in sorti avessero impiegato gli stessi mezzi violenti che usarono i borghesi ed i loro valletti comandati da Cavaignac, Parigi sarebbe in rovina, ma essi avrebbero trionfato",
Nel suo Indirizzo da Londra (marzo 1890) alla Lega dei Comunisti, Marx scrive: "Lungi dal combattere i pretesi eccessi, gli esempi di vendetta popolare contro odiati individui ed edifici pubblici che evocano dei ricordi penosi, bisogna al contrario non solo tollerarli, ma prenderne in mano la direzione"
Non entriamo qui nelle questioni, pur molto importanti, che potranno essere trattate separatamente, quali la famosa "teoria dell'offensiva" (nei primi congressi della III Internazionale) e nella Questione del "disfattismo militare", di cui bisognerebbe mostrare tanto l'efficacia militare quanto il carattere profondamente rivoluzionario e proletario.
Trotsky, nel capitolo "L'influenza della guerra" (v. Difesa del terrorismo"), spiega l'effetto della militarizzazione crescente alla quale assistiamo durante la fase imperialista: "L'imperialismo ha strappato di viva forza la società al suo equilibrio instabile... Ha rotto le chiuse con le quali la socialdemocrazia conteneva il torrente d'energia rivoluzionaria del proletariato e lo canalizzava nel suo letto. Questa formidabile esperienza storica, che di colpo ha spezzato le reni all'Internazionale socialista, porta in sé nello stesso tempo un pericolo mortale per la società borghese. Si è ritirato il martello dalle mani dell'operaio per rimpiazzarle con la spada. L'operaio, che era legato all'ingranaggio dell'economia capitalistica, è improvvisamente strappato dal suo ambiente; gli si insegna a situare gli scopi della collettività al disopra del benessere domestico e della stessa vita. Tenendo in mano le armi che egli stesso ha forgiato, l'operaio è messo in una situazione tale che il destino politico dello Stato dipende immediatamente da lui. Quelli stessi che in tempi normali lo opprimevano e lo disprezzavano, ora lo adulano e strisciano ai suoi piedi. Egli impara nello stesso tempo a conoscere i cannoni che, secondo Lassalle, costituiscono una delle parti più importanti della Costituzione. Egli verifica i confini dello Stato, partecipa a requisizioni violente, vede le città passare da una mano all'altra sotto i suoi colpi. Nella sua psicologia si producono cambiamenti che la generazione passata non aveva mai visto. Se gli operai d'avanguardia sapevano in teoria che la forza è la madre del diritto, il loro pensiero politico era nero imbevuto di uno spirito di possibilismo e di adattamento alla legalità borghese. Ora la classe operaia impara di fatto a disprezzare e distruggere con la violenza questa legalità. Le fasi statiche della sua psicologia cedono alle fasi dinamiche. I mortai inculcano nella classe operaia l'idea che, quando non si può aggirare l'ostacolo, resta però la possibilità di spezzarlo. Quasi tutta la popolazione maschile adulta passa per questa, terribile scuo1a di realismo che è la guerra, creatrice di un nuovo tino umano.
"Su tutte le norme della società borghese - col suo diritto, la sua morale e la sua religione - è oggi sospeso il pugno della necessità di ferro. "Necessita non ha legge", dichiarava il cancelliere tedesco il 14 agosto 1914. I monarchi scendono in piazza ad accusarsi, in un linguaggio da carrettiere, di perfidia. I governi calpestano gli obblighi che avevano solennemente contrattato; e la chiesa nazionale incatena il suo Dio, come un forzato, ai cannoni nazionali.
