Marxismo e questione militare (6)

Governo rivoluzionario ed esercito rivoluzionario

Da quanto detto fin qui, risulta chiaro che, alla base della crisi della Convenzione ed al pratico esautoramento di ogni suo potere, c'è la questione militare.

II pericolo numero uno che incombe, specie dopo il tradimento di Dumouriez, consumato sulle orme di La Fayette, e la presenza degli eserciti nemici sul suolo della Francia degli eserciti nemici che minacciano Parigi, cuore e cervello della rivoluzione. Non meno sentite sono le pugnalate alla schiena che vibra la Vandea, alle quali si aggiungono quelle della rivolta "federalista" di cui parleremo più avanti. Che fare? Nessuna pace era possibile: dati i rapporti di forze che si erano venuti a creare, i coalizzati erano decisi a riportare in Francia l'antico regime e la monarchia. Ci si doveva rassegnare a veder annullate le conquiste rivoluzionarie conseguite in quattro anni di sofferenze, di fame e di lotte sanguinose? Ancora una volta la risposta venne dai sanculotti, dall'esterno della Convenzione: "libertà o morte" furono le parole d'ordine con le quali essi imposero la guerra ad oltranza contro i nemici interni ed esterni. Era dunque nelle loro mani il vero e reale potere nei momenti critici e più disperati. E' la loro forza che trascinerà gli stessi Giacobini a stabilire quella Dittatura del Comitato di Salute Pubblica, vero governo rivoluzionario, che salverà la Francia; e la stessa politica che tale governo metterà in pratica non sarà che il programma degli Arrabbiati applicato dall'alto.

Si ascolti ad esempio cosa disse un operaio tappezziere, inviato dal sobborgo di S. Antonio alla sbarra dell'Assemblea, il I° maggio, dopo che già in febbraio, 48 sezioni parigine avevano chiesto la calmierizzazione delle derrate alimentari: "Da molto tempo voi promettete un maximum generale di tutte le derrate necessarie alla vita ... voi promette sempre e non mantenete mai. La rivoluzione ha finora pesato sulle spalle delle classi povere. Ecco i nostri mezzi per salvare la cosa pubblica ... Se voi non li adottate, vi dichiariamo ... che siamo in stato d'insurrezione. Diecimila uomini sono alla porta di questa sala". Il 4 maggio la Convenzione vota il primo decreto sul maximum, o calmiere dei grani. L'intervento dello Stato nel corpo dell'economia, richiesto dai sanculotti, non aveva solo il compito di sfamare chi, come loro, mancava di tutto (si tenga presente che la legge Le Chapelier contro lo sciopero e le coalizioni degli operai era e resterà sempre in vigore), ma era al tempo stesso il solo dovere che restava da compiere per provvedere alle necessità dell'esercito rivoluzionario, di cui anche i sanculotti ebbero il merito di reclamare l'organizzazione al duplice scopo di far assorbire la disoccupazione e di fermare l'avanzata dei nemici e di sconfiggerli.

Se il Comitato di Salute Pubblica sorse quando ancora alla Convenzione dominavano i Girondini (che naturalmente gridarono subito allo scandalo ed alla dittatura che uccideva la libertà, la democrazia, ecc.), l'armata rivoluzionaria, in via di principio almeno, nacque lo stesso giorno della caduta della Gironda e del trionfo della Montagna, cioè il 2 giugno. Ma la sconfitta parlamentare dei Girondini, segnata da questa data, non coincise con l'annientamento della forza politica che essi conservavano nel paese ed alla quale si aggiunge quella dei monarchici e di altri controrivoluzionari, che approfittarono (ed approfitteranno sempre in futuro) dei contrasti interni dei rappresentanti del Terzo Stato per indebolire il potere centrale.

Di qui la rivolta di molte province contro Parigi, che divenne particolarmente violenta e pericolosa nel sud-est, dove i monarchici riuscirono perfino a mettere nelle mani degli Inglesi le città di Marsiglia, Tolone e Lione. Questa rivolta, detta "federalista", in quanto si metteva contro l'unità e l'indivisibilità della repubblica, si aggiunse come nuova spinta a reclamare l'intervento dispotico e dittatoriale di un governo forte, di una volontà unica, decisa ed intransigente. La rivoluzione aveva inferto un colpo mortale al vecchio Stato monarchico e feudale, ma le istituzioni dello Stato borghese sorte sulle sue rovine mancavano ancora di quel cemento unitario e centralizzatore, capace di imporre e far rispettare una sola volontà politica, com'era necessario per assicurare la definitiva vittoria della nuova classe e del suo regime economico, Pretendere la libertà economica invocata da affaristi e speculatori insofferenti delle museruole sanculotte (controlli, calmieri e requisizioni), in una tale situazione di insicurezza, significava votare la rivoluzione alla sconfitta. L'esigenza di un governo forte fu meglio intesa dalla frazione giacobina, sotto lo stimolo proveniente dal basso, dai sanculotti (che naturalmente pensavano di partecipare a tale dittatura rivoluzionaria e rimanervi per poter effettuare riforme più coraggiose), ai quali appunto essa si unì per sconfiggere la maggioranza moderata girondina che aveva già da tempo smarrito il "genio della rivoluzione". E' così provato, ancora una volta, ciò che abbiamo affermato all'inizio di questo lavoro: la mancanza di coraggio e di cosciente decisione della borghesia come classe di fronte all'iniziativa che invece mostrarono costantemente i sanculotti. All'organizzazione della dittatura del Comitato di Salute Pubblica non si pervenne certo in modo facile e liscio (il decreto relativo fu emesso solo il 4/12/1793) Nel tempo stesso che si affrontavano nuove lotte, si legiferava e si provvedeva ad organizzare la vita economica ed a sfamare il popolo. Dei provvedimenti più importanti e più discussi accenneremo a due soli: quello riguardante la leva in massa, in base al quale ogni francese doveva considerarsi in stato di permanente requisizione e che fu varato il 23/8/'93, e quello relativo all'introduzione del calmiere generale dei prezzi - il famoso maximum général - decretato il 29/9/'93, ma solo dopo che i sanculotti parigini avevano accerchiata l'Assemblea chiedendo pane e forzando la Comune ad esigere la generalizzazione del calmiere.

Quest'ultimo, che era sempre stato sollecitato dai sanculotti e sempre osteggiato dai sostenitori dell'economia liberale, divenne una necessità ed uno strumento imprenscindibile per frenare ulteriori aumenti del costo della vita in seguito alle maggiori spese militari che la leva di massa comportava. Come si vede, politica economica-sociale e politica militare divenivano interdipendenti e , se è certo vero che i sanculotti ponevano l'accento più sulla prima, la loro azione rivendicativa usciva dai ristretti limiti dell'interesse corporativo per situarsi nella sfera più generale della politica dello Stato, ed in difesa di quelle strutture economiche che i liberisti vedevano minacciate dal dirigismo statale.

Il 10 ottobre, la Convenzione, dichiarando il comitato "governo rivoluzionario" fino alla pace, gli dava ufficialmente via libera per l'azione da compiere. Da allora, le epurazioni, gli arresti, le condanne e le esecuzioni decise dal tribunale rivoluzionario, si intensificarono a ritmo accelerato. Il 16 ottobre, Maria Antonietta viene ghigliottinata e, il giorno 31, 21 dei 29 deputati girondini arrestati il 2 giugno, subiscono la stessa sorte: il Terrore entra in piena azione. Nel contempo i sanculotti si mobilitano in massa, e sotto la direzione di tecnici e scienziati di ogni branca, organizzano la produzione bellica in vecchie e nuove fabbriche di armi e munizioni, di fonderie, ecc.. Ciò avvenne tanto a Parigi quanto in provincia: per la prima volta si realizza quella che negli Stati moderni si chiama mobilitazione della nazione per la guerra. Lo stesso reclutamento veniva fatto sotto l'impulso dei sanculotti e sotto la direzione dei comitati che presiedevano le Comuni rivoluzionarie. Col sistema poi delle requisizioni si provvedeva all'alimentazione dei soldati, nonché al vestiario ed all'alloggio. Anche i servizi di carriaggio e trasporto dell'esercito, che sotto la monarchia venivano appaltati, vennero infine requisiti.

Spesso l'iniziativa sanculotta precedeva le disposizioni dall'alto. Lo spettacolo della Francia di allora era veramente singolare: da una parte i vandeani ed altri oppositori, dall'altro tutto un fervore di opere in difesa della rivoluzione, per la sua difesa ed il suo trionfo. L'esercito ancora in fase di organizzazione, ed il Terrore, fecero subito fronte alla situazione. La rivolta federalista venne repressa: a Lione, occupata in ottobre, una formidabile repressione annientò ogni resistenza; all'assedio di Tolone, che cadde in dicembre, fece la sua prima comparsa il Bonaparte. Azioni militari ed il Terrore furono pure impiegati per dare un deciso colpo alla Vandea, che però sarà schiacciata definitivamente solo nella primavera del 1794. Contro gli eserciti coalizzati rifulsero ancor più i meriti dell'esercito che si andava rinnovando dalle fondamenta: gli Inglesi sono battuti a Dunkerque, gli Austriaci a Wattignies e in Renania: insomma gli invasori vengono ricacciati dal suolo francese e si torna a liberare più liberamente. Il primo e più importante dei caratteri rivoluzionari dell'esercito è di ordine materiale - la sua potenza numerica: 600.000 uomini nel luglio del 1793, 850.000 nella primavera del 1794 ...

Da essi derivarono altri caratteri oggettivi del tutto nuovi, come ad esempio la democraticità della sua composizione sociale, la quale produceva a sua volta – e nel fuoco stesso della lotta – quadri direttivi della lotta e, fra essi, veri e propri strateghi. La stessa organizzazione dell'esercito, le sue unità tattiche e strategiche, ricevevano la loro impronta fondamentale dalla realtà delle operazioni belliche e nel loro stesso corso. Il lievito rivoluzionario di cui era pervaso il soldato, e la spinta propulsiva che gli derivava da un governo tutto teso verso la vittoria, insieme a qualche condanna di generale sospetto o semplicemente indeciso ed ai controlli dei commissari politici, completavano la necessaria opera di amalgama e disciplinamento dei vari ed eterogenei elementi confluiti dal vecchio esercito regio, dalla Guardia Nazionale, dal volontariato e dalla coscrizione obbligatoria.

Questo insieme di caratteri originali rispetto al passato conferivano all'esercito francese una notevole ed indiscussa superiorità sugli eserciti feudali dei nemici.

II nuovo concetto strategico che rivoluziono l'arte militare venne suggerito a Carnot, che per primo l'applicò, dalla realtà oggettiva. La necessità di vettovagliare le truppe nei luoghi delle operazioni e ad opera delle popolazioni ivi residenti, da una parte consentì una maggior mobilità dell'esercito (perché fu possibile alleggerire carriaggio, viveri ed equipaggiamento del soldato), e dall'altra la impose (per cercare nuove fonti di alimentazione). La maggior mobilità permise a sua volta di riunire forze numericamente superiori a quelle del nemico sul luogo della battaglia. Massività e mobilità furono appunto i due caratteri principali dell'esercito rivoluzionario, e da essi doveva risultare una strategia tipicamente offensiva, opposta a quella cosiddetta di cordone impiegata dai nemici, e che, nell'intento di difendere o attaccare tutto e in egual modo e con la stessa intensità, portava ad un nocivo sparpagliamento delle forze. Lo stesso criterio strategico venne in fondo messo da Napoleone a base della sua arte militare in entrambe le forme tipiche in cui essa si articolava: quella che tendeva a tagliare il nemico (quando si presentava in un'unica massa) dalle sue basi di rifornimento, impegnandolo su un fronte rovesciato, e a quella che invece tendeva a battere una delle formazioni nemiche quando queste si presentavano divise.

