Si legge nella strada storica segnata dai programmi l'antitesi fra rivoluzionari proletari e servi assoldati dal capitale. Marx-Lenin: dittatura del partito proletario, comunismo senza Stato; Bernstein-Chruščëv: via democratica al socialismo, Stato di democrazia socialista (Genova 4-5 settembre 1961) - Segue la 3a Parte
Questioni di economia marxista II
Engels e la società comunista
La critica di Marx sulla funzione della circolazione nella economia presente è di una profondità estrema e coinvolge questioni di economia di storia e di programma politico nelle quali si intreccia tutto il nostro sistema di partito e la nostra soluzione originale dialettica e grandiosa degli "eterni enigmi" della filosofia di tutti i tempi che col marxismo sono venuti a soluzione.
La nostra scuola ha il compito di esprimere in una formulazione i rapporti di grandezze economiche in cui si assomma questa geniale conquista raggiunta nella storia della umanità circa un secolo addietro, ma ancora ben lontana dall'essere entrata nella coscienza sociale, e meno che mai nella scienza "ufficiale", che per quel secolo non ha fatto altro che decadere ed indietreggiare. Mentre ripetiamo di non dare ancora oggi questa presentazione sistematica, ricordiamo che il rapporto tra le sfere della produzione e della circolazione (o della distribuzione) è posto su piani diversissimi nella economia di Marx e in quella dei borghesi: per loro il tema è la produzione la distribuzione e il consumo delle merci, e la economia è la scienza dello scambio, assunto come categoria economica eterna nella storia della società, per noi si tratta di uno studio parallelo della presente transitoria economia capitalista, una delle economie storiche di scambio - ed allora con Marx classico parliamo di produzione e circolazione del capitale, e ancora meglio del plusvalore, o valorizzazione dinamica del capitale stesso - e del suo confronto con la economia comunista - che in modo rivoluzionario si pone fuori dalle categorie di capitale, di plusvalore, di valore e di scambio.
Fedeli alla asserzione che il sistema è come blocco dato dalla metà del secolo XIX, e per darne sempre maggiore prova, vogliamo rifarci ad una magistrale impostazione programmatica data da Federico Engels nei tre discorsi che tenne ad Elberfeld nel febbraio del 1845, quando già la sua collaborazione con Marx era totale (gliene scrisse il 22 febbraio). In quel tempo l'analisi critica della produzione capitalistica non era ancora organicamente formulata, e su questa strada le ricerche di Engels (che aveva vissuto nella industriale Manchester tra il 1842 e il 1844) economicamente precedevano Marx, colla sua giovanile formazione filosofica, anche se Engels adulto ebbe poi ad attribuire tutto a Marx il merito della scoperta delle leggi scientifiche del capitalismo. Ciò prova solo come questi due grandissimi uomini precorsero la fine dell'individualismo intellettuale, che, un secolo dopo, oggi ancora ci appesta, ma che sparirà nella vergogna. E prova come Engels stesso disse che la scoperta era matura, e il nome di chi doveva farla non importava, sebbene Mehring, come storico, dica di dover registrare quello che era stato, e non quello che avrebbe potuto essere.
Nei tempi successivi si girò in un immenso equivoco; che la discussione aperta sul comunismo come "proposta" (tale è apertamente nei tre discorsi di Elberfeld), ossia come aperto programma di partito, sia stata più modernamente messa da parte quasi come manifestazione di "utopismo" e vi si sia sostituita un'arida scienza descrittiva e passiva.
A smentita di questa visione tipo "Seconda Internazionale", contro cui sorgerà poi la possanza di Lenin maestro e condottiero, ma che purtroppo nel più recente tempo ha ripreso il turpe sopravvento nel più velenoso opportunismo di oggi, noi conduciamo la nostra lotta per una ulteriore "restaurazione" dell'unica ed indivisibile dottrina rivoluzionaria, e affermiamo la nostra tesi: non è possibile descrivere, spiegare e comprendere la dinamica del capitalismo, senza ricorrere ad ogni passo della ricerca alla sua confrontazione col tracciato ben definito della società comunista, che uscirà dalla sua morte.
