Marxismo e questione militare (3)
La violenza nello sviluppo e nel crollo della società schiavista: b) Roma
La interdipendenza del fatti economici e militari (s'intende con la prevalenza determinante del primi) è così lampante in tutta la storia romana, sia nella fase di ascesa che di declino, che solo un ostinato antimarxista può mettere in dubbio o interpretarla in senso idealistico. E' noto per esempio che non lo Stato di Roma antica forniva le armi ai suoi legionari. L'armatura costosa della fanteria pesante che era l'arma decisiva del combattimento, sia della fanteria leggera e - a maggior ragione - della cavalleria, era a carico dei non abbienti. II soldato romano e dunque il contadino, piccolo o grande proletario. II cavaliere è il cittadino ricco: inizialmente solo gli appartenenti ai ceti nobiliari - i patrizi -, in seguito gli arricchiti del commercio e dagli altri affari che man mano si sviluppavano.
Questo rapporto economico-militare genererà a sua volta come sovrastruttura il rapporto politico-militare. La storia delle trasformazioni avvenute nell'ordinamento politico di Roma e della sua struttura costituzionale, su cui spesso si appunta l'interesse maggiore degli storici, è il riflesso della storia delle trasformazioni avvenute nel rapporto economico-militare.
Lo stesso dicasi per ciò che riguarda i rapporti di Roma con tutti gli altri stati dell'Italia e del Mediterraneo. Una volta compreso l'intimo rapporto tra ricchezza economica e forza armata e le loro reciproche azioni, non si può non respingere la tesi dühringhiana di certi storici secondo cui la potenza di Roma si è sempre fondata sulla rapina. L'ascesa di Roma nel campo delle conquiste militari è da attribuire anzitutto alla fase di sviluppo che attraversava l'economia sua e delle altre regioni italiche rispetto a quelle degli altri popoli del Mediterraneo in fase di decadenza. La vittoria di Roma su Cartagine, la più grande potenza dell'epoca, non si spiega diversamente. L'oligarchia dominante a Cartagine sfruttava i popoli amici o soggetti estorcendo dispoticamente forti tributi ed aveva da fare i conti con le rivendicazioni delle forze di lavoro interne, con le loro sollevazioni e con quelle dei mercenari di cui si formava l'esercito. Nulla di strano perciò che i Romani potessero e dovessero, a quell'epoca, essere considerati come dei liberatori. Inoltre, la società romana nel suo complesso risultava allora più o meno interessata alle fortune dello Stato e dunque pi disposta a combattere. Erano infatti terminate le secolari lotte fra patrizi e plebei, la cui conclusione piuttosto che come vittoria di questi ultimi, va considerata come alleanza fra i suoi uomini più ricchi e il patriziato. La classe dirigente romana aveva dunque irrobustito la sua compagine con gli elementi arricchitisi attraverso l'allargamento dal commercio prodotto dalle guerre e che sulla guerra ancora puntavano per nuovi profitti. Date queste ed altre premesse, di cui per brevità non si fa cenno, non meraviglia che il rozzo contadino soldato romano abbia saputo esprimere dal suo seno un condottiero: Scipione l'Africano, degno del grande cartaginese Annibale, a sconfiggere il quale non meno grande fu il contributo della politica di Fabio il Temporeggiatore. Ma, vinta la seconda guerra punica, da considerarsi tra le più risolutive di quelle combattute nell'antichità, Roma si poneva su basi economiche e militari ancora più solide. Si era assicurato il grano della Sicilia nonché tutto il commercio ed i tributi prima riscossi dalla sua grande rivale e possedeva ormai una grande flotta mercantile e militare. Da queste nuove condizioni si doveva sviluppare ulteriormente quel forte spirito imperialistico della classe dominante che doveva spingerla alla conquista o al vassallaggio della Macedonia, dell'Asia Minore e dell'Africa Settentrionale. I nuovi mercati, le nuove terre, accrebbero ancora più le ricchezze d'Italia e di Roma in cui, fra l'altro, gli schiavi affluivano a migliaia e a decine di migliaia alla fine di ogni guerra. Tanto la classe dei proprietari terrieri quanto quella dei mercanti, degli appaltatori di imposte (pubblicani), usurai e speculatori vari, se ne avvantaggiarono. Ma in questa stessa ascesa verso il massimo livello delle forze produttive, si generarono e si svilupparono i germi del futuro arresto e poi del declino e del crollo finale. Roma assimila le tecniche superiori dei popoli vinti - Greci in primo luogo - e, con esse, anche i prodotti della cultura e le nuove religioni e filosofie. Sia nella struttura economica sociale che in quella culturale si verificano profonde trasformazioni. La nobiltà, con le guerre, si era sempre più arricchita di terre ed aveva creato il latifondo che, grazie alla manodopera poco costosa degli schiavi, era in grado di battere la piccola proprietà sul piano della concorrenza economica. Si rendevano così inevitabili sia le lotte fra padroni e schiavi (in Sicilia, dove il latifondo era più esteso, una rivolta di schiavi durò cinque anni), sia fra patrizi e piccoli proprietari i quali, anche a causa del servizio militare continuo, erano costretti ad abbandonare le loro terre e ad indebitarsi. In mezzo a questi disordini continui si facevano strada le varie tendenze della classe dominante: la conservatrice da un lato e la riformista dei fratelli Gracco e di Mario dall'altro. Quest'ultima tendeva a risolvere la questione agraria con una riforma fondiaria stabilendo dei limiti alle proprietà acquistate sul demanio pubblico (Acer publicus) e dividendo le terre eccedenti nella speranza di ricostruire la classe dei piccoli contadini che era il nerbo dell'esercito. La lotta, finita con l'uccisione dei Gracco, la sconfitta del partito democratico di Mario e la feroce dittatura militare di Silla, era però destinata a riprendere in forme ancora più violente.
La riscossa era iniziata in Spagna da Sertorio, un esule di parte popolare, mentre quella degli schiavi veniva capeggiata dal gladiatore Spartaco. Entrambe le lotte videro più volte battuti gli eserciti consolari inviati dal Senato per domare i rivoltosi che in fine saranno vinti. Una nuova e più forte dittatura militare si imponeva, e la Repubblica finiva per dare. luogo all'epoca imperiale. Anche in questo trapasso, il ruolo svolto dalle forze armate e di primaria importanza. La crisi della piccola proprietà era anche la crisi dell'esercito e questo si dovrà riempire di proletari trasformati in soldati di mestiere, che vedranno quindi legate alla sorte dei generali le proprie fortune. Per converso, questi si avvarranno come non mai dell'appoggio delle legioni per strappare nuove fette di potere al Senato. Ciò spiega come il primo dittatore a vita, Cesare, genio militare e politico, abbia potuto accentrare nelle proprie mani i poteri che poi erediteranno i vari imperatori. Naturalmente è lungi da noi il voler attribuire ai loro meriti o deficienze personali il corso degli avvenimenti storici futuri. A questo proposito è molto istruttiva la congiura in seguito alla quale Cesare fu ucciso. II suo successore Ottaviano sarà autorizzato ad esercitare i pieni poteri per conto della classe dominante proprio perché impersonerà il compromesso tra i vari gruppi di cui essa si compone ed i suoi interessi contraddittori. Ancora una volta le guerre aiuteranno i primi imperatori a realizzare questa politica di relativa stabilità sociale e di consolidamento dell'impero, che significherà qualche secolo di più o meno pacifico sviluppo delle attività economiche di produzione e commercio, nonché di scambi culturali fra i popoli del Mediterraneo. Durante tale periodo, però, i germi della decomposizione e della crisi si fanno sempre più virulenti. Nuove strutture economiche maturano; nel campo della produzione agricola, l'Italia resta indietro rispetto alla Gallia ed all'Africa da cui dovrà importare grano anche perché i latifondisti hanno operato sostanziali trasformazioni colturali (vini e olii ed allevamento) e perché gli schiavi, non più riforniti dalle guerre, costano molto più cari. Inoltre, l'asse del commercio si è spostato nuovamente ad Oriente a cui l'Occidente si rivolge per l'acquisto dei più diversi prodotti. Dal disavanzo commerciale nascerà anche una crisi finanziaria a cui si dovrà far fronte con l'aggravio di altri e più pesanti tributi non solo sui popoli soggetti ma anche sulle stesse popolazioni italiche, sui piccoli produttori liberi, con tutte le conseguenze che ne deriveranno. Si comincia a respirare aria di malessere generale, e la collera serpeggia fra tutti gli strati della popolazione, su cui l'oppressione dei privilegiati si fa sempre più intollerabile. Evidentemente proprio quando l'esercito deve servire a scopi reazionari e conservatori esso si infetta ancor più di un partigianesimo che genera indisciplina e poi ribellione: è l'anarchia militare insomma, che porta perfino a creare più imperatori contemporaneamente. Al solito, lo specchio della società romana è sempre l'esercito. E più giovano le parole di Marx: "La storia dell'esercito illustra in una maniera stupenda la giustezza della nostra concezione relativa al legame fra forze produttive e rapporti sociali ".
Abbiamo visto come per cause economiche sia cambiata la composizione sociale delle legioni col diminuire dei coltivatori liberi, sostituiti da proletari a cui lo Stato deve fornire le armi, con altro aggravio per l'erario. Sempre per le stesse cause, le legioni, man mano, saranno composte non più dei soli elementi italici ma anche di quelli delle province, prima o poi anche di barbari, cioè di elementi derivanti da quei popoli che fremono alle frontiere dell'impero e che daranno l'ultimo e più risolutivo colpo alle sue strutture già minate all'inferno da tutta una serie di paralisi progressive. L'ora dello sfacelo generale si avvicina sempre più e nessuna forza potrà riuscire ad evitarla. Contro tutto il complesso eversivo della società schiavista agonizzante, a nulla varranno le riforme di alcuni imperatori (Diocleziano e Costantino). La rivolta delle forze produttive contro le strutture politiche e l'impalcatura giuridica in cui esse si trovano strette come da una camicia di forza, è inarrestabile. Essa si manifesta nelle forme più diverse: a) nella contraddizione economica e nel contrasto sociale tra cricca dominante di senatori e cavalieri e una burocrazia prepotente da una parte, e turbe di contadini miserabili e schiavi in ogni dove dall'altra; b) nell'esercito rimasto romano solo di nome, in cui il diffuso mercenariato indica l'inefficienza e la incapacità difensiva della classe dominante; c) nella vita ideale e religiosa: il cristianesimo, che per aver infranto ogni barriera di razza e di ricchezza tra gli uomini, si era rapidamente diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo, resistendo a trecento anni di persecuzioni, ha scalzato la vecchia religione che altro non era stata che un puntello del regime.
