Alle insidiose vicende delle battaglie proletarie mondiali solo la teoria offensiva del marxismo è direttiva inflessibile che lega le grandi tradizioni al domani di potente riscossa. Gruppo di rapporti alla riunione interfederale di Milano 9-10 giugno 1962

Questioni di economia marxista III

Come fu annunciato nel primo resoconto sommario della riunione, apparso nel n. 12 del giornale, ai relatori non fu possibile esporre delle conclusioni anche relative del lavoro di ricerca teoretica sull'economia marxista. Tuttavia, per la vastità, la profondità e la difficoltà della ricerca, queste conclusioni non saranno immediate, né da esse ci si dovrà attendere il disvelamento di chi sa quali misteri, o di chi sa mai quali novità.

La teoria dello "sciupio" è tesi centrale del marxismo, non solo da un punto di vista economico quanto in primo luogo da un punto di vista rivoluzionario. La trattazione della teoria prese l'avvio dalla riunione di Genova del 4-5 novembre 1961, il cui resoconto scritto apparve nei numeri 1 e 2 del giornale dell'annata in corso. Lo sciupìo è la dilapidazione delle forze produttive, dei prodotti e della ricchezza sociale. Usando il metodo dei "tre momenti", chiave dialettica per la lettura del Capitale e del marxismo, lo sciupio al livello aziendale, cioè nel primo momento, si ridurrebbe allo sfruttamento del lavoro salariato da parte dei capitalisti; ma sarebbe sempre poca cosa. Infatti Marx picchiò in testa al "frutto indeminuto del lavoro" di Lassalle, chiarendo che anche nella società comunista sarebbe esistito il plusprodotto, cambiando però radicalmente la forma e la destinazione sociale.

È nel secondo momento, nella società capitalista presa nel suo insieme, nell'insieme delle aziende, che si consuma inutilmente gran parte del lavoro umano. Questo "sciupio" sociale appare maggiormente evidente e criminale se si confrontano la società capitalista e quella futura, la comunista. È, infatti, il modello comunista della organizzazione della produzione e della forma del lavoro umano che pone bene in risalto i caratteri nefandi del modo di produzione capitalistico, una volta unanimemente ammesso che nella storia le forme della produzione si succedono sulla base dell'aumento delle forze produttive. Per la società capitalista, secondo i suoi corifei, non esiste sciupio, lavoro inutile, distruzione di ricchezza, se non in maniera del tutto accidentale, come nelle guerre tra Stati. Marx invece mette costantemente in evidenza il carattere distruttivo del capitalismo, sulla base delle continue giustapposizioni tra società capitalista e società comunista.

I faux frais, le false spese della circolazione del capitale proprie di una società scambista ed esasperate dalla "libera concorrenza" sulla base di una economia aziendale, mercantile e monetaria - il militarismo, la stessa patria e la famiglia - costituiscono elementi di distruzione effettiva o di irrazionale utilizzazione del lavoro e di ricchezza: anguste forme di atrofizzazione della produttività del lavoro. Le crisi sono, quindi, lo sbocco naturale delle molteplici manifestazioni di "sciupio", il risultato periodico e ricorrente dell'accumularsi di plusvalore inutilmente prodotto, irrazionalmente riprodotto, sulla base di una produzione sociale e di una appropriazione privata.

Cronologia delle crisi

Le date che diamo in questo testo sono desunte dai testi marxisti, e pertanto significano crisi che furono oggetto di riflessione e di studio dei nostri maestri. La serie si apre con la crisi del 1800 che, secondo Ricardo, fu causata dalla carestia di cereali per cattivo raccolto ed ebbe sede solo in Inghilterra. La successiva si verificò nel 1815, per le stesse ragioni - secondo il giudizio di Ricardo - della precedente.

La crisi del 1825 ebbe invece il suo epicentro negli Stati Uniti d'America e in India, e fu una crisi cosiddetta commerciale. Marx (Il Capitale, Libro 3° Vol. III, pag. 250 - Ed. Rinascita) così caratterizza le crisi commerciali: "Il fenomeno più generale ed evidente delle crisi commerciali è la diminuzione improvvisa, generale, dei prezzi delle merci, che si verifica dopo un loro aumento prolungato, generale". Le crisi di questi anni si manifestano tutte sotto le spoglie di crisi commerciali, cioè per restrizioni di mercati esteri, e i fenomeni che esse generano sono pressoché gli stessi, più o meno accentuati. Alla crisi del 1847-48 Marx dedica un lungo scritto anche nella Nue Rheinische Zeitung, oltre che i continui accenni negli altri testi, particolarmente nel Capitale. In questo testo Marx esamina tutti i fenomeni che si intrecciano prima e dopo le crisi stesse. La prosperità, il benessere di oggi, precede il travaglio critico. "Gli anni 1843-1845 - scrive Marx - furono quelli della prosperità industriale e commerciale, conseguenze necessarie della depressione quasi permanente dell'industria nel periodo 1837-1842. Come sempre la prosperità fece scattare molto presto la speculazione. La speculazione sorge regolarmente nei periodi dove la sovrapproduzione raggiunge il suo culmine. Essa fornisce alla sovrapproduzione i suoi canali di scolo momentanei sollecitando nel contempo l'irruzione della crisi e aumentandone la violenza: La crisi scoppia anzitutto sul terreno della speculazione e non è che più tardi che s'installa nella produzione(...) Noi non possiamo in questo momento tracciare la storia completa della crisi (1846-48) e ci limiteremo dunque a fare il bilancio di questi sintomi della sovrapproduzione".