Citazione da Engels
"Siccome (nella società presente) ciascuno produce e consuma per suo proprio conto, senza preoccuparsi molto della produzione e del consumo altrui, occorre che necessariamente insorga molto presto uno squilibrio stridente tra la produzione e il consumo... Egli (il fabbricante) è quanto i suoi concorrenti ignorante a questo riguardo. Tutti fabbricano all'infinito ed alla cieca e si tranquillizzano pensando che anche gli altri devono fare lo stesso... Noi abbiamo visto quali erano le conseguenze di questo errore fondamentale (ossia la anarchia marxista della produzione); se noi vogliamo eliminare questi effetti terribili noi dobbiamo abbattere l'errore fondamentale: questa è proprio la intenzione del comunismo. Nella società comunista, dove gli interessi degli uni non sono più opposti a quelli degli altri, ma associati, sparisce la concorrenza. Come facilmente si intende, non si tratterà più della rovina di alcune classi, di classi tutte intiere. Così come sparirà il modo privato di acquistare i beni, sparirà il fine particolare dell'individuo di arricchirsi per proprio conto nella produzione e nella distribuzione dei beni necessari alla vita, così come spariranno da sé stesse le crisi generali del commercio [è chiaro che qui Engels passa da una critica dello sciupìo di primo momento, già contenuta nella ingenua condanna morale dell'arricchimento del padrone sul lavoro degli operai, ad una critica del secondo momento, ossia dello sciupìo nell'insieme in una società mercantile privatista]. Come si conosce ciò di cui un individuo ha bisogno nella media, così è facile calcolare di quanto un dato numero di individui ha bisogno, e siccome allora la produzione non sarà più tra le mani di pochi privati acquirenti, ma tra le mani della comunità e dei suoi amministratori, sarà molto agevole regolare la produzione secondo i bisogni. Nella società comunista dunque sarà cosa facile conoscere così bene la produzione quanto il consumo. Noi vediamo dunque come i mali essenziali dello stato sociale presente scompariranno nella organizzazione comunista. Ma se noi tuttavia entriamo in maggiori dettagli, noi troveremo che i vantaggi di una tale organizzazione non si fermeranno a questo, ma andranno fino ad eliminare una quantità di altri mali, di cui non menzionerò oggi che solo i principali. L'ordine attuale della società è certo dal punto di vista economico il più irrazionale ed il meno pratico che possa concepirsi. L'antagonismo degli interessi fa sì che una gran quantità di forze di lavoro sia utilizzata in un modo da cui la società non trae vantaggio alcuno, che una quantità di capitali è perduta inutilmente, senza potersi riprodurre... [In testi molto posteriori Marx descriverà questo stesso sciupìo sociale come una distruzione di capitali, intendendo quindi che nel sistema capitalistico la distruzione di ogni capitale vale uno sperpero di forze produttive, e quindi di lavoro umano presente o passato utile alla società; ma commette errore enorme chi ne deduce che la forma capitale delle forze produttive non debba essere del tutto scomparsa nella società socialista]".
Dopo avere svolta la critica della irrazionalità clamorosa della spesa trasporti in ogni economia ove ciascuna azienda decide da sola quanto produrre e dove spedire i prodotti al consumo, con pure regole di tornaconto (che sono in pieno vigore come oramai si ammette anche in Russia 1962), Engels così prosegue:
"In una società sensatamente organizzata, non sarà più questione di una tale complicazione dei trasporti. Per tenerci al nostro esempio [il commercio mondiale del cotone dell'epoca] è altrettanto facile sapere la quantità di cotone o di prodotti cotonieri di cui una colonia ha bisogno, quanto è facile ad una amministrazione centrale di stabilire la quantità di cui tutte le località o i comuni di una nazione hanno bisogno. Basta che una tale statistica sia stata organizzata una prima volta, cosa ben facile a realizzare in uno o due anni, perché la media del consumo annuale non si modifichi più che in funzione dell'aumento di popolazione; è dunque facile di determinare in un tempo dato la quantità di tutti i differenti prodotti di cui il popolo ha bisogno, e si prescriverà tutta questa grande quantità direttamente alle fonti di produzione; quindi la si ritirerà direttamente senza bisogno di speculatori e senza che vi siano più lunghe soste in deposito, e lunghi trasbordi, di quanto esiga strettamente la natura stessa delle comunicazioni. Mentre gli intermediari effettuano oggi con danno di tutti un intricato lavoro che, nella migliore delle ipotesi è superfluo, e cionondimeno arreca loro dei mezzi di sussistenza da consumare, anzi nel più gran numero di casi delle enormi ricchezze, in pura perdita sociale, nell'organizzazione comunista tutti questi elementi saranno liberati in vista di una attività utile, e potranno assolvere un compito nel quale si mostreranno membri reali della società umana, e non più meramente apparenti ed ipocriti, partecipando così alla attività utile generale ".