Grazie all'opera di questi suoi strumenti - che, ripetiamo fino alla noia, furono voluti e imposti soprattutto dalle masse popolari e dal proletariato slanciato verso la conquista delle sue finalità massime, sebbene confusamente intuite - la grande rivoluzione della borghesia e salva. La vittoria militare di Fleurus del 26 giugno 1794, riapre la via alla riconquista del Belgio, alla penetrazione in Olanda ed alla dissoluzione della coalizione. Così la rivoluzione ha raggiunto il suo obbiettivo più importante: quello della costituzione di una forza su cui contare contro ogni futura minaccia dall'esterno, una volta domata la controrivoluzione interna.

II trionfo della borghesia - La nuova lotta di classe - Ancora sulla questione del potere

Con il comitato di Salute Pubblica la rivoluzione raggiunse il suo punto culminante. A differenza delle due precedenti rivoluzioni borghesi (la Riforma e la Rivoluzione inglese), la rivoluzione francese "venne combattuta esclusivamente sul terreno politico; essa fu pure la prima rivoluzione in cui si combatté realmente sino alla distruzione di una delle parti in guerra, l'aristocrazia, e fino al completo trionfo della altra, la borghesia" (Engels: II socialismo dall'Utopia alla scienza). Ma il raggiungimento di tale traguardo segnerà pure la fine della temporanea alleanza fra Giacobini e Sanculotti, e la fine del potere degli stessi giacobini. Se infatti è vero che, nella Nuova dichiarazione dei Diritti che accompagnava l'ultrademocratica Costituzione del '93 (peraltro mai applicata), Robespierre volle che sparisse l'affermazione esplicita del carattere sacro del diritto di proprietà, tale diritto rimase comunque in piedi. Renderlo nullo come rivendicava la punta proletaria e comunista dei sanculotti, Robespierre non se lo sognava neppure. E nemmeno intendeva mortificarlo ulteriormente (si ricordi la tassa fortemente progressiva sui ricchi). II l8 marzo 1793, la Convenzione decretò la pena di morte contro chiunque proponesse "delle leggi agrarie o qualunque altra misura sovversiva delle proprietà territoriali, industriali e commerciali". L'alleanza dei Giacobini coi sanculotti era stata puramente strumentale in quanto doveva servire a sconfiggere definitivamente la controrivoluzione. Assolto tale compile, i Giacobini non potevano puntare verso le loro mete piccolo-borghesi di democrazia politica ed economica senza annientare sia l'opposizione di sinistra che quella di destra, e lo fecero liquidando prima gli hebertisti, accusati di provocare la fame attentando alle libertà economiche e favorendo indirettamente (nientemeno!!.) la reazione interna ed esterna: il 4 germinale (24/3/1794) Hebert veniva ghigliottinato. Sedici giorni dopo, anche la testa di Danton rotolava per terra, e con essa cadde pure la opposizione di destra di cui il centrista Robespierre si era servito per abbattere la sinistra.

Più espressivi del carattere di classe borghese della dittatura giacobina, che la liquidazione di queste forze politiche e di questi personaggi, sono tuttavia i provvedimenti che all'iniziativa popolare dal basso sostituiscono l'intervento dispotico borghese dall'alto. II centro vitale del sanculottismo e soprattutto della sua ala proletaria erano state le sezioni: esse vengono a poco a poco esautorate. Le "armate rivoluzionarie" a carattere più o meno locale, avevano servito come arma per l'applicazione effettiva delle leggi contro l'accaparramento e per il rispetto del calmiere dei viveri contro l'avidità di grossi contadini e commercianti: ora esse vengono incorporate nell'esercito regolare (perché, come scriveva Lindet, "potevamo forse abbandonare la Francia ad un'armata rivoluzionaria che, simile ad un'orda di tartari, avrebbe riunito nei suoi accampamenti tutte le sussistenze e tutte le proprietà mobiliari della Repubblica?"), oppure relegate a compiti subalterni. Le Comuni ed i comitati locali vengono sottoposti al controllo degli "agenti in missione" rappresentanti diretti del governo centrale, i futuri prefetti napoleonici. Gli stessi sanculotti operanti nelle amministrazioni locali vengono trasformati in esecutori della politica del Comitato di Salute pubblica.

La borghesia aveva capito che la spinta popolare e proletaria dal basso, doveva essere disciplinata perché non riapparisse con essa lo spettro di un attentato alla proprietà e all'ordine costituito, - non aveva minacciosamente proclamato un congresso delle società popolari del Mezzogiorno: "Tutte le volte che il corpo legislativo dichiarerà che la Repubblica, in pericolo imminente, esige misure eccezionali di salute pubblica in materia di sussistenza, allora, e durante questo periodo di crisi, il suolo produttivo e l'industria produttiva della Francia non saranno più considerati che come immense manifatture nazionali, di cui la nazione e usufruttuaria e di cui i proprietari non sono che degli agenti. Conseguentemente a questo principio, la nazione avrà tutti i prodotti a sua disposizione e si incaricherà di distribuire egualmente a tutti gli individui le cose necessarie alla vita"? Infine, bisognava togliere agli "arbitrii" della "plebaglia" l'esercizio della giustizia locale - il terrore periferico - e mettere fine alla campagna di scristianizzazione (che minaccia va di far piazza pulita degli ultimi residui di chiesa costituita) sostituendo al culto tradizionale il culto di Stato della Ragione o dell'Ente Supremo. Cosi, i Giacobini, dopo aver sfruttato l'iniziativa popolare, la mettevano al servizio della centralizzazione borghese, del rafforzamento delle vittorie rivoluzionarie e dello status quo, per impedire che "debordasse" dai "giusti" confini. Rimasti soli al potere, i Giacobini avrebbero potuto "dittare" ancora per molto tempo? Evidentemente no, e per la semplice ragione che il loro programma piccolo-borghese era irrealizzabile. Pretendere di intaccare, senza l'aiuto del proletariato rivoluzionario. Le forze di quel denaro per il cui trionfo la rivoluzione era stata fatta, e che gli stessi Giacobini, meglio del grandi borghesi, avevano servito fino a condurla a termine, era pura illusione.

Il terrore rosso, al punto in cui erano giunte le cose, non era più una necessità assoluta; perciò la caduta di Robespierre era scontata: il 10 Termidoro (27/7/1794) salì il patibolo anche lui.

Ma ciò che si designa col nome di reazione termidoriana non va considerate come una controrivoluzione feudale e monarchica. Si tratta invece di un ritorno alla realtà degli interessi di classe della grande borghesia commerciale, industria le e rurale, che ora vuole godere i frutti della rivoluzione da essa iniziata e che altre classi avevano portato a termine. Si tratterà però essenzialmente di frutti più economici che politici. Era infatti del tutto illusorio pensare che, in condizioni ancora obbiettivamente difficili, i rappresentanti di tali ceti potessero riuscire a governare entro i limiti del liberalismo sancito dalla Costituzione del 1795, ancor più antidemocratica di quella del 1791.

La politica inaugurata dai termidoriani e continuata poi dal Direttorio, tesa appunto a riprivatizzare quel poco che era stato nazionalizzato (fabbriche di armi, forniture e trasporti dell'esercito, ecc.) e ad eliminare i controlli sugli accaparramenti di derrate, sugli agiottatori e speculatori vari, doveva presto mostrarsi fallimentare a causa di nuove crisi e di nuove lotte in seno ai gruppi della borghesia, di cui cercarono più volte di approfittare i nostalgici realisti (esempio, l'insurrezione monarchica del 5/10/1795). Alla base di questa instabilità del potere stava essenzialmente una ragione nuova. Dopo un periodo di demoralizzazione, la classe operaia, alla testa di tutti gli altri ceti popolari, aveva ripreso la sua lotta. E questa lotta non aveva più i vecchi nemici feudali da combattere. I nuovi padroni sfruttatori, quelli che hanno il potere nelle mani, sono ora i borghesi, e perciò la lotta di classe che si combatte è quella essenzialmente moderna: fra proletariato e borghesia. Per quest'ultima la "Cospirazione degli Uguali o di Babeuf" del 1796, di cui parleremo fra breve, sarà un campanello di allarme.

La borghesia si era dunque cacciata in una situazione veramente difficile e paradossale. Per beneficiare dei frutti della rivoluzione, aveva dovuto abbattere la dittatura giacobina. Ora si accorge che la libertà economica da essa pretesa per meglio sfruttare il lavoro altrui, non la può avere che alla condizione di stabilire un governo forte. E per questa bisogna, non c'è che una sola strada aperta: quella della dittatura militare. Ad essa dunque la borghesia è costretta ad affidare l'esercizio del potere in nome dei suoi interessi di classe. Così, governo politico ed esercito, questi due aspetti del potere si fondono ancor più intimamente e, dopo il colpo di stato del 18 Brumaio (9/11/1799) si accentrano nelle mani di Napoleone Bonaparte, il quale, sull'onda delle sue vittorie, potrà consolidarlo e trasformarlo in Impero.

Come già un tempo, la monarchia assoluta aveva occupato una posizione di arbitro fra nobiltà e borghesia, così il nuovo monarca assoluto, l'imperatore Napoleone I, finirà per svolgere lo stesso ruolo in una situazione di quasi-equilibrio tra le nuove classi in lotta: la borghesia ed il proletariato alla testa delle forze popolari.

La "Congiura degli Uguali"

Abbiamo già accennato alle disastrose condizioni economiche si erano prodotte con l'avvento della reazione termidoriana e del Direttorio. La liberalizzazione dell'economia, anziché far riapparire più abbondantemente le merci, come avevano sostenuto i portavoce degli affaristi, le fece rincarare assai di più, aumentando la fame dei lavoratori e le ricchezze dei già ricchi. Ma la sensazione del vuoto allo stomaco trasse nuovamente il popolo dallo stato di passività e di abbandono in cui era caduto dopo la tragedia di Termidoro dello Anno II. La punta più avanzata dei sanculotti, costituita da veri proletari, si risveglia e riprende la lotta aperta contro lo Stato dei nuovi padroni, i borghesi. La lotta, in un primo momento confusa e disordinata, man mano che procede chiarisce sempre più i propri obbiettivi di classe.

Già il 1° aprile 1795 (germinale), quando la razione del pane distribuito era stata ridotta della metà, una folla di digiuni aveva invaso la sala della Convenzione termidoriana: sembrava di essere tornati all'inverno del 1793, al tempo degli Arrabbiati; tutto si era ripetuto, quasi allo stesso modo. Era la rottura fra l'avanguardia proletaria ed il governo borghese. Ma il tentativo insurrezionale fallì. Esito ancora più infelice ebbe il successivo tentativo di pratile dell'Anno III (12/6/1795): gli insorti legiferarono bensì nella Convenzione, ma non pensarono a mettere le mani sul governo. Invano un negro, Delorme, diede l'ordine di far fuoco coi cannoni puntati sulle Tuileries. I Termidoriani si mostrarono concilianti verso la sedizione e promisero di applicare la Costituzione del 1793. Non era che un enorme inganno per far rientrare gli insorti nei loro sobborghi e per scatenare subito dopo il Terrore Bianco con l'aiuto della gioventù dorata, cioè dei figli dei ricchi borghesi. La repressione fu feroce: 10.000 sanculotti furono arrestati ed i loro umili capi morirono sul patibolo. Fra essi il negro Delorme: per la prima volta il sangue di un uomo di colore si mischiava a quello dei suoi fratelli bianchi.

Ma la lotta non è mai sterile. Dopo di aver lottato per abbattere il feudalesimo e per aiutare la borghesia rivoluzionaria a difenderla contro la reazione interna ed esterna, i proletari dirigevano ora i loro colpi contro la borghesia al potere. Più che mai, questi ultimi moti partirono da posizioni autonome di classe; più che mai l'esigenza di un programma fu avvertita come il più importante elemento della forza fisica che permette di vincere. La sua elaborazione prende dunque posto nella questione militare.

