Marxismo e questione militare (8)
Marx ed Engels verso l'azione pratica
Fatti i conti con la loro precedente coscienza teorica, a Marx e ad Engels non resta che passare all'azione pratica organizzando le forze politiche sulla base della nuova dottrina rivoluzionaria. Essi fondano a Bruxelles un circolo comunista a cui aderiscono profughi tedeschi di cui molti resteranno sempre fedeli alla causa e spiegheranno una grande attività nella futura rivoluzione in Germania: ricordiamo solo i nomi di W. Wolf, Weydemeyer e Stephan Born. Marx ed Engels fanno di questo club un centro di corrispondenza internazionale per l'irradiazione della loro dottrina: tramite la Nothem Star, influenzeranno il movimento proletario in Inghilterra; tramite la Reforme, agiranno su quello francese e tramite la Deutsche Brusseller Zeitung su quello della Germania.
II loro fine era di creare un movimento di vasta portata al disopra delle nazionalità; e uno dei mezzi scelti per raggiungerlo fu la polemica interna allo stesso movimento proletario, socialista e comunista.
Si dovettero necessariamente colpire le figure più in vista, i profeti, gli idoli di cui pur si riconoscevano i meriti, il valore personale e tutte le qualità di genuini combattenti della causa proletaria. Si cominciò col Weitling ed il suo mistico comunismo; si passò al suo affine Kriege; indi fu la volta di G. Grun e del suo"vero socialismo"; di H. Wagner e del suo socialismo feudal-cristiano-germanico, che tendeva a spingere gli operai contro la borghesia per tenere in piedi l'ordine esistente e la monarchia. Occorse infine aggredire Proudhon, il maggior idolo dottrinario del socialismo, e lo si fece con la "Miseria della filosofia".
La Lega dei Comunisti ed il Manifesto
Dopo oltre un anno di intensa attività svolta dal circolo di Bruxelles, i frutti non si fecero attendere: segno che anche una piccola organizzazione può far molto - specie in una situazione favorevole - quando agisca con spirito di iniziativa ed intransigente coerenza di idee.
Da un po' di tempo Marx ed Engels seguivano con attenzione la Lega dei Giusti di Londra e gli sviluppi della sua fisiologica crisi interna: "noi pubblicammo una serie di saggi, in parte stampati, in parte litografati, nei quali veniva sottoposta ad una spietata critica quella mistura di socialismo e comunismo franco-inglese e di filosofia tedesca, che costituiva la segreta dottrina della "Lega", sostituendole la visione scientifica della società borghese come unico fondamento teorico, esponendola in forma popolare, non già come elaborazione di qualche altro sistema utopistico, ma come consapevole partecipazione ad un processo storico di trasformazione che si svolge sotto i nostri occhi" (Marx).
Nel febbraio del 1847, la Lega incaricava J. Moll ad andare a Bruxelles per chiedere a Marx ed Engels di aderire alla lega stessa dopo averli informati che la maggioranza proletaria più rivoluzionaria aveva riconosciuto tutte le deficienze dell'organizzazione e che un congresso da tenere il I° giugno a Londra doveva ricostituirla su basi del tutto nuove. "La folgore del pensiero aveva penetrato l'ingenuo terreno popolare", dice Mehring. Ed Engels ricorda: "Ciò che finora avevamo criticato era adesso abbandonato come difettoso dagli stessi rappresentanti della Lega. Noi stessi eravamo invitati a contribuire alla sua riorganizzazione. Potevamo declinare l'invito? No certamente. Vi entrammo quindi entrambi"
Al congresso di giugno parteciparono Engels in rappresentanza della comunità tedesca di Parigi (ove egli si era da poco recato) e W. Wolff come delegato di Bruxelles. In esso si decise il cambiamento del nome della Lega in Lega del Comunisti ; si sostituì il vecchio motto "Tutti gli uomini sono fratelli" col grido di battaglia "Proletari di tutti i paesi, unitevi!", e si definì lo scopo dell'organizzazione "nell'abbattimento della borghesia, nel dominio del proletariato, nella liquidazione della vecchia società borghese fondata sui contrasti di classe e nella fondazione di una nuova società senza classi e senza proprietà privata". Lo scopo così formulato figurerà nel 1° articolo del programma che la Lega si dette poi al 11° congresso, ai primi di dicembre a Londra, insieme allo statuto. Presentato da Marx e da Engels, esso venne approvato all'unanimità dopo dieci giorni di animati dibattiti, e fu un grande trionfo dei fondatori del socialismo scientifico, o comunismo rivoluzionario. L'era dei profeti è finita: il proletariato ha riconosciuto ed accettato Marx ed Engels come i suoi unici ed indiscussi capi. Ad essi il proletariato della Lega dei Comunisti affida la compilazione di quel documento che, da semplice "professione di fede", si eleverà a solenne Manifesto e rappresenterà la sintesi del programma storico della classe operaia e del suo partito rivoluzionario per tutto l'arco storico destinato a chiudersi con la rivoluzione mondiale ed il trionfo definitivo del comunismo sulla terra.
La teoria di Marx e la questione militare
Abbiamo ritenuto doveroso intrattenerci sul processo di sviluppo della teoria rivoluzionaria del proletariato ad opera di Marx ed Engels, perché per noi, per dirla con Lenin, non c'è azione rivoluzionaria senza teoria rivoluzionaria. La questione militare nella concezione marxista, considera quindi fondamentale la chiarezza della visione teorica, è fatto militare la stessa conquista della teoria comunista. II lavoro teorico dei nostri maestri non è stato lavoro accademico per la scienza e la cultura in generale: è stato opera di combattenti, e stato esso stesso una dura e tormentosa battaglia da vincere. Abbiamo visto come anche la lotta economica per il salario dei proletari inglesi fosse vista da Engels sullo stesso piano della lotta politica dei rivoluzionari francesi. Altrettanto deve dirsi della lotta sul piano teorico che Marx affronta in nome del proletariato tedesco e mondiale, e che costò a lui l'esilio, la miseria e la fame.
Lo stretto legame fra lavoro teorico e lotta armata lo si vede del resto nel fatto che esso è sforzo di profonda analisi e critica dei metodi di lotta rivoluzionaria delle varie classi e dei loro organismi combattenti: è insomma scienza e arte militare rivoluzionaria. Grazie ad essa infatti, l'azione cospiratoria e di tipo blanquista verrà definitivamente abbandonata dal proletariato; grazie ad essa tutta la rivoluzione europea e quella tedesca in particolare verrà da Marx e da Engels spinta in avanti nel biennio '48/'49. II fallimento della rivoluzione ad opera della controrivoluzione non cancellerà giammai l'opera di politica e di azione militare che il partito proletario e comunista, a mezzo di Marx, di Engels e di altri pochi pionieri, svolse durante il corso degli avvenimenti drammatici di quel biennio. II fallimento stesso della rivoluzione, sempre temuto e previsto, non è che una conferma della validità della teoria e dell'azione di questo "stato maggiore" del proletariato. La sua eredità sarà messa a profitto da Lenin durante la grande lotta ingaggiata e portata vittoriosamente a termine in Russia dal partito bolscevico.
II 1848 e la rivoluzione europea
Le cause profonde sono di origine economica: è giunta l'ora in cui lo sviluppo delle forze produttive richiede radicali trasformazioni delle strutture politiche in quasi tutti i paesi dell'Europa che va fino ai confini russi.
