Epicedio filosofico su Layka (4)

Vorremmo chiudere l'argomento satelliti, ora che una mezza masnada sembra volerne scendere e salire da tutte le parti, e vorremmo rassicurare i lettori che non ci daremo più a calcoli di altezze, tempi e velocità, paghi di avere rischiata la profezia che il secondo Sputnik russo non batterà di gran cosa la durata del primo.

È meglio prenderla un poco in lingua filosofica, dato che pare alla maggior parte di più facile digestione (si fa per dire) di quella matematica, e venire... al concorso di preminenza tra l'uomo e la cagna.

Benché zoofili convinti - e tanto più in quanto ci rifiutiamo energicamente di associarci alle languidità dei "personumanofili" - non è per il sacrificio a fini scientifici o tecnologici della graziosa bestiola che scomoderemo le categorie fondamentali dell'essere e del conoscere.

Vogliamo chiederci se Layka ha battuto l'Uomo nella gara, che tanto ha appassionato, della corsa attraverso lo spazio; e dedurne una strana umiltà e modestia dell'animale-uomo 1957, che si guarda attorno infessito come se, in linguaggio da sportivi, fosse rimasto al palo.

Non ci saremmo davvero stupiti se un tale stato d'animo, diffuso in tutto il mondo umano, quanto alle moderne masse non solo, ma anche quanto ad ambienti di cultura e di scienza, avesse prevalso (alla vista di un satellite prefabbricato), mezzo millennio addietro, quando era ancora nella "coscienza" generale la certezza che la Terra è incrollabilmente ferma al centro dell'Universo ed i cieli le ruotano intorno perfino ogni 24 ore, il che darebbe per la sola Luna una velocità di 100.000 km all'ora, oltre che decupla di quella impressa agli Sputnik. Il Sole correrebbe quattrocento volte di più, e tacciamo del resto.

Ma da quando noi conosciamo i movimenti della Terra rispetto agli altri corpi celesti e non (come sarebbe metafisico dire) nell’'indefinibile "spazio assoluto", non ci saremmo dovuti considerare secondi a Layka, noi, e le altre bestie. Il nostro corpo attraversa lo spazio cosmico o interplanetario o siderale, come si dice oggi con cento paroloni, con velocità sbalorditive, che per la rotazione diurna del pianeta valgono 450 metri al secondo (una palla di fucile), per quella di rivoluzione attorno al Sole 30.000 metri, e per quella con la nostra galassia, o sotto universo di stelle-soli, cifre ancora più alte.

Ma noi corriamo senza muoverci neppure, a letto, e senza incomodare per questo i nostri muscoli! L'obiezione vale tanto quanto quelle a Galileo: non ci sentiamo girare, e giunti agli antipodi non caschiamo nello spazio vuoto a testa in giù... Non era forse lo stesso per la ammirata cagna, nella sua tomba di metallo?

Bella forza, dice la coltivata opinione pubblica, che farebbe schifo a Tolomeo: noi non portiamo dietro un costoso apparato per darci un ambiente condizionato alla nostra possibilità di respirare e nutrirci. Non lo portiamo? L'aria e il resto sono attaccati alla Terra per lo stesso meccanismo che lo siamo noi, e se stessimo su di un pianeta senza quella appiccicata atmosfera avremmo smesso da tempo di vegetare e filosofare.

Se noi fossimo fideisti e teisti diremmo che il buon Dio ci ha dato uno scafandro e un abitacolo ben più comodi e ricchi di quelli di Layka, caricati ad orologeria per farla fuori dopo poche ore. Ma noi non lo diciamo; perché pensiamo che l'ambiente sociale incollato con noi alla vertiginosa madre Terra è ancora coattivo e mortifero peggio dell'involucro respiratorio e alimentare di Layka.

Ci stupisce però che i credenti non abbiano rilevato le differenze suggestive tra la condizione dell'uomo e quella di Layka, che sono a favore dell'uomo sulla Terra e da tutti i punti di vista lo mettono al di sopra del cane sullo Sputnik. Per il credente la condizione dell'uomo sulla Terra è miracolo di Dio che svaluta il miracolo spaziale dell'uomo e inoltre quello di Dio è fatto ordinario, non evento d'eccezione.

