Marxismo e questione militare (4)
Il proletariato nella fase della sua prima esistenza
Dopo una parte generale sul tema della questione militare vista secondo il marxismo, che è stata trattata nella riunione di Genova, abbiamo iniziato la parte storica esaminando il ruolo della violenza nei vari modi di produzione per trovare conferma dei fondamenti teorici esposti nella parte generale alla riunione di Firenze.
Esaminati il comunismo primitivo, lo schiavismo e la società feudale, ci si dovrebbe attendere un esposto relativo al capitalismo. Ma, a parte il fatto che si è già parlato abbastanza della violenza borghese nella sua fase rivoluzionaria e fino al crollo della società feudale in Europa, la lotta di classe che si svolge dopo il trionfo delle rivoluzioni borghesi d'Inghilterra e di Francia per l'ulteriore espansione della forma capitalistica di produzione ha come protagonista il proletariato già cosciente della sua forza di classe e della sua missione storica. E' quindi impossibile parlare della ulteriore evoluzione della violenza borghese senza prima aver detto qualcosa sulle lotte che il proletariato sostenne entro la stessa società feudale a fianco della borghesia e per affermare la sua esistenza fisica prima che politica. Di qui la necessità di fare un passo indietro a ripercorrere tappe storiche già tratteggiate dal punto di vista essenzialmente della borghesia e delle sue lotte.
Tracciamo fin da adesso lo schema secondo cui tratteremo la questione militare del proletariato. Premesso che la violenza di ogni società divisa i classi trova la sua più alta espressione nel capitalismo perché esso eredita tutte le contraddizioni della società di classe fin dal loro nascere storico; e che tale violenza sarà risolta dal proletariato sia sul piano teorico che sul terreno pratico; osserviamo che le lotte della classe proletaria, la più rivoluzionaria della storia, si svolgono in tre fasi successive:
1) A fianco della borghesia rivoluzionaria.
Il proletariato comincia a lottare già molto tempo prima d'essere diventato un classe: quando è una forza ancora popolare, uno "stato", un "ordine" della società. Durante questa fase, la sua lotta si confonde con quella di altri gruppi sociali: i contadini, gli artigiani ed altri strati borghesi e piccolo borghesi. E' il periodo in cui per la prima volta si distacca completamente dalla terra il lavoro, e da tutti gli altri mezzi di produzione. Questo fatto di enorme importanza non poteva verificarsi senza l'agente risolutivo della violenza, cioè senza lotte lunghe ed accanite.
2) Contro la borghesia dominante.
Con l'aprirsi dell'epoca capitalistica, cioè da quando la borghesia si è installata al potere nei paesi più progrediti d'Europa, la lotta che il proletariato conduce assume nuove forme: oltre a delimitarsi ed ampliarsi, assume un carattere eminentemente internazionale, politico, frontale. Il proletariato riceve le sue armi dalla borghesia, e gliele rivolge contro.
3) Durante la dittatura proletaria.
Quando, a sua volta, il proletariato si è impossessato del potere politico ed ha spezzato con la violenza la vecchia macchina dello Stato oppressore borghese, si entra in una nuova ed ultima fase della violenza proletaria. Contrariamente ai falsi socialisti ed agli anarchici, il marxismo rivoluzionario prevede (e l'esperienza storica lo ha già confermato) la necessità di non allentare né arrestare la lotta, che invece dovrà impegnare tutti i diversi organi dello Stato della dittatura proletaria.
Solo dopo la vittoria sulla grande borghesia e, cosa ancora più importante, sulle forze piccolo borghesi dell'economia e sugli impersonali rapporti di produzione capitalistici che ancora resistono, lo Stato proletario disarmerà: l'umanità esce allora dalla preistoria delle società di classe.
La natura e la funzione storica della violenza quale potente leva di trasformazione economica e sociale della società appare anzi in tutta la sua chiarezza proprio nella fase di lotta in cui il proletariato adopera la sua macchina statale per liberare il comunismo dagli ostacoli capitalistici. Il carattere totalitario e radicale della violenza è messo in altrettanta evidenza perché essa è posta al servizio degli interessi più generali della umanità intera. Appunto in ciò il proletariato è la classe più rivoluzionaria della storia; la sua lotta, riallacciandosi a forme antichissime della storia sociale, si conclude con la sua auto-distruzione rivoluzionaria; in esso ogni violenza si risolve.