A precipitare la crisi rivoluzionaria intervengono sia la crisi agricola del '45 e '46, che la crisi del commercio e dell'industria iniziata nel ' 45 e scoppiata in pieno nell'autunno del '47 in Inghilterra. II mercato mondiale già abbastanza sviluppato spiega il rapido propagarsi del malessere in ogni paese. Per la Germania abbiamo già visto quali fatti politici fossero maturati alla vigilia del '48. Per la Francia basta ricordare le reazioni popolari alla politica estera conservatrice del governo di Luigi Filippo, specie dopo la crisi dell'entente cordiale con l'Inghilterra (l840) e il riallacciamento dei rapporti con le potenze della Santa Alleanza. Dice Marx che da quella politica seguì "una serie di umiliazioni del sentimento nazionale francese" a risollevare il quale verranno appunto le notizie di insurrezione all'estero. Un esempio della politica controrivoluzionaria della borghesia francese e il suo appoggio al reazionario Sonderbund, la lega dei Cantoni cattolici svizzeri in lotta contro la lega dei Cantoni radicali e protestanti, per la conservazione della loro medioevale autonomia: condotta tanto più vergognosa in quanto la Francia intervenne accanto a quell'Austria contro cui un tempo gli svizzeri avevano combattuto le prime battaglie per l'indipendenza. La vittoria. dei liberali svizzeri (nov. '47) e la sanguinosa rivolta del popolo di Palermo (l5/I/'48) si ripercossero a Parigi e, dice Marx, agirono "come una scossa elettrica sulla massa popolare paralizzata, risvegliandone i grandi ricordi e le passioni rivoluzionarie". In Italia pure la rivoluzione che covava sotto la cenere si era ridestata un po' dovunque, in particolare con la rivolta di Palermo per il distacco e l'indipendenza assoluta dal Regno di Napoli.
Concludendo, il torrente rivoluzionario si è ingrossato dappertutto in Europa e minaccia paurosamente gli argini della controrivoluzione. Dopo le prime lezioni si apre la prima falla in Francia, e di qui il moto dilaga in tutti i paesi. Le grandi tappe della rivoluzione saranno Parigi, Vienna, Berlino. Le stesse tappe segneranno il cammino della controrivoluzione.
Gli aspetti sociali della rivoluzione si intersecheranno a quelli nazionali, i problemi interni con quelli della politica estera. Rivoluzione e guerra sono all'ordine del giorno dovunque e si influenzano a vicenda. Non tutti i moti di indipendenza si inseriscono nel giusto corso storico: il moto secessionista di Palermo, esasperazione di una giusta lotta contro l'assolutismo, e tuttavia antistorico, come lo sono pure i moti "nazionali" del popoli slavi dell'impero austriaco, ecc..
Comprendere tutti questi complicati problemi storici e politici non era cosa facile. Ma il partito di Marx sapeva dove mettere la spada per sciogliere i nodi fondamentali; era il solo in grado di additare a classi e partiti la via giusta da seguire; soprattutto, sapeva agire secondo i fini immediati e mediati del proletariato, unica classe veramente rivoluzionaria.
La rivoluzione di febbraio a Parigi
L'insieme di tutte le crisi esistenti aveva reso "ancora più insopportabile il dominio esclusivo dell'aristocrazia finanziaria" (da Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 180 di Marx), cioè di quella frazione della borghesia che raggruppa nel suo seno banchieri, re della borsa, proprietari fondiari.
Contro di essa cominciò subito l'opposizione della borghesia industriale con l'agitazione dei banchetti politici per una riforma elettorale che le permettesse di conquistare la maggioranza nelle camere. La proibizione di uno di questi banchetti e di una manifestazione popolare da parte del governo Guizot, provocò l'insurrezione. II 24 febbraio, Parigi era già tutta nelle mani degli insorti i quali, grazie al contegno passivo della Guardia Nazionale, riuscirono a disarmare l'esercito e a cacciarlo da Parigi.
"II governo provvisorio, sorto dalle barricate di febbraio, rispecchiava necessariamente nella sua composizione i diversi partiti che si erano divisi la vittoria. Esso non poteva essere altro che un compromesso fra le diverse classi sociali che insieme avevano abbattuto il trono di luglio, ma i cui interessi erano opposti ed ostili... Tale governo era in somma l'immagine di quella "fraternità" alla cui insegna si era fatta la rivoluzione e nella cui ebbrezza il proletariato si sdilinquiva e faceva cadere la sua bandiera rossa davanti a quella tricolore" (idem).
I mesi che vanno fino a giugno chiariranno il significato di quella fratellanza, e la disfatta di giugno farà cadere ogni residua illusione su una società senza contrasti di classe.
II carattere della rivoluzione di febbraio era e doveva restare essenzialmente politico: la società prima borghese, doveva rimanere tale. Si trattava solo di dare all'intera classe borghese quel potere politico che prima era nelle mani di una sua frazione. Ma non era indifferente che ciò avvenisse con o senza un cambiamento della forma dello stato. Marx dimostra che la Repubblica fu imposta dal proletariato. In suo nome, Raspail "intimò al governo provvisorio di proclamare la repubblica e se questa intimazione del popolo non fosse stata eseguita entro due ore, egli sarebbe tornato alla testa di 200.000 uomini" (idem). E se questa repubblica fu "circondata da istituzioni sociali", lo si dovette anche alle minacce del proletariato: "una massa di 20.000 operai marciò sull'Hotel-de-Ville al grido di : Organizzazione del lavoro! Costituzione di uno speciale ministero del lavoro!". L'aver creduto però alla capacità miracolistica di queste istituzioni dimostrò pure la debolezza del proletariato. Anche questa illusione di poter "difendere il suo interesse accanto a quello borghese" cadrà col giugno, quando esso non combatterà accanto alla borghesia, ma contro di essa.
La rivoluzione di marzo a Vienna
Nell'ottobre '47, Metternich aveva già cominciato a perdere la calma: "La fase che oggi percorre l'Europa - scriveva egli - è la più pericolosa che il corpo sociale abbia dovuto affrontare negli ultimi sessant'anni".
II 13 marzo, il popolo di Vienna "spezzò il potere del principe Metternich e lo costrinse a fuggire vergognosamente dal paese" (da Rivoluzione e controrivoluzione in Germania). Tutte le forze con le quali si era cercato di incatenare la rivoluzione in ascesa, erano spezzate in un solo giorno di combattimenti.
Dopo Parigi, tutti i popoli dell'impero austriaco si erano messi in movimento per chiedere costituzioni separate, autonomia o indipendenza assoluta. Altrettanto dicasi delle varie classi: i contadini distruggono il feudalesimo nelle campagne prima ancora che ciò avvenga sulla carta. Delegazioni di ogni genere avanzano richieste di uguaglianza di diritti civili e politici. Uno di tali comitati, il 13 marzo si reca a presentare le sue richieste al Landtag riunito, in testa a un tumultuoso corteo. II governo oppone resistenza armata e la dimostrazione si trasforma in insurrezione.
"Della rivoluzione di Vienna si può dire che fu fatta da una popolazione quasi unanime" (idem). Ciò perché la borghesia agì con una relativa "innocenza politica", derivante soprattutto dal fatto che non aveva ancora "visto agire gli operai come classe o levarsi in difesa dei propri interessi di classe" (idem) e perché vedeva che "gli operai erano d'accordo con lei su tutti i punti: costituzione, giuria, libertà di stampa, ecc.". Ma quest'idillio non potrà durare a lungo. "E' destino di tutte le rivoluzioni che questa unione di classi differenti, che in una certa misura è sempre la condizione necessaria di ogni rivoluzione, non possa essere di lunga durata. Non appena la vittoria contro il comune nemico è conseguita, i vincitori si dividono in campi diversi e rivolgono le armi gli uni contro gli altri. E' questo rapido e appassionato sviluppo degli antagonismi di classe che fa di una rivoluzione un agente così potente di progresso sociale e politico; è questo incessante affacciarsi di nuovi partiti che si succedono l'uno all'altro al potere che, durante queste commozioni violente, fa percorrere ad una nazione in cinque anni maggior cammino di quanto essa non ne avrebbe percorso in un secolo di circostanze ordinarie" (idem).
Questo processo di decantazione lo si vede esaminando la struttura del potere subito dopo l'insurrezione. Esso risulta diviso fra tre forze: monarchia, borghesia, operai, più studenti (questi stanno fra borghesia e operai). La monarchia avendo fatto le concessioni del memento, ha potuto salvare il salvabile e presto penserà a risalire i gradini discesi. La borghesia, benché abbia potuto costituire una sua forza armata, la Guardia Nazionale, è una specie di governo rivoluzionario, il Comitato di Sicurezza, può considerare la sua supremazia come un fatto più teorico che pratico che un altro potere si è formato accanto al suo: quello degli operai e degli studenti che hanno creato la Legione Accademica, una vera e propria forza armata sulla quale la rivoluzione potrà contare per il suo ulteriore sviluppo.
