Alle insidiose vicende delle battaglie proletarie mondiali solo la teoria offensiva del marxismo è direttiva inflessibile che lega le grandi tradizioni al domani di potente riscossa. Gruppo di rapporti alla riunione interfederale di Milano 9-10 giugno 1962

Questioni di economia marxista IV

Dal '73 al '78 la crisi si fa cronica negli Usa e nel '75 in Inghilterra. L'ultima data che si ritrova nei testi di Marx è del 1879, di cui egli dà un accenno sommario nella lettera a Danielsen, economista russo che traduceva il I° libro del Capitale. In essa Marx mette ancora in luce la generale desolazione dell'economia e soprattutto l'apparente tranquillità delle banche e delle ferrovie, le quali accumulano ogni giorno debiti e azioni.

Ancora sulla teoria delle crisi

Marx nota che le crisi ricorrono all'incirca ogni dieci anni e, se la sua preoccupazione di cogliere le ragioni di questa quasi costante periodicità si fa sempre viva nella ricerca dei fenomeni immediati che si sviluppano prima durante e dopo le crisi stesse, tuttavia e soprattutto l'interesse per i fatti contingenti serve a dimostrare la validità della dottrina. Quante volte si dovette dileggiare il vezzo piccolo-borghese di correggere le nefandezze del capitalismo con la proposta di ricondurlo alla produzione semplice delle merci! Marx prese la testa di turco di Proudhon e dimostrò che le malattie del capitalismo adulto avevano la loro origine nel capitale, nelle semplici categorie dell'economia capitalistica. Non era necessario ricorrere alla riproduzione allargata per spiegare le crisi, anche se la straripante produzione ingolfava i canali dell'economia. Marx parla sempre di sovrapproduzione relativa: "Quando si afferma che non si tratta di una sovrapproduzione generale, ma di una mancanza di proporzione fra i diversi rami di produzione, si afferma semplicemente che nella produzione capitalistica la proporzionalità dei diversi rami di produzione risulta continuamente dalla loro sproporzione, poiché qui il nesso interno della produzione complessiva si impone agli agenti della produzione come una legge cieca, e non come una legge compresa e dominata dal loro intelletto associato, che sottomette il processo di produzione al loro comune controllo... Ma tutto il modo di produzione capitalistico è solo un modo di produzione relativo, i cui limiti non sono assoluti ma lo diventano per il modo di produzione stesso" (Il Capitale, Vol. III, Tomo I, pag. 314, Ed. Rinascita).

D'altra parte tutta l'economia capitalistica è pronta a fornire le forme più semplici e più complesse della crisi. "La forma più astratta della crisi e per conseguenza la possibilità formale della crisi è dunque la metamorfosi della merce stessa, in cui solo come movimento sviluppato è contenuta la contraddizione, insita nell'unità della merce, fra valore di scambio e valore d'uso, tra denaro e merce". (Teoria delle dottrine economiche, Vol. II, pag. 559). È già nella merce la forma primaria della crisi, nel fatto cioè di essere al tempo stesso prodotto per soddisfare un bisogno e portatrice di valore, di lavoro medio sociale e plusvalore. È quindi nella contraddizione sociale su cui poggia la produzione capitalistica che vanno ricercati il contenuto e la causa delle crisi. La lezione leniniana sulle cause della crisi è perfetta: "Le crisi sono possibili(...) perché il carattere collettivo della produzione entra in conflitto col carattere individuale dell'appropriazione" (Sui caratteri del romanticismo economico). Ancora Marx in forma stringata: "Tre fatti principali della produzione capitalistica: 1° - Concentrazione dei mezzi di produzione in poche mani, per cui cessano di apparire come proprietà dei lavoratori diretti (artigiani) e si trasformano in potenze sociali della produzione, anche se, a tutta prima, come proprietà privata dei capitalisti: Questi sono i trustees (i fiduciari) della società borghese, ma intascano tutti i frutti di questa posizione di fiducia; 2° - Organizzazione dello stesso lavoro, come lavoro sociale, mediante la cooperazione, la divisione del lavoro, il collegamento del lavoro e delle scienze naturali. Nei due sensi il modo di produzione capitalistico sopprime, benché in forme antitetiche, la proprietà privata ed il lavoro privato; 3° - Creazione del mercato mondiale. L'enorme forza produttiva, per rapporto alla popolazione, che si sviluppa nel quadro del modo di produzione capitalistico, e, benché non nelle stesse proporzioni, l'aumento dei valori-capitale (e non solo del loro substrato materiale), che crescono molto più rapidamente della popolazione, sono in contraddizione con la base (che, relativamente alla ricchezza crescente, diviene sempre più ristretta) per la quale questa enorme forza produttiva lavora, e con le condizioni di messa in valore di questo capitale crescente. È qui l'origine delle crisi" (Il Capitale, Libro III, ed. Dietz, pag. 293). E un'altra citazione tra le mille: "Il capitale si manifesta sempre più come una potenza sociale di cui il capitale è l'agente che ha ormai perduto qualsiasi rapporto proporzionale con quello che può produrre il lavoro di un singolo individuo; ma come una potenza sociale estranea, indipendente, che si contrappone alla società come entità materiale e come potenza dei capitalisti attraverso questa entità materiale. La contraddizione tra questa potenza sociale generale, alla quale si eleva il capitale, e il potere privato del [singolo] capitalista sulle condizioni sociali della produzione, si va facendo sempre più stridente e deve portare alla dissoluzione di questo rapporto e alla trasformazione delle condizioni di produzione in condizioni di produzione sociali, comuni, generali. Questa trasformazione è il risultato delle forze produttive nel modo capitalistico di produzione e della maniera in cui questo sviluppo si compie" (Il Capitale, Libro III, Vol. I, pag. 322, Ed. Rinascita).