La nuova società, la società feudale, già si faceva presente nella vecchia attraverso le sue forme caratteristiche: molti schiavi, acquistata la libertà, sono divenuti liberi ed il colono, per necessità fiscale, venendo vincolato alla terra da lui lavorata, si va trasformando in servo della gleba.
Ma la rottura col passato e l'inizio dei tempi nuovi saranno avvenimenti che richiedono l'uso di una nuova e più terribile violenza. E' appunto quella delle giovani forze delle tribù primitive di cui già tante volte i Romani avevano provato il valore guerriero, l'indomito coraggio e la sobrietà dei costumi; i barbari, in particolare gli Alamanni. Essi, come testimoniano molti documenti storici di quel tempo, saranno accolti come liberatori dalla popolazione che non avrà alcun rimpianto di assistere al crollo di una potenza fondata sul privilegio e sull'oppressione.
A questo punto, i relatori, per spiegare ai compagni quale deve essere il punto di approdo della nostra ricerca sulle basi teoriche e gli sviluppi storici della questione militare, hanno fatto un balzo al di sopra dei secoli, richiamandosi alle classiche impostazioni che del problema della violenza organizzata i bolscevichi - soprattutto Lenin e Trotsky - diedero nella triplice fase della preparazione alla conquista del potere, della sua attuazione, e della difesa della dittatura proletaria comunista, difesa realizzata mediante la creazione dell'esercito rosso come arma centralizzata e potenzialmente anche offensiva, nel quadro della strategia rivoluzionaria internazionale, e illustrando a grandi tratti le soluzioni teoriche e pratiche che essi raggiunsero contro il peso di tradizioni localiste, guerrigliere e democratiche in seno allo stesso partito.
Questa parte del rapporto non è però qui riprodotta, perché sarà oggetto di trattazione più sistematica in esposizioni future.
Crollo della società schiavista e formazione del feudalesimo. Premessa
Com'è stato svolto per il modo di produzione del comunismo primitivo e per quello fondato sulla schiavitù, svolgeremo la questione militare nella società feudale dal punto di vista teorico e storico. (Per i precedenti si vedano i numeri 9 e 10 del 1962).
Si tratta ancora una volta di mostrare la funzione della violenza nel processo storico ed i suoi intimi rapporti con l'economia, quindi il suo carattere necessario. Non si esaminerà l'uso della forza solo negli scontri degli eserciti regolari nelle varie guerre, ma anche nei conflitti più chiaramente di classe tra le masse ed i poteri organizzati. Si cercherà inoltre di spiegare l'origine di certe strutture politiche e del loro ruolo storico, nonché di definire i limiti dell'autonomia di questi poteri, le ragioni del loro sviluppo, della loro affermazione e del loro crollo.
Non per comodità di esposizione, ma per la più facile comprensione del lettore, passeremo in rassegna, quasi cronologicamente i fatti essenziali della storia della società feudale appuntando il nostro sguardo soprattutto su quelli militari, rilevando la funzione, vitale a volte, della violenza nello sviluppo sociale dei soli paesi dell'occidente europeo. Ovviamente, la nostra teoria ed il nostro metodo non ci permettono di trattare dei fatti militari (intesi nel nostro senso lato) staccandoli dal complesso delle altre attività degli uomini: ciò è vietato perfino agli storici borghesi guidati da teorie astratte in cui il volontarismo e l'idealismo sono spesso invocati a spiegare col loro arbitrio contraddittorio certi fatti storici e militari. Il nostro determinismo vede sgorgare la violenza in modo del tutto naturale dalla lotta delle classi e dalla dinamica della produzione sociale. La stessa guerra fra eserciti regolari è secondo noi una manifestazione necessaria e molto spesso utilissima della lotta fra le classi, perché ne accelera il progresso verso forme superiori e storicamente più avanzate.
In quanto lo Stato è essenzialmente organizzazione della violenza, noi dobbiamo esaminare la trasformazione delle sue strutture e le fonti a cui attinge la sua linfa vitale. Ecco perché, per esempio, dovremo parlare anche della Chiesa in quanto Stato Pontificio, cioè Stato nel senso più politico della parola col suo regolare esercito e con un apparato di potere che va molto al di là del territorio direttamente controllato.
Evidentemente le "fonti" di cui sopra non sono altro che le funzioni economiche e sociali che una classe e il suo Stato sono chiamate a svolgere. Quando i signori feudali avranno finito di svolgere queste funzioni, , da altre forze politiche sostituite, la loro classe non sarà più necessaria alla società. La loro "signoria" si svuota di contenuto, ed essi appariranno come semplici padroni sfruttatori e parassiti cortigiani del monarca il quale, a sua volta, dovrà cadere, o trasformarsi in vero e proprio servo della borghesia trionfante.
Prima di entrare in argomento, è bene accennare subito ad una vecchia controversia fra marxisti e ideologi borghesi sulla valutazione del feudalesimo, perché essa investe tutta la concezione del movimento della storia umana. I borghesi, in nome dell'eternità del capitale, descrivono il feudalesimo come un periodo di rinculo generale e di caduta nell'oscurantismo e nell'autoritarismo antidemocratico. Non c'è dubbio che nel trapasso dalla società schiavista a quella feudale si sia registrata una caduta della curva della produzione, ma si è trattato solo di un fatto transitorio anche se relativamente lungo. Ciò avviene ogni qualvolta da un modo di produzione si passa ad uno successivo, e la durata della ripresa, in cui si vanno formando le nuove strutture, non è né può essere sempre identica in questi trapassi.
Come si vede, l'interpretazione dei fatti data da noi è completamente diversa da quella degli apologeti della borghesia. Per i marxisti, il modo di produzione feudale fu un vero e proprio progresso rispetto al passato: un'avanzata storica. Senza di esso non si sarebbero avute né le nazionalità moderne, né il capitalismo, né l'attuale forma statale che i bravi professori borghesi adorano. Grazie alla protezione delle strutture politiche e militari feudali e la relativa organizzazione sociale, le forze produttive (f.p.) e la produttività del lavoro hanno raggiunto livelli mai toccati sotto lo schiavismo dell'antichità.
Nascita della società feudale
Abbiamo già visto come, nell'impero romano, il fattore violenza, innestato nello sviluppo dialettico della f.p., abbia accelerato la decadenza della società schiavista.
Alle guerre di conquista, che avevano provveduto un tempo le forze-lavoro degli schiavi a buon mercato e promosso il suo più largo impiego nei latifondi, fecero seguito le guerre di difesa. Era infatti avvenuta la rovina dei produttori liberi (piccoli contadini specialmente e artigiani) che costituivano il nerbo degli eserciti romani: quindi crisi economica e della potenza militare di Roma, dopo la piccola produzione, anche la grande, basata sul lavoro di grandi masse di schiavi, a causa del rincaro di questi ultimi, cessò di essere rimuneratrice: la schiavitù non conveniva più. Gli stessi grandi proprietari furono costretti a liberare parte degli schiavi per trasformarli in coloni che divennero una specie di precursori dei servi del Medioevo, qualcosa di mezzo fra gli schiavi e gli uomini liberi. Essi infatti non potevano più essere uccisi, ma restavano legati alla terra e potevano essere venduti con essa. Si può dire però che questi lavoratori cominciavano a sentire già un proprio interesse alla produzione ed il loro lavoro risultava già più produttivo di quello degli schiavi. Ma il parcellamento dei latifondi in piccoli poderi affidati ai coloni, se pur costituì un primo passo verso la trasformazione del modo di produzione, costituiva sempre e solo una riforma intesa a perpetuare lo sfruttamento del lavoro da parte delle vecchie classi padronali e l'esercizio del loro potere politico. Questo processo evolutivo era comunque il frutto di lotte sanguinose sia interne che esterne all'impero. Esso doveva essere accelerato e portato a compimento attraverso l'impiego di una più intensa e massiccia violenza: quella dei "barbari" che da tutte le parti invasero il territorio dell'impero e ne provocarono la definitiva caduta. Ma chi erano costoro, e perché vinsero?
I Germani
Furono soprattutto le tribù germaniche dislocate allora, grosso modo, tra il Reno e l'Elba. La spiegazione del loro "potere magico" va da noi, al solito, ricercata nella sfera dell'economia. E' così infatti che Engels, in opposizione alla storiografia sciovinista, pose il problema dell'origine e della formazione della società feudale: "Ma qual è dunque il misterioso sortilegio grazie al quale i Germani iniettarono nell'Europa agonizzante una nuova forza vitale? Sarà una virtù miracolosa inerente al popolo germanico, come ci raccontano i nostri storici sciovinisti? Niente di tutto questo. I germani erano, soprattutto a quell'epoca, un ceppo ariano fortemente dotato e in piena evoluzione. Ma non sono le loro qualità nazionali specifiche che hanno ringiovanito l'Europa, ma semplicemente ... la loro barbarie, la loro organizzazione gentilizia".
Quale abisso fra questa spiegazione e quella di un Delbruk - ritenuto ancora oggi la maggiore autorità di storia militare - secondo il quale "i Germani erano del tutto diversi dai negri attuali che si possono tenere a bada con piccoli corpi di spedizione". Per vedere quanto stupido, perché astratto, sia il paragone fra antichi Germani e negri moderni basta pensare che mentre i primi, in piena evoluzione verso un nuovo più avanzato modo di produzione, ebbero a che fare con i Romani in piena decadenza, i negri invece si trovano di fronte tutte quelle specie di "conquistadores" tipo Pizzarro come strumenti del capitalismo in piena ascesa.
I Germani fino ai tempi di Cesare vivevano organizzati in gentes, cioè in comunità più o meno grandi unite dal vincolo della consanguineità, le quali possedevano in comune tutti i mezzi della produzione, oggetti del lavoro e prodotti del lavoro collettivi. Ma da allora, e fino a quando essi invasero l'impero romano, lo sviluppo delle f.p. Aveva fatto rapidi e grandi passi avanti. Prima la divisione naturale del lavoro (secondo il sesso e l'età: la caccia affidata agli uomini e la raccolta di frutta e radici alle donne) e poi quella sociale (comunità intere o membri di essa dediti solo all'allevamento o all'agricoltura o ai mestieri), rese sempre più necessario lo scambio dei prodotti fino allora creati e consumati all'interno delle stesse comunità. E quando la produttività è tale che una famiglia può produrre da sola quello che prima non era in grado di fare, il lavoro e la produzione in comune finiscono di essere una necessità assoluta. A questa evoluzione non poteva più adattarsi nemmeno la proprietà comunitaria di tutte le condizioni di esistenza e la ripartizione egualitaria. Nasce così la proprietà privata come necessità economica e l'interesse familiare o individuale si viene a sovrapporre a quello della gens che è destinata a disgregarsi. Al regime gentilizio e di comunismo primitivo succede quello basato sulla comunità rurale o "marca" (in Russia "mir") in cui gli strumenti di produzione diventano proprietà privata e, fra essi, la terra arabile viene divisa fra famiglie mentre la terra destinata al pascolo rimane ancora proprietà comune.