"Non è evidente che queste circostanze devono provocare un cambiamento profondo nella psicologia della classe operaia, guarendola radicalmente dall'ipnosi della legalità, in cui si rispecchiava, un'epoca di stagnazione politica? Le classi possidenti dovranno ben presto convincersene con orrore. Il proletariato che è passato ben presto per la scuola della guerra pentirà, al primo ostacolo serio nel suo stesso paese, il bisogno imperioso di usare il linguaggio della forza. "Necessità non ha legge", dirà in faccia a coloro che tenteranno di fermarlo in nome degli imperativi della legalità umana. E la miseria, la spaventosa miseria che è regnata nel corso di questa guerra, e dopo la sua fine, spingerà le masse a calpestare molte, molte leggi. Malheur a toi, bourgeoisie! Guai a te, borghesia."
Determinazioni della "questione militare". Premessa
Nell'ultima riunione di partito del novembre scorso abbiamo iniziato a trattare la "questione militare", nella sua parte generale. Abbiamo sottolineato le ragioni che al partito proletario rivoluzionario fanno ritenere importante tale questione, specialmente in questa fase storica in cui il regime di società di classe volge all'epilogo. Come un mostro agonizzante, il capitalismo sempre più reazionario e oppressore impiega tutte le armi per tenersi ancora in vita: da quelle puramente ideologiche a quelle materiali vere e proprie. Abbiamo detto che la borghesia, brutale e violenta nella pratica, sia invece vile e pusillanime nella teoria. La spiegazione marxista è semplice: la borghesia ha una incapacità storica a comprendere le manifestazioni di violenza di cui la storia è piena, come guerre, rivoluzioni, ecc.. A base di tale incapacità dottrinaria stanno la sua natura di classe sfruttatrice, le contraddizioni del sistema economico capitalistico, e la divisione e specializzazione del lavoro industriale e scientifico.
L'impossibilita di spiegare la guerra in tutti i suoi aspetti ha per esempio generato le più disparate teorie le. quali, proprio per le insoddisfazioni che lasciano, hanno permesso la creazione di un vero e proprio feticismo intorno al fenomeno bellico. Le definizioni date dai suoi interpreti sono innumerevoli: alcune si basano sulla morale e sulla giustizia, altre sulla religione e sulla natura umana, altre ancora, le più recenti e ritenute più "realistiche" la collegano alla politica per fini umanitari o di "civiltà" e infine, giù il cappello, di "libertà". Ma tutte queste teorie hanno in comune la stessa visione idealistica della storia che fa derivare le cose dalle idee. In questo quadro, non deve meravigliare che la borghesia finisca per attribuire anche alla guerra una "funzione storica". Ma, al solito, non ci si allontana dalle visioni idealistiche ed astratte; anzi si cade nelle tesi più gratuite ed assurde, che certe "dimostrazioni" superficiali e contraddittorie fanno apparire ancor più cervellotiche.
L'ex socialista e professore di storia Ettore Ciccotti, in un discorso tenuto all'università di Messina nel 1917, si è sforzato appunto di tratteggiare la funzione "progressiva" della guerra in generale. In realtà egli aveva da giustificare il primo massacro mondiale allora in corso e farlo apparire come un sacro sforzo di una parte dell'umanità per difendere i valori già acquisiti di democrazia, civiltà, humanitas, contro l'altra (il tedesco) che invece restava aggrappato alle concezioni opposte del culto della forza e del più cieco militarismo. Per questo "socialista", per questo "storico" che conosce ed ammira Proudhon ma sorvola del tutto su Marx, la funzione storica della guerra è funzione intrinseca alla guerra stessa; cioè la guerra in sé e per sé crea essa stessa le ragioni che con l'andar del tempo la negheranno. Quando la guerra sparirà, Ciccotti non dice, ma che ciò debba avvenire sarà certo - egli ci assicura. La "dimostrazione" risiede nello sviluppo della "coscienza etica" prodotta dalla guerra stessa e testimoniata dalla nascita del "diritto della guerra" e da altre "conquiste" del genere, nonché dall'evoluzione avvenuta nelle teorie degli interpreti del fenomeno bellico dal credente De Maistre fino a Pisacane, a Proudhon e al pacifista filosofo Kant, quest'ultimo tedesco.