Layka è sfuggita alla gravità terrestre? Mostrammo che tanto non era avvenuto che per una ridotta frazione, in modo che il corpo della cagnetta premesse contro la sua scatola solo qualche ettogrammo di meno. Il vero miracolo sarebbe che la bestia viaggiante sul "corpo spaziale" fosse attirata dal suo corpo-veicolo con una forza comparabile per ordine di grandezza al suo peso sulla Terra. Questo capolavoro tecnologico si avrebbe, adottando per viaggiatore una pulce, con un corpo volante grosso forse come una montagna - altro che pallone da calcio! Quella nostra, di avere come riferimento di vita il baricentro del nostro veicolo, la Terra, è altra superiorità su Layka.

Che cosa resta alla piccola viaggiatrice spaziale per essere proclamata vincitrice, almeno come pioniera del signor Uomo? Non ci si può rispondere che con un solo argomento: essa non sapeva e non capiva la differenza tra il suo ambiente accompagnatore e il nostro, che era il suo prima di essere allenata inconscia allo incapsulamento mortale.

Non si tema che noi rispondiamo con la conclusione che i miliardi di senescenti ringraziatori di Dio non hanno osato tentare: la superiorità dello "spirito" sulla materia, e della "coscienza" sulla passiva animalità vegetale. Il nostro metro filosofico non è trascendente. Noi notiamo solo che Layka ha battuto solo l'uomo della società pre-illuministica, che non si era accorto che stava nel cielo senza alcun bisogno di morire per arrivarci, cosa a cui i preti condannavano noi, e i russi hanno ridotto Layka. Che non si era accorto di correre per il mondo spaziale e di vincerne ad ogni atto respiratorio le condizioni mortifere, perché la massa di aria e di vita lo travalicava con lui a velocità ineffabile.

La potenza del determinismo filosofico sta nello stabilire che la nostra volontà non può andare oltre dati limiti, e la scienza sociale consiste in una conoscenza più profonda e chiara della natura e del meccanismo di tali limiti. Il romanzo dello Sputnik e di Layka non ha reso la collettività degli uomini più cosciente - e meno schiava - delle determinazioni entro cui si muove. Esso ne ha patologicamente annebbiata la chiarezza di visione delle linee limiti facendola esultare perché il cane si fosse liberato da vincoli che da secoli la scienza ancora borghese aveva scoperto inesistenti con la rottura rivoluzionaria di una catena remota di formule inadeguate.

Non è la vittoria sulla scienza dell'epoca capitalista, ma una cattiva sbornia di superstizione, una drogatura di scialbo fanatismo, che ha riportato le masse di oggi assai al di sotto di quella e delle sue lontane classiche aurore.

Credere che il cielo fosse a noi vietato ed estraneo è versione dell'antico balbettio, che figurò una Terra estranea a lui, e deteriore per la chiave del determinismo storico. Eppure quel primo balbettare logico e cosmologico fu più degno e fecondo della penosa chiassata attuale, di questo rock-and-roll cosmico di lestofanti e di fanatizzati.

Da "Il programma comunista" n. 23 del 1957

Note

[1] Il primo Sputnik orbitò per 96 giorni prima di cadere; il secondo per 162.

[2] Questo paragrafo, da "Ci stupisce" a "eccezione" era praticamente illeggibile nell'originale, forse a causa dell'omissione di frasi o parole: l'abbiamo riscritto attenendoci, crediamo, agli intenti dell'autore.

[3] E' vero che Layka non era al di fuori del campo gravitazionale, ma orbitava, quindi era in stato di imponderabilità. Il riferimento ai pochi ettogrammi di meno potrebbe sottintendere una rotazione del mezzo, ma Sputnik II, per quanto se ne sa, era un sistema inerziale privo di apparati per la realizzazione di gravità. Anche il riferimento alla pulce e alla montagna è un po' sbrigativo: una grande massa eserciterebbe la stessa forza gravitazionale sia sulla pulce che sulla cagnetta cioè con la stessa accelerazione di gravità.

[4] Cfr. per esempio l'introduzione di Engels alla sua Dialettica della natura: sappiamo che "nella società umana sussiste ancora una colossale sproporzione fra le mete prefissate e i risultati raggiunti; che i fatti imprevedibili predominano, che le forze incontrollate sono molto più potenti di quelle messe in movimento secondo un piano" (Editori Riuniti, Opere Complete, vol. XXV pag. 332).

La cosiddetta conquista dello spazio