Purtroppo, le traduzioni dei testi marxisti, monopolizzate dalle ricche centrali opportuniste, sono sempre interessatamente fiacche e non riescono a rendere il vero senso del testo originale. Infatti, per capitalista non si deve intendere solo il capitalista-uomo, ma soprattutto l'azienda capitalista, l'agente della produzione capitalista, l'impersonale e anonima organizzazione produttiva capitalista. Altrimenti sarebbe di assoluta incomprensione il capitalismo di stato, nel quale non esistono i capitalisti intesi come padroni individuali dei mezzi di produzione, mentre esistono, come in Russia, i "fiduciari intascanti i frutti della società borghese" di cui Marx più sopra. I trustees del "profeta" Carlo si chiamano oggi operatori economici.

E allora appare in luce meridiana l'analisi di Marx sull'origine delle crisi: da una parte la socializzazione delle forze produttive, la produzione sociale; dall'altra la privata disponibilità dei mezzi di produzione e delle stesse forze produttive da parte delle unità produttive. È qui il caos sociale: le unità produttive capitaliste non riescono più a contenere le crescenti forze sociali della produzione, le aziende sono troppo anguste per organizzare la forza lavoro, controllare il pluslavoro e distribuirlo nella società. Di conseguenza l'anarchia della produzione, la sovrappopolazione relativa di produttori, la distruzione continua di ricchezza, costituiscono le stigmate del capitalismo. E questo anche quando la concentrazione più avanzata dei capitali sparsi induce gli agenti borghesi a farneticare di programmazione, di controllo della produzione, di piano. In realtà, essi avvertono l'assoluto e urgente bisogno di pianificare la produzione, ma cozzano nella contraddizione insormontabile fra produzione sociale e appropriazione aziendale, privata, di plusvalore. Il nocciolo della questione è tutto qui: non è un fenomeno meramente economico, ma sostanzialmente sociale; la produzione di plusvalore e profitto è il principio e il fine del modo di produzione capitalistico. Il capitalismo ha potuto e dovuto - questo è il suo merito storico - socializzare la produzione, ma non l'appropriazione, che è rimasta al livello privato e pecuniario per tutti, borghesi e proletari.

Da questa constatazione generale parte, per esempio, la nostra critica rivoluzionaria alla pretesa pianificazione in URSS, dove, appunto, è del tutto naturale che si smonti il controllo centralizzato della produzione e del consumo, e della appropriazione, perché la base dell'economia russa è l'azienda con il suo bilancio attivo in vista di realizzare plusvalore e profitto e il salario in moneta.