La "questione militare" e il proletariato
Nel corso dell'esposizione di cui abbiamo dato nell'ultimo numero le linee generali, vedremo come il proletariato - la classe più rivoluzionaria della storia, perché lotta per nascere fisicamente fino al momento della sua dissoluzione - si batta per formarsi nelle tre fasi del suo sviluppo storico: nascita fisica, nascita come classe che si costituisce in partito politico, formazione in classe dirigente che si costituisce in Stato dittatoriale. Storicamente esso combatte per esistere materialmente lottando a fianco della borghesia, poi per costituirsi in classe e, infine, per estendere la proletarizzazione della società prendendo con la violenza il potere politico (per es. Russia 1917). E' quindi attraverso queste tre fasi storiche che dobbiamo seguire il fenomeno della nascita della classe proletaria.
Il problema delle alleanze
Data la struttura locale e nazionale della borghesia ed i suoi interessi antagonistici, le sue lotte si muovono in modo sinuoso e contraddittorio, e le diverse rivoluzioni borghesi, pur avendo la stessa natura, non presentano gli stessi caratteri, per il fatto che avvengono successivamente nello spazio e nel tempo, quindi in diverse condizioni di maturità delle forze produttive locali e generali. Inoltre, le zone che via via entrano nella lotta possono avere forme sociali di produzione differenti: in Europa, la lotta rivoluzionaria della borghesia si svolge contro rapporti sociali feudali poggianti sulla base della proprietà privata, mentre nel resto del mondo prevale la proprietà comune.
Dovunque, però, la ruota della storia gira irresistibilmente, sia pure con velocità diversa. Nelle stesse fasi di rinculo controrivoluzionario, le forme sociali continuano a svilupparsi, preparando nel sottosuolo potenzialità superiori a quelle che le forze reazionarie avevano potuto vincere precedentemente, cosicché la possibilità di marcia in avanti della storia diventano sempre maggiori.
Poiché i proletari si trovano coinvolti nella maggior parte delle lotte rivoluzionarie borghesi, il loro obiettivo segue, in questa fase, il corso sinuoso del movimento borghese.
Assistiamo quindi a situazioni storiche che possono sembrare, a chi non abbia una visione chiara del moto della storia, paradossali, ingarbugliate, assurde, perfino contro natura.
Così avviene che le due classi antagoniste per natura - la borghesia ed il proletariato - abbiano interessi "comuni" contro forze sociali precapitalistiche e quindi possano allearsi per separarsi in seguito o approfittare l'una della vittoria dell'altra, in quella che noi chiamiamo "rivoluzione doppia": il trionfo sulle forze assolutiste è allora strappato non dalla borghesia, che pur avrebbe interesse a farlo, ma dal proletariato, che più tardi può dalla stessa borghesia essere battuto senza che la sua sconfitta sia stata storicamente vana.
In quanto dall'urto armato può dipendere la vittoria di una forza sociale o dall'altra, è evidente qui l'importanza che assume il gioco delle alleanze per l'affermazione e l'egemonia dell'una o dell'altra classe e dei relativi scopi. E' dunque vitale sapere se il proletariato si mette al servizio della borghesia come suo strumento lasciandole la direzione ed i benefici del moto rivoluzionario, o se conserva la sua autonomia per realizzare le finalità sue proprie. Ma quando il proletariato può avere finalità sue proprie e disporre dei mezzi corrispondenti per realizzarli? Quando è divenuto una classe, cioè quando si è sviluppata una nazione capitalistica evoluta, il che non è vero solo del proletariato in questione, ma anche degli embrioni di strati proletari (industriali e contadini) in cui il proletariato non è ancora "classe nazionale". Non è questo un punto di "tecnica rivoluzionaria", ma un punto fondamentale che deciderà l'esito della lotta: l'internazionalismo della battaglia proletaria e dei suoi fini.
Ricordiamo però che anche quando il proletariato lotta apparentemente senza coscienza alcuna di classe e per scopi non suoi, sotto l'ala della borghesia, esso prepara già il terreno del proprio sviluppo e della propria esistenza e che, soprattutto, in quello stadio storico della stessa borghesia è ancora rivoluzionaria nel duplice senso che: a) abbatte le forze reazionarie che intralciano lo sviluppo di una produzione moderna; b) favorisce la formazione sociale del proletariato liberando il lavoro da ogni vincolo feudale e opponendolo direttamente al capitale. E' quindi nell'ordine delle cose che il marxismo abbia il suo punto di partenza non nella prima rivoluzione proletaria, ma nel momento in cui la borghesia lancia il suo primo attacco rivoluzionario all'ancien regime: è da tutta questa lotta immensa che si sviluppa il suo programma.