Abbiamo visto come il marxismo capovolga completamente questa concezione. Diciamo perciò che la violenza non esiste in sé e non deriva dalla natura umana come pretendono gli idea listi, ma è una manifestazione necessaria dello sviluppo sociale dell'umanità durante tutta la storia vissuta fino ad oggi. Essa deriva. dallo sviluppo reale della società ed ha un ruolo, una funzione ben determinata, che, in date condizioni storiche, la rendono inevitabile, e ciò sia che tale funzione sia favorevole allo sviluppo storico o ad esso contraria. Fino a che l'agente, il potere politico che adopera la violenza, svolge una funzione sociale positiva, esso si mantiene in vita. Quando questa funzione non la svolge più, è destinato a cadere sotto i colpi di una violenza ancora più forte prodotta dalle ragioni economiche e sociali nuove che si vogliono aprire la strada. E con ciò è implicitamente detto, in modo generale, quale sia la causa della violenza. La chiave del mistero è tutta qui. Ciò compreso, rimane chiarita l'origine del potere magico delle classi rivoluzionarie, definite da Marx lo strumento di maggior potere produttivo. Scavando in questo sottosuolo e solo in esso si trova sempre la ragione prima e unica, anche se molto lontana, di ogni manifestazione violenta, come le guerre, le rivoluzioni, e qualunque altro moto di turbolenza popolare. Non solo è così possibile una spiegazione, anzi la sola spiegazione scientifica circa la natura, l'essenza, il carattere ed il significato della guerra, ma si potranno anche comprendere le forme fondamentali dell'arte della guerra nella sua evoluzione storica dalle prime manifestazioni a quelle odierne.
Saranno cioè chiarite le determinazioni profonde legate al particolare livello delle forze produttive ed alla situazione storica, sia degli schieramenti degli eserciti che della loro organizzazione ed armamento, nonché della tattica e della strategia militare usata nelle diverse circostanze. Lo stesso dicasi del ruolo svolto dai condottieri e dal loro genio militare. Senza per ora entrare in dettaglio, riferiamo solo brevemente una conclusione cui è pervenuto Engels: i più grandi condottieri si sono avuti durante l'antichità, specialmente durante l'epoca schiavistica. La spiegazione va ricercata nel debole sviluppo delle forze produttive di allora e nella relativa possibilità di dominio da parte di certi individui particolarmente dotati sugli altri nel quadro dei rapporti sociali esistenti. Quindi, pur restando la lotta delle classi e la necessità dello sviluppo sociale delle comunità o popoli la base degli eventi militari ed il motore della loro storia, era possibile a determinati individui di esercitare una influenza più o meno vasta sul corso storico, rappresentando le loro doti di intelligenza e di cultura delle forze fisiche e produttive rispettabili. Da ciò si comprende facilmente come nell'epoca attuale, in cui le forze produttive hanno raggiunto valori immensi, sia impossibile parlare di "capi" e di "grandi" che possano non diciamo determinare - che sarebbe troppo - il corso storico, ma anche solo influenzarlo. Così è ridicolo attribuire alla strategia di capi politici o militari o magnati dell'industria il carattere altamente distruttivo della guerra imperialistica moderna, e nemmeno alla natura più o meno nazionalistica e militaristica di questo o quel regime, come si è preteso nei confronti dell'hitlerismo, del pangermanesimo e così via. Questa profonda ragione strategica va ricercata solo nelle necessità del capitalismo, che sono appunto quelle di distruggere una immensa quantità di forze produttive - lavoratori compresi - per assicurare la propria esistenza. Tutti gli stati maggiori degli eserciti belligeranti non possono volere nulla di diverso da ciò che comandano queste formidabili forze impersona li. E' vano quindi prendersela con loro inscenando campagne antimilitaristiche a sfondo pacifista e moralizzatore come fanno ipocritamente i falsi partigiani operai.