Un po' per la fretta di riprendere la produzione e un po' per paura, la borghesia raffredda subito i suoi entusiasmi ed anela a ristabilire la "normalità". La sua alleanza con le altre forze rivoluzionarie, dopo l'insurrezione, si spezza subito. Si deve solo alla condotta maldestra della corona, se l'alleanza si ricompone ancora qualche volta. Decisa a riprendere tutto il potere l'imperatore provoca la rivolta prima il 16/5 dopo la pubblicazione di una beffarda costituzione aristocratica, poi (26/5) imponendo lo scioglimento della legione Accademica. "Questo colpo sarebbe forse riuscito se la sua applicazione fosse stata affidata solamente ad una parte della Guardia Nazionale; ma il governo, che non aveva fiducia nemmeno in essa, fece entrare in azione l'esercito e immediatamente la Guardia Nazionale cambiò fronte, si unì alla Legione Accademica e così mandò a monte il piano del ministero".
Intanto l'imperatore e la corte avevano lasciato Vienna per riprendere a ritessere gli intrighi della camarilla controrivoluzionaria, i cui agenti principali erano fra la burocrazia civile e militare.
La rivoluzione a Berlino
Anche a Berlino si manifesta, rivendicando tutte le libertà e i diritti borghesi. Gli operai che chiedono anche garanzie sul lavoro non si lasciano addormentare dalle promesse di Federico Guglielmo IV e spingono avanti il moto, che nei giorni dal 13 al 16 produce notevole spargimento di sangue negli scontri con l'esercito. La notizia dell'insurrezione di Vienna provoca l'incendio. La borghesia chiede al re il ritiro delle forze armate e l'organizzazione di una guardia civica armata che, nelle sue intenzioni, deve sostituire l'esercito regio nel tenere a bada gli inquieti operai.
II ritiro delle truppe diviene la parola d'ordine con la quale si ingaggia la battaglia fra corona e popolo, in cui questo, nella notte fra il 18 e il 19 marzo, dopo 13 ore di accaniti combattimenti sulle barricate, riesce ad imporre la sua volontà: i 14.000 soldati e i 26 cannoni vengono ritirati. II peso maggiore della lotta, com'era del resto avvenuto a Vienna, lo sopporta il proletariato: 183 morti. Questi martiri il proletariato rivoluzionario vuole onorare condannando il re a scoprirsi davanti ai loro cadaveri trasportati a spalle dai combattenti delle barricate sfilanti in corteo con le armi vittoriose ancora in pugno. "Si celebra così contro gli Hoenzollern un processo cui nessun Stuart e nessun Capeto è stato sottoposto dinanzi al patibolo, un processo la cui terribile violenza ci è stata per sempre conservata nei versi immortali di Freiligrath" (Mehring, Storia della socialdemocrazia tedesca). II corteo funebre non era solo la espiazione imposta ad un sovrano colpevole: esso gli imponeva di approvare la nazione armata.
E' poco tutto ciò? Doveva il proletariato rovesciare il trono anche materialmente? "Muovere questo rimprovero è giusto o ingiusto quanto rimproverare gli assalitori della Bastiglia perché non hanno immediatamente proclamato la repubblica".
II proletariato nel sangue versato il 18 marzo aveva lavato l'onta di decenni e innalzato una barriera storica dalla quale nessun potere al mondo sarebbe tornato indietro. Esso non poteva fare di più che aprire la strada alla borghesia, cioè alla classe che in quel momento storico era chiamata a prendere il potere e a fare i conti con l'assolutismo: nelle sue mani era la decisione di coronare o tradire l'ardita impresa del 18 marzo.
Rispetto alla rivoluzione di Vienna, quella di Berlino non fu altrettanto "unanime" perché la borghesia era più matura politicamente ed aveva presentito la rivoluzione di Parigi come il preludio della battaglia fra borghesi e proletari. II raffreddamento della borghesia è quindi rapido, e presto si assiste al vergognoso spettacolo che il suo governo s'accorda con la corona per varare Costituzione e legge elettorale e per escludere gli operai dalla "guardia civica", che deve restare solo di borghesi armati.
Presto anche la rivoluzione contadina, propagatasi sotto la spinta della città a tutta la campagna, dove aveva distrutto gli ultimi residui del feudalesimo, deve rientrare. Un simile tradimento dei contadini (dicono Marx ed Engels) da parte del partito borghese tedesco che in essi doveva avere i migliori alleati "non fu mai commesso da nessun partito nella storia", e, quali che siano i castighi che ad esso riserverà il futuro, "esso li ha pienamente meritati con questo solo atto" (Rivoluzione e controrivoluzione in Germania).
La rivoluzione negli Stati minori
Già dal 5 marzo i liberali, prevalentemente del sud, si erano riuniti ad Heidelberg per convocare a Francoforte una Costituente nazionale, cioè un parlamento per tutta la Germania. Questo divenne una realtà solo dopo la rivoluzione di Berlino, perché la borghesia dei piccoli stati si era affidata alla borghesia della Prussia che dominava già nello Zollverein.
II ruolo storico del nuovo organismo poteva essere veramente importante, ma il cattivo uso fattone dalla borghesia dimostrò ancora una volta la sua incapacità di assolvere ai suoi compiti rivoluzionari. Esso avrebbe dovuto dichiararsi "sola espressione legale della volontà sovrana del popolo tedesco e così avrebbe dato valore legale ad ognuno dei suoi decreti" (idem). Ma prima di tutto avrebbe dovuto assicurare "una forza armata organizzata, capace di spezzare ogni opposizione da parte del governi. E tutto questo era facile, molto facile a farsi in quel primo periodo della rivoluzione" (idem).
Purtroppo l'Assemblea deluse tutti e finì per mettersi al servizio della controrivoluzione.
Le relazioni internazionali della rivoluzione tedesca
"... I fatti successivi non possono essere chiaramente compresi, se non si prendono in considerazione quelle che si potrebbero chiamare le relazioni internazionali della rivoluzione tedesca. E questa relazioni internazionali erano altrettanto complicate quanto i problemi interni" (idem). Questa la ragione per cui anche noi siamo costretti a fare qualche accenno descrittivo ed anche critico.
La Confederazione tedesca comprendeva fra i suoi stati minori la Boemia e la Polonia prussiana. I due ducati di Holstein e Schleswig erano rimasti politicamente legati alla corona danese, alla quale, durante la rivoluzione (il 20/3) avevano chiesto il distacco per entrare nella Confederazione tedesca. Ma la monarchia, tenendo buona la borghesia con qualche concessione democratica, aveva respinto la rivendicazione di questi due paesi, tedeschi per nazionalità e necessari alla Germania per motivi commerciali e militari. Perfino certi "democratici" danesi appoggiavano il loro stato nel proseguire un nazionalismo pan-scandinavo sognante il ritorno alla grande monarchia danese comprendente anche la Norvegia e la Svezia. La guerra fra Germania e Danimarca era quindi inevitabile.
Ma la storia metteva all'ordine del giorno la formazione dello stato tedesco come stato unitario e indivisibile, ed esigeva che oltre alle regioni sopra nominate ne facessero parte integrante gli altri stati minori, la Prussia e l'Austria. Quest'ultima naturalmente avrebbe dovuto liquidare il suo impero concedendo l'indipendenza totale all'Ungheria, alle regioni italiane del lombardo-veneto, ed a certe regioni slave, come richiedeva il vero e genuino interesse rivoluzionario della borghesia tedesca contro le mire opposte della reazionaria corte di Vienna e di una minoranza di nobili. Nei riguardi poi di una Ungheria libera, la Croazia non avrebbe dovuto accampare diritti a staccarsene, così come non avrebbe dovuto farlo la Boemia nei confronti dell'Austria tedesca. La predominava l'elemento magiaro, qui quello tedesco: i "liberali" slavi di queste regioni dovevano quindi sentire il dovere rivoluzionario di restare uniti ai gruppi nazionali più forti e vitali. Quale fu invece il loro atteggiamento in seguito alla rivoluzione? Quello di volersi unire ad un gruppo nazionale - quello degli slavi (russi, polacchi, serbi e bulgari) - che era sì forte, ma storicamente molto retrogrado.