Infatti, il comunismo di Babeuf maturo appunto in queste lotte ardenti e prese corpo nelle prigioni che pre e post termidoriani gli inflissero. Sulla base di una critica radicale dei risultati della rivoluzione francese, si delinearono le prime vere rivendicazioni di classe del proletariato: "la rivoluzione francese non è se non il preludio di un'altra rivoluzione, ben più solenne e che sarà l'ultima". Si capì che la rivoluzione aveva portato al trionfo la borghesia e che una nuova rivoluzione, l'ultima, doveva succedere ad essa: la rivoluzione proletaria. E quel che più sorprende in Babeuf è che egli giunse a capire perfettamente l'esigenza della dittatura proletaria come necessario periodo di transizione per giungere alla meta della "comunione dei beni e del lavoro". II legame che egli stabilì con la classe proletaria gli permise di abbandonare il primitivo terreno dell'Utopia, e lo trasformò in vero militante di partito. "II tribuno del popolo", il giornale di Babeuf, divenne col tempo stesso più battagliero, intransigente e classista, e negli ultimi numeri anticipò alcune conclusioni cui perverrà, cinquant'anni dopo, il "Manifesto dei Comunisti".

Le leggi sul maximum dei prezzi e sull'approvvigionamento avevano trovato il loro limite nella proprietà privata: "i frutti devono essere di tutti, la terra di nessuno". L'economia e la società borghese si basano sulla concorrenza, ma "la concorrenza, invece di mirare alla perfezione, sommerge i prodotti coscienziosi sotto un cumulo di prodotti ingannevoli, immaginati per abbagliare il pubblico... essa si limita a dare la vittoria a colui che ha più denaro e, dopo la lotta, non porta ad altro che al monopolio nelle mani del vincitore", mentre nella società futura "tutto sarà appropriato e proporzionato ai bisogni presenti ed ai bisogni previsti secondo l'accrescimento probabile e facilmente prevedibile della comunità. La scienza dell'amministrazione, che 1'attrito di tanti interessi contrari rende così spinosa, si ridurrà, mediante la comunione dei beni, ad un calcolo che non è al di sopra delle capacità dei nostri più inetti mercanti ... Le ambizioni personali saranno necessariamente limitate quando avremo conosciuto il segreto di incatenare il destino, quando non avremo più inquietudini né sul nostro avvenire ad ogni epoca della nostra vita, né su quello di tutti coloro ai quali dobbiamo la luce del giorno".

Molto è stato scritto sull'opera di questo grande rivoluzionario, in primo luogo da Filippo Buonarroti che, con lui, organizzò la Cospirazione degli Uguali (questo è pure il titolo dell'opera che scrisse nel 1828) e con lui fu arrestato il 10/5/1796. Non è questa la sede per una critica alla letteratura esistente in merito. Basti qui dire che, lucidissimo nell'anticipare la dottrina comunista, Babeuf esitò - ma non poté non esitare – di fronte al passo supremo di un'azione del solo proletariato parigino. Come scrisse il Buonarroti, "il direttorio segreto arretrò di fronte all'idea di far nominare dagli insorti parigini l'autorità provvisoria alla quale bisognava necessariamente affidare il governo della nazione"; temendo di isolarsi dalle masse cerco un'alleanza con i montagnardi illudendosi che anch'essi aspirassero alla "distribuzione uguale dei carichi e dei godimenti", e questa tattica di alleanze con gli altri oppositori del Direttorio (in gran parte elementi giacobini del Club del Pantheon, poi chiuso dal Bonaparte il 28/2/1799) non poteva non portarlo ad accettare un oneroso compromesso: un programma robespierrista di ritorno alla Costituzione del 1793 con la sua "assemblea romana".

Egli giustificò questo che fu certo un errore con la necessità di legarsi alle grandi masse: "L'hebertismo non è che a Parigi e in una piccola cerchia di uomini... II robespierrismo è in tutta la Francia". Noi sappiamo invece che l'insegnamento della rivoluzione era stato il contrario: e Robespierre che per legarsi alle masse rivoluzionarie aveva accettato il programma dei partiti in cui meglio si esprimevano i loro interessi, cioè gli hebertisti e gli Arrabbiati.

Questo errore, che sarà purtroppo ancora tragicamente ripetuto nel futuro, anziché legare le masse al partito, le consegnerà ai suoi alleati piccolo-borghesi e borghesi. Con ciò non si vuole certo affermare che un programma diverso avrebbe senz'altro portato alla vittoria e stabilire o quella che chiamiamo dittatura democratica rivoluzionaria o perfino una dittatura proletaria e socialista: mancavano per questo le condizioni materiali favorevoli, "condizioni le quali non possono essere che il prodotto dell'epoca borghese" (Marx). Diciamo subito che, perdendo la propria autonomia nel compromesso, il partito purtroppo aggiunge una ragione in più per essere sconfitto in partenza. Carnot, che aveva già liquidato Robespierre, agì con fredda determinazione. Servendosi di una spia che era riuscito ad introdurre fra gli Eguali, egli poté arrestare Babeuf, Buonarroti, Germain, Darthe ed altri. capi, e dar mano ad una nuova e violenta repressione di tutte le forze democratiche e di sinistra. Con l'odioso processo di Vendôme, Babeuf è condannato a morte il 27 maggio 1796 e, dopo pochi giorni, sale eroicamente il patibolo. Ma - è stato scritto - "la lama della ghigliottina ha tagliato, a Vendôme, qualcosa di più della sua testa: ha dato espressione drammatica al taglio violento di una classe dai ceti nei quali era ancora inglobata, e da una società nella quale continuava a vivere". Seppure la classe operaia non se ne rese subito conto, questo episodio cruciale "aveva fatto sbocciare l'idea comunista che Buonarroti, l'amico di Babeuf, reintrodusse in Francia dopo la rivoluzione del 1830" (Prefazione alla Critica dell'economia politica di Marx). Nel 1836, un gruppo di lavoratori tedeschi rifugiati a Parigi, la "Federazione dei Giusti" riprese il messaggio e lo trasmise allo avvenire.

La costituzione di un embrionale partito comunista durante la rivoluzione francese fu un fatto essenziale della stessa ed un prodotto dell'esercizio della violenza nel suo corso. Bisognerà attendere il 1848 perché il movimento spontaneo di costituzione del proletariato in classe e quindi in Partito sia teorizzato con la sintesi superiore dell'esperienza delle lotte in Francia, Inghilterra e Germania.

Sarà l'anno del Manifesto: l'anno della teoria e della prassi del proletariato rivoluzionario.

Fase dell'organizzazione del proletariato in Partito (Inghilterra). Premessa

Nella riunione di Firenze (novembre '63), di cui abbiamo dato i resoconti su questo giornale, si è mostrato il ruolo storico della violenza rivoluzionaria del proletariato durante il grande svolto della Rivoluzione francese. II suo prodotto più importante fu il distacco del proletariato dalla borghesia trionfante al cui fianco aveva combattuto in una serie di memorabili "giornate" sostenendone il peso maggiore costituendone la forza motrice, contro le forze reazionarie interne ed esterne. Durante lo stesso processo di sviluppo della lotta armata e attraverso i suoi risultati, soprattutto sul piano politico, il proletariato andò via via acquisendo una più chiara coscienza di classe e una più netta visione dei suoi destini storici. Di qui la sua finale contrapposizione anche alla borghesia, che dei suoi sacrifici sanguinosi aveva raccolto i frutti.

Di qui dunque il suo tentativo di organizzazione autonoma: la nascita del partito di classe col programma sostanzialmente comunista di Babeuf.

Nell'ultima riunione tenuta a Milano nello scorso aprile, abbiamo svolto lo stesso tema del ruolo della violenza ai fini della costituzione del proletariato inglese in "classe per sé", da completarsi prossimamente con il proletariato tedesco. La sintesi dei risultati dei movimenti operai dei tre paesi più avanzati dell'Europa occidentale: Inghilterra, Francia e Germania, troverà la sua affermazione definitiva nella nascita storica del socialismo scientifico di Marx, ovvero del partito mondiale della classe operaia. Alla coscienza di "classe per sé", cioè alla sua teoria ed al suo programma storico, il proletariato perviene attraverso le sue stesse lotte che, è vero, hanno la stessa causa determinante ma rivivono un'impronta diversa a seconda delle condizioni ambientali e storiche dei vari paesi.

Lo studio della "questione militare", che è per noi - fra l'altro - lo studio del ruolo della violenza rivoluzionaria della storia per gli insegnamenti da trarre ai fini della rivoluzione comunista, e, in primo luogo, la ricerca dei più diretti motivi propulsori della guerra di classe.

E, per trattare della guerra di classe che il proletariato ingaggia contro la borghesia, non c'è mezzo migliore che addentrarsi nella situazione della classe rivoluzionaria ove questa e sorta per prima con le sue caratteristiche moderne.

Nella prefazione del 1845 a "La situazione della classe operaia in Inghilterra", Engels parla così in generale: "La situazione della classe operaia è il terreno reale ed il punto di partenza di tutti i movimenti sociali del nostro tempo, poiché è la punta più alta e più evidente della nostra miseria sociale. II comunismo degli operai francesi e tedeschi è il suo prodotto diretto: il fourierismo ed il socialismo inglese, come pure il comunismo della borghesia colta tedesca, ne sono il prodotto indiretto".

Ma l'Inghilterra non è stata solo, come banalmente si crede, il modello per la descrizione scientifica del modo di produzione capitalistico da parte di Marx: è stata soprattutto il modello della lotta del proletariato per distruggere la società borghese.

Se per "questione militare" intendiamo soprattutto quella che riguarda la lotta rivoluzionaria delle masse oppresse, organizzate o no in veri e propri eserciti, non è detto che questa lotta sia rivoluzionaria solo quando assume l'aspetto violento con impiego di armi e versamento di sangue. Come la "guerra fredda" (o la sua attuale variante di "coesistenza pacifica") e la "guerra calda" degli imperialismi moderni sono strumenti complementari della lotta contro il proletariato mondiale per tenerlo ancora soggetto e prolungare un infame regime di sfruttamento, così la lotta che il proletariato conduce in tempo di "pace" e con mezzi "pacifici" contro la borghesia, è anch'essa efficace e di grandi risultati come la lotta svolta in modo rivoluzionario. L'Inghilterra, nel periodo storico da noi preso in esame, è appunto teatro di una lotta in cui il mezzo pacifico mostra altrettanto bene la frattura che si va delineando fra classi nemiche e non va quindi per nulla confuso con la "via legalitaria" dei vecchi revisionisti e dei falsi marxisti di oggi. I Cartisti l'avevano capito ancor prima che nascesse il socialismo di Marx.

Modello francese e modello inglese

Engels in un articolo del "New Moral World" di Owen del 4/11/1843, dice che in Francia ogni trasformazione dal 1789 è venuta grazie alla violenza: "Tutte le Costituzioni, dalla democrazia radicale al dispotismo aperto, e tutte le leggi possibili sono state, dopo una breve esistenza, messe da parte e rimpiazzate da altre".

La nozione che lo Stato, nella realtà sociale, agisce come violenza organizzata della classe dominante e quindi chiara al proletariato francese come a nessun altro; perciò il comunismo francese, a cominciare da quello di Babeuf, ha radici (immediate e dirette) essenzialmente politiche; i proletari francesi, dice Engels nell'articolo citato: "sanno che ciò che sono lo devono alla violenza ed essi rispondono con violenza alla violenza... L'esperienza da essi fatta sotto la democrazia, di cui la Francia è la patria, ha insegnato loro che essa, come qualunque altra forma di governo borghese, deve essere fatta a pezzi... La libertà politica non e che una sembianza di libertà ed è la peggiore forma di schiavitù".