Il memorabile testo sviluppa quindi il concetto fondamentale che superando la opposizione di ciascun interesse individuale contro ciascun altro e contro tutti gli altri, cade la sovrastruttura del contrasto tra membri della società come vero "bellum omnium contra omnes", e la ragione di tutto il complicatissimo e costosissimo, oltre che corruttore e perpetuatore della psicosi criminaloide generale, apparato poliziesco e giudiziario. Si rendono dunque superflue tutte o quasi le attuali gerarchie e burocrazie amministrative e giuridiche (e politiche).
"Già oggi - questo è sempre vero dopo un secolo - diminuiscono i delitti passionali in rapporto a quelli di calcolo, di interesse; diminuiscono i delitti contro le persone e aumentano quelli contro la proprietà".
Un secolo e più trascorso da queste linee, si può aggiungere che a dismisura crescono poi i delitti mascherati, tollerati ed impuniti contro la economia sociale nelle sue forme grossolane e statali, quelli che per brevità indichiamo col nome espressivo di intrallazzi, gradevole esercizio essenziale dei membri notabili della società modernissima, anche quale si è sviluppata in Russia...
Patria e famiglia, capisaldi dello sciupìo sociale
Engels qui svolge il confronto suggestivo dell'enorme risparmio di forze produttive che arrecherà la fine del militarismo. Egli è come sempre ben lontano dai piagnistei pacifisti di stile piccolo borghese.
"Nel caso di una guerra, che non potrebbe sorgere che contro nazioni anticomuniste, il membro della nostra società avrebbe da difendere una 'vera' patria, un 'vero' focolare... e l'entusiasmo sarebbe ancora maggiore di quello delle armate rivoluzionarie del 1792-1799 che tuttavia non lottavano che per una illusione, un fantoccio di patria".
Invecchiate queste parole? O puzzolenti quelle di oggi che ricadono nel più lurido feticcio nazionale in regime capitalista?
L'essenziale di questo punto è che: "le innumerevoli forze produttive oggi sottratte ai popoli civili dagli eserciti permanenti saranno in tal modo, in una società comunista, restituite al lavoro". Il volume di prodotti risparmiati ponendo al lavoro gli oziosi soldati, e quello delle materie belliche consumate, costituiscono un quantum calcolabile in rapporto a quello di tutta la produzione: basterebbe confrontare anche storicamente le cifre di bilanci militari statali dei grandi paesi con quelle della totale attività economica degli stessi (prodotto lordo nazionale). Ecco un settore di ricerca per i nostri relatori.
Engels passa poi alla odierna "economia domestica". Egli scrive:
"Se noi consideriamo la Casa, il Santo dei Santi del ricco [e oramai, noi aggiungiamo, di ogni filisteo da ceto medio, colcosizzato a dovere dall'incafonimento cui collaborano stampa, radio, televisione] non è un folle sciupìo di forze di lavoro quello di occupare tanta gente a servire uno solo e a poltrire? A che serve in realtà quel gran numero di servitori, di cuoche, di lacché, di valletti, di cocchieri, di domestici, di giardinieri, ecc.? Essi non fanno che lavori che hanno la loro origine nell'isolamento di ogni uomo tra le sue quattro mura".
Oggi è ovvia la banale obiezione che la società borghese si sarebbe liberata dal parassitismo esoso di questo personale di servizio, anzi il medio cafoname sarebbe ridotto a piangerci sopra, quando dopo i lauti pranzi lava all'americana insieme agli ospiti le stoviglie, passando in cucina. Ma in effetto le funzioni servili nel magma sociale, se hanno in un certo senso cambiata la etichetta umiliante, non hanno certo migliorata la loro utilità, e le forme che hanno preso non sono né più utili, né meno ignobili nella sostanza.
A questo punto il nostro maestro Engels ritiene di aver già dimostrato "che nella nostra organizzazione razionalizzata il tempo individuale di lavoro oggi vigente, può già e subito essere ridotto della metà, col solo utilizzare le forze di lavoro che oggi non lo sono affatto o lo sono male". Siamo nel 1845, ricordiamolo.