Con la loro agitazione per l'indipendenza, i popoli slavi di questi paesi "tradivano quindi la causa della rivoluzione per l'ombra di una nazionalità che, nel migliore del casi, avrebbe condiviso le sorti della nazionalità polacca sotto il dominio russo" (idem): il panslavismo che aveva la patria in queste due regioni non era che una teoria antistorica al servizio della potenza più reazionaria del tempo: la Russia zarista.
Quale doveva essere poi il dovere rivoluzionario della borghesia tedesco-austriaca di Vienna? Quello di non appagarsi delle iniziali concessioni fatte dall'imperatore e di sbarrare la strada ai suoi eserciti inviati a soffocare le rivoluzioni italiana e ungherese. Non aver fatto questo le costerà di essere ricacciata indietro dalle posizioni conquistate in marzo e di essere battuta militarmente proprio dall'esercito imperiale alleato dei pan-slavisti. Ma come si sarebbero potuti impedire tutti questi tradimenti? La risposta data dal partito più radicale, quello proletario e comunista di Marx, fu : con la guerra alla Russia!
Questa soluzione era reclamata anche dalla necessità di resurrezione dei polacchi che chiedevano il distacco dallo stato prussiano. E' vero che anche essi erano stati largamente germanizzati negli ultimi settant'anni e che la frontiera tedesca si era spostata più ad est, ma: "La delimitazione delle frontiere tra le diverse nazioni entrate in rivoluzione sarebbe diventata secondaria di fronte alla questione principale di stabilire una frontiera sicura contro il nemico comune: i polacchi, ricevendo vasti territori ad oriente, sarebbero diventati più trattabili e più ragionevoli per l'occidente" (idem). In ogni caso, anche un piccolo sacrificio nazionale si sarebbe dovuto sopportare per risolvere il grosso problema dell'unità della nazione tedesca. Non avendo agito così nemmeno in questo settore, anzi avendo soffocato con le armi l'agitazione rivoluzionaria di quei polacchi per i quali fino allora "i tedeschi avevano manifestato tanto entusiasmo", significò per la borghesia tedesca scavarsi la fossa con le proprie mani.
Concludendo, la borghesia tedesco-prussiana, dove, come per lo Schleswig-Holstein, doveva dar prova di spirito nazionale e guerriero, si mostrò vile, e dove poteva e doveva transigere, come nella Polonia prussiana, fu aggressiva e nazionalista.
L'azione del partito proletario per spingere avanti la rivoluzione - La Nuova Gazzetta Renana
Allo scoppio della rivoluzione a Parigi, il comitato centrale della Lega dei Comunisti aveva rimesso i poteri al comitato direttivo di Bruxelles e questo, a sua volta, a Marx. Ma egli aveva già deciso di raggiungere i profughi di Londra e di Bruxelles a Parigi, dove era stato invitato anche da Flacon. Espulso dal governo belga, riparò quindi in Francia. Qui, fra i diecimila profughi tedeschi, si andava agitando il problema di una "marcia rivoluzionaria" sulla Germania per destarvi la rivoluzione. Marx la ritenne una folle avventura e, rischiando tutta la sua popolarità e sfidando tutti i "sinistri" che lo accusavano di viltà e tradimento, non esitò a condannarla. A capeggiare quell'ubriacatura era Herwegh, che si illudeva - come altri patrioti del luglio '30 - che il governo francese avrebbe favorito la rivoluzione in Germania. Marx invece aveva capito perfettamente che il pacifista Lamartine avrebbe aiutato i tedeschi solo per farli uscire da Parigi e dalla Francia ed allontanare un focolaio di infezione rivoluzionaria. Marx faceva ben rilevare i due grossi errori contenuti nell'idea della "marcia": uno militare, per cui prevedeva una rapida sconfitta degli improvvisati combattenti, e uno politico, perché una simbolica forza esterna non avrebbe mai potuto suscitare i necessari movimenti di masse richiesti da una rivoluzione ed avrebbe avuto anzi lo effetto opposto sugli strati della già vile borghesia. Egli non fu ascoltato ed il 1° aprile la legione di Herwegh, con musica e bandiera rosso-nero-oro in testa, partiva da Parigi. Il caso volle che nello stesso giorno anche i membri della Lega rimasti fedeli a Marx, per incarico di questi, lasciarono Parigi alla spicciolata per recarsi in Germania e formarvi il lievito del futuro movimento rivoluzionario. I fatti mostrarono lì a poco che Marx aveva previsto bene: appena varcato il Reno, la legione di Herwegh fu dispersa dalle truppe del re del Wuttenberg.
Dei suoi discepoli, invece, W. WoIff raggiunse Breslavia ancora in tempo per farsi eleggere all'Assemblea nazionale di Francoforte dove sarà il portatore delle vedute marxiste; S. Born andò a Berlino e vi fondò l'associazione la Fratellanza operaia; Willich raggiunse Magonza; Marx ed Engels invece si stabilirono a Colonia, futuro centro di grandi lotte.
Già da Parigi, la Lega dei Comunisti aveva lanciato in un appello le "rivendicazioni del partito comunista in Germania" articolate in 17 punti, che rispecchiavano gli interessi del proletariato, dei contadini e della piccola borghesia. Tra esse figuravano l'unità tedesca come repubblica unitaria e indivisibile, la nazione armata, ed il passaggio allo stato dei mezzi di trasporto e delle terre dei sovrani per praticarvi un'agricoltura in grande. Ma alcune di queste rivendicazioni, che pure erano indietro a quelle previste dal Manifesto, si dovevano rilevare anche troppo avanzate per la situazione in Germania.
La stessa Lega dei Comunisti perdette le ragioni della sua esistenza: era troppo debole come leva per organizzare le grandi masse, e come mezzo di propaganda poteva essere sostituito da mezzi più efficaci. Perciò, con atto dittatoriale, sfidando ogni esitazione, ne proclamò lo scioglimento. Ma il partito proletario potrà far sentire la sua autorevole voce e combattere la sua battaglia attraverso un grande giornale, che sarà la Neue Rheinische Zeitung, la Nuova Gazzetta Renana.
Sarà questa che dirigerà l'azione dei comunisti sparsi in Germania e permetterà lo sviluppo della classe operaia su chiare posizioni di lotta rivoluzionaria che, al di là della demagogica azione di certe sinistre operaie, miravano allo scopo principale del momento: spingere avanti la borghesia grande e piccola, fondare il suo potere sulla forza del popolo: "La borghesia non può fondare il proprio stato senza avere almeno provvisoriamente tutto il popolo come alleato, ossia senza agire più o meno democraticamente". Perciò il giornale nasce, il 1° giugno 1848, come "organo della democrazia". Ma esso non deve servire i democratici: deve controllarli che restino sul binario rivoluzionario che proprio e solo il partito proletario, attraverso la R.N.Z. è in grado di indicare. Esso non nasconde gli obiettivi finali del proletariato, e dice chiaro che il suo ideale non è la repubblica nero-rosso-oro, la quale semina, deve segnare l'inizio della opposizione proletaria vera e propria. II pilastro fondamentale messo sempre in evidenza e quello della "rivoluzione permanente" contro la volontà del partito della grande borghesia che, subito dopo marzo, vuole considerare chiusa la rivoluzione appena all'inizio. E, quando la controrivoluzione si affaccia all'orizzonte europeo e tedesco, l'incitamento alla battaglia si fa ancora più pressante.