Prime rivoluzioni borghesi e proletariato nascente
Più che lo sviluppo del primo Stato capitalista del mondo nell'Italia del Sud - nel 13° secolo, ed il suo prolungamento nei Comuni cittadini, dove il mercantilismo crea le basi di una prima forma di produzione capitalistica - ci interessa qui delinearne gli aspetti sociali, ricordando: 1) come il capitale accumulato in Italia poggiasse, prima che sul commercio, sulla grande proprietà fondiaria controllante l'approvvigionamento delle città, ed esportatrice di derrate alimentari; 2) come le ricchezze monetarie così accumulate si riversassero in una piccola industria soprattutto tessile che attingeva le sue materie prime prevalentemente nel Nord (Inghilterra per la lana, Fiandra per il lino e per le tele grezze da trasformare e tingere), ed era quindi vitalmente legata al mercato internazionale sul quale tornavano i suoi prodotti finiti (fiere della Champagne); 3) come, contrariamente agli artigiani, gli operai non lavorassero per una clientela diretta, ma per dei mercanti imprenditori che possedevano gli strumenti di lavoro, disponevano del monopolio del lavoro salariato, fissavano arbitrariamente i salari ed i fitti escludevano gli operai da ogni partecipazione alla vita politica, negavano loro il diritto di coalizione, colpivano di pena di morte lo sciopero. Nell'impossibilità di migliorare gradualmente
Fase dell'organizzazione del proletariato in partito. Premessa
Prima di entrare in argomento, è utile ricordare ancora una volta che la questione militare non la limitiamo a ciò che concerne la classica forza organizzata in eserciti regolari, ma la estendiamo all'uso delle armi fatto dalle masse popolari che in modo più o meno spontaneo si sollevano in certi svolti storici contro i poteri costituiti.
Queste due essenziali forme della violenza: quella popolare e quella statale, sono d'altronde in stretta interdipendenza e in rapporto dialettico con l'economia. Comprendere la genesi e lo sviluppo della violenza nelle sue varie forme, ed il suo effetto sulle forme di produzione nelle fasi critiche della storia in cui suona l'ora della loro trasformazione, significa comprendere anche la questione del potere che assume la massima importanza nello sviluppo della lotta rivoluzionaria. Questa parte teorica e generale è stata da noi già trattata. Successivamente ne abbiamo viste le applicazioni pratiche, cioè le conferme storiche nella vivente realtà umana e per le diverse epoche che hanno contraddistinto i principali modi di produzione.
Trattando della società feudale abbiamo visto il sorgere delle moderne forze produttive ed il ruolo avuto dalla violenza nel favorirne lo sviluppo. Successivamente si è esaminato il fenomeno della proletarizzazione (cioè la separazione totale dell'uomo dai mezzi di produzione) che accompagno lo sviluppo del capitalismo stesso: quella che abbiamo chiamato fase della prima esistenza del proletariato, in cui cioè questo "non è ancora classe per se ma per il capitale". Durante tale fase, il proletariato non difende ancora interessi di classe, ma solo interessi limitati di categoria o di semplici gruppi.
II tema che trattiamo ora riguarda invece la fase in cui il proletariato si organizza in partito, e durante la quale "gli interessi che esso difende diventano interessi di classe" e la sua lotta assume aspetto politico perché "la lotta di classe contro classe è lotta politica" (le citazioni sono tratte dalla Miseria della filosofia di Marx). Anche per la borghesia, abbiamo seguito questo stesso schema tracciato da Marx nel libro ora citato, perché pure per essa vanno distinte due fasi: "quella durante la quale essa si costituì in classe sotto il regime della feudalità e della monarchia assoluta, e quella in cui, ormai costituitasi in classe, rovesciò la feudalità, e la monarchia per fare della società una società borghese. La prima di queste fasi fu la più lunga e richiese i più grandi sforzi. Anche la borghesia aveva cominciato con coalizioni parziali contro i signori feudali".