Questo processo di disgregazione delle gentes sarà affrettato dalla conquista delle terre dell'impero romano.
All'inizio dell'offensiva e delle grandi invasioni, le tribù germaniche avevano ancora una salda organizzazione sociale perché la terra era quasi tutta proprietà comune ad eccezione dei pochi possessori di una aristocrazia guerriera dovuta alle ineguaglianze di ricchezza prodotte dal processo economico nel quale la guerra, in quanto era una delle condizioni di esistenza, aveva giocato un ruolo molto importante.
Il segreto della forza militare dei germani risiedeva dunque nella loro organizzazione sociale fatta di uomini liberi abituata al lavoro della rude vita naturale e temprati nella continua lotta con le tribù vicine. I loro capi militari, scelti in un primo momento pel loro maggiore valore guerriero e poi fra le famiglie più ricche e valorose, venivano eletti dalle assemblee popolari. Tutto ciò dava alle formazioni militari una coesione interna formidabile che la più severa disciplina non poteva assicurare alle legioni romane. L'unità naturale delle loro formazioni quadrate unitamente all'altissimo valore personale, costituiva un vantaggio tattico indiscusso.
Quanto alla strategia militare adoperata dai Germani, c'è da dire che essa - a loro insaputa, s'intende - corrisponde a quelle che Engels dimostra, sulla scorta delle più grandi battaglie della storia, essere la più efficace. Fu la felice combinazione dell'azione difensiva e di quella offensiva, effettuata in due tempi diversi e nelle condizioni più idonee: resistenza e durezza fino all'indebolimento dell'attaccante nella prima fase, rapida e compatta forza d'urto nella seconda.
Più volte i Romani, sotto Augusto, tentarono di estendere il loro dominio sui territori occupati da quelle libere tribù, ma sempre furono respinti o in seguito a rivolte o ad azioni di guerriglia o in regolare scontro in campo aperto, come quella famosa battaglia di Teutoburgo (9 d.C.), durata tre giorni, che Engels considera una "svolta fra le più decisive della storia". Infatti, da allora i Romani, considerando una vittoria sui Germani troppo onerosa, rinunciarono del tutto ai loro piani espansionistici. Nei due secoli successivi non restarono che contatti affidati a mercanti e missionari. Durante questo periodo, le forze produttive dei Germani, seguirono uno sviluppo proprio ed assai accelerato. Nel terzo secolo essi furono già in grado di iniziare la loro offensiva, che nel quarto divenne quasi irresistibile e nel quinto pose fine all'impero con grandi invasioni: Ostrogoti in Italia, Visigoti in Spagna, Franchi in Gallia, ecc..
Si apre quindi un nuovo periodo di lotte sanguinose e di contrasti più vari: economico-sociali, militari, giuridici e religiosi. E' un processo storico di formazione dell'ossatura della società feudale che sorge sulle rovine della vecchia. L'economia, che sempre più ruralizzandosi, sposta la popolazione verso la campagna. Ciò già si stava verificando verso il Basso Impero: allora, per lo spostamento del commercio verso l'Oriente e la rarefazione della moneta, la finanza statale di Roma si andava basando sull'imposta fondiaria in natura che, per la difficoltà della riscossione e della utilizzazione, provocava il decentramento del potere politico, perché induceva ad affidare ai grandi proprietari il mantenimento della burocrazia e delle guarnizioni militari.
Le invasioni barbariche accelerarono questo processo evolutivo verso una nuova organizzazione sociale sempre più basata sulla grande proprietà e modificarono profondamente la stessa organizzazione gentilizia dei conquistatori. Questi fatti, seguendo i loro vecchi usi, impossessatisi delle terre pubbliche dell'impero e di quelle private dei latifondisti, tennero per sé solo un terzo di quelle coltivabili, lasciando le altre ai vecchi proprietari e tenendo in proprietà comune con loro il bosco, il pascolo e le acque.
Ma la dispersione su una vasta area geografica del numero relativamente limitato dei Germani, portò all'allentamento dei legami di parentela dei clan, e la classe dei liberi e la loro assemblea popolare scomparvero, mentre l'aristocrazia militare, divenendo ancor più un'aristocrazia terriera, si innalzava sempre più. I capi militari, appoggiandosi al loro seguito di guerrieri, si andarono trasformando in re con estesi poteri. La nuova monarchia barbara dovette appoggiarsi anche ad elementi dell'aristocrazia romana delle cui tecnico-economiche e di governo senz'altro più progredite essa non poteva fare a meno. Così si formarono i primi stati feudali detti romano-germanici.
Sotto questi regni, e specie sotto la dinastia merovingia dei Franchi, in mezzo a lotte continue, un duplice processo di concentrazione terriera si andava sviluppando tra il V e VIII secolo. Un processo dall'alto: i re erano costretti a fare sempre nuove concessioni di terra (feudi) ad elementi del loro seguito (vassalli). Un processo dal basso: i piccoli contadini rovinati dalle continue lotte preferivano cedere i loro fondi a grandi signori, a chiese, a conventi, per riceverli in concessione (beneficium) con l'obbligo di prestazioni personali.
Da ciò risultava da una parte l'indebolimento dell'autorità regia di fronte a quella della nobiltà terriera e dall'altra lo scadere dei produttori liberi nella condizione di semi liberi e di servi della gleba. La fisionomia della società feudale si andava facendo sempre più chiara: la popolazione divisa nelle due classi distinte dei servi e dei signori, la prevalenza della campagna sulla città, il frazionamento del potere politico fra i feudatari (già nel 614 essi fecero giurare una carta al re merovingio Clotario II in riconoscimento dei loro diritti).
Esteriormente sembra che nulla sia cambiato nel trapasso dal modo di produzione schiavistico a quello feudale, perché le classi fondamentali della società - grandi proprietari e contadini oppressi - sembrano essere rimaste le stesse. Ma non è affatto così nella realtà. Nella "Storia della Germania moderna", Mehring così si esprime: "La nuova società, signori e servi, era una stirpe formata da veri uomini, se confrontati con i loro predecessori romani. Il rapporto fra grandi e potenti proprietari e contadini asserviti, che per il mondo antico era stato l'ultimo gradino della decadenza, ora invece era il primo gradino di una nuova generazione".
Il sorgere delle due massime potenze medioevali: Chiesa e Impero.
Abbiamo visto come la classe dominante dovesse risultare dalla fusione di due aristocrazie: quella germanica e quella della popolazione assoggettata. Quest'ultima poi era composta di elementi laici ed ecclesiastici (vescovi, monasteri, ecc.) Ma questo processo di amalgama non si è svolto in modo liscio ed incruento. Siccome la Chiesa era la maggior proprietaria terriera (un terzo delle terre erano sue), tali contrasti si sono svolti sotto la patina religiosa (i barbari erano ariani o pagani, mentre i romani erano cristiani e cattolici). Il segno della avvenuta alleanza - cioè della composizione dei contrasti di interessi - non poteva essere che quella della conversione dei barbari al cristianesimo. Un tale evento significava avviamento il rafforzarsi delle monarchie barbare e della loro stabilità politica, la maggior durata dei loro regni ed anche il predominio sulle altre. Alla conversione di Clodoveo e dei suoi sudditi devesi la prima affermazione della monarchia franca. Grazie a tale alleanza, queste due potenze (monarchia e chiesa romana) poterono riunire tutte le sparpagliate forze feudali ed organizzare la difesa militare della società feudale dagli attacchi degli Arabi che, sbarcati nel 711 in Spagna ed occupatala tutta, si erano riversati minacciosi in Francia, dove a Poitiers furono fermati da Carlo Martello. Vittoria militare in cui si afferma il nuovo esercito feudale: la cavalleria mette un punto fermo a quella presa di coscienza degli interessi della classe dominante, e porta alla costituzione dell'Impero che, insieme alla Chiesa, ne costituirà il maggior organo di potere. Il carattere di queste due potenze politiche, Chiesa ed Impero, non può che essere universalistico. Il loro compito più importante è proprio quello della difesa militare dell'Europa occidentale, mentre essa muove i primi passi della sua formazione e del suo sviluppo. Se in un primo tempo sono la dinastia carolingia ed il Sacro Romano Impero ad organizzare la ripresa contro il minaccioso mondo islamico, in un momento successivo tale compito se lo assumerà la dinastia degli Ottoni ed il Sacro Romano Impero della nazione germanica contro Ungari ed Avari nella memorabile battaglia di Lechfeld nel 955.
Se è vero infatti che le invasioni dei barbari sono state salutari per la nascita della nuova società feudale, è altrettanto vero che l'irruzione continua di nuovi barbari sotto la spinta di movimenti migratori di vari popoli (Sassoni, Ungari, Unni, Avari) avrebbe impedito a tale società di crescere e svilupparsi.
L'impero medioevale, aggregato di popoli, vero mosaico, non ebbe nulla di simile allo Stato supernazionale che fu quello romano. Le sue strutture politico-amministrative furono molto diverse: non una burocrazia stipendiata ma una gerarchia che viveva di rendite di terre ricevute in concessione (conti, marchesi, vescovi e missi dominici) e legata dal vincolo personale di fedeltà all'imperatore tipica della vecchia concezione germanica del popolo come esercito. L'esercito imperiale all'ordine di guerra veniva ad organizzarsi attraverso tutta una serie di movimenti di tale complesso gerarchico. Formato dai signori feudali. Questo impero era dunque l'autorità centrale che svolse un suo ruolo storico molto progressivo nei primi tempi, cioè nell'Alto Medioevo. Se così non fosse, non si spiegherebbe la sua lunga secolare durata: quando esso diventerà conservatore e reazionario, la sua vita, sia pure fittizia e nominale, si alimenterà del passato.
Se per quasi un secolo (fine sec. IX - fine sec. X) l'imperatore cedette il posto al particolarismo feudale, lo si deve sia al fatto che durante quel lasso di tempo mancarono gravi pericoli esterni, sia alla crisi di adolescenza, cioè di crescenza, delle forze feudali aspiranti a raggiungere la massima autonomia (col Capitolare di Kiersy dell'877, i feudatari maggiori si fecero riconoscere il diritto all'ereditarietà sui loro feudi).