Giugno 1848 a Parigi primo atto del dramma
Abbiamo visto come a febbraio - secondo Marx - "il proletariato imponendo la repubblica al governo provvisorio e, attraverso il governo provvisorio, a tutta la Francia, occupava d'un colpo il centro della scena come partito indipendente, ma in pari tempo gettava una sfida a tutta la Francia borghese. Ciò che esso aveva conquistato era il terreno della lotta per la propria emancipazione rivoluzionaria, ma non era certamente questa emancipazione". Quest'ultima poteva essere solo il frutto di un vittorioso urto armato contro tutte le classi che il febbraio aveva portato al potere. Alla grande battaglia storica si pervenne nel giugno del '48. "La rivoluzione di febbraio aveva cacciato l'esercito da Parigi. La Guardia Nazionale, cioè la borghesia nelle sue più diverse gradazioni, era l'unica forza armata. Essa non si sentiva però abbastanza forte da misurarsi da sola col proletariato. Inoltre era stata costretta, benché dopo la più tenace resistenza ed opponendo cento ostacoli diversi, ad aprire a poco a poco ed in parte le sue file, e a lasciare entrare in essa del proletari armati. Non rimaneva dunque che una via d'uscita: opporre una parte del proletari all'altra.
"A questo scopo il governo provvisorio formò 24 battaglioni di guardie mobili, ciascuno di mille uomini dai 15 ai 20 anni. Essi appartenevano per la maggior parte al sottoproletariato... Quando la guardia mobile sfilò per Parigi, il proletariato l'accolse con degli evviva. In essi riconosceva i suoi combattenti d'avanguardia sulle barricate, e la considerava come la guardia proletaria in opposizione alla guardia nazionale borghese. Il suo errore era perdonabile". Esso fu compensato da un errore della borghesia. "Accanto alla guardia mobile il governo decise di raccogliere intorno a sé anche un esercito di operai industriali. II ministro Marie arruolò nei cosiddetti laboratori nazionali centomila operai gettati sul lastrico dalla crisi e dalla rivoluzione... In essi il governo provvisorio credette di aver trovato un secondo esercito proletario contro gli operai stessi. Questa volta la borghesia si ingannava circa i lavoratori nazionali, come gli operai si ingannavano circa la Guardia mobile. Essa aveva creato un esercito per la sommossa". L'unico scopo ottenuto dalla borghesia fu l'equivoco tra i laboratori popolari propugnati da L. Blanc e quella specie di Workhouse inglesi all'aria aperta organizzate dal governo, equivoco sfruttato per disorientare il proletariato nelle lotte che di lì a poco dovevano cominciare, per es. nelle giornate del 17 marzo e del 16 aprile, quando il governo vi colse "il pretesto al richiamo dell'esercito a Parigi".
II primo attacco della borghesia avvenne dopo l'elezione dell'Assemblea nazionale costituente (4 maggio). "L'Assemblea ruppe subito con le illusioni sociali della rivoluzione di febbraio; essa proclamò chiaro e tondo la repubblica borghese, niente altro che la repubblica borghese; escluse immediatamente dalla commissione esecutiva da lei nominata i rappresentanti del proletariato, Luis Blanc e Albert". A questo attacco ai proletari sul piano politico la borghesia fece presto seguire quello decisivo sul piano militare. "Si doveva batterli sulla strada; si doveva mostrar loro che erano sconfitti, non appena si battevano non con la borghesia, ma contro la borghesia". Questa "doveva respingere le rivendicazioni del proletariato con le armi alla mano". Essa prese di mira i laboratori nazionali come "vero centro dell'attacco" e questo perché "non per il loro contenuto, ma per il loro nome, i laboratori nazionali erano l'incarnazione della protesta del proletariato contro l'industria borghese, il credito borghese, la repubblica borghese". Così il governo "ordinava l'espulsione dai laboratori nazionali di tutti gli operai non sposati, ed il loro arruolamento nell'esercito. Agli operai non rimase altra alternativa: o morire di fame o scendere in campo. Essi risposero il 22 giugno con la terribile insurrezione in cui venne combattuta la prima grande battaglia fra le due classi in cui è divisa la società moderna. Pu una lotta per la conservazione o per la distruzione dell'ordine borghese. II velo che avvolgeva la repubblica fu lacerato".
Marx commenta così la disfatta di giugno sulla N.R.Z. del 29/6/'48: "Nessuna delle numerose rivoluzioni della borghesia a partire dal 1789 era stato un attentato contro l'ordine, perché tutte avevano lasciato sussistere il dominio della classe, la schiavitù degli operai, l'ordine borghese, benché spesso fosse cambiata la forma politica di questo dominio e di questa schiavitù. Giugno ha intaccato quest'ordine!".
Continua instancabile la battaglia di Marx in Germania
Marx avvertì il colpo della disfatta di Giugno a Parigi, ne comprese il significato in tutta la sua portata per le sorti della rivoluzione in Germania. E proprio per questo la sua azione si fece più accanita su tutti i fronti, e non solo attraverso quell'organo rivoluzionario che era la N.R.Z.. La sua "redazione si riduceva alla dittatura di Marx. Un grande quotidiano, che deve essere pronto ad un'ora determinata non può mantenere con nessun altro regime una posizione conseguente. Nel nostro caso però - dice ancora Engels - la dittatura di Marx era una cosa ovvia, fuori discussione, riconosciuta volentieri da tutti. E furono in primo luogo la lucidità della sua visione ed il suo atteggiamento sicuro a fare del nostro il più famoso giornale tedesco degli anni della rivoluzione". La battaglia per quel più immediate obbiettivo che era la "conquista della democrazia" in Germania, si servì anche di tre associazioni sorte a Colonia verso la meta d'Aprile '48: la "Associazione democratica", la "Associazione operaia" e la interclassista "Associazione del datori di lavoro e degli operai" le quali, prima di poter marciare unitariamente secondo l'indirizzo impresso da Marx, gli costarono aspre lotte contro il massimalismo di Gottschalk che, con posizioni demagogiche ed infantili, avrebbe portato ad isolare il proletariato dal grosso dell'esercito di cui doveva rappresentare l'"estrema punta dell'ala sinistra,,. giacché infatti la Bastiglia non è ancora presa e l'assolutismo non è ancora, battuto". E' il problama della tattica che Marx vede chiaramente in quella situazione storica: la sola politica rivoluzionaria era di frustare a sangue la borghesia per costringerla ad assolvere i compiti che la storia le assegnava e che essa mostrava di rifiutare, e quindi a fare assegnamento sul "popolo armato" che per Marx significava essenzialmente "proletariato armato". Occorreva quindi dimostrare che la burocrazia civile e militare era rimasta al suo posto dopo marzo e che, con il suo aiuto e con quello dell'esercito, il re di Prussia e l'imperatore d'Austria avrebbero potuto prendersi la rivincita e ripristinare il vecchio ordine. Occorreva indicare il quadro in cui la rivoluzione poteva proseguire aveva dimensioni internazionali, perché il più importante compito borghese, che era l'unificazione della nazione tedesca, urtava necessariamente contro la Russia feudale.