Si può dire che le due fasi di formazione del proletariato (quella di "classe per il capitale" e quella di "classe per sé") si accompagnano a quella della borghesia. Infatti, per restare alla seconda di tali fasi, che è quella che interessa il nostro tema, si può affermare che proprio in concomitanza con le due grandi rivoluzioni borghesi: la Riforma e la Rivoluzione francese (e specie con quest'ultima) si hanno le prime coraggiose rivendicazioni del programma storico della classe proletaria, da parte di due suoi gloriosi martiri: Münzer e Babeuf. Esse non sono ancora la teoria rivoluzionaria del proletariato, per la quale bisognerà attendere altre prove sanguinose culminanti in quelle del '48 parigino, la cui trattazione sarà oggetto della seconda parte di questo tema in una prossima riunione di lavoro del partito.
Si può quindi dire che la grande crisi storica del 1789 costituì una vera e propria breccia attraverso la quale si lanciò tumultuoso e minaccioso il giovane movimento operaio. A chi non sa intendere quelle storiche lezioni, può sembrare che il rosso sangue proletario sia stato versato invano. Ma, a parte il fatto che il grande contributo della forza proletaria alla rivoluzione francese, fece compiere un enorme balzo avanti a tutto lo sviluppo sociale, esso valse a formare la preziosa materia prima della sua dottrina rivoluzionaria. Grazie a quei grandi sacrifici ha potuto vedere la luce il partito di Babeuf, cioè il primo partito comunista, senza il quale neppure il moderno partito marxista sarebbe esistito. Certo, tale processo di trasformazione non fu un'evoluzione lenta e graduate. Dal partito "spontaneo" a quello "cosciente" non si giunge per successivi apporti minori di ideologi e combattenti della classe operaia. Al contrario: attraverso nuove e profonde crisi sociali e politiche fu permesso a Marx di teorizzare una volta per tutte ciò che la storia aveva già con i fatti espresso in modo inequivocabile. "II pensiero segue l'azione": ciò è vero anche per la dottrina di Marx; attenti però! Dal momento che questa dottrina è sorta, nessun partito proletario può pretendere di difendere gli interessi storici della classe operaia se non pratica quella dottrina che, come detto sopra, è il prodotto dialettico di grandiose lotte proletarie ed è essa stessa tradizione rivoluzionaria di lotta. In fondo, tutto lo sforzo che l'imperialismo d'0ccdente e d'Oriente compie contro il proletariato rivoluzionario, si riduce ad impedire il risorgere ed il ricostituirsi del suo partito mondiale.
Dopo questa lunga premessa, passiamo ad esporre il nostro tema: la rivoluzione francese. Se pur un secolo avanti la rivoluzione inglese fu la prima rivoluzione che portò al potere la borghesia, la rivoluzione francese, per la risonanza che ebbe in campo europeo e mondiale, fu a giusto titolo considerata la "Grande Rivoluzione" della borghesia. E' nel suo corso che vediamo il proletariato cominciare ad organizzarsi in "classe per sé" e dunque in partito.
La borghesia, protagonista della rivoluzione nel senso sociale storico
In quanto la storia poneva all'ordine del giorno la rivoluzione borghese, il ruolo della borghesia in questa fase e incontestabile, e a confermarlo sta la funzione direttiva che essa svolse. Le due forze fondamentali della rivoluzione: il governo rivoluzionario e l'esercito rivoluzionario, furono diretti dai suoi più audaci rappresentanti politici e militari. Ma tale funzione non fu opera e risultato di un vero e proprio coraggio di classe, che tanto Lenin quanto Marx non hanno mai riconosciuto alla borghesia. Può sembrare strano che questa classe il cui modo di produzione è il più rivoluzionario non debba presentare una corrispondente iniziativa sul piano dell'impiego della forza armata. Ma ciò si spiega non certo con ragioni misteriose e più o meno spirituali, ma semplicemente con ragioni sociali e storiche.