Ma Engels ritiene che non siamo ancora al punto più importante, e passa a quello della distruzione del focolare domestico familiare. Si tratta della associazione sostituita all'individuo non solo nella vita della produzione, ma in quella del consumo, anche per ora solo dei consumi materiali. Il discorso di Elberfeld non si rivolgeva a militanti e nemmeno a soli operai. Non lo dimentichiamo nel considerare l'audacia di quelle previsioni.
Engels si richiama qui alle proposte del contemporaneo "socialista inglese Robert Owen". Un utopista, diciamo oggi, senza nulla togliere della stima che Marx ebbe per lui. Ma se non ci diffondiamo sulle idee schematiche che Owen prese ad attuare a New Lanarck nelle sue fabbriche comuniste, che Engels descrive per essere intelligibile a quel tempo remoto, come il palazzo quadrato di 1650 piedi di lato (circa 500 metri) e contenente un grande giardino, capace di ospitare da due a tremila persone (che forse ben decifrato è un progetto più valido di molta della ultimissima ipocrita urbanistica, specie tipo Ina-Casa italiana che in quasi 25 ettari ammasserebbe più di 10 mila persone!), la parte critica del passo è del tutto decisiva. 120 anni fa era visione avveniristica il riscaldamento centrale. Pensate che proprio nella tradizionalista Inghilterra ancora nel 1962 si vituperano i progetti che rinunziano al caminetto a legna in ogni camera da letto del grasso borghese (e tanto più ipocrita se meno grasso)! Il geniale Owen calcolò tutte queste economie immediatamente realizzabili. Quello che Engels dimostra coi minuti conti di Owen è l'enorme volume dello sciupìo di forze e tempi di lavoro che comporta la sminuzzatura della umanità nelle cellule familiari molecolari, i cui effetti economici sono tuttavia meno deleteri di quelli sociali e politici, in quanto è lì il vero limite che tarpa le ali alla nascita dell'uomo sociale nuovo, che rende l'uomo attuale incapace di rendersi solidale al suo simile sotto il pretesto idiota che ha amore per sé stesso e per il suo minimo cerchio familiare, pretesto che ogni giorno si riduce di più a menzogna esosa.
Sotto le codine e retoriche lodi a questo tipo di società per famiglie, oramai fradicio da millenni, si nasconde una delle più turpi schiavitù, quella delle casalinghe o donne di casa, da cui escono per vie parimenti degenerative e contro natura le nazioni ricche di stile americano e quelle più povere in cui le donne della classe lavoratrice reggon due fardelli sulle loro misere spalle di sesso detto "debole" dalla ipocrisia dei benpensanti.
Con Owen, Engels deride lo sciupìo del tempo perso a fare le stesse provviste in duemila parcelle dal panettiere e dal beccaio. Ma il moderno uomo cretinizzato da due secoli di capitalismo crede, convinto sulla fede dello schermo televisivo o cinematografico, che il girare botteghe sia il supremo piacere della umana vita! E le redente donne russe gelano in file bestiali!
Noi vogliamo ridurre la società ad una caserma! Vecchia obiezione dell'anticomunismo convenzionale. Ma dianzi non era proprio alla caserma che avevamo profetizzata la stessa fine che al domicilio privato? Utopismo è il contrapporre alla società odierna un modello di società futura pensato e dipinto a freddo. Buon marxismo è condurre l'analisi della economia capitalistica, come uscita dalla storia, ossia nella sua nascita per il potenziamento delle forze produttive umane, e oggi nella sua corruzione verso un dilapidamento sempre più folle, fino alla certezza delle forme che prenderà, distruggendola, la società nuova.
Altra luce dal pensiero di Engels
Lo svolgimento che nei Grundrisse dà Carlo Marx del processo di circolazione, e che parte dalla già citata robinsonata sul cacciatore e il pescatore, conduce al risultato che tutto il tempo dei commercianti ed intermediari fa parte della quota sciupìo da addebitare alla forma capitalistica di produzione.
Oggi la produzione è basata sullo scambio e per questo ai capitalisti fabbricanti che ne sono i beneficiari l'opera dei commercianti è indispensabile. In una economia non capitalista questa falsa spesa è eliminata e sparisce, tra tutte le altre, quella divisione di lavoro che oggi corre tra capitalisti della produzione e del commercio, essendo la verità che non fanno lavoro né gli uni né gli altri, anche se si può dire che entrambe le schiere dedichino il loro tempo, l'una nella produzione l'altra nella distribuzione, a pompare per profitto proprio il lavoro altrui.