Sempre nello stesso articolo, parlando dell'Inghilterra, Engels scrive che "da 150 anni (dal 1688 - NdR) la Costituzione inglese è senza interruzione la legge del paese: ogni cambiamento vi è ottenuto con mezzi legali e realizzato in forma costituzionale. Ciò spiega come gli Inglesi abbiano una così alta idea delle loro leggi... Questa reverenza verso la legge e lo Stato trova la sua spiegazione in determinati fattori storici. La borghesia inglese, dopo la sua prima rivoluzione cruenta nel 1648 e dopo la breve parentesi di restaurazione stuardista, poté insediarsi al potere in modo pacifico con la "gloriosa rivoluzione" del 1688. La nobiltà terriera si era ormai convertita in gran parte alla nuova religione del mercantilismo e del denaro, e da "feudale" era divenuta o stava divenendo ormai tutta moderna". In parole povere, essa si attivizzava negli affari della produzione agricola e poi anche del commercio, e non rimaneva oziosa come quella francese. Ciò permise la sua alleanza con la borghesia e, grazie ad essa, l'aristocrazia terriera poté conservare nelle sue mani molte leve del potere politico e continuare a svolgere molte di quelle funzioni pubbliche di amministrazione locale e centrale che in Francia erano invece demandate a funzionari statali. Grazie ancora a questo compromesso politico, alla borghesia fu possibile "trasformare senza rivoluzione e con mezzi conciliativi la monarchia assoluta in monarchia borghese" (Marx). In Francia, come si sa, la borghesia, per trasformare il re reazionario in roi bourgeois (Luigi Filippo), dovette invece fare una nuova rivoluzione: quella del luglio 1830.

Ma, come vedremo, anche in Inghilterra l'operaio finirà per deporre il rispetto per la santità della legge: segno che è diventato rivoluzionario. Ma come perverrà a comprendere che "la legge è per lui una sferza fabbricata dal borghese" ed a sfidare il bastone del poliziotto che in fondo è il bastone del borghese? Non lo imparerà dalla politica, come è avvenuto per il sanculotto ed il proletario francese: lo apprenderà dall'economia, e quando è già un proletario nel senso più completo e moderno... Con la soppressione dell'antico artigianato, con l'annientamento della piccola borghesia, è stata tolta all'operaio ogni possibilità di diventare egli stesso un borghese. Fin allora egli aveva sempre la prospettiva di potersi sistemare in un posto qualsiasi come maestro artigiano stabile e di poter forse assumere, col tempo, dei garzoni; ora che gli stessi maestri venivano soppiantati dagli industriali, ora che per gestire un'azienda indipendente erano necessari i grandi capitali, ora soltanto il proletariato divenne una classe reale e stabile della popolazione, mentre prima non rappresentava che uno stadio di passaggio verso la borghesia. Ora colui che nasceva operaio non aveva altra prospettiva che seguitare a vivere come un proletario per tutta la vita. Ora soltanto il proletariato fu dunque in grado di intraprendere movimenti autonomi".

Dicendo che l'operaio inglese acquista coscienza "dall'economia", vogliamo dire dalla violenza propria dei fatti economici, connaturata cioè alle leggi del modo di produzione capitalistico, e dalla violenza extraeconomica dello Stato che, con la sua legislazione sanguinaria e con ogni altro mezzo di coercizione, si adopera per diffondere il nuovo modo di produzione.

In ciò anche diremo in seguito chiariremo ancor meglio le differenze fra i due "modelli", l'inglese ed il francese, ma per ora ci preme rilevare che la storia del movimento operaio nei due paesi, non si svolge senza influenze reciproche. Al contrario: le lotte e la violenza rivoluzionaria del proletariato francese contagiano il proletariato inglese, e viceversa. In genere, ogni rivoluzione in Francia ha avuto il suo contraccolpo in Inghilterra, dove però, disgraziatamente, il rapporto di forze non ha permesso ai proletari di dare l'"assalto al cielo".

La "borghesia inglese ha saputo intervenire in tempo e, attraverso concessioni varie, ha gettato acqua nel fuoco prima ancora che esso assumesse dimensioni pericolose. Come vedremo, ciò è accaduto sia durante la Grande Rivoluzione che durante quelle del 1830, 1848, ecc.

Esperienze di lotta del proletariato durante il movimento democratico

La rivoluzione industriale iniziata in Inghilterra dopo la meta del l8° secolo non fu solo una rivoluzione tecnica: l'economia e la composizione sociale della popolazione ne furono profondamente modificate. La richiesta di "liberi lavoratori" da parte dell'industria nascente accelerava e portava a termine la rivoluzione agricola iniziata molto prima. Un enorme numero di produttori indipendenti della campagna e della città vennero così trasformati in salariati.

Di contro alla miseria di costoro stavano gli industriali arricchiti: la loro proprietà borghese fondata sullo sfruttamento del lavoro salariato si era costituita a spese della proprietà privata fondata sul lavoro personale.

Ma alle aumentate forze produttive ed alla diversa ripartizione sociale della ricchezza non s'accompagnò nessun cambiamento nelle strutture politiche. II potere restava diviso fra le vecchie classi formate da grandi proprietari terrieri e da ricchi armatori e finanzieri della City. La nuova classe dei capitalisti industriali ne restava esclusa e ciò doveva condurre presto o tardi alla fine della vecchia stabilita politica come avvenne infatti quando iniziò l'agitazione per le riforme democratiche. Come sempre, dalla Grecia antica in poi, la democrazia è richiesta dai ceti sociali che hanno già raggiunto una potenza economica e intendono farla progredire afferrando una parte del potere politico. In questo caso però, la parola d'ordine della democrazia e ancora una parola d'ordine rivoluzionaria. II capitale industriale, forma più avanzata del capitale produttivo, reclamava dunque di essere rappresentato in parlamento. Occorreva un completamento della rivoluzione politica borghese che, come sappiamo, aveva avuto in Inghilterra due momenti - uno cruento nel 1648 ed uno pacifico nel 1688.

II terzo momento si concluderà nel 1832. Alla lotta politica ingaggiata dagli industriali per ottenere gli stessi diritti degli altri borghesi al maneggio di quelle che Marx chiama le leve violente dello Stato, il proletariato da il suo contributo e fa le sue prime e preziose esperienze di lotta per conoscere il suo "compagno di strada", e imparare, attraverso i suoi stessi sacrifici, che la sua liberazione dallo sfruttamento del vecchi e nuovi padroni deve essere opera esclusiva mente sua. Gli operai partecipano alle lotte democratiche nella speranza che ogni loro risultato positivo porti a migliorare le condizioni di enorme miseria in cui la forza coercitiva delle leggi economiche e la forza extra-economica dell'apparato statale li hanno cacciati: la "marry England" di un tempo era ormai solo un pallido ricordo.

Non ricorderemo qui tutti gli episodi di questa lunga battaglia che, a cominciare dalla sommossa del 10/5/1768, in cui portuali di Londra sostennero la parte più importante, va fino

all'approvazione del Reform Act del 1832. Ci preme rilevare però che ognuno di questi episodi di lotta, in cui vi è stato impiego della violenza rivoluzionaria proletaria, ha avuto una funzione acceleratrice del processo storico già in corso. Più gli urti erano violenti, più la borghesia industriale si rafforzava politicamente, mentre all'interno stesso delle forze conservatrici e tradizionali del partito tory e del partito whig prendeva piede e si allargava quella scissione che un giorno ne cambierà addirittura il volto. Come in ogni processo rivoluzionario, attraverso lo sviluppo dialettico della lotta - articolantesi in offensive del movimento democratico-popolare e in repressioni da parte delle forze opposte - lo slittamento a sinistra di certe forze radicali borghesi e del proletariato precede verso traguardi sempre più avanzati. Ma il processo di sviluppo della coscienza rivoluzionaria del proletariato si potrà meglio comprendere ricordando che gli industriali osteggiati politicamente erano in fondo quelli che più di tutti beneficiavano economicamente di ogni legge dello Stato, in primo luogo delle leggi dirette contro le prime organizzazioni sindacali nate spontaneamente dal seno stesso dell'industrialismo.

Alti e bassi del radicalismo borghese: altri insegnamenti per il proletariato

A) - 1789/1815.

Parlando delle lotte democratiche o di quelle più propriamente proletarie inglesi, non si può ignorare l'influenza su di esse esercitata dalle lotte rivoluzionarie all'estero.

La guerra di indipendenza americana dette il primo avvio allo sviluppo delle idee e dei movimenti democratici sviluppando i germi diffusi dal "non rispettabile" Wilkes (come è definito da Trevelyan questo riformatore borghese che aveva guidato la violenta sommossa del 1768).

La rivoluzione francese naturalmente influì in modo ancor più decisivo sugli avvenimenti interni dell'Inghilterra e sul suo giacobinismo.

Quest'ultimo ebbe un momento di euforia in coincidenza del "periodo bello" della rivoluzione francese, e già fece udire i primi scricchiolii del monopolio politico delle vecchie classi. Ma col "periodo brutto" della caduta della monarchia francese dello sviluppo della violenza in Francia, i borghesi che avevano fin allora guidato il movimento democratico, furono presi da sgomento, e non solo abbandonarono la lotta contro l'aristocrazia e la corona, ma passarono a far blocco con queste forze del privilegio mettendosi a disposizione del governo tory di Pitt, vero governo di guerra all'interno e all'estero.

Ma questa ritirata degli industriali o dei loro rappresentanti democratici è un vero monito, un nuovo insegnamento per gli operai, che vanno convincendosi sempre più che gli scopi perseguiti dagli industriali non coincidono affatto con i loro interessi: per quelli la riforma del vecchio sistema parlamentare e lo scopo finale della. lotta, mentre per i proletari dovrebbe essere solo un mezzo, se non per abolire il salariato (cui ancora non pensano) almeno per alleviare i mali più gravi del nuovo modo di produzione capitalistico, quali la forte concorrenza fra lavoratori, la troppo lunga giornata di lavoro, i terribili effetti delle crisi ricorrenti, ecc..

Sul terreno della lotta democratica in Inghilterra, non restavano quindi alleati agli operai che pochi giacobini della piccola borghesia. Tra le organizzazioni politiche del radicalismo borghese (per esempio la "Società degli amici del popolo") e quelle del radicalismo delle "classi inferiori" (es. la "Società di corrispondenza di Londra" fondata per iniziativa di alcuni operai nel 1792), vediamo infatti realizzarsi frequenti alleanze nella lotta armata contro le forze nemiche interne che non cessano la loro opera di persecuzione. E' durante questo periodo che si hanno le più pesanti misure repressive: salvo le condanne a morte e il sangue, ogni forma di violenza viene adoperata, e non è eccessivo parlare di terrore anche se trattasi di "terrore freddo". A cominciare da Tom Paine, il democratico inglese autore dei "Diritti dell'uomo", e dai leaders politici (es. T. Handy) ed ai più oscuri proletari, tutti furono attaccati, processati, deportati - non importa se la loro attività era più o meno pacifica e più o meno legale. Notevoli le repressioni del 1791 e 1792 a Birmingham, centro di intensa attività sindacale e politica. Memorabile la sommossa del 1795 al grido di "abbasso il Re" e "abbasso il governo", e quella degli "Irlandesi Uniti" del 1798, tutte represse con largo impiego di forze militari.

La brutalità con la quale venivano osteggiate e respinte anche le più semplici e pacifiche richieste era un altro fatto che insegnava ai proletari che il solo mezzo idoneo per raggiungere i loro scopi era l'insurrezione armata. II punto culminante di questa fase di lotte sindacali e politiche era raggiunto nel 1799, quando con i Combination Acts del governo tory si mettono fuori legge e le società di corrispondenza e ogni altra combination o coalizione. Naturalmente, se in teoria la legge vietava anche le organizzazioni degli industriali, in pratica queste avevano libero campo.