La borghesia, come classe, è irresoluta nell'azione militare, per due ragioni fondamentali:
1) Dietro l'esperienza della seconda rivoluzione inglese del 1688 (quella del 1648 fu violenta e portò alla decapitazione di Carlo I), la borghesia francese s'immaginava e sperava di poter fare la sua rivoluzione in modo quasi legalitario, con semplici pressioni illuministiche sia sulla monarchia, che sui vecchi ordini privilegiati e attraverso un compromesso politico con queste forze. La "convenienza" di una simile eventualità seduceva la sua mentalità bottegaia, e la sua "anima" ne risultava poco disposta a scegliere strade più irte di difficoltà e di incognite. Nella sua natura sociale sta dunque la sua incapacità storica di comprendere le vere ragioni ed i mezzi idonei dello sviluppo sociale. La sua anima filistea le impediva di rendersi conto del ruolo che la storia le assegnava e della dittatura di classe che doveva imporre. A questa prassi la borghesia perverrà spinta dalla logica ferrea della lotta in cui si troverà impegnata, ma né prima né dopo la conquista del potere la teorizzerà mai.
2) La borghesia aveva paura che la violenza da compiere sulle forze conservatrici potesse far staccare la classe proletaria dal proprio fianco per vedersela contrapporre da una posizione autonoma e reclamare non solo il crollo delle vecchie classi sfruttatrici ma anche delle nuove. La borghesia aveva cioè paura che la rivoluzione avrebbe educato e fatto decidere il proletariato ad usare la sua violenza per stabilire un ordine economico in cui essa non avrebbe avuto alcun diritto di cittadinanza o produrre una situazione di caos che poteva ugualmente compromettere le sue aspirazioni di dominio.
Oggi noi sappiamo che questa paura della "plebaglia" e della "canaglia" sarà "giustificata" in tempi successivi (dal '48 in poi) perché le premesse economiche e politiche della rivoluzione socialista saranno allora più mature.
II proletariato classe motrice della rivoluzione nello sforzo di costituirsi in partito
Come abbiamo detto, la rivoluzione francese, in quanto fa raggiungere la temperatura di ebollizione della "pentola storica" (Marx) e in quanto mette in moto tutte le molecole sociali, libera tutte le energie delle classi oppresse e sfruttate ed apre ad esse la breccia attraverso la quale le masse si slanceranno alla conquista della meta finale e più liberatrice: il comunismo. Alla loro testa non può che esservi la classe più rivoluzionaria: il proletariato, che affolla i sobborghi di tutte le grandi città e di Parigi in particolare (famoso il sobborgo di S. Antonio sul quale biecamente guardano i cannoni della Bastiglia).
La concezione secondo la quale almeno la punta avanzata delle "braccia nude" e dei "sanculotti" non sarebbe stata proletaria "nel senso moderno" è del tutto erronea, perché il carattere di classe del proletariato non dipende tanto dal fatto che gli operai abbiano un impiego o no, quanto e soprattutto dalla loro posizione di senza-riserve di fronte alla monopolizzazione del mezzi di produzione da parte della borghesia.
Certo, il fine delle braccia nude e dei sanculotti era prima di tutto quello di disfarsi dell'oppressione feudale e solo successivamente di abolire ogni tipo di sfruttamento e di oppressione. C'è di più: alla base della loro azione di rivolta non stanno le semplici difficoltà economiche. Trotsky spiega così fatti analoghi presentatisi durante la rivoluzione russa (v. vol. III, pag.12): "Le privazioni non sono sufficienti a spiegare un'insurrezione, altrimenti le masse sarebbero in sollevamento perpetuo; bisogna che l'incapacità definitivamente manifesta del regime sociale abbia reso queste privazioni intollerabili e che nuove condizioni e nuove idee abbiano aperto la prospettiva di uno slancio rivoluzionario".
Ciò assodato, possiamo concludere due cose: che "senza l'elemento plebeo della città, la borghesia non avrebbe mai condotto la propria battaglia alla sua decisione finale" (Marx);
2) che durante questo stesso intervento armato il proletariato si costituisce in classe per sé, ovvero in partito: "la prima apparizione di un partito comunista veramente agente si produsse nel quadro della rivoluzione borghese" (Marx).
Le cause della rivoluzione
Di esse abbiamo parlato diffusamente quando abbiamo parlato della società feudale e dello sviluppo delle forze borghesi dal suo seno; quindi non ci soffermeremo molto su questo punto.
Sinteticamente, possiamo dire che nella Francia del 18° secolo erano giunte a maturazione le contraddizioni che nei secoli precedenti si erano prodotte fra le forze produttive in sviluppo e tutto l'apparato giuridico e politico feudale. I reciproci effetti della rivoluzione agricola sull'industria, e della rivoluzione industriale sull'agricoltura, cioè la trasformazione del capitale mercantile in capitale industriale e agrario avevano già talmente trasformato la realtà economica che le vecchie sovrastrutture non le corrispondevano più, anzi impedivano la definitiva liberazione delle forze produttive.