Concludendo, possiamo dire che l'impalcatura imperiale servì sempre gli interessi generali della classe feudale, sia nella fase di evoluzione che in quella di decadenza. Nella fase iniziale, Impero e Chiesa costituivano quasi un organo unitario con due capi: l'uno temporale e l'altro spirituale. Successivamente queste due forze vennero in contrasto e riempirono i secoli con il fracasso delle guerre combattute per il predominio e per la direzione della società feudale nel suo insieme. Tali violente lotte terminarono con la vittoria del Papato (si ricordi l'umiliazione di Enrico IV a Canossa, di fronte al papa Gregorio VII). "Uno dei motivo principali della superiorità dimostrata dal Papato nei confronti dell'Impero, era la forza maggiore che il papato sapeva spiegare nella lotta contro i nemici esterni. In tal modo esso diventò molto più necessario dell'Impero ai popoli cristiani" (Mehring). Ma occorre aggiungere che non furono soltanto le ragioni di ordine militare che dettero la supremazia politica alla Chiesa. Il ruolo storico di questo istituto è davvero secolare.
Dopo l'azione eversiva svolta dalle prime comunità cristiane in seno alla società schiavistica ed il cui successo fu dovuto alla violenta predicazione dei primi Padri, il Cristianesimo subì profonde trasformazioni interne. In seno alle comunità organizzate secondo un comunismo primitivo di consumo, s'era pian piano affermata quell'aristocrazia che è il clero.
Questo, sorto dalle necessità di direzione e di guida delle comunità, finì poi per sovrapporsi ad esse. Le comunità stesse finirono per differenziarsi e, nella suprema istanza dei loro Vescovi che era il Concilio, finirono per predominare i vescovi delle comunità più ricche e più importanti: così, il Vescovo di Roma divenne il capo della cristianità.
Quando poi il cristianesimo vinse e divenne la religione ufficiale dell'impero, la Chiesa che in pratica aveva cessato la sua funzione eversiva, in teoria non poté ancora abbandonare le sue idee comunistiche perché non erano ancora cessate le condizioni che le avevano generate. Questa contraddizione in cui si era cacciata la Chiesa, spiega due fatti: a) la sua opera di puntello del vecchio potere romano non poté evitare il crollo definitivo della vecchia società; b) la sua tradizione dottrinaria, la giovanile vigoria del suo potere e soprattutto l'eredità ricevuta-conquistata non solo dal patrimonio culturale antico ma dalla stessa tecnica produttiva, tutto ciò spiega il suo affermarsi sempre più come potere politico (e non più come istituto di beneficenza) durante il Medio Evo, in cui svolgerà un ruolo di primo piano.
Come accennammo sopra, i funzionari di cui ebbero bisogno i regni romano-barbarici e l'impero, li fornì soprattutto il clero che era il solo a saper leggere e scrivere. "Durante tutto il Medio Evo i monasteri restarono istituti modello di economia agricola" (Mehring).
Ma a parte queste molteplici funzioni sociali, il potere politico della Chiesa Medioevale poggiava su una solida base economica: la rendita fondiaria delle sue terre e la decima, unica imposta generale dei tempi.
Quanto abbiamo detto per l'Impero, circa il suo ruolo storico, va ripetuto per la Chiesa. Anche essa, in quanto forza politica, dovrà decadere dopo che una nuova realtà sociale si sarà sviluppata nel seno della società feudale insieme alle forze politiche e militari che la faranno infine trionfare.
Sviluppo della società feudale: sua espansione militare.
Grazie alla difesa armata che le forze feudali seppero esprimere dal loro seno, le forze produttive poterono compiere i primi passi sulla via dello sviluppo che, manifestatosi per la prima volta nel secolo XI, non conoscerà più soste dei vari secoli successivi.
All'economia naturale di autosufficienza, in cui agricoltura e artigianato erano intimamente associati, grazie a tutto un sistema di monopoli, seguirono man mano una maggior divisione del lavoro, una più elevata produttività ed un estendersi degli scambi ed un aumento della popolazione. Le colture agricole migliorarono e se ne introdussero delle nuove. L'allevamento, specie dei cavalli per i bisogni militari si estese. Lo stesso generale sviluppo seguirono i mestieri che, grazie al perfezionamento continuo degli utensili artigiani, si specializzarono sempre più.
Naturalmente, questa evoluzione fu assai lenta e si svolse in mezzo a mille ostacoli. Il segreto di tale sviluppo risiedeva nella comunità di marca, formata da uno o più villaggi aventi in comune la proprietà dei pascoli, del bosco e delle acque. La comunità di marca costituiva anche la base del comune cittadino medioevale: la sua popolazione, infatti, formata in prevalenza da artigiani e commercianti, era organizzata rispettivamente in corporazioni e gilde, cioè in organismi svolgenti funzioni tecniche, economiche ed anche militari.
Essendo queste le basi economiche del regime feudale, non c'è da meravigliarsi dell'isolamento politico delle varie comunità e della fragilità del potere statale impersonato dal re, il quale, in mezzo ai feudatari, altri non era che un primo fra eguali, in quanto la sua proprietà era solo maggiore di quella di ciascun signore.
Ma, pur così sparpagliate, le forze feudali sentirono ugualmente il bisogno di espandersi. La fame di terre aveva già prodotto varie crisi interne al sistema: lotte fra grande feudalità e monarchia, tra feudalità laica ed ecclesiastica, tra piccola e grande feudalità (come i maggiori signori feudali, anche i minori tendevano ad ottenere il riconoscimento del diritto ereditario dei feudi ed altri privilegi). Era quindi necessario uno sbocco che risolvesse in qualche modo queste varie spinte espansive: ma occorreva pure vincere ostacoli di natura militare.
Ancora una volta la Chiesa, mettendosi alla testa delle forze militari feudali, assolverà un nuovo compito generale dell'intera società, riuscendo a riunire sotto il suo unico comando tutte le forze sparpagliate. Grazie alla sua alleanza con i Normanni, essa libera la Sicilia dagli Arabi e con ciò ricostituisce l'unità del bacino del mediterraneo ristabilendo la navigazione e gli scambi dell'Occidente con l'Oriente. Da allora, i porti della Francia, dell'Italia (Pisa, Genova e Venezia) e della Spagna conosceranno uno sviluppo mercantile sempre crescente finché la conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi (1453) non li costringerà a circumnavigare l'Africa.
Oltre a queste importanti azioni militari, i Normanni, sempre aiutati dalla Chiesa, seppero mettere a punto, nello stesso periodo, altre e più organizzate spedizioni militari: celebre quella che li portò a sbarcare in Inghilterra dove, dopo la vittoria di Hastings (1066) da parte di Guglielmo I° il Conquistatore, il feudalesimo, dalla sua culla originaria (la Francia) si trapianta e si diffonde nell'isola creando però molti piccoli proprietari liberi, gli yeomen, i quali più tardi le assicureranno un rapido sviluppo economico e militare.
Cominciarono pure in questo periodo le famose Crociate in Terra Santa: oltre ai normanni (sempre più spinti per fame di terra ad uscire dal loro paese d'origine), vi parteciparono prima i feudali tedeschi, francesi e italiani, poi gli stessi imperatori e monarchi. Con esse il feudalesimo si diffuse nel vicino Oriente. Abbiamo infine le lotte dei cavalieri spagnoli per la "riconquista" dell'intero paese dalle mani degli Arabi.
Sempre la Chiesa, pur corrosa essa stessa dalle lotte interne prodotte dagli interessi dei diversi vescovi, seppe guidare questo moto espansivo che, in certe sue fasi, ebbe tutto il carattere di un imperialismo feudale (si ricordi l' "Impero latino" in Oriente, caduto nel 1261). Trovando nell'interno stesso del suo organismo plurisecolare, m non ancora vecchio, le energie per ristabilire l'unità del comando, la Chiesa seppe suscitare e diffondere quell'idea passionale e quella mistica della guerra santa, e chiamare alle armi la intera cristianità.
La cavalleria
I Germani, che invasero l'impero romano, lottarono essenzialmente con la fanteria in formazioni quadrate. Tuttavia, le nuove condizioni incontrate durante le invasioni, modificarono, insieme alla loro organizzazione sociale, anche il loro esercito. Progressivamente essi passarono alla cavalleria e lasciarono il servizio a piedi agli abitanti delle regioni conquistate. La funzione della fanteria divenne sempre meno importante e disprezzata, mentre l'arma decisiva della battaglia diventò la cavalleria: il guerriero della società feudale è dunque il soldato a cavallo. Dato l'altissimo costo dell'armamento del cavallo, delle armi difensive (elmo, giaco di maglia, e poi corazza, scudo, ecc.) E offensive (spada, lancia, ecc.), cavaliere poteva diventare solo il proprietario fondiario. Ai tempi di Carlo Magno, solo uno su cinque uomini liberi era in grado di sostenere tali spese. La cavalleria quindi non è solo un'arma combattente - la fondamentale - ma si identifica con la classe dei feudatari. La compenetrazione degli atti militari con quelli economico-sociali è, come si vede, completa. L'unica distinzione rimane nelle lingue, tedesca, inglese e francese: in quest'ultima, il cavaliere - inteso come membro della classe cavalleresca - è detto "cavalier", mentre inteso come uomo a cavallo è "chevalier".
Sia come arma militare che come ordine feudale, la cavalleria subì col tempo una profonda evoluzione.
La sua composizione sociale andò cambiando man mano a causa delle necessità stesse della specializzazione guerriera e di altre necessità: dapprima aperta a tutti i ricchi, poi accusò la tendenza a trasformarsi in casta ereditaria, per cui solo il sangue contava e non più il patrimonio. Le differenze di ricchezza fecero sì che i cavalieri passarono al servizio dei più facoltosi per difendere il feudo, in cui il centro della vita sociale era il loro castello.
Altro fatto che dimostra l'intima connessione fra economia e fatti militari - intesi anche in senso stretto - è l'evoluzione subita dalla tecnica di combattimento della cavalleria. Progresso nell'agricoltura (per es. Metodo triennale ed estensione delle colture di avena) significò maggior produzione di cavalli, e perfezionamento nella lavorazione dei metalli (bronzo e ferro) significò miglior armamento del cavaliere.
L'introduzione della staffa, seguita a quella della sella, apportò una sostanziale modifica, seguita a quella della sella, apportò una sostanziale modifica trasformando il cavaliere da arciere in lanciere. La lancia infatti prima non poteva essere utilmente utilizzata per l'impiego della sola forza del braccio; con la staffa, invece, ad essa si aggiunge anche la forza del cavallo lanciato in corsa. E così la tattica della battaglia ne risultò del tutto trasformata. Agli attacchi a distanza si sostituì lo scontro violento del corpo a corpo. Le armi e l'armatura divennero più pesanti - perfino il cavallo fu corazzato -, e la battaglia venne decisa con la carica a cavallo, con la quale, riuscendo a sbalzare di sella l'avversario, lo si metteva fuori combattimento perché, gravato com'era, non poteva più rialzarsi. Altra differenziazione: il cavaliere pesantemente armato e quello con armatura leggera. Di qui la nuova unità tattica della cosiddetta lancia, composta di 3, 6 o 8 uomini, dei secoli XIV e XV. Il cavaliere con pesante armatura cui era affidata la decisione nel duello è seguito da altri con armatura leggera, e da arcieri che possono considerarsi piuttosto come dei fanti montati in quanto il cavallo serve loro più come mezzo di trasporto.