Il quadro di Marx

Marx in una lunga lettera a Engels del 6 luglio 1863 da Londra (Il Capitale, Vol. II, Tomo II, pag. 189, Ed. Rinascita) traccia due complicate tabelle, di cui la prima "Tabella del processo di riproduzione" e la seconda "Tableau économique del processo complessivo di riproduzione". In esse figurano le due sezioni della produzione, la prima dei mezzi di produzione (produzione di capitale costante) e la seconda dei mezzi di consumo (produzione dei mezzi di sussistenza). Nella prima tabella Marx comprende tra gli elementi costitutivi del capitale anche la rata del capitale fisso che entra direttamente, ma per computo monetario, nel prodotto, ma si preoccupa soprattutto dello scambio tra le due sezioni della produzione e della scomposizione del profitto, filiazione del plusvalore, in profitto industriale, interesse e rendita. Per la comprensione, però, della generale questione dello "sciupio" e del fenomeno ricorrente delle crisi economiche, non si tratta tanto di ricercare nell'intreccio della riproduzione allargata, quanto nella riproduzione semplice. Non che nella riproduzione allargata la produzione di capitale cessi in quanto tale o che manifesti anomalie di cui sarebbe aliena nella riproduzione semplice. Questa falsa interpretazione, come le citazioni da Marx ampiamente testimoniano, fa comodo all'opportunismo soltanto per giustificare la totale rinuncia alla lotta rivoluzionaria. Marx dedica alla riproduzione allargata ben quattro Sezioni del Libro III del Capitale, non certo per trovare alcunché di nuovo che rettifichi o smentisca il vecchio, ma al solo fine di completare l'analisi del modo di produzione capitalistico. La trama dell'economia capitalistica è nella rotazione delle semplici parti costitutive del capitale e delle sue metamorfosi, da cui prendono poi l'avvio i complessi fenomeni dell'accumulazione. È un vecchio trucco della filosofia, pretesa scienza delle scienze, di risolvere con la logica i fenomeni dell'economia politica, che sono dialettici; o al massimo di contrapporre il micro al macro e di vedere tutto in chiave quantitativa: più acciaio, più libertà, più merci, più tutto!

Nella corrispondenza del 2 marzo del 1858, Marx avverte lo stretto nesso tra ciclicità produttiva e capitale costante fisso: "Il tempo medio della durata del macchinario è uno degli elementi importanti per spiegare il ciclo poliennale che la produzione percorre da quando si è affermata la grande industria". E nella risposta del 4 marzo Engels conferma l'intuizione di Marx e gli riferisce del modo con cui i capitalisti calcolano l'ammortamento del capitale fisso e quindi le valutazioni del tempo per ricostruirlo. Smentisce le sciocchezze del Babbage, che asseriva come a Manchester la maggior parte del macchinario venisse rinnovata ogni cinque anni, e dimostra com'è nell'interesse della produzione capitalistica avere macchine e impianti che durino più a lungo possibile rispetto al loro costo, per produrre a costi minori. Engels indica in dieci-tredici anni la durata del macchinario. Per inciso agli effetti fiscali viene riconosciuta oggi in Italia una percentuale media annua di ammortamento dell'8%, che serve appunto a ricostituire in 12-13 anni il capitale fisso. Sotto questo profilo, l'aliquota non riguarda gli impianti fissi, edifici, stabilimenti ecc. che dovrebbero durare più a lungo. Marx, a questo proposito, aggiunge un altro elemento poderoso alla nostra equazione dello sciupio. Nota, infatti, come la cosiddetta razionalità degli edifici in genere, e di quelli industriali in particolare, la presunta armonia dispositiva di reparti e sezioni produttivi nel corpo della fabbrica, siano inutili e da demolirsi appena che si renda necessario un minimo aumento della produzione. È una periodica rovina di capitale morto che potrebbe essere utilizzato per lunghissimo tempo ancora se fosse predisposto con raziocinio non borghese, dell'oggi immediato. E propone con brillante senso... futurista una disposizione asimmetrica degli impianti, per elementi componibili, man mano che le esigenze produttive lo richiedono.

Nel quadro abbiamo assegnato dieci anni alla I sezione - beni strumentali - per ricostituire la sua dotazione di capitale fisso, e cinque anni alla II sezione - beni di consumo. Per semplicità si immagina che la produzione dei beni di consumo coincida con la produzione agricola. In questa, parte notevole del capitale fisso è data dal bestiame (scorta viva) che deve avere rapido ciclo di rimpiazzo.