E' indiscutibile che queste misure eccezionali dettero un rude colpo al movimento sindacale e politico-democratico. Ma ciò non bastò a spegnere le lotte. Sotto la spinta della fame, dovuta anche allo sforzo bellico inglese contro la Francia rivoluzionaria giacobina e napoleonica, gli operai non disarmarono; cambiarono le forme di lotta per adattarsi alle nuove condizioni di clandestinità. Quando non è più permesso di organizzare e di appoggiare uno sciopero, occorrono altri mezzi per far resistenza ai padroni: di qui la tattica del sabotaggio della produzione e del sabotaggio delle macchine attraverso le organizzazioni segrete dei luddisti che agirono soprattutto fra gli anni 1811/1814.

Come si vede, la classe operaia, già sperimentata nella lotta legale e pacifica, si va forgiando anche in quella illegale e violenta. E tutte queste esperienze sono altrettante "scuole di guerra", come Engels le chiama, ed il loro valore ai fini della costituzione in "classe per sé" del proletariato è inestimabile.

Altri insegnamenti per il proletariato

B) 1815/1832.

Con la sconfitta di Napoleone e la creazione della Santa Alleanza nel continente europeo, l'aristocrazia terriera si sentì più forte e con la legge sul grano fatta varare nel 1815 volle assicurarsi la rendita fondiaria al più alto livello possibile. Ma questo protezionismo urtava contro gli interessi del profitto degli industriali, la cui reazione non poteva mancare. Ma come - ragionavano essi -: dopo i servigi che vi abbiamo resi per tenere a bada il proletariato interno dal 1789 al 1814, voi proprietari terrieri ci pagate con questa moneta? Ora la situazione è mutata: ora possiamo tornare a fare i rivoluzionari riprendendo le vecchie rivendicazioni democratiche e le lotte per vederle soddisfatte ed al solito bagaglio ideologico aggiungeremo un nuovo "ideale", quello del "libero-scambismo", che ha un senso pratico non solo per noi, ma per il proletariato e per tutto il popolo. Con questa nuova religione gli industriali iniziarono la lunga lotta nella quale "gli operai avrebbero dovuto togliere le castagne dal fuoco e bruciarsi le dita per il bene della borghesia". Gli obbiettivi fondamentali a base di essa erano dunque il Reform Bill (cioè il disegno di legge per la riforma parlamentare) e l'abrogazione della Corn Law (cioè la legge sul grano). Ma come fare dei passi avanti senza prima aver abrogati i Combination Acts del 1799 che proibivano soprattutto le associazioni operaie. Questo terzo obbiettivo venne quindi messo avanti agli altri due, e mobilitò la classe operaia direttamente interessata ad ottenerlo perché, con il suo raggiungimento, avrebbe potuto difendere anche i suoi interessi immediati come il salario e le condizioni di vita nelle fabbriche. Così, in questo intrecciarsi di interessi, tra la parte della borghesia ancora esclusa dal potere e gli operai si riapre un periodo di lotta che vede schierati in campo i migliori elementi della borghesia radicale come Cobbet ed i più attivi organizzatori operai come J. Gast, Daherty, ecc.. Ma al nuovo fervore di propaganda e di lotta (comizi, marce per presentare petizioni, per soccorsi ai poveri e per la riforma, per la riforma, manifestazioni varie spesso sfocianti in tumulti violenti) il governo rispose con altre repressioni sanguinose, con altre leggi liberticide ( i "Six Acts") e con la sospensione nel 1817 dell'Habeas Corpus ossia di ogni garanzia di libertà personale e della inviolabilità del domicilio privato.

Con l'anno 1819 l'atteggiamento reazionario del governo tory raggiunse il suo culmine: a Peterloo, presso Manchester, una folla di 60.000 persone presenti ad un comizio viene caricata dalla cavalleria che causa 14 morti e molte centinaia di feriti e di arrestati (il radicale Hunt, fra questi). Ma, dopo queste leggi eccezionali e questi atti di aperta violenza, la situazione si inasprisce tanto che il governo è costretto a mutar rotta e ad iniziare una politica più "illuminata". Un nuovo indirizzo politico doveva quindi essere inaugurate anche nel campo della politica estera.

Nella continua corsa verso il dominio del mercato mondiale, l'Inghilterra fu costretta a dare il primo colpo al sistema della Santa Alleanza di cui faceva parte, quando si oppose ad intervenire in America Latina, dove le colonie spagnole e portoghesi si erano ribellate, e quando favori l'indipendenza della Grecia dall'Impero Ottomano. Come si vede, entrambe le lotte all'interno e all'esterno, dal 1822 spingono gli elementi della stessa classe al potere, verso un indirizzo più liberale: e il frutto della violenza rivoluzionaria. Giungiamo così all'anno 1825 in cui matura un nuovo importante frutto di cui facciamo cenno con le parole di Marx (III vol. del Capitale - Libro I - pag. 199 - Editori Riuniti): "Le atroci leggi contro le coalizioni sono cadute nel 1825 di fronte all'atteggiamento minaccioso del proletariato".

Così raggiunto uno dei suoi tre obiettivi (a dire il vero nemmeno in modo completo, come Marx avverte), il proletariato inglese ed il movimento radicale borghese puntano ora verso la riforma parlamentare.

Con l'abrogazione delle leggi contro le coalizioni, il movimento sindacale e l'agitazione politica riprendono in modo quasi esplosivo e le idee socialiste di Owen e seguaci (Hedskin, Gray, ecc.) le quali, penetrando fra le masse, vanno perdendo il carattere utopistico ed astratto impresso loro dagli autori (filantropi di origine borghese in genere) per acquistare un contenuto pratico e sociale suscettibile di imprimere una nuova spinta al proletariato che si andava organizzando. .

"Si cercò di unire in una sola grande associazione per tutta l'Inghilterra gli operai di uno stesso mestiere e parecchie volte - per la prima nel 1830 - si tentò di fondare un'associazione generale degli operai di tutto il regno".

L'associazione di cui parla Engels è la Associazione Nazionale per la Protezione del Lavoro (v. Dolleans, "Storia del movimento operaio" e "Storia del movimento operaio inglese", Einaudi) che raggruppa in breve tempo 1.500 Unioni di mestiere ed ha il suo giornale - La voce del popolo - che, sotto l'impulso dei suoi attivi organizzatori (Owen, Doherty, Fielden) si batte per la giornata di lavoro di 8 ore e, pertanto, è additata come pericolo pubblico dall'allora ministro agli interni Sir R. Peel.

Sempre nel 1830 nasce la Unione politica di Birmingham che presto si diffonde per l'intera nazione. Trattasi di un movimento politico democratico-borghese di cui i dirigenti della Unione nazionale delle classi lavoratrici (N.U.W.C.) creata nell'aprile 1831 - Lowett in testa - inviteranno gli operai a diffidare sul loro giornale II difensore del popolo. Ed era naturale che così fosse, quando si pensi che, per bocca del riformatore borghese F. Place, quel partito radicale manifestava apertamente la sua natura antiproletaria e la demagogia e illusorietà dei suoi scopi (si pretendeva di far :" funzionare in modo ideale la macchina statale del profitto senza suscitare lotte si classe, senza provocare miseria). II Place si augurava che il governo approvasse quella riforma elettorale che, prevedendo solo la sostituzione del censo monetario a quello terriero, assicurava l'entrata in parlamento dei soli industriali, garantendo l'esclusione dei rappresentanti della classe operaia, che si batteva invece per il suffragio universale; e soleva dire che il successo del Reform Bill avrebbe evitato la rivoluzione auspicata e propugnata dagli operai.

Pur riconoscendo nettamente che il Reform Bill proposto dalla ricca borghesia industriale e per loro una vera e propria burla, gli operai non hanno ancora la forza di reagire con vigore e di impostare una lotta conseguente ed autonoma. Occorreranno per questo ancora nuove delusioni e nuovi sacrifici. Per ora, influenzati come sono dai timidi elementi piccolo-borghesi che pullulano nelle loro organizzazioni, essi non possono che seguire le direttive dei vari Cobbett di "appoggio critico" alla riforma di Place. Così, ancora una volta, le lotte degli operai e dei "rotundisti" (gli organizzati nella N.U.W.C.), durante la violenta agitazione del marzo l832, fruttano solo alla borghesia: il 14/3/1832 il Reform Bill viene finalmente approvato.

Non è inutile ricordare qui che la Camera dei Lords non cedette solo per la minaccia diretta del proletariato inglese istruito dal Difensore del povero sulla tecnica di combattimento sui sistemi più pratici per allestire barricate. Questa minaccia ebbe il suo effetto perché l'aristocrazia era stata a sua volta istruita e messa in guardia da altri fatti come:

l) la violenta pressione delle masse irlandesi che già nel l829, guidate da D. O'Connell, erano riuscite a far abrogare quel Test Act che impediva agli irlandesi, in quanto cattolici, di accedere alla Camera dei Comuni e di esercitare qualunque ufficio pubblico; e la parigina Rivoluzione di Luigi del 1830; 3) l'insurrezione operaia di Lione del 1831 con il suo grido di "vivere lavorando o morire combattendo". Possiamo qui trarne la conclusione che la violenza, sotto forma potenziale o cinetica o di movimento o di azione, sia dall'inferno o dall'esterno, aveva condotto ad una tappa importante sul cammino dello sviluppo sociale e storico.

Evoluzione delle forze politiche e nuovi rapporti di classe dopo il 1832

Infatti, dopo la nuova rivoluzione politica rappresentata dall'ingresso in parlamento della borghesia industriale di marca liberate, una nuova evoluzione si delinea dentro e fuori la stessa Inghilterra.

All'interno non si hanno più tories e whigs frazioni di una stessa classe (opposta ad industriali e proletari), ma conservatori e liberali, gli uni rappresentanti degli interessi dell'aristocrazia agraria protezionista, gli altri espressione della ricca borghesia libero-scambista, entrambi opposti al proletariato. A caratterizzare questa svolta nei rapporti di classe valgano le parole di Engels: "Con il Reform Bill venne sanzionato per legge il contrasto fra borghesia e proletariato".

Anche sul piano della politica statale e per il dominio economico del mercato mondiale e politico in Europa, il nuovo governo whig (tale resterà, salvo breve parentesi, per circa 50 anni) deve portare a compimento l'indirizzo già impresso dal governo dieci anni addietro. Strumento della fine della Restaurazione fu l'"entente cordiale" conclusa tra le borghesie d'Inghilterra e di Francia che avevano da poco preso nelle loro mani tutto il potere politico. Ha inizio così la divisione dell'Europa in due blocchi contrapposti: quello liberale franco-inglese, e quello reazionario con sede a Vienna, Berlino e Pietroburgo.

Questo, a grandi linee, il quadro della situazione quando in Inghilterra nasce il primo partito proletario: il Partito Cartista.

Verso l'autonomia del movimento operaio

Di che cosa sarà capace il nuovo potere statale borghese, in mano a capitalisti agrari e industriali, per dimostrare che il disinteresse e la filantropia troppe volte sbandierati quali doti della borghesia più progredita, non sono che una enorme ipocrisia ed un mostruoso inganno? La risposta fu subito data dai fatti.

L'indole del nostro lavoro non ci permette di soffermarci su di essi; dovremo quindi accontentarci di segnalarne qualcuno dei più tipici: per esempio quello che, per la borghesia inglese del tempo, costituì un vanto specifico: "l'assistenza" al popolo.

La "legge dei poveri" del 1834 ci da subito la misura dei "rapporti nei quali la borghesia si contrappone al proletariato come partito, anzi come potere statale". Per comprendere bene il carattere sanguinario di quella legge e la reazione che essa suscitò fra le masse quando la si applicò, bisognerebbe risalire al tempo della regina Elisabetta quando, per la prima volta, "si fu costretti a riconoscere ufficialmente il pauperismo mediante l'introduzione della tassa dei poveri" ("II Capitale").