Quel che vale per questi grandi servi della borghesia, che a volte credono essi stessi al loro "genio immortale", vale in egual misura per i falsi strateghi della politica del proletariato. La rivoluzione non può farsi in un giorno qualunque, come pretendono certi trotskysti basandosi solo sul carattere parassitario e decadente del capitalismo d'oggi. Occorre che le forze reazionarie entrino in crisi e che le contraddizioni raggiungano il loro culmine, per poter utilmente "fare" la rivoluzione. Così si pone la questione militare per il proletariato e il suo partito. Dire che "la rivoluzione è un'arte", non significa che l'"artista" possa essere il Battilocchio qualunque, e che ad un suo cenno si possa e si debba ubbidire. E' la storia che pone agli uomini i compiti che possono adempiere. La corretta maniera di interpretare gli avvenimenti storici ci permette di maneggiare proficuamente le forze rivoluzionarie. A questo scopo il partito dirige i suoi sforzi attuali.
Passiamo quindi ad esaminare in breve il ruolo svolto dalla violenza nelle successive forme storiche di produzione, fermandoci a vedere donde proviene il "potere magico" delle classi rivoluzionarie e come esso si esprime attraverso i tempi. Avvertiamo però che non scenderemo in troppi particolari storici. Della storia ci serviremo per trarre degli elementi di giudizio teorici sulla questione che ci interessa.
La funzione della violenza durante l'epoca del comunismo primitivo è nel trapasso da questo alle società civili o di classe.
Si utilizza spesso la formula secondo la quale la violenza è legata all'esistenza delle classi e della proprietà privata per affermare che in una società nella quale il proletariato sotto la guida del partito di classe abbia preso il potere le guerre cesseranno di esistere,
Oltre ad esprimere una certa ripugnanza di carattere moralistico di fronte alla violenza, questa formula non tiene conto di tutti i momenti in cui la guerra è stata necessaria per l'umanità, in particolare nella fase che ha preceduto la società divisa in classi: quella del comunismo primitive e della sua dissoluzione.
.La formula del Manifesto che la storia è stata fin qui lotta di classi e completata dalla nota (degli stessi autori) che spiega essere questa la storia scritta. Infatti, durante la storia non scritta, cioè prima delle società divise in classi, le comunità primitive hanno conosciuto urti violenti fino alla loro dissoluzione. Marx scrive che la guerra è stata una forza produttiva essenziale delle comunità primitive (Grundrisse) e che "la guerra è pertanto il grande compito collettivo, il grande lavoro collettivo che si richiede sia per conquistare le condizioni obiettive di esistenza, pia per proteggere o perpetuare questa conquista" ("Forme che precedono la produzione capitalistica"). L'economia - al solito - spiega perché la guerra è stato un loro dato permanente. Se non esistevano contraddizioni nel loro inferno né una disuguaglianza di posizione sociale (salvo quelle richieste dall'organizzazione delle comunità che per compenso spontaneo e per consuetudine si delegavano a singoli per la salvaguardia di certi interessi comuni. Vedi Antidühring, p. 196), esistevano però necessità di vita delle varie comunità che ne invocavano gli urti. A volte, l'esiguità stessa delle comunità le spingevano a fondersi fra loro e questo processo di fusione non sempre poteva avvenire iniziando con alleanze spontanee. Più spesso occorreva la forza unificatrice delle comunità più potenti; più spesso ancora l'imposizione e l'atto di guerra. Così le comunità primitive poterono difendere e conquistare nuove condizioni di esistenza e nuove forze produttive. Sia le forze di lavoro del vinto che la sua tecnica venivano assimilate dal vincitore che così si irrobustiva e si assicurava migliori condizioni di sopravvivenza e di sviluppo. Attraverso questo processo di fusione si formarono le tribù dai clans, ed i popoli dalle tribù.
Sempre queste primordiali ragioni di carattere economico produssero le migrazioni dei popoli da una regione all'altra della terra. Molto peso ebbero in queste vicende anche le condizioni climatiche. Le tribù ed i popoli più forti ricacciarono nelle zone meno desiderabili - le più fredde o le più calde - le genti militarmente più deboli (Pigmei, Eschimesi) che vi rimasero a vegetare. Razze intere si sono lasciate sterminare e sono completamente sparite dalla faccia del globo in queste lotte violente e guerre delle epoche preistoriche in cui la coscienza dell'umanità era ancora nella sua fase crepuscolare ed essa era del tutto ignara sia delle sue forze latenti sia di quelle della natura da cui era terribilmente dominata.