Se poi la guerra rivoluzionaria avesse coinvolto anche l'Inghilterra, allora il processo rivoluzionario non solo avrebbe liberato la Germania e gli altri popoli oppressi (Italia, Ungheria e Polonia) ma avrebbe potuto dar modo ai cartisti inglesi di abbattere gli oppressori imperialisti nazionali, e al proletariato francese di prendersi la rivincita del giugno: in poche parole, si sarebbe potuto saldare il movimento di liberazione nazionale in lotta contro l'alleanza imperialistico-feudale alla lotta proletaria dei paesi più avanzati. Così, Marx vedeva possibile l'avviarsi di quel processo e di quella strategia rivoluzionaria che dovevano diventare i soli possibili nella fase imperialistica del capitalismo, iniziatasi con il secolo attuale. Bisognava trascinare a viva forza la borghesia in azioni militari rivoluzionarie, perché queste, con la loro logica e le loro necessità, avrebbero imposto all'interno una direzione sempre più energica e decisa, quindi sempre più spinta verso forme esclusive e dittatoriali di potere. Ecco perché Marx non insiste più sulla formula per organizzare lo Stato tedesco uscito dalla rivoluzione di marzo. Anziché esaurirsi in inutili discussioni sulla "migliore forma da dare allo stato", occorreva operare in modo rivoluzionario perché questo operare avrebbe, con le sue necessità, imposto la forma di Stato più adatta, che poi, per Marx, aveva il significato non di punto d'arrivo ma di nuovo punto di partenza per spingere la lotta fra le classi in direzione del duello finale fra borghesia e proletariato. "La forma migliore di Stato è quella nella quale gli antagonismi sociali non sono mitigati, non sono compressi con la forza, cioè superficialmente e artificialmente. La miglior forma dello Stato e quella in cui questi antagonismi si scontrano liberamente nella lotta, e attraverso ad essa trovano la loro soluzione"
Le istituzioni parlamentari e governative di Berlino, Francoforte e Vienna, sorte in seguito alla rivoluzione di marzo, si trovavano, secondo Marx, di fronte ad un tragico "dilemma tra un suicidio per eroismo e un suicidio per vigliaccheria": se il processo rivoluzionario fosse stato spinto avanti, esse sarebbero sparite per cedere il posto ad altre più avanzate; se invece quel processo si fosse arrestato, sarebbe perite ugualmente, ma per mano di forze controrivoluzionarie.
La borghesia tedesca preferì il "suicidio per vigliaccheria"!
La controrivoluzione si abbatte sulla Germania
II primo atto decisivo della controrivoluzione europea si era verificato in giugno a Parigi. Ma già dall'aprile "il torrente rivoluzionario era stato arginato... In Francia, la piccola borghesia e la frazione repubblicana della borghesia si erano unite con la borghesia monarchica contro i proletari; in Germania ed in Italia, la borghesia vittoriosa si era affrettata a cercare l'appoggio della nobiltà feudale, della burocrazia statale e dell'esercito contro la massa del popolo; ... in Inghilterra, una dimostrazione popolare intempestiva e male preparata (10/4) si risolse in una sconfitta completa e decisiva del partito popolare [cartista]. In Francia, due movimenti simili (16/4 e 15/5) vennero ugualmente sconfitti. In Italia, il re Bomba restaurò il suo potere di un sol colpo il 15 maggio".
Anche in Ungheria il movimento aveva preso forme legali, e in Austria il ripristino dell'alleanza fra borghesia e popolo nella giornata del 15 maggio era stato dovuto più che altro alla fretta della corona di riprendere tutto il potere nelle mani. Ma due eventi militari delle due massime potenze della Germania si erano prodotti per volere dei monarchi e con la vergognosa compiacenza dei borghesi al governo:
1) Già nel mese di aprile, sei settimane dopo la rivoluzione di Berlino, l'esercito prussiano era riuscito a schiacciare il movimento polacco. "II partito dominante borghese, poiché prevedeva che una guerra nazionale contro la Russia, esigendo la direzione di uomini più attivi ed energici, avrebbe portato alla sua caduta, con un entusiasmo ipocrita per l'estensione della nazionalità tedesca dichiaro che la Polonia prussiana, centro dell'agitazione rivoluzionaria polacca, doveva essere parte integrante del futuro impero tedesco. Le promesse fatte ai polacchi nei primi giorni di agitazione vennero vergognosamente tradite ... Questo immenso, incalcolabile servizio venne reso all'autocrate russo dai ministri-mercanti liberali Camphausen e Hauseman. Si deve aggiungere che questa campagna polacca fu il primo mezzo per riorganizzare e rinfrancare quello stesso esercito prussiano, che in seguito rovesciò il partito liberale e schiacciò il movimento che i signori Camphausen e Hausemann avevano messo in piedi con tanta pena. "Là dove hanno peccato ivi sono puniti . Fu questo il destino di tutti gli uomini venuti a galla nel 1848 e nel 1849, da Ledru-Rollin a Changarnier, dai Camphausen fino a Haynau" (Marx ad Engele, 5 marzo 1852).
2) In giugno, l'esercito austriaco, formato da truppe slave e comandato dal generale Windischgratz, soffocò il moto dei "democratici" slavi di lingua ceca con un terribile bombardamento di Praga, dopo di che l'esercito austriaco con Radetsky può prendersi la rivincita in Italia contro l'eroica rivoluzione milanese (le cinque giornate, 18/23 marzo), sconfiggendo l'esercito lombardo-piemontese a Custoza il 25 luglio. E così "l'esercito tornò ad essere il potere decisivo nello stato; e l'esercito apparteneva non alla borghesia, ma al vecchio partito burocratico feudale in Germania". La borghesia, ripristinando l'onore dell'esercito regolare che la rivoluzione aveva sconfitto, aveva preparato la sua miseranda fine.
II primo grande scontro fra rivoluzione e controrivoluzione
"All'inizio dell'autunno le relazioni fra i differenti partiti erano diventate così tese e critiche che una battaglia decisiva era inevitabile. II primo scontro in questa guerra tra le masse democratiche e rivoluzionarie dell'esercito si produsse a Francoforte". Alla sua base c'è la guerra nazionale tedesca contro la Danimarca, la cui direzione era stata al fidata alla Prussia ed al suo esercito. Questo che in Polonia aveva combattuto con estremo vigore, in questa guerra, "la sola popolare", si muove svogliatamente e il 28 agosto la Prussia firma il vergognoso armistizio di Malmo per due ragioni: la Prussia voleva riservarsi l'esercito come mezzo di repressione interna e non come mezzo rivoluzionario, e non voleva mettersi contro l'Inghilterra e la Austria che proteggevano la Danimarca. Qui il ruolo storico rivoluzionario dell'Assemblea di Francoforte poteva essere decisivo; perciò Marx, attraverso la N.R.Z. incalzava: "La guerra che potrebbe scaturire dalle decisioni di Francoforte sarebbe la guerra dell'intera Germania contro la tradizione prussiana, la Russia e l'Inghilterra. Proprio una simile guerra sarebbe necessaria all'assopito movimento tedesco: una guerra contro le tre grandi potenze della controrivoluzione, una guerra che faccia assurgere la Prussia all'altezza della Germania, che renda indispensabile un'alleanza con la Polonia, che porti subito alla liberazione dell'Italia; una guerra che conduca a proclamare "la patria in pericolo" e che perciò stesso la salvi, facendo dipendere la vittoria della Germania dalla vittoria della democrazia".
Purtroppo, il "cretinismo parlamentare" che Marx aveva sempre sferzato creò l'irreparabile. Dopo la commedia della crisi del ministero confederale, poi ricostituito dal Gagern, filo-prussiano e agli ordini degli Hohenzollern, l'Assemblea approvò l'armistizio il 16 settembre '48: anziché mettere la Prussia ai suoi ordini, si metteva al suo servizio! "Questo procedimento vergognoso sollevò l'indignazione del popolo. Si fecero le barricate, ma a Francoforte erano già state inviate truppe in quantità sufficiente, e dopo sei ore di battaglia l'insurrezione fu vinta.
"Movimenti simili, ma di minore importanza si produssero, in relazione con questo avvenimento, in altre parti della Germania (Baden, Colonia) ma vennero egualmente repressi". Tra questi avvenimenti minori ricordiamo il licenziamento di Haneemann a Berlino e la sua sostituzione con il generale Pfuel che si era distinto nella repressione dei Polacchi, e le agitazioni in Renania (il 17/9, a un comizio di 10.000 persone, parlarono Engels, W. Wolf e Schapper) che costarono la sospensione per otto giorni della pubblicazione della N.R.Z.
Lo scontro di Francoforte "dette al partito controrivoluzionario un grande vantaggio, e cioè che il solo governo, il quale almeno in apparenza era uscito per intero da una elezione popolare, il governo del Reich residente a Francoforte, perdette agli occhi del popolo ogni autorità, allo stesso modo dell'Assemblea nazionale. Questo governo e questa Assemblea erano stati costretti a fare appello alle baionette dell'esercito contro la manifestazione della volontà popolare" (Rivoluzione e controrivoluzione in Germania). La questione militare e della rivoluzione era tutta qui: anziché mettersi sotto la protezione del popolo armato, un governo che pur doveva la sua nascita a quelle armi si metteva sotto la protezione dell'esercito reazionario.