I nostri opportunisti vorrebbero il benessere senza intrallazzi, il boom senza la speculazione: il maestro insegna che in regime capitalista la prosperità è madre di speculazione, in cui si riversano in un primo momento gli immediati effetti della incipiente sovrapproduzione. Marx traccia già la sinusoide della produzione capitalistica, con le sue periodiche alterne vicende di esaltazione e depressione produttiva. La crisi è preceduta da un periodo di intensa ripresa produttiva, preceduto a sua volta da un periodo di crisi. La caratteristica della speculazione d'alto bordo fu allora la corsa agli investimenti nelle ferrovie. Oggi il contenuto produttivo del benessere è la speculazione universale delle linee di comunicazione internazionali: autostrade, trafori, transatlantici, jet a reazione, missili, e il grande Barnum della cosmonautica. Si ritrova ancora in questo testo la classica previsione della catastrofe storica del capitalismo: "Gli schiavi saranno emancipati, perché sono divenuti inutilizzabili in quanto tali. È esattamente per la stessa ragione che il lavoro salariato sarà abolito in Europa, appena che avrà cessato d'essere non soltanto una forma necessaria per la produzione, ma ne sarà divenuto un ostacolo". Ogni qualvolta la crisi esplode nel bel mezzo della beata apparente eternità del capitalismo, l'inutilità delle forme capitalistiche dell'economia appare in luce meridiana: nulla ha più valore, il denaro serve al massimo per bisogni fisiologici, le categorie intoccabili dell'economia del capitale saltano, è il caos.

Marx svolge, inoltre, un'analisi "a volo d'uccello" della più vulcanica macchina produttiva americana, nella quale intravede un potente focolaio delle contraddizioni del capitalismo e il futuro centro dello sviluppo sfrenato della borghesia mondiale: "La prosperità dell'Inghilterra e dell'America si ripercuote rapidamente sul continente europeo. Il mercato mondiale collega ogni angolo della terra e lo obbliga a sottomettersi al capitale". I due centri, Inghilterra e America, del capitalismo mondiale sono "il demiurgo del cosmo borghese", dai quali ha origine "il processo iniziale" e delle crisi e della prosperità. Cosicché, "se, per conseguenza, le crisi generano delle rivoluzioni anzitutto sul continente, la loro origine si trova non di meno in Inghilterra. È alle estremità dell'organismo borghese che debbono naturalmente prodursi le commozioni violente prima di arrivare al cuore, perché la possibilità di una compensazione è più grande qui che là. Inoltre, la proporzione con cui le rivoluzioni continentali si ripercuotono in Inghilterra è nello stesso tempo il termometro che indica in quale misura queste rivoluzioni mettono realmente in questione le condizioni d'esistenza borghesi, e fino a che punto esse non raggiungono che le loro formazioni politiche". Questa preziosa lezione teorica tratta dall'intreccio economico che aveva sviluppato già allora i due continenti, ma ancora in prevalenza l'Europa e la Gran Bretagna, e dal quale esplose la crisi del '47, anticipa e sancisce la validità della posizione rivoluzionaria difesa da Lenin e dalla Sinistra italiana, per la quale la Rivoluzione d'Ottobre avrebbe resistito ad ogni ritorno reazionario a condizione che fossero crollate le centrali europee, segnatamente la Germania, dell'imperialismo capitalista.

La chiusa a questo testo costituisce un tremendo ceffone a volontaristi e immediatisti d'ogni tempo: "Essendo data la prosperità generale, nella quale le forze produttive della società borghese si schiudono per quanto lo permettono i rapporti sociali borghesi, non si potrà parlare di vera rivoluzione. Questa non è possibile che nei periodi in cui questi due fattori, le forze produttive moderne e le forme borghesi della produzione entrano in conflitto le une con le altre. Le differenti questioni alle quali si dedicano oggi i rappresentanti delle diverse frazioni del partito dell'ordine del continente e nelle quali esse si compromettono reciprocamente, ben lontano dal fornire l'occasione di nuove rivoluzioni non sono al contrario possibili che perché la base dei rapporti sociali è momentaneamente così sicura, e ciò che la reazione ignora, così borghese". "Ogni tentativo fatto dalla reazione per arrestare lo sviluppo borghese si brucerà così sicuramente come ogni proclama infiammato dei democratici. Una nuova rivoluzione non sarà possibile che a seguito di una nuova crisi: l'una è tanto certa quanto l'altra...".

La nuova crisi del 1857 ebbe il suo epicentro negli Stati Uniti, ma ben presto contagiò l'Inghilterra e la Germania. In Gran Bretagna la stessa agricoltura fu investita dalla depressione economica, come Marx aveva già sentenziato nel 1850. Nella misura in cui le forme capitalistiche della produzione afferrano ogni ramo dell'attività produttiva, si schiudono canali traverso cui fluisce la crisi. Tutta l'economia così è soggetta alla crisi!

(Continua)

Da "Il programma comunista" n. 19, 20 ottobre 1962.

Copertina Scienza economica marxista
Scienza economica marxista come programma rivoluzionario

Quaderni di n+1 dall'archivio storico.

Una importante relazione del Partito Comunista Internazionale sulle "questioni fondamentali dell'economia marxista" nella quale si indaga intorno alla teoria della dissipazione capitalistica.

Indice del volume

Indice de Il programma Comunista - 1962