Occorrerebbe accennare alle vicende che in un primo tempo - dal suo sorgere e per 400 anni - vide la borghesia adoperare il potere statale per stabilire il valore massimo che il salario non doveva assolutamente raggiungere; e, in un secondo, nel 1796, la portarono a fissare un minimo al disotto del quale non si doveva scendere: "Alla fine del secolo 18°, e durante i primi decenni del 19°, i fittavoli ed i landlors inglesi imposero il salario minimo assoluto, pagando ai giornalieri agricoli meno del minimo nella forma salario ed il resto nella forma di sussidio parrocchiale" ("II Capitale"). II sistema dei sussidi, dopo il 1832, si era talmente diffuso che la stessa borghesia, che prima lo aveva voluto, ne lamentava ora gli "abusi" ed i "danni sociali", sostenendo ipocritamente di voler sollevare il lavoratore dalla posizione vergognosa di assistito permanente. In teoria, dunque, la giovane borghesia inglese predicava bene rispetto a quella di un secolo dopo, che, tornando alla tradizione, vanta ancora una volta il proprio stato come il "modello" di tutti gli stati, divenuti ormai, sulla sua scia, tutti assistenziali. In pratica, evidentemente, essa non poteva che illudersi di riuscire a qualcosa.

Secondo i commissari malthusiani, incaricati di cancellare la piaga cancerosa, "la povertà, o più esattamente la disoccupazione che va sotto il nome di eccedenza, è un delitto che la società deve punire con la morte per fame". Ma, continua Engels, "certamente i commissari non erano inumani a tal punto; la cruda diretta morte per fame ha qualcosa di orribile anche per un commissario per la legge dei poveri".

Ed allora essi riconobbero ai poveri "il diritto di esiste re, ma solo di esistere...; l'unico soccorso fu l'accettazione nelle case di lavoro che furono immediatamente costruite ovunque. L'istituzione di queste case di lavoro (workhouses) o, come le ha denominate il popolo, le Bastiglie della legge dei poveri, è pero tale da respingere chiunque abbia qualche speranza di cavarsela senza ricorrere a questa forma di beneficenza pubblica". Risparmiamo al lettore la descrizione di questi "ergastoli della miseria" (Marx) bastandoci dire con Engels "che perfino il vitto delle prigioni e generalmente migliore, così che di frequente i ricoverati intenzionalmente si rendono colpevoli di un qualsiasi delitto pur di entrare in prigione". Certo, continua Engels, "i commissari per la legge sui poveri hanno raggiunto pienamente il loro scopo. Ma , nello stesso tempo le case di lavoro sono servite anche ad accrescere il risentimento della classe operaia contro quella possidente che, nella sua grande maggioranza, esalta la nuova legge sui poveri assai più di qualsiasi altra misura attuata dal partito che detiene il potere.

"Da Newcastle a Dover, unanime e lo sdegno degli operai contro questa nuova legge... Con tanta sincerità, con tanta franchezza non si era mai affermato che i nullatenenti esistono unicamente per farsi sfruttare dai possidenti, e per morire di fame quando i possidenti non sanno che farsene. Ma appunto per questo la legge sui poveri ha contribuito in modo essenziale ad affrettare lo sviluppo del movimento operaio, ed in particolare a diffondere il cartismo; ed essendo stata attuata soprattutto nelle campagne, facilita i progressi del movimento proletario che va sorgendo nei distretti rurali".

L'odio di classe, forma potenziale della violenza rivoluzionaria

Prima di questa legge dei poveri, mille altri fatti descritti da Engels nella sua opera giovanile e poi da Marx nel "Capitale" avevano contribuito a provocare e ad accrescere l'odio della classe operaia contro la borghesia. E, come Engels giustamente rileva, nella società capitalista l'odio non solo è l'unico sentimento in cui "l'operaio possa continuare ad essere uomo" e "ad apparire degno, nobile e umano al massimo grado", ma, ai fine della liberazione del suo sfruttamento economico e dalla schiavitù politica, è soprattutto necessario. "In Inghilterra esiste una guerra sociale aperta, e, se è interesse della borghesia condurre questa guerra ipocritamente, sotto il manto della pace e addirittura della filantropia, all'operaio può giovare che si mettano a nudo i rapporti reali, che questa ipocrisia venga distrutta".

E ancora, parlando dei pacifici socialisti di Owen, che "rigettano ogni altra via che non sia quella della persuasione pubblica", Engels dice che essi "comprendono sì perché l'operaio è indignato contro il borghese, ma ritengono infruttuoso questo risentimento, che pure è l'unico mezzo per far progredire gli operai, e predicano una filantropia ed un amore universale assai più sterile per la situazione inglese di oggi".

Sulle forme di lotta proletaria

L'Inghilterra di questo periodo ci offre tutte le esperienze di lotta del proletariato di cui i futuri partiti comunisti erediteranno gli insegnamenti e che oggi sono acquisite alla coscienza proletaria. Non ne esamineremo qui le varie forme; ci basti dire che esse andarono perfezionandosi via via che i risultati delle lotte stesse maturavano la coscienza di classe degli operai. Dal delitto contro il singolo industriale o suoi servi - forma rozza ed infeconda - agli atti di sabotaggio della produzione ed alla rottura delle macchine, agli scioperi parziali e generali promossi da associazioni segrete o legali, da mestieri o da federazioni di mestieri, fino alle lotte politiche organizzate da veri e propri partiti politici, e tutto un'incessante sviluppo legato alle vicende della produzione e del mercato con le sue crisi ed i suoi paurosi alti e bassi.

Naturalmente la lotta si conduce in modo tanto più efficace quanto più se ne perfeziona lo strumento. E' ben noto che le Unioni ed ogni tipo di associazione sindacale sorsero sul terreno della lotta economica. Ma i cartisti tentarono poi di servirsene per raggiungere le loro rivendicazioni politico-sociali. E' anche noto come "la storia di queste associazioni sia una lunga serie di sconfitte degli operai, interrotta da qualche vittoria isolata". Ma proprio per questo, la perseveranza di questi operai nell'insistere a battersi chiude "entro determinati limiti la cupidigia della borghesia e mantiene viva l'opposizione degli operai contro l'onnipotenza sociale e politica della classe possidente, mentre li costringe ad ammettere che necessita qualcosa di più delle associazioni operaie e degli scioperi per spezzare il potere della borghesia". In quel periodo, com'è noto, le crisi si presentavano con un ciclo pressoché quinquennale, sicché gli scioperi erano molto frequenti. "L'incredibile frequenza di questi scioperi dimostra meglio di ogni altra cosa a qual punto era giunta in Inghilterra la guerra sociale... In generale questi scioperi sono pure scaramucce di avamposti; talvolta sono però già scontri di una qualche importanza; non decidono nulla, ma sono la prova migliore che la battaglia decisiva tra il proletariato e la borghesia si sta avvicinando. Essi sono la scuola di guerra degli operai, nella quale questi si preparano alla grande lotta ormai inevitabile".

Sul coraggio rivoluzionario degli operai inglesi

Capita spesso ancor oggi di discutere su questo tema fra operai, e non di rado ci si caccia nel vicolo cieco di contrapposizioni astratte posizioni astratte sulla validità maggiore o minore del coraggio dimostrato dagli operai in questa o in quella forma di lotta. Per uscire da queste nebbie e utile citare Engels dove lo abbiamo interrotto: "E, quali scuole di guerra, queste lotte sono di un'efficacia insuperabile... Si dice sul continente che gli inglesi, e particolarmente gli operai inglesi, sono vili ed incapaci di fare una rivoluzione, perché non esplodono ogni momento in una rivolta come i francesi, perché sembrano adattarsi tranquillamente al regime borghese. Gli operai inglesi... sono irrequieti come i francesi, ma lottano in modo diverso. I francesi... lottano con mezzi politici anche contro i mali sociali; gli inglesi... anziché combattere contro il governo combattono contro la borghesia direttamente, e ciò per ora può essere fatto con qualche risultato soltanto per via pacifica. Il ristagno e la conseguente miseria del 1834 provocarono a Lione la rivolta in favore della Repubblica; a Manchester invece, nel 1842, condussero allo sciopero generale in favore della Carta e dell'aumento del salari. Ma è facile comprendere che in uno sciopero occorre anche coraggio e in misura notevole, anzi spesso occorre un coraggio assai maggiore, una decisione assai più audace e salda, che in una rivolta. In verità non è certo cosa da nulla per un operaio, che per esperienza conosce la miseria, andarle volontariamente incontro con moglie e figli, sopportare per mesi e mesi stenti e fame e tuttavia rimanere incrollabile. Che cosa è la morte, che cosa sono le galere che minacciano il rivoluzionario francese, di fronte al lento affamamento, di fronte alla vista quotidiana della famiglia affamata, di fronte alla certezza della successiva vendetta della borghesia, che l'operaio inglese sceglie piuttosto di sottomettersi al giogo della classe possidente?... Uomini che sopportano tante sofferenze per piegare un solo borghese, saranno in grado di spezzare anche la forza dell'intera borghesia".

Ma, a parte ciò, Engels mostra con esempi (insurrezione del Galles del '39, ecc.) come anche quando deve prendere le armi, l'operaio inglese sa combattere con eroismo e "cede alla violenza solo quando ogni resistenza sarebbe inutile e insensata".

La fonte, il "segreto" del coraggio rivoluzionario di un popolo e di una classe operaia, non risiedono nelle qualità intrinseche, naturali degli individui, ma nelle circostanze obiettive e insieme soggettive che pongono davanti ai movimenti sociali mete chiare e lampanti. Ascoltiamo ancora Engels: "Quando masse inermi, che non sanno esse stesse ciò che vogliono, vengono bloccate in una piazza chiusa di mercato da pochi dragoni e poliziotti che hanno occupato le vie d'uscita, come avvenne nel 1842, non si tratta affatto di mancanza di coraggio. La verità è che la massa non si sarebbe mossa anche se non vi fossero stati presenti gli agenti del potere pubblico, cioè del potere della borghesia".

Dopo quanto accennato circa le "prove" date dalla borghesia industriale dopo la sua ascesa al potere (realizzata soprattutto grazie agli sforzi ed alle lotte delle masse proletarie), gli operai si spostano su posizioni più autonome e classiste, e cercano di organizzarsi meglio per far fronte a tutti gli sfruttatori rappresentati in parlamento da tutti i partiti conservatori e liberali. Però, prima di giungere ad una separazione totale dalla borghesia, essi sperimenteranno un'ultima alleanza con il partito della borghesia radicale e con i liberali quando questi, nella lotta accanita con i conservatori che nel 1841 riprenderanno il governo, chiederanno il loro aiuto promettendo in cambio di appoggiare la richiesta della giornata di 10 ore.

Nascita del cartismo: sua natura sociale.

Nel febbraio 1834 sorge quella Grande Unione Consolidata dei Mestieri che avrebbe dovuto promuovere e sostenere lo sciopero generale di cui da tempo si parlava nelle file della classe operaia (il socialista Benbow' ne aveva lanciata l'idea fin dal 1832). E' noto come contro questo "pericolo pubblico" la borghesia lanciò l'interdetto (cioè l'intimazione agli operai di cancellarsi da essa pena il licenziamento) e provocò quello scontro violento nel sud-est che vide, fra l'altro, l'arresto e la deportazione in Australia di sei giornalieri agricoli.

Nel 1836, Lovett fonda la Working Men's Association (WMA) con spiccato carattere politico e più rispondente alle esigenze del movimento operaio, e per coordinare le sue azioni con indirizzo più unitario in vista dei diversi obiettivi da raggiungere.