Concludendo: la guerra e in genere l'impiego della violenza - che, si badi, non era liberamente usata, ma a sua volta era imposta da necessità economico-sociali - la guerra, dicevamo, è antica quanto l'esistenza simultanea di più gruppi di comunità (Antidühring, p. l98) e rappresenta un mezzo importante, anzi il mezzo più importante nella difesa delle condizioni di esistenza del comunismo primitivo e dello sviluppo delle sue forze produttive, permettendo la fusione dei piccoli gruppi che per la loro stessa esistenza erano condannati ad una esistenza precaria e quasi impossibile.
Ma il compito positivo della guerra non finisce qui.
La guerra permetterà anche un avvenimento di eccezionale importanza: quello della dissoluzione del comunismo primitive e della costituzione della società divisa in classi che dura tutt'oggi. Insistiamo che la violenza, anche in questo suo compito, non va assolutamente vista come la causa determinante ma solo come causa secondaria e complementare, prodotta da quella economica: anzi, meglio che in ogni altro momento della. storia dell'umanità, proprio in questo trapasso si vede come "la forza, anziché dominare l'ordine economico fu costretta a servirlo" (Antidühring). Citiamo appunto Engels per mostrare come dalle società senza classi sorgono e si sviluppano le classi: "La divisione naturale del lavoro in seno alla famiglia permetteva, ad un certo livello di benessere, di introdurre una o più forze di lavoro estranee. Questo fatto avveniva particolarmente in paesi in cui l'antico possesso comune del suolo era già scomparso o almeno l'antica coltivazione in comune aveva ceduto il posto alla coltivazione separata di appezzamenti parcellari del suolo ad opera delle rispettive famiglie. La produzione si era tanto sviluppata che ora la forza-lavoro dell'uomo poteva produrre di più di quanto era necessario per il suo semplice mantenimento: i mezzi per mantenere più forze lavoro c'erano e del pari quelli per impiegarle: la forza-lavoro acquistò un valore. Ma la comunità in sé e l'aggregato di cui essa faceva parte non fornivano forze di lavoro eccedenti disponibili. Le forniva invece la guerra e la guerra era antica quanto la coesistenza simultanea di gruppi di comunità (corsivo nostro). Finora non si sapeva che fare dei prigionieri di guerra e quindi venivano semplicemente uccisi e, in un periodo ancora anteriore, mangiati. Ma al livello raggiunto ora dall'ordine economico essi acquistarono un valore, furono quindi lasciati vivere e si utilizzò il loro lavoro... La schiavitù era stata scoperta... e dobbiamo dire, per quanto ciò "possa suonare contraddittorio ed eretico, che l'introduzione della schiavitù nelle circostanze di allora fu di grande progresso... E questo fu un progresso anche per gli schiavi; ora i prigionieri di guerra, dai quali si reclutava la massa degli schiavi, conservarono almeno salva la vita, mentre precedentemente venivano uccisi e, ancora prima, mangiati".
Come si vede, la guerra comunemente vista quale apportatrice di soli dolori all'umanità, è pure servita ad addolcirne l'esistenza.