La fondamentale condizione per tale liberazione era la completa mercantilizzazione della terra. "Gli uomini hanno spesso fatto dell'uomo stesso, nella figura dello schiavo, il materiale originario del denaro, ma non lo hanno fatto mai della terra. Questa idea poteva affiorare soltanto in una società borghese già perfezionata; essa data dall'ultimo trentennio del 17° secolo e la sua attuazione su scala nazionale venne tentata soltanto un secolo più tardi nella rivoluzione borghese dei francesi" ("II capitale", vol. I).
La monarchia francese che più di tutte le altre monarchie europee si era messa al servizio del capitale - dal secolo 14° divenuto la nuova potenza sociale rivoluzionaria - e si era conquistato meriti storici indiscutibili, aveva, specie nel 16° secolo, cominciato ad invertire la sua rotta, sbarrando la strada all'ulteriore sviluppo economico e sociale. Con sforzi secolari essa aveva unito le varie province attraverso un legame più o meno stretto, ed aveva così creato le condizioni più favorevoli alla fusione delle loro economie in una più vasta economia di mercato, tipica della nazione moderna. Occorreva fare gli ultimi e importanti passi per liberare la società dalle pastoie feudali (dogane interne, differenti monete ed unità di peso ed altre misure, ecc.).
Ma ciò richiedeva il sacrificio dei privilegi della nobiltà e del clero e della stessa monarchia che, come potere politico, mai come allora trovavasi in una posizione di assoluto dominio sulla società e sulle sue classi fondamentali: nobiltà e borghesia. Non era possibile fare questi ulteriori passi con altre e più coraggiose riforme per iniziativa delle forze politiche dirigenti e della monarchia in particolare, come tuttora ritengono certi storici moderni, compresi coloro che si piccano di "realismo": il loro terrore sacro della violenza li costringe a costruire la storia con i "se" ed i "ma".
Non un impossibile sacrificio di queste forze del privilegio poteva trasferire il potere politico alla classe borghese che deteneva già quello economico. Solo la violenza rivoluzionaria delle masse sfruttate del popolo - proletariato in testa - poteva farla finita una volta per sempre con il passato.
Circa le cause contingenti che sono quelle cui in genere gli storici danno molto peso, ne diamo qui solo un cenno critico.
Certamente la crisi finanziaria dello Stato ebbe la sua importanza nel precipitare gli eventi, e spingeva gli stessi aristocratici contro re Luigi XVI per costringerlo a riparare le falle, naturalmente non a loro carico. Ma attribuire ad essa l'importanza che le si dà è un enorme errore, perché il grave deficit del bilancio statale fu esso stesso un prodotto, un effetto caratteristico, delle vere e più profonde cause del dramma cui abbiamo fatto cenno più sopra.
Rendere poi responsabile numero uno - come fanno i più incalliti storici idealisti - le nuove dottrine filosofiche, e semplice idealismo e non e il caso di insistervi. Certamente quelle "idee" ebbero la loro importanza e nessuno più di noi le considera meno efficaci delle volgari armi, ma esse pure non nacquero nelle teste dei pensatori rivoluzionari di quel tempo se non per riflesso di una realtà materiale in movimento, che reclamava la rimozione di ogni ostacolo.
L'equilibrio delle forze politiche alla vigilia della rivoluzione
Qual era il rapporto di forza fra le classi in lotta, quale la posizione del potere politico dello Stato in mano alla monarchia del secolo 18° e fino all'apertura della crisi del 1789? La risposta ce la dà Engels, ne "L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato": "Poiché lo Stato è nato dal bisogno di contenere gli antagonismi di classe; essendo al tempo stesso nato dal conflitto delle classi, esso è, come regola generale, lo Stato della classe più forte, della classe economicamente dominante che, grazie ad esso, diventa la classe dominante anche politicamente ed acquista così nuovi mezzi per opprimere e sfruttare la classe oppressa. In via di eccezione, vi sono però periodi in cui le classi in lotta raggiungono un equilibrio di forze tale che il potere statale acquista una certa indipendenza di fronte a queste classi ed appare una specie di arbitro fra di esse. Tale è il caso della monarchia assoluta fra il XVII ed il XVIII secolo che mette in posizione di equilibrio la nobiltà e la borghesia; tale il caso del Bonapartismo del Primo e del Secondo Impero e di Bismark in Germania" (il corsivo e nostro).