Ottobre 1848 a Vienna: secondo atto del dramma
"Ma lo ripetiamo: questi eserciti, rafforzati dai liberali come mezzo d'azione contro il partito più avanzato [cioè quello proletario], non appena ebbero recuperate in una certa misura la loro fiducia in se stessi e la loro disciplina, si rivolsero contro i liberali e ristabilirono al potere gli uomini del vecchio sistema. Quando Radetsky, nel suo campo dietro l'Adige ricevette i primi ordini dei "ministri responsabili" di Vienna, esclamò: 'Chi sono questi ministri? Essi non sono il governo dell'Austria! L'Austria è ora soltanto nel mio campo; io e il mio esercito: questa è l'Austria; e quando avremo battuto gli italiani, riconquisteremo all'imperatore il suo impero!.'. II vecchio Radetsky aveva ragione; ma gli imbecilli ministri "responsabili" di Vienna non gli prestarono attenzione" (idem).
Abbiamo già visto che in luglio Radetsky aveva vinto in Italia. L'imperatore, fuggito in seguito alla rivolta del maggio, può ora tornare a Vienna, adularvi la guardia nazionale borghese, guadagnarla alla sua causa, e quindi passare alla offensiva provocando i lavoratori con un decreto "che sopprime il sussidio corrisposto fino allora dal governo agli operai disoccupati". II trucco riuscì. Gli operai organizzarono una manifestazione. Le guardie nazionali borghesi si dichiararono per il decreto del loro ministro; vennero gettate contro gli "anarchici", ed il 23 agosto si scagliarono come tigri sugli operai disarmati e che non facevano resistenza, e ne massacrarono un buon numero. In questo modo vennero spezzate l'unità e la potenza delle forze armate rivoluzionarie; la lotta di classe fra i borghesi e i proletari era giunta anche a Vienna a uno scoppio sanguinoso e la camarilla controrivoluzionaria vedeva avvicinarsi il giorno in cui avrebbe potuto sferrare il suo grande colpo" (idem). Questo giorno doveva essere il 5 ottobre. L'Austria aveva già prima attaccato l'Ungheria ritirando le concessioni fatte in marzo e, seguendo la vecchia politica di sfruttare le rivalità nazionali, aveva messo i croati comandati da Jellacic contro i magiari. II 5 ottobre poi dichiarava sciolta la Dieta ungherese, e in pari tempo ordinava alle truppe di stanza a Vienna di andare a rafforzare Jellacic ora governatore d'Ungheria. Quest'ultimo atto fece insorgere il popolo che trascinò con sé sia la Legione accademica che la Guardia nazionale nell'opporsi alla partenza delle truppe. Fu l'ultima rivolta vittoriosa, che vide nuovamente l'imperatore scappare, a Olmutz. Ma qui gli vennero in soccorso i deputati slavi inscenando una campagna contro la rivoluzione che, secondo loro, doveva farla finita con tedeschi e magiari "invasori della terra slava". "Windischgratz, il vincitore di Praga, era comandante dell'esercito concentrato intorno a Vienna, diventò di colpo l'eroe della nazionalità slava. Ed il suo esercito riceveva rapidamente rinforzi da tutte le parti. Dalla Boemia, dalla Moravia, dalla Stiria, dall'Austria superiore e dall'Italia, reggimenti su reggimenti convergevano su Vienna, per unirsi alle truppe di Jellacic e alla ex guarnigione della capitale. Si trovarono così concentrati verso la fine di ottobre più di 60.000 uomini, e presto essi cominciarono a circondare la città imperiale da tutte le parti sino a che, il 30 ottobre, furono tanto avanzati da poter avanzare l'attacco decisivo". Dall'altra parte della barricata, e cioè in Vienna, la situazione era caotica: "... La borghesia era caduta di nuovo in preda della sua vecchia diffidenza per la classe operaia "anarchica". Gli operai, memori del trattamento che avevano ricevuto sei settimane prima da parte dei bottegai armati, e memori della politica instabile, tentennante, della borghesia in generale, non vollero affidarle la difesa della città e chiesero armi e un'organizzazione militare per se stessi" (idem). Dunque da una parte c'era organizzazione e potenza, dall'altra disorganizzazione e contrasti di classe. "Non vi poteva essere dubbio circa l'esito di una lotta simile, e se vi era qualche dubbio, esso venne dissipato dagli avvenimenti del 30 e 31 ottobre e del primo novembre" (idem). Vienna fu bombardata crude mente e "le barricate vennero spezzate una dopo l'altra dalla artiglieria imperiale". I metodi seguiti da Cavaignac a Parigi vennero imitati alla perfezione dai generali pan-slavisti Windeschgratz e Jellacic. Ma quello contro cui Marx, Engels e tutti i rivoluzionari comunisti si batterono fieramente fu ancora peggio: il tradimento di Vienna sia da parte dei tedeschi che degli Ungheresi. In fondo "i viennesi, con tutta la generosità di un popolo da poco libero, erano insorti per una causa la quale, benché fosse in ultima istanza la loro, in prima istanza era soprattutto la causa degli ungheresi" (idem). Questi avrebbero potuto, se solo lo avessero voluto, "rinviare di sei mesi il concentramento di un esercito austriaco. In guerra, e particolarmente in una guerra rivoluzionaria, la rapidità dell'azione fino a che non si è ottenuto un vantaggio decisivo è la prima regola; e non esitiamo ad affermare, basandoci su considerazioni puramente militari, che Perczel [generale ungherese che aveva battuto ai primi d'ottobre Jellacic costringendolo a ritirarsi verso Vienna] non si sarebbe dovuto fermare fino a che non si sarebbe congiunto con i viennesi. E' vero che la cosa non era priva di rischio, ma chi ha mai vinto una battaglia senza mai arrischiare qualcosa? E forse che il popolo di Vienna non arrischiava nulla, quando attirava su di sé - su una popolazione di 400.000 abitanti - le forze destinate a marciare alla conquista di 12 milioni di ungheresi?" (idem). Quanto al popolo tedesco che doveva essere "il secondo alleato di Vienna", basti ricordare: "il parlamento di Francoforte e... il cosiddetto potere centrale trassero occasione dal movimento di Vienna per rendere palese ancora una volta la loro nullità assoluta" (idem). Insomma la N.R.Z. spronava tedeschi e ungheresi a difendere Vienna a Francoforte, a Berlino, ecc. ecc.. E, quando venne la sconfitta, così parlava: "A Vienna e stato testé eseguito il secondo atto del dramma, il cui primo atto si era concluso a Parigi sotto il titolo: giornate di giugno. A Parigi la guardia mobile; a Vienna, i croati; gli uni e gli altri dei lazzaroni, un cencioso proletariato comprato e armato contro il proletariato che lavora e che pensa. A Berlino assisteremo presto al terzo atto".
Novembre 1848 a Berlino; terzo atto
In un processo rivoluzionario, le forze politiche più avanzate sostituiscono quelle più moderate; il contrario avvenne se il processo si inverte e se la controrivoluzione avanza. Appunto ciò era accaduto a Berlino dove al ministero borghese Camphausen era succeduto quello Hansemann e a questo Manteuffel sotto il quale, all'atteso momento buono, cioè dopo la caduta di Vienna, il re licenziò i ministri e trasferì l'"Assemblea, eletta allo scopo di trovare un accordo con la corona" a Brandeburgo, "piccola città di provincia completamente controllata dal governo" dove non seppe far altro che cominciare "la grande commedia della resistenza passiva e legale", anziché rispondere con la violenza alla violenza.