A questo punto, urge una precisazione. Facciamo parlare ancora Engels: "... prima che la schiavitù diventi possibile, bisogna che sia raggiunto un certo livello nella produzione e che sia comparso un certo grado di disuguaglianza nella distribuzione". E ancora: come e per quale via poteva avvenire ed avvenne questa "disuguaglianza nella distribuzione"? Essa avvenne in genere per via economica: con la specializzazione della produzione (per es. con l'allevamento del bestiame) favorita dallo sviluppo ineguale delle varie comunità per effetto delle diverse forze ambientali e naturali, sorgeva la necessità dello scambio fra le varie comunità e, con lo scambio, la disuguaglianza delle ricchezze, la proprietà privata, il diritto, ecc.. Ma alla via puramente economica, che poteva essere sufficiente oltre che necessaria, si accompagna certo l'uso della violenza a scopo di rapina. Parlando appunto del possesso di patrimonio da parte di singoli, Engels scrive: "E' certo chiaro in ogni caso che è possibile che esso sia frutto di rapina e che quindi poggi sulla forza, ma ciò non è affatto necessario".
La violenza nello sviluppo e nel crollo della società schiavista: a) in Grecia
La funzione progressiva della guerra continua nelle prime comunità dei popoli civili e non si limita solo all'utilizzazione diretta delle forze di lavoro vinte, fatte prigioniere e rese schiave. II processo della formazione delle classi - come Engels dimostra - oltre che per la via economica diretta e "pura", si svolge nel migliore dei modi man mano che la produttività del lavoro aumenta e permette il distacco di alcuni elementi dal lavoro direttamente produttivo, le comunità possono utilizzare questi uomini in altre funzioni, pure molto necessarie, che sono quelle di direzione e di controllo per la salvaguardia degli interessi generali crescenti sia della comunità nell'insieme che dei singoli (il diritto è già nato). E questi elementi "sono ovviamente dotati di una certa autonomia di potere e costituiscono i primi rudimenti della forza dello Stato" (Antidühring). Non staremo qui ad analizzare "come questo rendersi indipendente della funzione sociale di fronte alla società abbia potuto accrescersi col tempo ed arrivare al dominio sulla società". Quello che è importante mettere in rilievo è il fatto che allora più che mai, una classe dirigente era necessaria ed utile mentre "oggi la classe dominante e sfruttatrice e diventata superflua, anzi, e diventata un ostacolo allo sviluppo della società e solo ora sarà inesorabilmente eliminata, per quanto possa essere in possesso della forza immediata".
Esempio di importante "funzione sociale" quella svolta appunto dalle classi dirigenti di Cina, Egitto e Mesopotamia, quando si impegnarono nei grandi lavori di irrigazione mediante le acque dei fiumi. Altra non meno importante funzione sociale che favorì il distacco di singoli e di famiglie dalla restante parte degli uomini liberi e schiavi fu quella svolta dai guerrieri, i quali, come e noto, costituivano una delle classi dominanti dell'antica Grecia.
La società schiavista - si sa - conobbe un ritmo assai lento, poiché lento era il ritmo della produttività data l'ancor primitiva tecnica del lavoro. A dare impulso e dinamicità a questo modo di produzione, fu spesso la guerra. Basti ricordare che la protezione delle forze armate necessarie ai popoli mercantili, a causa dell'alto valore delle merci da essi trasportate, favorì vieppiù la specializzazione dei trasporti e nel commercio e fu quindi un fattore di sviluppo nelle relazioni fra i popoli. Così infatti poterono essere assicurati i traffici asiatici ed i popoli mediterranei, esercitati da Assiro-Babilonesi, Persiani e Fenici. Questi ultimi poi si incaricarono di far giungere i prodotti dell'Oriente - più progredito di ogni altra regione del mondo - fino alle coste del Mediterraneo occidentale. II naviglio militare che essi approntarono - tra i primi - per la difesa e la scorta delle loro flotte mercantili permise che molte piante utili all'uomo ed animali domestici fossero dai Fenici diffusi insieme alla scrittura alfabetica, con enormi vantaggi per tutti. Per tale bisogno essi si servirono di "colonie" che da semplici empori dovevano divenire nuovi centri del commercio marittimo: famosa fra essi Cartagine. Per il semplice ed elementare principio che la vittoria in guerra e il risultato di una superiorità di tutte le forze condizionate a loro volta dalla produzione materiale, è possibile affermare - in linea generale - che l'avvicendarsi dei vari popoli e stati nel dominio politico e territoriale segna sempre un passo avanti nella storia dell'umanità.