Quanto al carattere delle guerre feudali combattute soprattutto con la cavalleria, il Mehring osserva nella sua "Storia dell'arte militare" che, se è vero che il feudalesimo rimbomba continuamente del fragore delle armi, è pur vero che le campagne militari sono di breve durata e gli eserciti sono minuti; Engels affermava che le grandi battaglie feudali impegnarono da 800 a 1000 cavalieri. Inoltre, pur ammettendo che la strategia utilizzata voleva l'annientamento e la morte dell'avversario (Ermattungsstrategie) occorre riconoscere che questa distruzione non riguardava che i militari.
La borghesia rivoluzionaria, con Napoleone, istituisce, è vero, la Niederwerfungsstrategie, ovvero alla strategia che mira alla sola sconfitta militare, rendendo inoffensivo l'avversario; ma questo scopo puramente militare è in ultima analisi frustrato dalle necessità del tutto nuove della guerra borghese-capitalistica, che mira essenzialmente a distruggere un'immensa quantità di ricchezze, di cose e di uomini, per cui la Niederwerfugsstrategie si trasforma in un vero macello, in una Ermattungsstrategie alla scala di popoli interi.
Declino delle forze medievali e sorgere di quelle moderne
Le guerre sante, svoltesi tutte sotto il segno della croce, ebbero tutte un carattere offensivo chiaro. Fra esse ebbero grande importanza anche quelle condotte dagli ordini religiosi e militari dei cavalieri teutonici che portarono alla colonizzazione germanica delle terre dell'Europa Nord-orientale e dei paesi baltici. La evangelizzazione di questi popoli, cioè la loro conversione al cristianesimo, significò la loro accettazione del modo di produzione feudale.
Tutte queste guerre ebbero in seguito effetti di portata incalcolabile sulla evoluzione delle forze produttive e, dialetticamente, svilupparono i germi di una nuova realtà economica e delle grandi trasformazioni sociali che prepararono la dissoluzione della società feudale. Contribuì poi alla formazione di nuove forze politiche lo scontro militare fra Impero e Papato nella cosiddetta lotta delle investiture: espressione delle contraddizioni in cui si andavano impigliando sempre più queste due massime potenze.
L'esito di tale duello, mentre non risolve i problemi che lo avevano generato, portò ad un indebolimento dei protagonisti. I signori feudali ne approfittarono ma divisi in Guelfi e Ghibellini (rispettivamente partigiani della casa di Baviera e di quella di Svevia per la successione al trono imperiale), entrarono in nuovo reciproci conflitti. Ne risultò un indebolimento della classe feudale nel suo insieme, che venne sfruttato dalla nuova classe in ascesa: la Borghesia, organizzata nei Comuni, inizio di quel processo che farà assumere sempre più importanza della città rispetto alla campagna, che era stata la "sede della storia del medioevo" (Marx). Il movimento comunale, fenomeno generale europeo dei secoli XIII e XIV, prese il suo avvio, per dar corso ad un nuovo ciclo di lotte sociali e politiche che ebbero un vero sapore rivoluzionario. La lotta dei Comuni contro i poteri feudali era rivolta ad ottenere le "franchigie", ad abolire i vincoli di servitù, ad eliminare gli ostacoli alla circolazione delle merci, ad assicurare la protezione di fieri e mercati, ecc.. Tale lotta si svolse con tutti i mezzi, e principalmente con il denaro e con le armi.
I primi nuclei di borghesi si costituirono nei borghi delle vecchie città: essi erano composti in prevalenza di mercanti e di artigiani organizzati in Arti e Corporazioni ricalcati sulla Costituzione di Marca.
La lotta però non si svolse dappertutto nello stesso modo, dipendendo le sue forme particolari dalla realtà politica in cui essa si svolgeva. Così accadde che in Francia, il Comune borghese si appoggiò alla monarchia a sua volta in lotta contro i grandi feudali e già con tendenza nazionale, mentre in Italia non c'era altra via d'uscita che quella dello scontro frontale con l'Impero per strappargli diritti sovrani e regalie.
Nel 1176, il Barbarossa fu sconfitto dalla Lega dei Comuni nella battaglia di Legnano. Ma, se quella prima vittoria militare di forze borghesi assicuro ai Comuni solo un'autonomia in seno all'Impero (che, quindi, veniva ancora riconosciuto come autorità suprema alla quale si dovevano sempre certi tributi) ciò non deve meravigliare. La lotta non sboccò in una lotta di indipendenza nazionale e, a dire il vero, questo fine non era stato nemmeno proclamato dalla Lega, perché la situazione generale storico-politica non era ancora matura. Inoltre lo Stato pontificio si sarebbe energicamente opposto a tale disegno.
Gli anni seguenti provarono infatti che proprio la presenza di quello Stato nel centro della penisola ne impedì la unificazione territoriale e politica. Per la stessa ragione la Germania rimase spezzettata per secoli: essa infatti era la sede dell'altra grande potenza medioevale, l'Impero.
Ma, se la lotta fra la Chiesa e l'Impero ritardò la formazione nazionale in Italia e in Germania, favorì invece altre forze nazionali, in primo luogo quella francese. Infatti, proprio in una contesa interna all'impero, cui non rimaneva estraneo il Papato (l'elezione al trono imperiale di Federico II) si inserirono le monarchie ostili di Francia e Inghilterra, la guerra feudale acquistò il carattere di guerra fra Stati, e la battaglia di Bouvines (1214) fu un po' la prima vittoria nazionale francese. Al contrario la monarchia inglese ne restò indebolita e le rivolte nobiliari poterono strapparle la Magna Carta Libertatum, che un consiglio dei ribelli doveva far rispettare (essa rappresentò il primo abbozzo della Camera dei Lords, alla quale la monarchia, verso la fine del secolo XIII opporrà la Camera dei Comuni, ovvero delle città).
L'ora del crollo di Impero e Chiesa si stava avvicinando e, come spesso accade nella storia, si verifica proprio quando le loro manifestazioni di imperialismo politico si facevano sempre più esasperate e anacronistiche.
L'impero, nell'ulteriore lotta contro il teocratico papa Innocenzo III, e coi Comuni italiani sostenuti da Federico II - espressione contraddittoria, costui, del vecchio e nuovo mondo che sorgeva - iniziò quel vero e proprio inabissamento cui giunse in pieno verso la metà del secolo XVI e dopo il quale resterà solo un nome con l'unica forza viva ridotta al massiccio austro-boemo-ungherese.
Il Papato invece sperimentò la ultima sua pretesa di dominio universale col Papa Bonifacio VIII il cui sogno teocratico svanì clamorosamente nello scontro con la monarchia francese verso la fine del secolo XIII. Alla sua scomunica, il re capetingio Filippo IV il Bello rispose convocando per la prima volta gli Stati generali, in cui i delegati della borghesia figuravano accanto a quelli della nobiltà e del clero francese. Come si vede, il ruolo nazionale della corona è ormai in pieno sviluppo, e non tarderà molto che il potere regale diventerà assoluto.
Il capitale mercantile - La monarchia assoluta
Proseguendo in questo rapido volo attraverso la storia della società feudale, possiamo vedere come il fattore della violenza o fatto militare inteso in senso lato abbia svolto un ruolo essenziale nello sviluppo delle forze produttive. Questi fatti storici sono inoltre una conferma delle nostre tesi teoriche sul meccanismo dialettico col quale l'economia e la violenza si muovono, e mostrano come quest'ultima sia sempre al servizio dell'altra.
Nell'esame che stiamo facendo siamo giunti al momento in cui la produzione capitalistica è ormai nata nel seno del regime feudale. La produzione, tanto in campagna quanto in città. Era cresciuta abbastanza ed una certa eccedenza sui bisogni del consumo poteva essere immessa nello scambio. In altri termini, i prodotti avevano acquistato già di molto il carattere di merci, e la moneta aveva percorso buona parte del suo cammino penetrando nelle campagne e dissolvendo i vecchi rapporti economici e sociali più o meno naturali. La figura del mercante va crescendo d'importanza rispetto ai clericali e ai feudali. L'attività degli uomini d'affari delle repubbliche marinare, di altre città italiane e della Lega Anseatica aveva portato all'accumulazione di un capitale finanziario di notevole entità. Alla produzione semplice delle merci si andava sostituendo quella manifatturiera, e la rendita in lavoro dei servi si andava sempre più trasformando in rendita in prodotti ed in moneta. In breve, la potenza rivoluzionaria dei secoli XVI e XV era sorta: il capitale mercantile.
Ma il frazionamento feudale costituiva un enorme ostacolo al suo sviluppo ed alla formazione di mercati più larghi. Occorreva una forza politica e militare che servisse il capitale in questa fase di sviluppo. Ed essa si trovò nella monarchia. Appoggiandosi agli elementi borghesi delle città essa ingaggerà una lunga ed aspra lotta contro ogni potere feudale, e nel corso di tale lotta trasformerà se stessa. Ecco come Merhing, nel libro già citato, esprime tutto ciò: "Il commercio ha sempre più bisogno di un comando militare e di un esercito il quale, dato il carattere del potere economico che doveva servire, veniva a servizio dietro pagamento, un esercito mercenario di contro alla cavalleria feudale". Questo esercito doveva essere esercitato contro il brigantaggio (sbrigativo sistema col quale i nobilucci feudali solevano impossessarsi dei guadagni del commercio) e contro le forze straniere che appoggiavano quelle feudali interne. "Insomma - prosegue il Merhing - l'accentramento di tutti gli strumenti amministrativi e militari in una sola mano, l'assolutismo di un principe, diventa una necessità economica".
Grazie all'alleanza con le forze produttive moderne, la monarchia poté disporre di una tecnica militare più efficiente (armi da fuoco: artiglieria, moschetti, ecc.) Naturalmente, le forze militari e le campagne di guerra in cui esse venivano impegnate costavano molto denaro e questo non sempre veniva fornito a sufficienza e a tempo dai ceti arricchiti con le nuove attività produttive: di cui il procedere della lotta antifeudale fra avanzate e rinculi. Ma pur fra mille difficoltà, la monarchia si rafforzava ed alla fine trionferà divenendo forza egemonica, cioè assoluta.
Prima di tutto occorse lottare contro Chiesa e Papato e sottometterli: la cosiddetta "cattività avignonese" (1305/1378) ed il conseguente "Grande scisma d'Occidente" (1378/1417) furono appunto il risultato della lotta che la monarchia francese condusse contro il Papato e che agevolò la costituzione delle Chiese nazionali, come quella anglicana a servizio della corona inglese. A sua volta, la Santa Inquisizione di Spagna non fu che uno strumento di polizia del potere regale della nuova nazione sorta in seguito alle secolari lotte di "reconquista" contro i Mori, conclusasi nel 1492 grazie allo sforzo congiunto delle due monarchie di Castiglia e d'Aragona, poi fusesi.