Nel 1837, O'Connor fonda la Democratic Association in oppsizione alla W.M.A., che giudica troppo legata agli interessi piccolo-borghesi e crea il Northern Star, che diventa l'organo del cartismo.

II programma generale che doveva unificare le varie spinte e ottenere i vari consensi fu chiaramente indicato dai famosi sei punti della Carta che, anticipata in un comizio nel 1837 dal Lovett, fu poi pubblicata nel '38 contemporaneamente dalla W.M.A. e dalla B.P.A., l'organizzazione borghese radicale capeggiata da Atwood di cui già facemmo cenno. I sei punti sono: 1) suffragio universale; 2) parlamento da rinnovare annualmente; 3) indennità ai deputati, affinché quelli sprovvisti di mezzi possano accettare il mandato; 4) voto segreto per evitare quanto più possibile corruzioni ed intimidazioni da parte della borghesia; 5) collegi elettorali eguali; 6) abolizione di ogni censo per fare in modo che ogni elettore sia eleggibile.

Oggi queste rivendicazioni potrebbero apparire di natura semplicemente politica e democratico-borghese. Innanzitutto è da rilevare che l'aver trasferito già la lotta operaia dal livello economico a quello politico è un merito grande del cartismo. In secondo luogo tali rivendicazioni non sono fini a se stesse: per i cartisti, sono semplici mezzi e nulla più, interessando loro la trasformazione sociale che ci si poteva attendere dalla loro stessa opera una volta giunti al potere. "II cartismo è di natura essenzialmente sociale" dice Engels. Oppure, più pedestremente "II cartismo è una questione di forchetta e coltello", come si esprimeva durante un comizio di 20.000 persone il metodista Stephens, che aggiungeva: "La Carta significa buone abitazioni, buon vitto e buone bevande, buone condizioni di vita e orario di lavoro ridotto". II motto elettorale dei cartisti, ci fa sapere Engels, è dunque: "il potere politico è il nostro mezzo, il potere sociale il nostro fine".

Ma quale mezzo quel predicatore consigliava agli operai per raggiungere quegli ed altri scopi (in particolare l'abrogazione dell'odiosa legge sui poveri)?

Ascoltiamolo: "Se il fucile e la pistola, se la spada e la picca non bastano, prendano le donne le loro forbici ed i fanciulli lo spillo o l'ago. Se tutto vien meno, allora il tizzone ardente, sì, il tizzone ardente (tuono di applausi), il tizzone ardente, lo ripeto; date i palazzi alle fiamme...". (Abbiamo citato dal Dolleans, ma avremmo potuto citare da Engels frasi più o meno identiche).

II cartismo e la violenza in questa tappa "pacifica"

Non abbiamo bisogno di spendere molte parole sulla realizzabilità degli scopi e sulle implicazioni della politica dei cartisti. Diamone solo un rapido cenno.

L'ipotesi storica della conquista pacifica del potere per mezzo del suffragio universale da parte del proletariato in questo periodo in Inghilterra, non aveva nulla di campato in aria, se si tiene conto del livello cui era giunto lo sviluppo capitalistico e della struttura dello Stato. E' ben noto che la composizione sociale in Inghilterra era inversa di quella esistente in Francia nello stesso periodo: due terzi di popolazione urbana e operaia contro un terzo di popolazione rurale. "Ciò spiega il carattere diametralmente opposto che la rivendicazione del suffragio universale ha rivestito in Francia ed in Inghilterra" (Marx: art. della Neue Oder Zeitung dello 8/6/1855). Com'è noto, il suffragio universale in Francia del 1848 sarà una formula di fraternizzazione generale e la maggioranza piccolo-borghese delle campagne darà la vittoria a Napoleone III; mentre in Inghilterra esso è un mezzo classista ed un grido di guerra per il proletariato. Ottenendo il suffragio universale, il proletariato, da quando la Camera Bassa "non esprimerà più soltanto il volere della borghesia", potrà far cadere l'ultima aureola dal capo del monarca e della aristocrazia e chiarire così ancor meglio il suo duello con la borghesia, ormai sola padrona effettiva del potere.

Ma non si creda, lo ripetiamo fino alla noia, che la conquista del suffragio universale si debba ottenere con mezzi esclusivamente legalitari e non anche e principalmente con l'uso di una certa violenza. Proprio sull'impiego di questi due mezzi il cartismo genuino, cioè quello veramente proletario e rivoluzionario, si dividerà e poi in ultimo si staccherà definitivamente dagli elementi piccolo-borghesi, dai politici "puri" per i quali - come in Francia - il contenuto immediato della rivoluzione era il suffragio universale, mentre per i rivoluzionari il contenuto immediato del suffragio universale era la rivoluzione.

Se si tiene dunque conto dei rapporti di forza che si potevano creare o favorire con l'azione di un partito ben organizzato ed agente non più in aiuto ed in coda ai partiti del la borghesia, ma separato e contro di essi, l'ipotesi della conquista pacifica del potere appare del tutto realistica in questo periodo storico. Tanto più che non esisteva una forte burocrazia statale ed un forte militarismo, cioè grandi eserciti: questi ultimi non erano così necessari all'Inghilterra come lo erano alla Francia ed agli altri paesi del continente europeo per far fronte alle facili guerre di invasione.

Se pure il socialismo dei cartisti è, specie all'inizio, "assai poco sviluppato" nel corso stesso della lotta per realizzare i suoi obiettivi, la storia avrebbe posto certamente la scelta fra la dittatura proletaria ed il ritorno alla situazione di prima. Ecco dunque che il significato della democrazia cartista doveva necessariamente essere diverse ed opposto a quello di tutte le forme di democrazia borghese. E la violenza da esercitare nel corpo dell'economia sarebbe stata identica nella sostanza alla violenza che il proletariato dovrà esercitare nei momenti successivi alla presa del potere (come per esempio nella rivoluzione russa) ma avrebbe assunto forme diverse, meno cruente appunto perché l'alto grado di industrializzazione dell'economia e di proletarizzazione avrebbe opposto meno ostacoli, primo fra tutti quello piccolo-borghese.

Le prime lotte dei cartisti ed i loro frutti

Abbiamo visto come la Carta sia stata lanciata per la prima volta in comune con l'organizzazione radicale. Ciò basta a farci comprendere sia l'incertezza che la scarsa autonomia dei primi passi compiuti dai cartisti.

"Pur essendo, fin dai suoi inizi, nel 1835, un movimento essenzialmente operaio, il cartismo non era ancora nettamente separato dalla piccola-borghesia radicale. II radicalismo degli operai procedeva di pari passo con il radicalismo della borghesia: la Carta era lo scibbolet (parola d'ordine o contassegno) di entrambi, ogni anno essi tenevano insieme la loro "convenzione nazionale", e sembravano costituire un unico partito. In quel tempo, la piccola borghesia, delusa per i risultati del Reform Bill e per i cattivi affari degli anni l837/'39, era di umore molto bellicoso e sanguinario e accettò di buon grado la violenta agitazione dei cartisti ... II popolo venne esortato ad armarsi, spesso addirittura a sollevarsi; si fabbricavano picche, come già ai primi tempi della Rivoluzione francese...". . '

A parte questa politica di alleanza con la piccola borghesia che fa assaggiare agli operai le prime amare delusioni, la stessa Working Men's Association (W.M.A.), cioè l'organizzazione proletaria, era socialmente poco omogenea e perciò presto doveva accusare una confusione ideologica e dissensi interni che ne paralizzarono l'azione. Alla violenta agitazione condotta attraverso il Northern Star e nei comizi tenuti nei maggiori centri industriali (200.000 presenti a Birmingham, 250.000 a Manchester) ai quali gli operai, al lume delle torce, partecipavano spesso armati, non corrispondeva una unità di intenti e di decisioni nell'organo direttivo, la Convenzione, ove vediamo lo stesso Lovett spostarsi a destra. A provare questa divisione fra cartisti moderati o di destra e cartisti radicali o di sinistra basta ricordare la discussione avvenuta fin dai 1837 intorno alle due opposte concezioni dello sciopero politico generale: per i moderati esso doveva costituire solo un mezzo di pressione, uno spauracchio per indurre il governo a trattare, per gli altri invece poteva e doveva costituire un mezzo di agitazione da far precedere eventualmente all'insurrezione armata.

I convenzionali erano dunque divisi non solo sul significato tattico dello sciopero generale ma anche sull'opportunità di metterlo in esecuzione. A nulla valse spostare la sede della convenzione da Londra a Birmingham, cuore del movimento. I fatti che seguirono sono in sintesi questi: il 3 luglio 1839, la Convenzione stabilisce che, se il 12 luglio la Camera dei Comuni respingerà la petizione per la Carta, il 13 luglio essa voterà lo sciopero generale. Tattica votata al fallimento in partenza, come si vede, e che riflette un ibrido compromesso fra le due tendenze dei dirigenti cartisti. Quello che accadde dopo, è noto: la Camera respinse con 247 voti contro 48 la petizione, lo sciopero fu dichiarato con votazione favorevole di 13 voti contro 12 (!) e poi... passati circa nove giorni, durante i quali erano scoppiate altre sommosse (dopo quella del 4 luglio a Birmingham) e le masse attendevano una guida più decisa delle loro azioni, quel parlamento operaio che era la Convenzione e nel quale, sotto la spinta delle masse, la minoranza era divenuta maggioranza, prese la incredibile decisione di sciogliersi. A questa ritirata della Convenzione era naturale che seguisse la repressione governativa, ed i cartisti furono costretti alla clandestinità, durante la quale una vera e propria rivolta armata organizzata e cosciente, sarà pure sconfitta con gravi perdite: l'eroica marcia di circa duemila minatori gallesi guidati da J. Forst che nel novembre del 1839 tentarono di attaccare di sorpresa e nottetempo Newport e che, a causa del ritardo causato dalla pioggia, furono attaccati dalle forze armate dell'esercito, che uccisero 15 persone, ne ferirono molte decine e altrettante ne arrestarono. Ma tutte queste sconfitte e quelle a cui non accenniamo portarono ad un primo risultato positivo: l'uscita dei radicali dal movimento e, con essa, un'accentuazione proletaria del cartismo, che nel luglio 1840 si dà una nuova organizzazione: la National Charter Association (N.C.A.). In questo che può considerarsi il primo vero partito della classe operaia inglese, primeggia ora la figura di O'Connor, un energico agitatore ed infaticabile organizzatore cui però difetta la chiarezza teorica, ed il cui socialismo arretrato resta ancora legato alla piccola proprietà contadina (si veda il suo Land Scheme o Progetto della terra).

Prima di giungere alla sua completa autonomia, il cartismo deve affrontare un'ultima prova. Col 1842 la crisi economica, che dal '36 travaglia il paese e le masse operaie, raggiunge il suo culmine e l'agitazione sindacale e politica riprende come e con più slancio del 1839. Ma a promuoverla non sono solo i cartisti. L'iniziativa è anzi della ricca borghesia industriale che scende violentemente in lotta contro il partito conservatore dei Landlords che, come accennato avanti, aveva già ripreso le redini del governo nel 1841. I capitalisti industriali non erano ancora riusciti a far abrogare le leggi che tenevano alti i dazi d'importazione del grano.

La crisi del 1842: il proletariato si separa dalla borghesia

"II 15 febbraio 1842, a Manchester, in una riunione di liberali e cartisti, venne redatta una petizione nella quale si rivendicava sia l'abrogazione delle leggi sul grano che la promulgazione della carta". Ma questa alleanza dei proletari coi grandi borghesi era logicamente destinata a non diventare mai operante. Infatti, quando nell'agosto 1842 scoppiò la grande ondata di scioperi e di manifestazioni insurrezionali, la borghesia, accortasi che gli operai "non intendevano diventare il suo strumento", prima li abbandonò ritirandosi nel suo legalitarismo, poi addirittura si affiancò alla forza militare del governo per reprimere il movimento di rivolta da essa per prima voluta e promossa.