Certo, non sempre le imprese guerresche dei popoli antichi portarono a conquiste durature; la formazione e decomposizione degli imperi stanno a testimoniarlo. Ma ciò significa solo che, a volte, l'impiego della forza andò oltre i limiti delle funzioni che l'economia, che stava a suo fondamento, poneva ad essi. Ma è incontestabile che la guerra abbia segnato spesso il tramonto di un periodo e l'aurora di un nuovo sviluppo sociale storico di una data stirpe e di tutto il mondo antico in cui essa primeggiava. Citiamo Engels: "La Grecia già nell'età eroica fa il suo ingresso nella storia con un'organizzazione in ceti che è il prodotto evidente di una preistoria piuttosto lunga e conosciuta; ma anche qui il suolo viene economicamente sfruttato in prevalenza da contadini indipendenti; le più vaste proprietà dei singoli e dei capi - tribù - costituiscono l'eccezione e del resto scompaiono subito dopo". La famosa guerra di Troia e la lunga serie di guerre successive caratterizzano l'infanzia e l'adolescenza dello sviluppo delle forze produttive greche. La Grecia, conquistando l'egemonia sull'Egitto, si assicurava i traffici marittimi vicini, dai quali nuove ricchezze accaparrava: nuovi ceti sociali, come armatori e commercianti, si aggiungevano ai vecchi ceti dominanti formati da proprietari di terre, di bestiame e di schiavi, e davano maggiore dinamicità all'indirizzo economico dello stato. L'accesso al potere politico di questi nuovi ceti sarà da essi raggiunto a prezzo di lotte armate in cui essi spesso si servirono dello aiuto delle classi meno abbienti. Tale il senso ed il significato della democrazia greca e di tutte le democrazie future, non quello che soprattutto gli storici borghesi vogliono attribuirle e risolventesi in una realizzazione dell'ideale e perfetto ordinamento politico che l'umanità faticosamente dovrebbe raggiungere come definitiva soluzione dei suoi problemi. Tanto la democrazia di Atene in cui solo 40.000 cittadini erano ammessi alla vita pubblica su 400.000 abitanti quanto quella degli Stati moderni borghesi in cui vige il suffragio universale, hanno avuto a proprio fondamento il lavoro della classe soggetta alla quale essi devono tutta la ricchezza materiale e spirituale. La vita politica della democrazia greca, quando non fu lotta di classe fra schiavi e padroni (celebre fra esse la terribile rivolta degli Iloti) fu conflitto permanente fra aristocrazia agraria e arricchiti del commercio e dell'industria navale. Si può dire di più: queste lotte interne si trasferivano spesso all'esterno delle città divenendo causa di guerre intestine. La. mancata unita greca - tanto discussa dagli storici - trova quindi origine nella struttura stessa della sua economia. Né il comune elemento etnico delle tribù greche, né il legame religioso, né le manifestazioni sportive - i giochi olimpici - saranno mai in grado di realizzarla. Sotto il cemento della guerra resa necessaria da una comune ragione di vita economica, quella della difesa dei commerci e della via di rifornimento del grano minacciati dall'impero persiano che, dopo assicuratosi del dominio sull'Oriente, tendeva ad espandersi verso Ovest, solo la difesa militare da tale pericolo permetteva la realizzazione - sia pure temporanea - della unificazione delle energie giovanili delle città greche, e le vittorie strepitose di Maratona, l'eroica resistenza del passo delle Termopili, la vittoria navale di Salamina e quella terrestre di Platea che decidevano della definitiva rinuncia della Persia all'Occidente. Vinte queste prove militari e quelle (dello stesso periodo) contro i Cartaginesi ad opera della colonia di Siracusa, il popolo greco ha potuto compiere quella immensa opera di colonizzazione verso il Mediterraneo occidentale e specie in Italia del Sud. Con la loro penetrazione commerciale i Greci diffondono anche la loro cultura e tutti i prodotti del pensiero