La monarchia francese dovette pure affrontare la lunga e grave crisi della "guerra dei cento giorni" (1337/1453) per scacciare le forze straniere d'Inghilterra. L'ultima tappa con la quale si può considerare consolidata la monarchia francese e avviata, con Luigi XI, verso l'assolutismo, fu quella che le permise di abbattere la potenza militare di Carlo il Temerario, duca di Borgogna (battaglia di Nancy, 1477). Ritiratasi dalla Francia, la monarchia inglese poté concentrare i suoi sforzi offensivi contro la feudalità interna e, nella "Guerra delle due Rose" (1455/1485), ne indebolì le opposte fazioni. L'ascesa al trono della forte dinastia dei Tudor poté poi iniziare l'assolutismo monarchico, che con la "vergine" Elisabetta sarà portato al maggior trionfo.
Anche nei paesi scandinavi, Svezia soprattutto, in Polonia ed in Russia, sarà la monarchia a lottare per la formazione nazionale contro il particolarismo feudale.
La guerra dei contadini
L'ascesa della borghesia e della monarchia, suo strumento inconscio, si accompagnò ovunque ad un impoverimento e ad una oppressione forte dei ceti più umili: piccoli artigiani delle città caduti preda del mercante-accaparratore e contadini sfruttati ora anche dai nuovi nobili, parvenus che col denaro hanno acquistato terra e titoli nobiliari. Le guerre, che non mancavano mai, aggravarono ancor più la situazione e provocarono incessanti rivolte contadine fra le quali restano memorabili quelle del 1323 e 1328 nelle Fiandre e la Jacquerie francese del 1378 ebbe carattere cittadino e tendenza semi-proletaria.
Questa capacità di lotta dei contadini fu essenzialmente dovuta ad un'eredità lasciata dagli antichi Germani: "Nella forma della comunità di marca essi avevano fatto sopravvivere una parte degli antichi ordinamenti dello Stato feudale, almeno nei paesi più importanti come la Germania, la Francia del Nord e l'Inghilterra e così anche sotto la più dura servitù medioevale essi avevano dato alla classe oppressa, i contadini, un legame locale ed uno strumento di resistenza che gli schiavi antichi non avevano conosciuto".
Così Merhing, ripetendo gli stessi concetti di Engels. Tutte le lotte rurali a sfondo comunitario dovevano culminare nella grandiosa "Guerra dei contadini" avvenuta in Germania nel 1525, dopo che già la riforma aveva scosso profondamente la nazione.
Con lo sviluppo delle forze produttive moderne, la società non aveva più bisogno della chiesa come maestra nell'amministrazione e nella cultura (era già nata quella laica) e come guida nelle vitali azioni militari di difesa, perché i pericoli esterni che prima ne minacciavano l'esistenza erano praticamente cessati. L'apparato ecclesiastico era stato praticamente corroso dalla dilagante bramosia del denaro: la vendita delle indulgenze fu la manifestazione più sconcertante.
Ma abbiamo già visto che la monarchia assoluta degli Stati più ricchi e più forti militarmente era riuscita ormai a dominare la Chiesa ed a farsene addirittura uno strumento di potere. Al contrario, gli Stati più deboli, come la Germania spezzettata e dominata dai principi, furono più sfruttati dalla Chiesa. Ecco perché in Germania i contadini, la nobiltà (i cavalieri) e gli stessi principi volevano liberarsi dal giogo papale.
Essendo questa la situazione in Germania, non c'è da meravigliarsi che la pubblicazione delle Tesi contro le indulgenze da parte di Lutero nel 1517 dovesse avere "l'effetto di una scintilla in un barile di polvere". Così Merhing, che continua: "Per distruggere le condizioni di vita medievali bisognava anzitutto strappare loro l'apparenza religiosa". La Riforma ebbe appunto questo scopo generale, valido per l'intera Europa, e fu dai nostri maestri - Marx ed Engels - considerata la rivoluzione n.1 della borghesia. Essa trionfò in Svizzera, in Olanda e in Inghilterra, ecc.. Ma il suo periodo più critico fu quello della guerra dei contadini tedeschi.
Alla fazione cattolico-conservatrice, rappresentata da tutti gli avversari della Riforma (Papa Leone X e Carlo V che in qualità di re di Spagna e di imperatore del S.R.I.G., teneva a fare del papa un suo strumento di dominazione) ed a quella borghese-riformatrice che teneva a scalzare la Chiesa cattolica per lasciare in piedi lo sfruttamento laico (Lutero, principi e nobiltà minore), si opponeva la corrente plebea-rivoluzionaria dei contadini, capeggiata da Thomas Münzer. Così, preceduta da una rivolta della piccola nobiltà (1522) - con caratteri reazionari - guidata dai cavalieri Sickingen e Hutten, esplodeva la rivolta dei contadini (1525) che accese di rossi bagliori quasi tutta la Germania.
L'esito dell'eroica lotta finì, com'è noto, con la sconfitta dei contadini ed il martirio di Münzer: mancò ad essa l'unità d'azione e l'appoggio del proletariato cittadino e della vile borghesia tedesca. La ragione profonda, in ultima analisi, fu questa: "Il movimento contadino fallì non perché aveva avanzato rivendicazioni che fossero storicamente già superate (come fu il caso della rivolta dei cavalieri del 1522 - N.d.r.), ma al contrario perché gli mancò il terreno nazionale, perché non esisteva ancora una nazione tedesca nel senso moderno della parola" (Merhing).
A parte la strage degli anabattisti, che seguì la rivolta contadina, il suo bilancio fu il seguente: i contadini furono sconfitti, ma i danni più gravi toccarono al clero ed alla nobiltà di cui furono incendiati castelli e conventi; solo i principi laici ne uscirono vincitori, impadronendosi dei beni dei cattolici e rafforzando il proprio potere. Altre conseguenze interne vi furono, come la scissione fra Nord protestante e Sud-Est cattolico. Gli effetti interni, europei, furono ancora più importanti. Ne risultò uno squilibrio che vide il rapido sviluppo di alcuni stati (es. Francia ed Inghilterra) ed il ritardo di altri (Germania, Italia, Polonia ed Ungheria).
Ma al di là di questi effetti diretti ed indiretti di ordine pratico, la guerra dei contadini, che Marx ed Engels definirono la più grande epopea rivoluzionaria tedesca, riveste una importanza teorica enorme e la sua assimilazione da parte del movimento proletario e del suo Partito è ottima garanzia per la guida della sua pratica rivoluzionaria. Ma di ciò parleremo più diffusamente quando tratteremo la questione militare della società borghese e della vittoria finale del proletariato.
Verso il tramonto e il crollo della società feudale
Abbiamo già visto che anche la terra è diventata merce e che una nobiltà moderna coesiste con una medioevale, cioè la proprietà borghese con quella feudale. Il mercante, che in città si trasforma in industriale, in campagna diventa agrario, è un imprenditore puro e semplice interposto tra vecchio proprietario e contadino lavoratore. Di qui il maggior sfruttamento di artigiani urbani e la loro trasformazione in proletari moderni, liberi da ogni vincolo personale e privi di ogni strumento di produzione. Dal polo opposto, una notevole accumulazione monetaria, è avvenuta in mano a pochi. Sono sorte insomma le due essenziali condizioni storiche della moderna produzione capitalistica che, come dice Marx, è costata "sudore e sangue" alle classi lavoratrici, non solo d'Europa, ma anche delle colonie d'Africa, d'Asia e d'America. Le nuove forze produttive si sono anche sviluppate al punto che anche i rapporti di produzione feudali si fanno presto sentire come tante catene che ne ostacolano l'ulteriore sviluppo. I contrasti di classe perciò si acutizzano; la rivoluzione borghese bussa già alle porte. La monarchia assoluta, che finora, servendo le necessità del capitale mercantile, ha svolto un ruolo storico progressivo, imbaldanzita dall'autorità raggiunta e credendo nello Stato "in sé e per sé" e nella possibilità di dominare anche la borghesia rivoluzionaria, diviene man mano strumento di conservazione, e la sua violenza organizzata di Stato sarà sopraffatta da quella più forte delle grandi masse, contadine e proletarie, che la borghesia le rivolgerà contro. Non importa che questa violenza di classe venga impiegata all'interno e giunga dall'esterno: il risultato è il medesimo. La monarchia assoluta spagnola sarà indebolita dalla rivoluzione fiamminga, mentre quelle inglese e francese cadranno sotto i colpi di quella interna. Ma riprendiamo i fatti, seguendoli un po' più da vicino nella loro cronologia.
Contemporaneamente al grande dramma del Riforma, che prima di essere religioso fu sociale e politico, si svolsero altre violente lotte fra Stati, il cui teatro non poteva non essere offerto dall'Italia e dalla Germania, entrambe depresse e prive di un forte potere militare.
Dopo le guerre fra Francia e Spagna, che assicurarono a quest'ultima il predominio in Italia, un altro e lungo aspro duello si svolse fra queste due potenze. La Spagna, che già possedeva un impero coloniale e viveva dei profitti della sola attività commerciale con cui sfruttava le terre ed i popoli d'Africa, Asia ed America, pretese di dominare l'Europa alla vecchia ed ormai sorpassata maniera. Attraverso l'oro col quale comprò i principi tedeschi, Carlo I poté cingere anche la corona imperiale assumendo il nome di Carlo V. Base delle pretese capitalistico-assolutiste della monarchia spagnola, oltre ai proventi del commercio (scarsa ed assente l'attività produttiva vera e propria, sia in patria che nelle colonie!), erano la forza militare della rinnovata fanteria castigliana, la buona artiglieria e la potente flotta.
Il lungo conflitto franco-imperiale (1521/1559), intermezzato da tregue che videro alleanze (di Inghilterra e Papato) rovesciate più volte a seconda dei rapporti di forza fra i contendenti, ebbe già l'effetto di frenare l'espansionismo della monarchia spagnola, che fu infatti costretta a rinunciare all'impero: chiaro segno dei ferrei limiti che circoscrivevano l'autonomia del potere politico.