Marx dice tra l'altro:
"Il tempo di circolazione - nella misura in cui occupa il tempo del capitalista - ci interessa a grado non maggiore di quelle che egli spende colla sua amica. Se dal punto di vista economico 'il tempo è denaro', tale tempo per il capitalista è unicamente quello del lavoro degli altri, che certamente è il denaro del capitalista, nel più giusto senso del termine. Sarebbe una estrema confusione quella di porre il tempo che il capitalista dedica alla circolazione come un tempo che genera valore o peggio che genera un aumento di valore. Il Capitale in quanto tale non ha altro tempo di lavoro all'infuori del tempo della sua produzione".
E non si tratta che di questo, nel processo globale, che noi abbiamo da considerare. Differentemente si potrebbe solo immaginare che il capitalista potesse farsi compensare il tempo durante il quale egli non guadagna denaro (da altrui lavoro) agendo come salariato di un altro capitalista presso il quale egli perderebbe quel tempo. In tal modo quel tempo farebbe parte anche delle spese di produzione (dell'altro capitalista). Da questo punto di vista, il tempo che un capitalista perde o utilizza come capitalista è in qualunque caso del tempo perso, tempo piazzato a fondo perduto. Il preteso tempo di lavoro del capitalista, a differenza del tempo di lavoro dell'operaio, che deve costituire la base della sua entrata come salario sui generis, sarà analizzato altrove".
In questo punto, trattato quasi con le stesse parole nel Secondo Tomo del Capitale, Marx si riporta ad un tema del Terzo Tomo; ossia la risposta all'argomento che il padrone di una fabbrica può avervi funzioni di tecnico, di ingegnere, se ha una tale preparazione. In questo caso adoperando il suo tempo di lavoratore, sia pure intellettuale (l'esempio potrebbe valere anche per un lavoro manuale) egli evita di pagare lo stipendio di un direttore, ed in questo caso il valore del suo tempo di lavoro passa nel prodotto. Al solito Marx, riferendosi al programma della società e della forma non più capitalista, mostra che la funzione sociale del capitalista, come avente diritto sul tempo di lavoro di altri, e non suo proprio, può essere abolita e dovrà esserlo con vantaggio sociale (fenomeno già attuale ai tempi di Marx, dello scadimento del capitalista a semplice funzionario, a parte il tema delicato di quello che la società debba dare ai suoi funzionari).
Torniamo al tema delle vere e false spese di circolazione. Il passo così seguita: "È molto frequente il classificare tra le spese pure e semplici di circolazione, il trasporto, ecc., nella misura in cui è legato al commercio". In quanto il commercio porta un prodotto sul mercato, esso gli dà una figura nuova (indispensabile nella società mercantile). Il trasporto certo non modifica che la posizione geografica. Ma qui non ci interessa la modalità del cambiamento di forma. Certo il trasporto commerciale dà oggi al prodotto un diverso e nuovo valore di uso - e ciò vale fino al bottegaio di dettaglio, che pesa, misura, incarta, e dà in tal modo al prodotto una nuova forma per il consumo - e questo nuovo valore di uso costa del tempo di lavoro (quello del bottegaio o del commesso di negozio) e genera quindi un tanto di altro valore di scambio. (Notiamo che oggi molta parte di questo lavoro si fa alla partenza nella sfera della produzione, dosando e confezionando parti di prodotto che vanno tal quale nelle mani dell'acquirente; tutte forme utili per captare la sua libertà di scelta). Ma Marx qui conclude che "trasportare sul mercato fa parte dello stesso processo di produzione (dunque è una spesa di produzione e non una falsa spesa di circolazione). Il prodotto non diviene merce (esigenza vitale nella economia capitalista presente) se non circola, e non circola se non quando si trova sul mercato".
Questo ed altri passi di Marx sulle spese di circolazione (notiamo sempre che nel Secondo Libro si tratta della circolazione del capitale e non della semplice circolazione dei prodotti e merci) convergono al confronto di Engels in Elberfeld circa l'enorme sciupìo di trasporti che fa il sistema capitalista rispetto a quello comunista. La media distanza geografica tra la sede di produzione e quella di consumo di un bene di uso è uno sforzo fisico reale che dovrà anche allora essere fatto; ma in un piano razionale, e fuori dalla gara speculativa di concorrenza e caccia a prezzo più alto, il totale delle lunghezze di trasporto per unità di merce eviterà di essere molte e molte volte maggiore del necessario.