Quadro di marx per la riproduzione semplice del capitale fisso e circolante
Logorio del capitale fisso

C1
Capitale costante circolante

C2
Capitale costante

c = c1+c2
Capitale variabile

v
Plusvalore


p
Prodotto

k1 = c+v+p
Capitale anticipato

K= cr + vr + C'
Sezione I - Beni strumentali
Settimana 20 60 80 20 20 120 10.500
Rotazione (5 sett.) r 100 300 400 100 100 600 10.500
10 Rotazioni (50 sett. = anno) a 1.000 3.000 4.000 1.000 1.000 6.000 10.500
Ciclo capitale fisso (10 anni) C1 10.000 30.000 40.000 10.000 10.000 60.000 10.500
Sezione II - Beni di consumo
Rotazione (Anno) r' = a' 500 1.500 2.000 500 500 3.000 5.000
Ciclo capitale isso (5 anni) C'1 2.500 7.500 10.000 2.500 2.500 15.000 5.000
Doppio ciclo (10 anni) C"1 * 2.500 15.000 20.000 5.000 5.000 30.000 5.000
Totale sociale annuo a+a' 1.500 4.500 6.000 1.500 1.500 9.000 15.500
Tot. sociale decennio C1 + C'1 12.500 45.000 60.000 15.000 15.000 90.000 15.500
Totale assoluto del plusvalore   =   p/v   =   sempre 100/100   =   100%
Totale annuo del plusvalore   =   p annuo / v anticipato (1 rotazione)   =   
   =   { Sezione I 1.000/100   =   1.000%**
Sezione II 500/500   =   100%

* In questo caso non è c = c1+c 2 in quanto questa formula è valida solo nei limiti di un ciclo di capitale fisso iniziale.
** Cfr. Il Capitale, Libro II, vol. I, cap. XVI, pag. 311-312. Ed. Rinascita.

Gli elementi costitutivi sono i classici componenti del capitale, secondo le annotazioni proposte nell'Abaco e il metodo algebrico di scrittura e lettura. Linee verticali: nella prima colonna il logorio del capitale fisso c1 e nella seconda il capitale costante circolante c2, che costituiscono tutto il capitale costante nella terza colonna. Si chiarisce che anche il capitale fisso è capitale costante, una sua partizione. Marx dedica a questa distinzione un certo studio, non per fare dell'accademia, ma per dimostrare come la diversa rubricazione delle spese che riguardano il capitale fisso consenta, nelle grandi società per azioni, un aumento dei dividendi a favore degli azionisti. Nella merce non entra, evidentemente, tutto il valore delle macchine e degli impianti, ma appunto la loro quota di ammortamento, solo una parte aliquota di valore del capitale fisso: nel nostro esempio il 10% annuo, posto in dieci anni il tempo per la ricostituzione del capitale fisso. Il capitale costante circolante è costituito da materie prime e ausiliarie. Nella quarta colonna il capitale variabile, v, forza lavoro, cioè salari. Nella quinta il plusvalore, p. Nella sesta il valore globale del prodotto, che secondo la consueta annotazione è: k1 = c + v + p, vale a dire: capitale costante, nelle sue partizioni di capitale fisso e circolante, più capitale variabile-salari, più plusvalore.