Le risorse economiche e militari di Carlo V, benché a prima vista superiori a quelle dell'avversario francese, non godevano però di importanti requisiti di cui invece quest'ultimo era in possesso. La Francia, infatti, era uno Stato più omogeneo e già abbastanza accentato, e la sua borghesia, in lotta contro la nobiltà, appoggiava decisamente la corona. Inoltre, la sua cavalleria e la sua artiglieria erano le migliori d'Europa, e la sua finanza le permetteva di assoldare le fanterie tedesche e svizzere che erano pure le più valorose del tempo. La monarchia francese poté dunque avvalersi dell'appoggio dei principi tedeschi che, in lotta con l'imperatore, consolidarono ulteriormente le sovranità regionali già tanto radicate nella struttura economica tedesca, e nell'ambito delle quali essi poterono imporre ciascuno la propria religione.
Gli ani della pace religiosa di Augusta (1555: fra principi ed imperatore in Germania) e di Chateau Cambresis (1559: tra Francia e Spagna), alla fine del secolo XVI, vedranno ancora il predominio spagnolo in Europa, ma con l'inizio del secolo successivo comincia anche la fine di questo strapotere e l'ascesa di altre monarchie meglio operanti all'ascesa del capitale produttivo ed industriale: la Francia e l'Inghilterra.
La Germania sarà invece corrosa da altre lotte interne che non solo lasceranno ancora più insoluti i problemi immediati che avevano dato loro origine, ma l'avvieranno sempre più verso quell'abisso della Guerra dei Trent'anni (1618/1648) che la ricaccerà indietro di due secoli. Alleata del gesuitismo (sorto in quel periodo), cioè della Chiesa riformata sulla base del capitalismo, la borghesia spagnola di Filippo II praticò un capitalismo assolutistico che la portò alla disfatta militare di fronte alle forzi più moderne del capitalismo borghese di Fiandra ("rivoluzione dei pezzenti") e in Inghilterra (sconfitta e distruzione della orgogliosa flotta spagnola, l'Invencibile Armada, 1588) che combattevano sotto la bandiera del calvinismo (il luteranesimo rimarrà invece la religione dei paesi più poveri e meno progrediti).
In questo periodo, la monarchia francese attraversa una grave crisi politico-religiosa dalla quale a stento uscirà salva. Naturalmente, al fondo di tale lotta, sta il conflitto di classe fra borghesia e feudalità, ma essa è aggrovigliata da rivalità di potenti famiglie (Borboni calvinisti e Guisa cattolici) che, per sottomettere la corona, tendono a impossessarsene, provocando sanguinose guerre civili o "di religione" (si ricordi la famosa strage degli Ugonotti, i calvinisti francesi, nella notte di San Bartolomeo del 24.08.1572). Senza dubbio di tratta di lotte a carattere reazionario: è la società feudale che dà in escandescenza. Ma ancora una volta la storia trova una via d'uscita e dimostra che è possibile impossessarsi della corona alla sola condizione di continuare il ruolo storico da questa intrapreso a servizio del capitale. Infatti, il successore al trono Enrico IV di Borbone, abiurando il calvinismo, cioè non agendo più in funzione della fazione ugonotta, sfalda la lega nemica e straniera della Spagna e del Papato e diviene re intorno a cui si polarizzano tutte le forze più vive della nazione che, pur restando essenzialmente cattolica, esclude la controriforma, ammettendo la libertà di culto o, quanto meno, la tolleranza religiosa. Così, le forze cattoliche del gesuitismo, contrariamente a ciò che era successo in Spagna, dove avevano preso la mano alla monarchia di Filippo II, saranno dalla monarchia francese sfruttate come mezzo per un ulteriore rafforzamento con Luigi XIII e Luigi XIV, durante il "grand siècle" della Francia, il secolo XVII.
In questo secolo, altre terribili crisi scuotono la società feudale europea. La lotta di classe, per i contrasti sempre crescenti, si sviluppa manifestandosi nei modi più diversi e nei diversi paesi a seconda dello sviluppo raggiunto dalle forze produttive interne e dalle situazioni storiche particolari di ciascuno e dei rapporti fra gli Stati.
In Germania, per esempio, la Guerra dei Trent'anni le cui origini risalgono al movimento della Riforma e che il programma di restaurazione politico-religiosa del ramo imperiale degli Asburgo aveva accelerato, si concluse con la Pace di Westfalia (1648) e dette ai 350 staterelli tedeschi un'autorità politica praticamente completa di fronte all'autorità imperiale. Tale grave risultato tagliò fuori la Germania dalla storia d'Europa fino alla rivoluzione francese. L'interesse nazionale, che negli altri paesi europei affascia le energie più vive e moderne, in Germania si spegne in modo pauroso. I principi tedeschi cadono nel più vergognoso bassofondo dell'interesse privato e locale, vendendo al miglior offerente fra i sovrani stranieri i propri sudditi come carne da cannone. E quel che si dice per codesti tiranni vale tanto per lo Stato prussiano - prima ducato, poi regno (1701) - quanto per la sua casa regnate degli Hohenzollern, alla quale la storiografia sciovinista borghese pretende invece di attribuire il merito di avere avuto, fin dall'origine, mire nazionali ed addirittura sociali.
Se in parte è vero che la formazione di Prussia ed Austria è da attribuire a funzione di baluardo militare contro Slavi e Turchi, è però altrettanto vero che la loro meschinità non solo non giovarono a unire la Germania, ma le apportarono nuove distruzioni, in specie con la "guerra dei sette anni".
Ma non solo per queste disastrose conseguenze sull'assetto della Germania, la guerra dei Trent'anni costituì un'importante pietra miliare della storia. Il suo trasformarsi in guerra fra Stati permise alla Francia con la Vittoria degli Asburgo, una ulteriore ascesa con l'annessione di ricche province. L'obiettivo della monarchia di dare alla Francia i suoi confini "naturali", col Reno a levante, sarà presto raggiunto.
Ma prima occorse superare un'altra di queste crisi che spesso ne intralciarono il cammino: la Fronda, cioè una nuova guerra civile in cui l'aristocrazia e gruppi borghesi. "I cui interessi erano in contrasto col progresso dell'industria" (Manifesto), tentarono di scuotere il potere monarchico servendosi di generali come il Condé.
La netta vittoria del generale Turenne sulla Spagna (1658), ottenuta grazie ad altre riforme ed al potenziamento dell'esercito, danno alla Francia di Luigi XIV nuovi ingrandimenti territoriali. Questi, unitamente alla politica economica di protezione dell'industria e del commercio (colbertismo) ed all'attività di accentramento amministrativo e politico, danno gli ultimi colpi alle autonomie provinciali e periferiche, e portano la Francia al primato europeo e l'assolutismo monarchico alle più alte vette: i signori feudali possono fare solo i cortigiani del re.
E con ciò la missione storica della monarchia francese può considerarsi compiuta. Le guerre in cui essa si avventurerà nel secolo 18° non solo non apporteranno altri territori (d'altronde non necessari, data la già avvenuta formazione dell'unità nazionale) ma dissangueranno la Francia e prepareranno il terreno alla Grande Rivoluzione che sarà la fossa in cui ogni altro residuo di potere feudale sarà definitivamente seppellito insieme allo stesso re ed all'istituto monarchico.
Della rivoluzione francese e dei suoi effetti si parlerà quando si parlerà della questione militare nella società borghese, a partire appunto da questo grande evento, che segna l'incontrastato dominio della borghesia, fino alla rivoluzione proletaria mondiale ed alla sua vittoria finale. Conviene solo accennare alla "grande ribellione", poi alla "rivoluzione dall'alto", cui assistiamo nel 17° secolo in Inghilterra.
Il 1648 non è solo l'anno della pace di Westfalia: esso chiude l'aspro e sanguinoso conflitto fra le forze militari monarchiche e assolutiste dei cattolici Stuart e quelle della borghesia calvinista espresse dal Parlamento e, in particolare dalla Camera dei Comuni. Come si vede, le parti si sono invertite: la vecchia nobiltà, una volta fiera avversaria della monarchia, è passata al suo fianco; mentre la borghesia, già alleata nei Comuni, è ad essa violentemente contro. Grazie alle riforme di Cromwell, che mise i più oscuri ma più capaci e decisi uomini ai posti di comando dell'esercito rivoluzionario, la borghesia poté passare all'offensiva e vincere. Il re e non più i suoi ministri diventa l'obiettivo della lotta: Carlo I viene decapitato (1649) e le vittorie militari di Dumbar e Worcester contro le truppe controrivoluzionarie di Carlo II assicurano la vittoria che la dittatura militare (tutti i poteri passano all'esercito e il Parlamento è sciolto nel 1653) consolida ed irrobustisce. La borghesia inglese può ora riprendere il cammino ascensionale interrotto, e dedicare i suoi sforzi a rimuovere gli ostacoli esterni.
L'inevitabile aspro conflitto con l'Olanda (1652/'54), giunta all'apogeo della sua potenza marinara e coloniale, vede la piena vittoria inglese. La borghesia si sente ormai tanto forte che, dopo la nuova parentesi di restaurazione stuardista, può permettersi il lusso di abbandonare la vecchia tattica di ricorrere all'aiuto delle masse popolari (contadini e proletari), divenute un alleato troppo pericoloso, e sperimentare la tattica più sicura di "trasformare senza rivoluzione e con mezzi conciliativi la monarchia assoluta in monarchia borghese" (Marx).
E' così che dal 1688, anno della seconda rivoluzione incruenta, dato l'attuale ordinamento costituzionale inglese, con la monarchia a completo servizio della borghesia capitalistica. Controllare il testo in questo punto.
La nazione ormai borghese, in cui le forze produttive sono ormai libere di svilupparsi, può aspirare all'egemonia dell'Europa e del mondo rimasto ancora feudale e pre-feudale. Il 18° secolo segna appunto la fine della preponderanza francese a favore di quella inglese.
Altri eventi militari lo dimostreranno, in primo luogo la "guerra di successione spagnola" (1700/'14): la dinastia degli Asburgo di Spagna si estingue e viene sostituita da quella dei Borboni), dalla quale gli Asburgo d'Austria traggono larghi profitti (in Italia e in Belgio), ed il Piemonte e la Prussia cominciano quella lenta ascesa che, attraverso una linea quanto mai contorta, porterà nel secolo successivo alla formazione delle nazioni tedesca e italiana.
Il secolo 18° è quello in cui la storia europea diventa anche storia di altri continenti, perché lo sfruttamento coloniale, specie da parte dell'Inghilterra, non è più l'attività quasi soltanto mercantile che aveva caratterizzato gli imperi coloniali spagnolo e portoghese, ma sfruttamento produttivo oltre che mercantile: la tratta dei negri ne è il sanguinoso strumento. All'inizio di questa secolo si registra inoltre l'affermazione di una nuova grande potenza nell'Europa orientale: La Russia di Pietro il Grande. Essa è il frutto di una lunga guerra che viene paragonata alla guerra di successione spagnola per gli effetti che ebbe: la fine dell'egemonia svedese nel baltico e l'inizio di quella russa.