Anche Lenin in "Stato e rivoluzione" cita questo passo di Engels (le traduzioni non coincidono perfettamente) ed aggiunge alla serie del "casi eccezionali" anche quello prodotto in Russia fra il Febbraio 1917 e l'Ottobre: "Tale aggiungiamo noi, il governo Kerensky nella Russia repubblicana, dopo che esso è passato alle persecuzioni contro il proletariato rivoluzionario nel momento in cui i Soviet sono già impotenti a causa dei loro dirigenti piccolo-borghesi, e la borghesia non è ancora abbastanza forte per scioglierli senz'altro".
Le forze politiche rivoluzionarie e la loro evoluzione
L'unico partito che avesse una certa organizzazione prima della rivoluzione era quello della borghesia. Non è da credere che la sua fisionomia ed il suo carattere abbiano nulla di comune con i moderni partiti borghesi. Basta considerare, infatti, che allora era un partito sovversivo, mentre oggi è per la conservazione e riceve tutto l'appoggio che vuole dallo Stato.
II partito della borghesia era allora organizzato per clubs e circoli che formavano una rete di centri di propaganda rivoluzionaria legati fra loro da una vasta ed intensa corrispondenza. Tali circoli, che facevano capo ad un comitato centrale residente a Parigi, erano all'inizio composti di pochi membri, quasi tutti uomini della classe colta e possidenti disposti ad aprire i loro forzieri per finanziare l'attività dei circoli stessi, rivolta essenzialmente all'agitazione della media e della piccola borghesia. In seguito, nel corso della rivoluzione, quando la necessita di contrapporre una seria ed efficace resistenza alle forze monarchiche ed a gli stessi borghesi moderati della timorata Assemblea lo richiederà, i clubs faranno appello alle masse popolari, le quali già per proprio conto si vanno organizzando in società popolari" e poi, con la riforma amministrativa dei grandi centri, in "sezioni".
E' interessante notare come il processo di sviluppo della lotta porti ad una specie di decantazione delle forze rivoluzionarie: le prime a promuovere offensive dimostreranno presto timore dell'ampiezza e dell'asprezza assunte dalla lotta, e saranno presto sostituite da altre più radicali che, a loro volta saranno scavalcate da altre forze ancora più risolute tanto nell'azione militare quanto in quella di governo. Questi slittamenti sempre più a sinistra, come vedremo in seguito, saranno provocati dall'intervento energico e risolutivo delle masse con in testa il proletariato. Commentando sulla "Nuova Gazzetta Renana" la fallita rivoluzione in Germania del 1848, Marx così caratterizza questa situazione: "Per noi febbraio e marzo potevano avere il significato di una vera rivoluzione solo se divenivano non la conclusione ma, al contrario, il punto di partenza di un lungo movimento rivoluzionario in cui, come nella grande rivoluzione francese, il popolo avesse continuato a svilupparsi solo attraverso le sue lotte, in cui i partiti si fossero sempre più nettamente distinti fino a coincidere completamente con le grandi classi - borghesia, piccola borghesia, proletariato - in cui le singole posizioni fossero conquistate l'una dopo l'altra dal proletariato in una serie di giornate di battaglia". Come si vede, il proletariato è in un primo periodo confuso con le altre classi, e appoggia la borghesia contro la monarchia e contro la reazione feudale; in un secondo periodo, a fianco della piccola borghesia, spinge la grande borghesia ormai al potere a portare a termine la stessa rivoluzione borghese con le più coraggiose riforme, e infine, in un terzo periodo, quando la grande borghesia si sente pienamente vittoriosa e sicura contro le forze del passato interne ed esterne, il proletariato, ergendosi con Babeuf contro la nuova classe al potere, si rende del tutto autonomo dalle altre classi e si contrappone al nuovo ordine con un'altra lotta e con le sue rivendicazioni storiche.
Da "Il programma comunista" nn. 23 del 1961, 1-9-10 del 1962, 5-12-13-23 del 1963, 1-2-13-14 del 1964, 6-7-8 del 1965, 2-3-4-1-12-13 del 1966.