Nella settima, il capitale che l'azienda deve anticipare, ed esattamente tutto il capitale costante ed il capitale salari e il valore integrale del capitale fisso. Si deve chiarire però che il capitale variabile è anticipato rispetto alla realizzazione del costo globale della merce prodotta, ma viene speso dall'azienda soltanto dopo che è stato consumato nel prodotto. Questo chiarimento va premesso non tanto per la spiegazione del nostro quadro, quanto come anticipazione di un fenomeno che Marx chiama del "capitale liberato", durante le rotazioni del capitale. Infatti, i salari vengono pagati agli operai non anticipatamente, ma dopo che questi hanno prestato la loro opera, una settimana, quindicina, mese, a seconda del periodo di paga. Oggi, per esempio, è invalso il costume di pagare mensilmente, con acconti quindicinali, soprattutto nelle grandi aziende, che giustificano tale periodicità con il minor peso degli interessi passivi da pagare alle banche. Tuttavia, dovendo essere anticipatamente disponibile una certa somma di denaro corrispondente al capitale variabile, la si deve intendere nello schema per già consumata. Linee orizzontali: il titolo, I sezione - beni strumentali o mezzi di produzione. Per questa sezione si è convenuto che ciascuna rotazione consista in cinque settimane, cioè che il tempo di produzione o di lavoro e il tempo di circolazione della merce sia di cinque settimane; e che l'anno consti, di conseguenza, di dieci rotazioni, supposto di 50 settimane per semplificare. La rotazione del capitale è, infatti, l'insieme del tempo necessario a produrre integralmente una certa merce finita e quello indispensabile perché questa merce compia la duplice metamorfosi dello scambio: sia portata al mercato per essere scambiata, nella vendita, con una massa equivalente di danaro, la quale a sua volta serve per acquistare materie prime e ausiliarie, e salari per riprendere il ciclo della produzione della merce determinata. Nel nostro caso, allora, la stessa quantità di capitale anticipato servirà per compiere dieci rotazioni annue, stabilito che ogni rotazione consta di cinque settimane. Chiamiamo r la rotazione, a il numero di rotazioni nell'anno e C1 il valore del capitale fisso nel suo ciclo totale. Allora nella prima settimana entreranno nel prodotto 20 di capitale fisso, pari ad 1/500 del capitale fisso totale, essendo il suo ciclo decennale, ovvero di 500 settimane; 60 di capitale costante circolante-materie prime ed ausiliarie; 20 di capitale variabile-salari; 20 di plusvalore. Il prodotto alla fine della prima settimana, addizionando 20 più 60 più 20 più 20, è di 120. Supposta la rotazione di cinque settimane (seconda orizzontale) il prodotto totale alla fine della rotazione, delle cinque settimane, è di 600 e nell'anno (terza orizzontale) di 6.000. Resta da chiarire 10.500 del capitale anticipato già all'inizio della prima settimana. Prima che abbia inizio il ciclo produttivo, alla prima settimana, l'azienda deve disporre di una somma di capitale pari al capitale costante necessario all'integrale produzione della merce, vale a dire quelle materie prime e ausiliarie di cui la merce è composta; dell'aliquota per deperimento del capitale fisso (non interessandoci per ora né in questa sede il fenomeno contraddittorio per cui il capitale fisso cede valore al prodotto e non si incorpora in esso se non sotto forma di puro valore calcolato in forma monetaria, ricostituendosi, così, in forma di denaro) e del capitale salari (v); somma che settimanalmente è di 100, la quale moltiplicata per 5, tante quante sono le settimane necessarie per espellere e vendere merce, fanno 500 (c più v della 2ª orizzontale). A queste 500 vanno aggiunte 10.000, valore globale del capitale fisso, macchine ed impianti, che l'azienda ha dovuto pagare anticipatamente per poter iniziare la produzione. Come Marx dice esplicitamente (astraendo dal deposito in banca che frutta interesse) le 20 settimanali della colonna c1 si accumulano per 10 anni (500 settimane utili) fino alle 10.000 che saranno spese tutte insieme a ripristino di tutto il c1 di partenza. È chiaro che il ciclo chiuso di produzione e circolazione (rotazione) consta di 5 settimane e che, quindi, per produrre 6.000 nell'anno (3ª orizzontale - 6ª verticale) bastano sempre 500 della prima rotazione, che si ricostituiscono automaticamente ad ogni rotazione.

Salta subito agli occhi il fenomeno del tasso di plusvalore. Marx lo distingue in tasso assoluto e in tasso annuale. Il tasso assoluto, cioè il rapporto tra il plusvalore e il capitale variabile nel periodo (p/v) è sempre 100/100, cioè 100%. Nel nostro quadro, infatti, 20/20, 100/100, 1.000/1.000, se si considera la settimana, la rotazione, e le 10 rotazioni, valgono appunto il 100%. Ma se invece si considera la massa di plusvalore realizzata nell'anno (5ª verticale - 3ª orizzontale) in rapporto al capitale anticipato per salari (prima rotazione), - vedi 4ª verticale - 2ª orizzontale - allora è evidente che il saggio di plusvalore è dieci volte maggiore del saggio assoluto e cioè del 1.000/100, cioè 1.000%. Vale a dire che il tasso annuo del plusvalore è uguale al tasso assoluto moltiplicato per il numero di rotazioni nell'anno. In effetti, cioè, una azienda per realizzare 1.000 di plusvalore nell'anno non ha bisogno di disporre di una massa salari di 1.000, ma gli basta una massa ridotta di 100, ammesso che questa massa compia 10 rotazioni l'anno.