Intanto, lo sviluppo ineguale delle nazioni europee, mentre conduce le grandi potenze Francia ed Inghilterra ad una politica di equilibrio europeo per meglio attendere al rafforzamento economico dei loro imperi coloniali, non impedisce a Russia, Austria e Prussia di continuare una politica di espansione militare. Un nuovo fatto dinastico, la successione al trono polacco, offre l'occasione di un nuovo conflitto (1733/'38) che si risolve in un mercato di popoli e in ridistribuzione di domini territoriali.
Dato il carattere artificioso di questi fatti, è inevitabile la "guerra dei sette anni" (1756/'63) con la quale l'Austria tenta invano di strappare alla Prussia la Slesia, perduta con la "guerra di successione austriaca".
La guerra dei sette anni, mentre mette in luce la politica antinazionale delle due potenze tedesche che, anziché unirsi, si combattono, vede capovolgersi alleanze; l'Austria rompe con l'Inghilterra e si allea con la vecchia nemica Francia, l'Inghilterra invece si allea con la Prussia. E' il segno di una politica di equilibrio fra Francia e Inghilterra a cui si accennava innanzi. Essa prelude, come tutte le politiche di equilibrio, ad un più grave scontro armato: quello fusosi con la rivolta delle 13 colonie inglesi dell'America del Nord che, con la loro dichiarazione dei Diritti, si trasformeranno in Stati Uniti d'America (1776).
Questo grande evento, che è la prima rivoluzione borghese contro l'oppressione del colonialismo, insieme a un fatto riformistico come il dispotismo illuminato dei monarchi, e ad un fatto reazionario come la spartizione della Polonia da parte di Russia, Prussia e Austria, avvertono che è ormai vicina l'ora di quella grande crisi rivoluzionaria che dalla Francia dovrà sommergere l'intera società europea rimasta ancora feudale.
Lo sviluppo delle forze militari fino alla rivoluzione francese
La cavalleria ha dominato in modo esclusivo durante il periodo medioevale della società feudale: il cavallo, l'armatura e corazza, e l'arma bianca (lancia e spada), queste le armi caratteristiche ed essenziali dei proprietari terrieri e signori feudali.
Con il risorgere delle forze borghesi, anche l'esercito feudale si trasforma: risorge la fanteria e, con l'introduzione delle armi da fuoco, si afferma l'artiglieria moderna. Però, benché la fanteria si avvii sempre più a divenire l'arma regina, finché dura la società feudale, la cavalleria resta l'arma decisiva della battaglia, pur attraversando interne trasformazioni ed il diverso uso che se ne fa.
Non staremo qui ad esaminare nei particolari l'evoluzione dell'arte militare, sia in ciò che è il lato tecnico sia in quello organico, né seguiremo tutte le innovazioni di carattere tattico e strategico che si succedettero. Nel contempo affermeremo, solo dandone qualche saggio dimostrativo, che l'arte militare è intimamente collegata allo sviluppo delle forze produttive e che ogni suo cambiamento notevole è da attribuire a nuove invenzioni o perfezionamenti delle armi e degli strumenti e materiali di cui si serve la guerra, a loro volta legati a tutto il complesso della produzione materiale. Evidentemente, anche qui lo sviluppo avviene non meccanicamente ma dialetticamente, con reciprocità di influssi fra fatto produttivo in genere e fatto violento e militare. Inoltre, in questo gioco di fattori, notevole è il ruolo delle forze politiche messesi a servizio dello sviluppo economico in senso capitalistico e borghese. Non è quindi da meravigliare che molte delle riforme militari siano venute da condottieri e monarchi, sia quando queste due figure sono fuse in una sola persona fisica che quando sono separate e dipendenti come avviene durante la fase assolutistica della monarchia, che porta anche all'accentramento dei poteri militari nelle mani del governo del re, alla cui politica è completamente soggetto il generale.
Le prime truppe combattenti a piedi si videro già nelle lotte tra Comuni italiani e cavalleria imperiale. A favorire lo sviluppo della fanteria concorrono vari fattori: in primo luogo l'invenzione delle armi da fuoco ed il mercenariato. E' questo un fenomeno europeo che, preso a diffondersi dal 14° secolo, si generalizza sempre più fino alla Rivoluzione francese. Il mercenariato ha cause economiche sociali e tecniche: le maggiori disponibilità finanziarie che possono soddisfare la necessità di risparmiare unità lavorative interne, crociati sbandati e figli cadetti di nobili che si danno alla ventura, la maggior durata dell'addestramento militare, ecc.
E' interessante notare che il fatto di non poter arruolare al momento del bisogno i mercenari, portò fin dall'inizio alla creazione di nuclei armati permanenti. Solo quando si sarà verificato un notevole sviluppo delle forze produttive e, tra esse, della popolazione, si potrà passare al reclutamento obbligatorio quasi uguale per tutti e, infine, all'esercito nazionale.
A Crecy (1346), durante la Guerra dei Trent'anni, si ha la prima affermazione della fanteria di fronte alla cavalleria: gli arcieri inglesi (gli yomen) vincono la cavalleria di Filippo di Valois ed i balestrieri genovesi da lui assoldati. Come afferma Engels, con l'introduzione di questo nuovo elemento difensivo, la tattica di Alessandro Magno viene riesumata dopo 17 secoli! Ma con una differenza: mentre allora la cavalleria era l'arma nuova che affiancava la fanteria decadente, ora avviene il contrario.
Ma le prime fanterie degne di questo nome sono quella svizzera e quella fiamminga. La superiorità veniva conferita a quest'ultima delle armi da fuoco (la Fiandra è la più industriale delle regioni in quest'epoca). Gli svizzeri invece si avvalsero della loro organizzazione sociale (presso di loro la comunità di marca resistette a lungo e non fu appropriata dai signori feudali) e dalla vita condotta fra le montagne, in mezzo alle quali le bellicose tribù vinsero le "battaglie della libertà" di Morgarten (1315) e di Laupen (1386).
La svizzera, la prima repubblica indipendente d'Europa, presa nel vortice mercantile, metterà per molto tempo le sue valorose truppe a disposizione delle monarchie in ascesa. La falange svizzera - con un'avanguardia, un corpo principale ed una retroguardia - sarà presa a modello da altre valorose fanterie: quella spagnola riformata da Consalvo de Cordoba e quella dei mercenari tedeschi, i Lanzichenecchi. Anche i francesi riusciranno formare una fanteria (meno pesante) con i piccardi del Nord ed i guasconi del Sud.
Le armi da fuoco individuali di piccolo calibro tardano a fare il loro ingresso negli eserciti a causa sia delle imperfezioni tecniche e dell'inefficienza e poca rapidità del tiro, sia per la resistenza del vecchio ordine militare e dei superbi cavalieri che vedevano come il più oscuro operaio poteva abbatterli prima che avessero avuto tempo di mettere mano alla spada o alla lancia. Ma essi non potevano impedire che i loro castelli fossero colpiti e distrutti dall'artiglieria pesante, la prima ad affermarsi. Man mano che essa diverrà più maneggevole con l'applicazione delle ruote all'affusto di bombarde, obici e cannoni, le vecchie artiglierie a contrappeso ed a corda (catapulte, petriere, ecc.), che il medioevo aveva ereditato dall'antichità, sparirono.
Ma anche le tradizionali armi lanciatoie a corda: l'arco e la balestra, vanno tramontando con l'introduzione dell'archibugio e del moschetto a miccia. Agli arcieri e balestrieri si sostituiscono i nuovi corpi di archibugieri e di moschettieri. Nel 16° secolo, le uniche armi in mano alla fanteria sono la picca ed il moschetto. S'intende che ancora l'uomo d'arme porta indumenti difensivi come piccole corazze non "a prova di fuoco", e cotte di maglia, le prime per difesa dalle schegge e le seconde dal taglio dell'arma bianca. Mano a mano che il moschetto si perfeziona e si alleggerisce in modo da non aver più bisogno del sostegno di un cavalletto a forca, la proporzione fra picchieri e moschettieri varia a favore di questi ultimi, fino alla completa sparizione dei primi. Ciò avverrà dopo la Guerra dei Trent'anni (1648).
E' facile intendere come da queste modificazioni quantitative delle armi debbano sorgere innovazioni nelle formazioni e manovre tattiche: sorgono così le brigate spagnole e svedesi che altre trasformazioni fanno poi tramontare. L'applicazione della baionetta al moschetto e la sostituzione del fucile a pietra a quello a miccia, fanno sparire del tutto la picca.
Naturalmente, la cavalleria non rimane del tutto esente da trasformazioni: il vecchio ordinamento di lance scompare ed il cavaliere diventa un semplice soldato armato con armi da fuoco (pistole, ecc.) E sciabola e inquadrato in squadroni più unitari. Così, cavalleria, fanteria ed artiglieria devono ora cooperare, agire in modo combinato col massimo rendimento. Sono sorte le condizioni per la migliore utilizzazione di questo insieme di forze dalle diverse caratteristiche, e quindi il terreno per importanti riforme militari, di carattere sia tattico che strategico. Le difficoltà incontrate in tali riforme sono spesso gravi e solo l'esperimentazione sul campo di battaglia le può far accettare o meno. L'addestramento per eseguire i regolamenti, come le stesse guerre, diviene sempre più lungo: la necessità del soldato di mestiere è sempre più forte. Non vogliamo dilungarci: basti accennare alle difficoltà che l'arte di passare dall'ordine di marcia a quello di battaglia presentava: la mobilità richiesta era spesso frustrata dalla pesantezza delle unità tattiche. Che fare? Snellire le formazioni a favore della maggior capacità di manovra, oppure no, per conservare una certa forza d'urto? Dare impulso a quello difensivo o a quello offensivo? In queste varie possibilità d'impiego si inseriscono le riforme delle fanterie del 18° secolo ad opera di Federico II.
Riprendendo il sistema adottato già da quell'abile riformatore che fu Gustavo Adolfo di Svezia durante la Guerra dei Trent'anni. Federico II, durante la Guerra dei Sette anni, toglie alla cavalleria carabine e pistole e reintroduce la carica al galoppo con sciabola sguainata e rimette in auge l'attacco obliquo di Epaminonda. E' il primo assaggio della guerra di movimento, che trionferà con la rivoluzione francese e si dimostrerà più efficace della guerra di posizione, di cordone, ecc., basata di più sulla difensiva.
Come si vede, anche l'arte militare segue una linea di sviluppo dialettica ed è soggetta alle leggi del determinismo, per cui nessuna volontà o genio di condottiero o riformatore militare può impunemente violare i ferrei limiti della realtà materiale del processo storico in genere.
Da "Il programma comunista" nn. 23 del 1961, 1-9-10 del 1962, 5-12-13-23 del 1963, 1-2-13-14 del 1964, 6-7-8 del 1965, 2-3-4-1-12-13 del 1966.