È questo un elemento essenziale di sciupìo, che viene subito dopo quello della produzione di merci in eccesso sul consumo e gettate via (caffè brasiliano gettato in mare o bruciato nelle locomotive).
Sono tutti sciupii definibili "da assenza di piano di produzione - consumo".
Secondo Marx come secondo Engels la società comunista sopprime ogni falsa circolazione e serba solo quella dovuta alla natura delle cose e non allo scambio (ossia alla appropriazione privata e non sociale dei beni).
Sopprimendo tale circolazione assurda il comunismo sopprime la divisione del lavoro tra fabbricanti e mercanti, e la funzione autonoma del commerciante, fenomeno caratteristico del capitalismo.
"Al posto del governo sulle persone subentra l'amministrazione delle cose e la organizzazione del processo di produzione " (Antidühring). "In effetti la esistenza delle classi è sorta dalla divisione del lavoro, e la divisione sociale del lavoro nella sua forma attuale sparirà completamente" (Engels, I fondamenti del Comunismo, prima stesura mandata a Marx per il Manifesto). Nello stesso scritto si legge anche: "L'educazione potrà far passare rapidamente i giovani attraverso tutto il sistema di produzione e li metterà in grado di passare a turno da una branca della produzione ad un'altra, secondo che i bisogni della società quanto le loro inclinazioni ve li spingeranno".
In questa frase fondamentale e classica la coincidenza tra le inclinazioni individuali (le famose vocazioni) e l'interesse sociale è completa, e da allora abbiamo la "produzione dell'uomo per l'uomo" concetto geniale dei giovanili manoscritti filosofico-economici di Marx.
Questo antico canone del marxismo originale mostra che non abbiamo nulla aggiunto o scoperto o sognato, quando abbiamo presentato come massimo traguardo del programma comunista la fine delle "specializzazioni", delle "professioni" chiuse, e delle ancora più ignobili "carriere" dell'oggi nefando.
Fine supremo di questi settori chiusi e ciechi non è che il procaccio di un consumo inutile e passivo, frodato alla società e all'umanità.
Alcuni appunti per il lavoro
Nel rapporto di cui riferiamo furono indicati vari punti che offrono temi per il computo e la valutazione del grado di sciupìo.
Chiuderemo questa esposizione rammentandoli al fine che possano più organicamente essere elaborati come contributo da più parti alle successive riunioni e trattazioni.
Un aspetto essenziale e da nessuno contestato né deprecato dello sviluppo del moderno industrialismo è la concentrazione delle aziende. La unità di produzione va assumendo dimensioni sempre più grandi, sia che la consideriamo per numero di lavoratori addetti, per quantità di materie prime trattate e di prodotti erogati, per valore di merci lanciate sul mercato o di capitale di impresa. Questo fenomeno non avviene con un piano razionale, ma traverso la lotta della concorrenza e la distruzione delle strutture delle aziende modeste che divengono "passive", rovinano e si chiudono. In tutto ciò si ha una distruzione di ricchezza, di capitali, di forze di lavoro che restano inutilizzate. Una misura di questa perdita, sia pure in parte compensata dalla cresciuta produttività del lavoro nelle unità più grandi, può essere cercata nelle statistiche dei "fallimenti" ad ognuno dei quali corrispondono perdite non solo della impresa crollata, ma delle altre che vi avevano relazione, di merci prodotte, di impianti abbandonati a deperire, di personale disoccupato, e così via.
Questo fenomeno si esaspera quando avviene per ondate inverse, ossia quando le grandi aziende per ragioni diverse di crisi economica o per misure di politica statale si bloccano a loro volta e si sminuzzano in aziende minori. La crisi cronica della produzione agraria si spiega con queste oscillazioni e malintese riforme che incrociano il processo utile delle concentrazioni con uno contraddittorio di parcellazione della terra e dei mezzi di produzione agricoli, voluto da governi borghesi, e peggio da partiti traditori del proletariato. La bassa resa dell'agricoltura in Russia e il suo sfasamento con l'incremento dell'industria si spiega di massima con considerazioni di tal genere (colcos ricchi e poveri, campicelli familiari, ecc.).