Parlando del coraggio degli operai inglesi, già accennammo allo sciopero generale del 1848 ed alla sua misera fine. Ancora influenzati dall'esterno e non ancora liberatisi di "tutti gli elementi riformisti all'interno, i cartisti erano ancora disorientati e divisi fra coloro che consideravano lo sciopero generale una pura e semplice lotta economica e coloro che lo ritenevano un mezzo da trasformare in rivolta generale. Vi erano poi altri indecisi e contrari allo sciopero, che lo boicottavano indicandolo come una macchinazione della Anti-Corn-Law-League, cioè dei libero-scambisti. In effetti, a base dello sciopero, iniziato il 5 agosto e protrattosi bene o male fino al 25, c'erano tutte e tre queste spinte e, senza una scelta precisa, l'adesione ad esso data dalla Convenzione cartista - com'è detto in una risoluzione - non poteva essere "una dichiarazione di guerra" e pertanto restava solo e "puramente simbolica".

Ecco come Engels riassume le cose: "Se il turnout del 1842 non ebbe seguito, ciò avvenne in parte perché gli operai vi furono spinti dalla borghesia, in parte perché essi stessi non avevano ancora una coscienza chiara e concorde dei loro scopi". Anche tutte le altre manifestazioni di lotta "finirono male per le stesse ragioni". "Mentre tutti (gli operai) erano d'accordo sul fatto di non volersi far uccidere a vantaggio dei loro industriali, contrari alle leggi sul grano, alcuni volevano ottenere la Carta del popolo, altri invece ritenendo prematuro questo obiettivo volevano solo raggiungere il livello salariale del 1840. Perciò tutta l'insurrezione fallì".

Non abbiamo bisogno di spendere molte parole per far comprendere al lettore quale tesoro di insegnamenti si trae da queste lezioni dei fatti, ed in particolare il ruolo che ha il programma e la sua definizione chiara e precisa per il partito del proletariato rivoluzionario. Senza la chiarezza degli obiettivi, nessun sforzo e nessuna lotta armata possono realizzare le aspirazioni del proletariato.

Per la seconda volta la petizione della Carta viene respinta. Ma, al solito, la lotta, sia pure finita con una sconfitta, porta sempre a qualcosa di positivo: "Frutto della rivolta fu la definitiva separazione del proletariato dalla borghesia"(iI corsivo è nostro). Essa fu sancita dalla rottura fra liberali e cartisti in una seconda riunione che si tenne a Birmingham il 27 dicembre del 1842.

Lo stesso partito cartista viene a scindersi in due partiti: uno che riunisce tutti gli elementi timidi e meno proletari, detto della "violenza morale" che avrà per capo Lovett, e l'altro della "violenza fisica" di O'Connor. "Da quel momento il cartismo divenne un movimento puramente operaio depurato di tutti gli elementi borghesi". E, mentre "la borghesia radicale si alleò ai liberali contro i cartisti", questi ultimi "parteciparono con forza raddoppiata a tutte le lotte del proletariato contro la borghesia".

I fautori della violenza morale invece perderanno tempo e energia ad inseguire le chimere di marca oweniana, cioè i progetti di educazione popolare e di cultura: progetti quasi impossibili per il troppo lungo orario di lavoro e per mancanza di mezzi adeguati, progetti perfino nocivi quando imponevano di rivolgersi allo Stato (come fa oggi il PCI) per ottenere quella istruzione che - come dice Engels - "è addomesticata, priva di nerbo, servile verso la politica e la religione dominanti; così che per l'operaio essa in realtà non è altro che una predica permanente per indurlo alla quiete, alla obbedienza, alla remissività, alla rassegnazione al destino".

Vertice e declino del cartismo

Abbiamo visto che per ben due volte, nel '39 e nel ‘42, il cartismo non seppe scegliere in modo autonomo la strada della lotta di classe e che dovette subire la influenza malefica dei partiti borghesi. Entrambe le volte lo sciopero generale e le altre manifestazioni di lotta abortirono, sminuzzandosi, esaurendosi e concludendosi con arresti degli stessi dirigenti.

Specialmente la crisi del 1842 poteva essere un'ottima occasione per imporre la Carta, ma la divisione interna, basata essenzialmente sulla questione "se la Carta doveva essere attuata con la violenza o con la legalità", porto alla sconfitta. Conseguenza politica di questa, fu la rottura con le "classi medie" o borghesi e l'epurazione della destra cartista, portavoce degli elementi piccolo-borghesi e della prima aristocrazia operaia inglese. I cartisti autenticamente proletari, anche se non ancora veri e propri socialisti, si erano ridotti a poche migliaia, potevano però ben dire di formare una forza politica indipendente e più omogenea dal punto di vista di classe. Gli eventi degli anni successivi e specie nel ‘46 e '47 accentuarono questa caratterizzazione del cartismo. Nel '46, infatti, la legge sul grano era stata abrogata e gli operai si attendevano che i libero-scambisti, a cui avevano prestato il loro aiuto, mantenessero la promessa di appoggiare l'approvazione della legge delle 10 ore. Ma gli spudorati libero scambisti, come già dopo che ottennero l'approvazione del Reform Bill, si dimenticarono di chi aveva tolto loro " le castagne dal fuoco ". Ancora una volta gli operai dovettero scendere in lotta per strappare nel '47 la legge delle 10 ore. Tutto ciò è sintetizzato dalle seguenti parole di Marx: " Gli anni 1848-47 fanno epoca nella storia economica dell'Inghilterra. Revoca delle leggi sul grano, abolizione dei dazi di importazione sul cotone e su altre materie prime, dichiarazione che il libero commercio era la stella polare della legislazione! In breve era l'aurora del millennio. Dall'altra parte, negli stessi anni giungeva alla sua massima altezza il movimento cartista e l'agitazione per le 10 ore, che trovavano alleati nei tories anelanti a vendetta. Nonostante la resistenza fanatica dell'esercito libero-scambista, che con il Bright e il Cobden in testa, mancava ora alla propria parola, il Bill delle dieci ore, al quale da tanto tempo si aspirava, fu approvato dal parlamento " (II Capitale). In questo capitolo del " Capitale " Marx aveva già scritto che: " Gli operai delle fabbriche, a cominciare dal 1838, avevano fatto del Bill delle dieci ore il loro grido economico di battaglia, come della Carta il loro motto politico ". Dunque, raggiunto il primo obbiettivo, si trattava ora di raggiungere il secondo, cioè di condurre il proletariato al potere. Riuscirà a tanto il partito cartista? La risposta data dalla storia, come si sa, è purtroppo negativa.

Le ragioni che spiegano l'insuccesso finale del cartismo dopo un decennio di lotte combattute con eroismo dagli operai dell' industria del nord-ovest e anche dai giornalieri agricoli del sud-est, sono di natura storica e non valgono certe spiegazioni volontariste date da questo o quello storico del movimento operaio.

Non è questa la sede per dilungarci su questa questione e perciò ci limitiamo a riferire ciò che Engels scrisse nella prefazione 1892 alla sua opera giovanile, quando egli aveva tre volte la età in cui aveva scritto sulla situazione della classe operaia inglese: " La rivoluzione francese del 1848 salvò la borghesia inglese. Le rivendicazioni socialiste degli operai francesi vittoriosi atterrirono la piccola borghesia inglese e disorganizzarono il movimento degli operai inglesi, che agiva in confini più ristretti, ma più immediatamente pratici. Proprio nel momento in cui il cartismo avrebbe dovuto sviluppare la sua forza, esso crollò internamente, prima ancora di crollare all'esterno il 10 aprile 1848. L'attività politica della classe operaia fu respinta in secondo piano: la classe capitalistica aveva vinto su tutta la linea ". Il 10 aprile 1848, in atmosfera arroventata, i cartisti infatti avevano presentato per la terza volta la loro petizione per la Carta, ma si trattava di " ratificare con le picche " i circa due milioni di firme che erano stati raccolti. Di fronte al grande schieramento di forze militari i dirigenti cartisti esitarono, poi rinunciarono alla marcia su Westminster. E questa ritirata fu la più dura sconfitta del cartismo, di qui inizia il suo declino mentre si scatena la canea borghese " non solo contro la legge delle dieci ore, ma contro tutta la legislazione che dal 1833 in poi aveva cercato in qualche modo di frenare il " libero " dissanguamento della forza-lavoro ". Poco prima di dire ciò, Marx aveva spiegato, nel "Capitale" " ...il fiasco del partito cartista, i cui capi erano stati gettati in carcere e l'organizzazione dei quali era stata frantumata, aveva già scosso la fiducia in se stessa della classe operaia inglese. Poco dopo, l'insurrezione parigina del giugno, soffocata nel sangue, riunì tanto nell'Europa continentale quanto in Inghilterra tutte le frazioni delle classi dominanti, proprietari fondiari e capitalisti, lupi di borsa e mercanti, protezionisti e liberoscambisti, governo ed opposizione, preti e liberi pensatori, giovani meretrici e vecchie suore, nella invocazione comune per la salvezza della proprietà, della religione, della famiglia, della società".

Eredità del cartismo

L'enorme importanza storica dell'esperienza di lotta del cartismo non ha bisogno di essere ulteriormente commentata.

Sul piano pratico c'è da dire che la Carta del popolo, un tempo tanto temuta, verrà realizzata, negli anni dopo il '48, proprio da quegli industriali che la avevano neramente osteggiata. E' pure noto come l'opera di questi, che Marx definisce gli " esecutori testamentari " del cartismo, si allargò oltre i confini della nazione britannica. La ruota della storia veniva dunque fatta girare avanti sull'area europea in fase di sviluppo grazie alla lotta rivoluzionaria proletaria. E' vero che il "grande partito liberale ", il partito diretto dagli industriali, di cui il cartismo diventerà la coda politica, ne farà proprio il programma politico, perché la borghesia avrà compreso che "non può mai raggiungere il pieno dominio sociale e politico sulla nazione se non con l'aiuto della classe operaia" (I cartisti, con in testa Jones e Harney, avevano appunto finito per capire che dovevano rivolgersi unicamente "ai veri operai, agli uomini dalle giacche di fustagno, dal mento non raso e dalle mani callose, alle loro donne ed ai loro figli", come soleva dire O'Connor). Ma, se ciò sul piano pratico porterà alla futura soggezione politica del proletariato inglese (sulla base dei privilegi fatti godere alla sua parte "aristocratica"), sul piano teorico è il riconoscimento che la borghesia è già, storicamente, divenuta una classe non più necessaria, anzi addirittura superflua, nociva e reazionaria, e deve essere detronizzata.

E' da aggiungere che le eroiche lotte del proletariato inglese hanno avuto il merito di far dissolvere nel loro stesso fuoco molti vecchi pregiudizi di sapore idealistico circa la possibilità di liberare l'intera società col concorso degli stessi capitalisti. Engels dichiara, nel suo libro sulla situazione della classe operaia inglese (e solo in qualche punto verso la fine), che aveva dato "grande importanza alla affermazione secondo la quale il comunismo non è una pura e semplice dottrina di partito della classe operaia, ma una teoria il cui obbiettivo finale è la liberazione dell'intera società, compresi i capitalisti, dai rapporti odierni che la soffocano" (vedi prefazione 1892 al libro). E sempre Engels, ormai fondatore e maestro insieme a Marx, del socialismo scientifico, riconosce che "questo è giusto in senso astratto ma nella pratica è per lo più peggio che inutile" perché la classe operaia deve "compiere da sola la rivoluzione sociale".

Da "Il programma comunista" nn. 23 del 1961, 1-9-10 del 1962, 5-12-13-23 del 1963, 1-2-13-14 del 1964, 6-7-8 del 1965, 2-3-4-1-12-13 del 1966.

Archivio storico 1952 - 1970