e dell'arte che da quei traffici ebbero alimento principale. Ma dopo la fase di espansione dell'economia greca in cui la guerra - come abbiamo visto - ha svolto un ruolo di primaria importanza al suo servizio, e dopo quella di un assestamento e di un più o meno pacifico sviluppo, che culmina nella cosiddetta età di Pericle, in cui pare che un terzo delle entrate pubbliche fossero spese dallo Stato borghese per favorire la cultura (oh borghesia, che schifo al confronto quando ti vanti di dare l'automobile anche ai proletari) - segue la fase di vecchiaia e di declino di questo organismo economico. I germi che lo corroderanno allevati nel suo stesso seno sono già di venuti virulenti con il livello relativamente alto raggiunto dalle forze produttive. Engels, volendo dimostrare a Dühring, che a base della schiavitù c'è ben altro che la "forza immediata", cioè l'innata, o volontaria violenza pura della classe dominante, così esordisce: "Se al tempo delle guerre persiane il numero degli schiavi salì a Corinto a 46.000, a Egina a 47.000 e su ogni membro della popolazione libera c'erano dieci schiavi, ciò implicava qualcosa più ancora della "forza"; implicava un'industria artistica ed artigiana altamente sviluppata ed un commercio estero".
Ma quest'economia era giunta ormai al suo grado di maturità; in essa stessa erano presenti i limiti ed i freni che le lotte di classe dovevano vieppiù ingrandire. La fioritura intellettuale della società greca non deve generare illusioni: anch'essa era una società di classe e la sua ferocia e brutalità hanno conosciuto frequenti eccessi spietati e sanguinari. La Grecia si avviava ormai alla servitù. Ma ciò che essa aveva creato di buono sia nel campo della produzione materiale che della cultura erano ormai fatti acquisiti per l'umanità e per la storia e non poteva andar perduto e distrutto. Prima la spada di Alessandro Magno il Macedone e poi le legioni romane si incaricheranno di diffondere questa eredità al mondo orientale e a quello occidentale.
Come non giudicare positivo il ruolo delle leggendarie imprese guerresche di Alessandro? II cosiddetto ellenismo, cioè la fusione dell'elemento orientale e greco, che poi sarà ereditato da Roma, va debitore a tutte le guerre che il giovane e rozzo popolo macedone sarà in grado di sostenere e vincere dopo aver assoggettato prima di tutto la Grecia.
Ma con la Grecia la società schiavista non registrò né poteva ancora registrare il più alto sviluppo delle forze produttive. L'ultimo e più forte balzo avanti sarà compiuto da Roma, e non certo per volere dell'inesistente fato o per qualità intrinseche e del tutto speciali degli antichi Romani ma per determinate e ben precise ragioni .di ordine economico, per la posizione geografica della città e per il momento storico in cui Roma si trovò ad inserire la propria azione.
I limiti alla potenza delle città greche erano posti dalla loro stessa base economica di natura essenzialmente mercantile ed artigiana (è noto che le sorti di Atene furono intimamente legate alle miniere di piombo argentifero del Laurion, a 50 Km dalla città, che, sfruttate col lavoro degli schiavi, costituivano, finché non si esaurirono, il suo tesoro).
Roma invece poggiava sull'attività primaria dell'economia del tempo: l'agricoltura. Al suo popolo di rozzi contadini e pastori sarà dunque possibile disporre di una ricchezza veramente salda e quindi di una forza armata molto compatta, che da essa si alimentava, e di cui esso si servirà prima di tutto per assicurarsi la sopravvivenza nelle lotte contro bellicose tribù vicine e poi per consolidare ed espandere la propria ricchezza agraria con la conquista delle altre regioni della penisola ( guerre contro i Sanniti e contro le colonie greche in Italia).
Da "Il programma comunista" nn. 23 del 1961, 1-9-10 del 1962, 5-12-13-23 del 1963, 1-2-13-14 del 1964, 6-7-8 del 1965, 2-3-4-1-12-13 del 1966.