Una causa di distruzione di valori reali, di forze di lavoro e loro effetti positivi, risiede nelle oscillazioni della moneta, e nelle grandi inflazioni che seguono le guerre. Esse comportano la rovina di innumeri unità economiche di minime e medie dimensioni, e nel complesso di alte rate dell'economia dei paesi interessati. Se ne potrebbe seguire il corso quantitativo nei fenomeni che hanno accompagnato i due grandi conflitti mondiali di questo secolo.
Tutto il moderno insulso gioco dell'intervento del potere politico nei fatti economici, stoltamente vantato molte volte come un successo del "socialismo", rappresenta uno sperpero enorme di forze produttive utili, con la salvezza di unità produttive e peggio speculative che sarebbe meglio cadessero, mediante risorse che si fanno ricadere sulla comunità sociale, il che vuol dire sulle classi sfruttate. In questo stolto gioco tra la cosiddetta iniziativa privata sempre succhionistica, e i sussidi, le sovvenzioni, i contributi messi a carico del "pubblico" denaro, un fenomeno è caratteristico della nostra epoca di insensato ed irresponsabile gaspillage: la "domanda", con cui si aprono il novantanove per cento delle occhiute organizzazioni di attività economica. Il comunismo si potrebbe originalmente definire come la società in cui nessuno dei suoi membri avrà da fare domanda, sia per avere soldi o favori o concessioni, che per posti di impiego o di carriera, per promozioni, benefizi e simili cose equivoche, e premi a chi destramente consuma senza produrre.
Una simile ricerca ha l'obiettivo di stabilire quanto siano socialmente passivi i "ceti medi", composti di masse che vivono di questo miraggio deteriore e distruttivo del benessere generale. Le cifre economiche saggiamente studiate mostreranno che questa massa amorfa è più pesante fardello della società che le "cento famiglie" fantomatiche dei ricconi o i non meno leggendari vertici dei "monopoli", in cui l'opportunismo modernissimo stoltamente o in mala fede vorrebbe far ravvisare tutto il male del sistema capitalistico a danno della società di produttori, mentre corteggia perfino il medio industriale, più sozzo di Shylock! Pochi sfruttatori al posto di innumerevoli e pidocchiosi parassiti (ferocemente esosi verso i ceti sottoposti) sono stati sempre dal vero marxismo rivoluzionario considerati una condizione preferibile, tanto sul terreno della misura dello sciupìo sociale, quanto su quello della visione storica del procedere della rivoluzione comunista.
A questo problema si riduce quello della pletora burocratica e dello Stato, costosissima piovra composta di milioni di lavoratori improduttivi, veri sfruttatori sociali. La Burocrazia deve essere numerosa quando le unità funzionali economiche sono piccole o numerosissime e le loro innumeri partite di monetario dare ed avere e le loro dilaganti pratiche e domande di benefizi o anche di tassazione fiscale ingombrano migliaia di chilometri quadri di inutile carta. Quando il comunismo andrà oltre le forme dello scambio e della moneta si estinguerà lo Stato, non solo nel senso, che lo giustifica, di organo di forza di classe, ma soprattutto come gerarchia di imbrattacarte. Considerata tutta la società economica come oggi, a guisa di paragone grossolano, una sola azienda, sarà una sola la cifra da dovere fermare sulla carta, quando oggi sono diecine di milioni. Allora tutte le attività saranno direttamente produttive; e fin d'ora è facile di cacciare tutti gli stipendi degli imbrattacarte nel calcolo del baratro immane del passivo sociale.
Abbiamo così tracciata una elencazione sia pure informe di tutte le componenti dello sciupìo capitalista e della distruzione delle sane forze produttive umane, ponendo il nostro programma agli antipodi di quello demente che assegna al proletariato il compito di concorrere coi suoi nemici nella direzione insensata della moltiplicazione delle masse dei prodotti per bisogni falsi, maledetti e disumani, sistema che ha il solo senso di esasperare la produzione del plusvalore, ossia della schiavitù ed alienazione dell'uomo da sé stesso, che vivrà quanto il capitale, il mercato e la moneta.
Da "Il programma comunista" n. 2, 18 gennaio 1962.
Scienza economica marxista come programma rivoluzionario
Quaderni di n+1 dall'archivio storico.
Una importante relazione del Partito Comunista Internazionale sulle "questioni fondamentali dell'economia marxista" nella quale si indaga intorno alla teoria della dissipazione capitalistica.