L'Assemblea prussiana aveva rifiutato l'offerta dell'intervento armato del proletariato organizzato nella Fratellanza operaia diretta da Stephan Bern. Così, "quando giunse il momento decisivo, quando Wrangel, alla testa di 40.000 uomini, batté alle porte di Berlino, invece di trovare, come egli ed i suoi ufficiali si aspettavano, ogni strada coperta di barricate ed ogni finestra trasformata in feritoia, trovò le porte aperte e le strade ingombre soltanto dei pacifici cittadini di Berlino" (idem). Si sarebbe vinto se si fosse tentata una resistenza armata? Non lo si può certo affermare, ma se pure Berlino doveva subire la sorte toccata a Parigi e a Vienna, "una sconfitta dopo una lotta seria e un fatto di importanza rivoluzionaria altrettanto grande quanto una vittoria ottenuta a buon mercato", perché lascia "dietro di sé, nell'animo dei sopravvissuti, un desiderio di vendetta che in tempi rivoluzionari è uno degli stimoli più potenti ad azioni energiche e appassionate" (idem). E poi "è evidente che, in ogni lotta, chi raccoglie il guanto della sfida arrischia di essere battuto; ma è forse questo un motivo per confessarsi battuto e sottomettersi al giogo senza estrarre la spada? In una rivoluzione, chi occupa una posizione decisiva e l'abbandona, invece di costringere il nemico a prenderla di assalto, immancabilmente merita di essere trattato come un traditore" (idem).
Ma se questo era stato il comportamento dell'Assemblea prussiana e della sua Guardia nazionale che aveva consegnato le armi senza combattere, non meno vergognoso era stato quello della Assemblea nazionale di Francoforte e del governo centrale.
Ultimi bagliori
Non ci soffermeremo a trattare altri importanti aspetti dei fatti accaduti dopo la caduta di Vienna e Berlino. Tra questi, notevole interesse avrebbe il processo a Marx per aver firmato, insieme ad altri rivoluzionari, un appello alla violenza per trasformare in resistenza attiva la vile resistenza passiva proclamata dall'Assemblea prussiana, processo conclusosi con la sua assoluzione da parte dei giudici borghesi ai quali egli aveva impartito una vera e propria lezione di logica rivoluzionaria.
I fatti essenziali che caratterizzarono il ritorno all'assolutismo pieno in Austria, Prussia e nell'intera Germania, nei primi mesi del 1849, sono i seguenti: in Austria la Dieta fu sciolta il 4 marzo e i deputati dispersi con la forza delle armi: fra essi quelli slavi che si erano posti così fedelmente al servizio dell'Impero, dal quale si illudevano di ottenere un'esistenza nazionale indipendente. Con la nuova costituzione del 4 maggio, l'Austria risolve il dilemma dell'Assemblea di Francoforte: se dovesse essere prussiano o austriaco il futuro capo del Reich tedesco che, secondo la Costituzione finalmente varata a Francoforte il 28 marzo, sarebbe stato non più una repubblica ma un impero! Il trionfo della Prussia e dei fautori della "piccola Germania" (cioè della Germania senza l'Austria tedesca) è così scontato; esso è opera dei piccolo borghesi del partito democratico ormai in maggioranza nell'Assemblea di Francoforte dopo l'uscita dei deputati austriaci. C'era da attendersi che il re di Prussia accettasse la corona imperiale. Niente affatto: egli dichiara di poterla accettare solo dai principi e, con ciò, mette sotto i piedi la Costituzione di Francoforte, non riconoscendola come legge sovrana. II conflitto fra parlamenti e governi in tutta la Germania diviene così inevitabile e solo la forza delle armi lo può decidere. I parlamenti sono dalla parte dell'Assemblea di Francoforte e del suo "potere" (sempre esaltato e mai garantito con la forza popolare): i governi si decidono a scioglierli dietro invito della Prussia che, dopo aver convocato un governo di principi, concentra un esercito a tre giorni di marcia da Francoforte.
II conflitto scoppiò ai primi di maggio. La situazione ere molto più favorevole all'Assemblea di quanto si potesse prevedere. Infatti, il partito democratico da minoranza era diventato maggioranza, per la diserzione dei membri conservatori e dei deputati austriaci richiamati in Austria. Sarà questa sinistra all'altezza della situazione? Essa "si era servita dei suoi posti sui banchi dell'opposizione per tuonare contro la debolezza, l'indecisione, l'indolenza della vecchia maggioranza e della reggenza dell'impero. Ora era chiamata essa stessa di colpo, a sostituire questa vecchia maggioranza. Essa doveva ora mostrare quello che sapeva fare" (idem). II popolo era dalla sua parte, l'esercito era esitante, l'Austria era paralizzata insieme alla Russia dalla lotta contro gli ungheresi (questi saranno battuti solo in agosto, mentre gli italiani lo erano già in marzo), e nella Prussia - la più da temere - molte simpatie esistevano per la rivoluzione. Tutto dipendeva dalla condotta dell'Assemblea, se cioè riusciva a spingere il governo all'azione e, in caso contrario, a sostituirlo con uno più energico e deciso. Purtroppo essa dimostrò di non sapere che "l'insurrezione è un'arte", e che non osservare le sue norme d'azione può solo portare alla rovina. Fu ciò che avvenne. "La classe operaia prese le armi con la piena coscienza del fatto che, per le sue conseguenze immediate, questa lotta non era la sua. Essa seguiva pero la sola linea politica giusta, di non permettere a nessuna classe elevatasi sulle sue spalle (come aveva fatto la borghesia nel 1848) di consolidare il suo dominio di classe senza per lo meno aprire per la classe operaia un libero campo per la lotta per i propri interessi. In ogni caso, la classe operaia si sforzava di portare le cose ad una crisi nella quale o la nazione fosse lanciata in modo aperto e irresistibile sulla via della rivoluzione, oppure fosse restaurata per quanto possibile la situazione di prima della rivoluzione, in modo che una nuova rivoluzione diventasse inevitabile" (idem). Non solo i piccolo borghesi non espressero la dantoniana audacia che era necessaria, ma agirono addirittura alla rovescia, fecero di tutto per staccarsi dalla rivoluzione: invece di trasferire l'Assemblea nelle regioni insorte, la portarono a Stoccarda dove il governo osservava una specie di neutralità, e solo in ultimo si decisero a fare ciò che da tempo aveva reclamato l'unico rivoluzionario dell'assemblea, W. WoIff, redattore della N.R.Z.: mettere fuori legge il "reggente dell'impero". Ma ormai era troppo tardi: il rapporto di forze si era del tutto capovolto. Così l'Assemblea, che ormai non contava più nulla, fu sciolta manu militari dal governo del Wuttemberg, dietro istigazione della Prussia, il 18/6/1849.
La fine del principio
Con essa spariva l'ultimo residuo di ciò che la rivoluzione di marzo 1848 aveva prodotto in Germania, e la controrivoluzione poté da allora in poi avanzare liberamente.
Abbiamo vieto che il proletariato "appoggio la rivoluzione borghese per conquistare un campo di battaglia sul quale muovere apertamente guerra alla borghesia". Non appena vide che la classe borghese cominciava a precludere questo campo di battaglia, sacrificando i suoi interessi, "dovette accorgersi che non poteva più lasciarsi guidare dalla borghesia, ma dove va organizzarsi malgrado essa. Quanto più la rivoluzione si insabbiava, tanto più diventava rivoluzionaria la classe operaia. Essa era ancora troppo debole per portare alla vittoria la bandiera che la borghesia aveva tradito, ma per quella bandiera combatté coraggiosamente, e la sua sconfitta non fu, come per la classe borghese, il principio della fine, bensì al contrario, la fine del principio della sua lotta di emancipazione" (Mehring: Storia della socialdemocrazia tedesca).
"Al posto delle sue rivendicazioni, esagerate nella forma, nel contenuto meschine e persino ancora borghesi, e che essa voleva strappare come concessioni alla repubblica di febbraio, subentrò l'ardita parola di lotta rivoluzionaria: Abbattimento della borghesia. Dittatura della classe operaia!".
Da "Il programma comunista" nn. 23 del 1961, 1-9-10 del 1962, 5-12-13-23 del 1963, 1-2-13-14 del 1964, 6-7-8 del 1965, 2-3-4-1-12-13 del 1966.