Sezione II - Beni di consumo. In questa sezione la rotazione è unica nell'anno, avendo per presupposto la ciclicità annua del raccolto agricolo. Valgono per questa sezione i chiarimenti della prima, con la sola differenza che non compare qui il fenomeno del tasso annuo di plusvalore maggiore di quello assoluto, in quanto l'uno coincide con l'altro. Da qui si spiega, per esempio, come la maggior parte del capitale venga investita nell'industria (I sezione), piuttosto che nell'agricoltura (II sezione). Nella prima il profitto è di gran lunga superiore, in quanto è possibile un maggior numero di rotazioni. Nella seconda, il ciclo produttivo è direttamente vincolato a fenomeni naturali che, malgrado i tentativi di forzarli, sono pressoché immutati.

Nell'ultima partizione orizzontale sono collocati i due totali sociali, per anno e per decennio, della produzione globale delle due sezioni, che si ottiene addizionando gli elementi annui della I sezione (3ª orizzont.) con quelli della II sezione (5ª orizzont.), e decennali.

Prime conclusioni

Da quanto precede, si deve in primo luogo por mente alla stridente contraddizione tra gli elementi costitutivi del capitale, e segnatamente tra il capitale anticipato e il prodotto sociale. Il capitale costante circolante e il capitale variabile ‒ limitatamente alla I sezione, regno della produzione capitalistica ‒ si ricostituiscono integralmente di rotazione in rotazione, per l'immediato loro consumo, essendo il loro valore d'uso il soddisfacimento di immediati bisogni: si potrebbero chiamare merci comuni. Marx li chiama addirittura entrambi capitale circolante, per le loro caratteristiche di mobilità e consumo. Il capitale fisso, invece, è una merce speciale, con proprietà che trascendono la sua forma materiale, per la funzione che compiono nella produzione capitalistica. Attraggono e succhiano lavoro vivo in maniera impressionante. I nostri opportunisti, nella loro caccia alle streghe, insegnano agli operai ad inseguire il capitalista, che realizza la regola dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo. In realtà essi nascondono il tremendo e impressionante fenomeno sociale dello sfruttamento del capitale morto su quello vivo, del capitale per antonomasia sul lavoro salariato in particolare e sul lavoro sociale in genere.

Per produrre è ineluttabile che si trovi già predisposta una massa crescente di lavoro morto, sotto forma di capitale fisso, macchine, impianti, attrezzi, il cui volume è preponderante rispetto agli altri elementi del capitale. Nel nostro schema, si parte con 10.000 di capitale fisso e con solo 500 per realizzare la prima rotazione che consenta la produzione di merce. Ora non è per opera dello Spirito Santo che è già pronto un capitale fisso di 10.000. Questo è il risultato di accumulazione di plusvalore di generazioni di proletari salariati, cristallizzato in lavoro morto, il quale non trova altra giustificazione d'esistenza se non di essere messo in movimento, di essere costantemente risuscitato dal soffio vitale del lavoro vivo. Per poi accrescersi di nuovo, gonfiarsi e richiedere ancora lavoro.

Non solo, ma alla luce della riproduzione allargata (ché la semplice è valida soprattutto per spiegare la prima), su cui poggia l'economia moderna, dovendo il capitale fisso ricostituirsi periodicamente non nella stessa forma naturale e tecnica iniziale, ma con aumentate proprietà produttive, per aumentare la produttività del lavoro, e far diminuire i costi della produzione, una massa ingente di macchine e attrezzi inutilizzati o comunque non in grado di produrre con le proprietà competitive dei più moderni giace inerte.

Questo capitale fisso, allora - sarebbe il caso di domandarsi - crea o distrugge ricchezza?

Ed infine, per adempiere agli scopi di una maggior realizzazione di plusvalore, il modo di produzione capitalistico è costretto a trasformare una parte crescente del plusvalore creato dal lavoro salariato in capitale fisso, con l'eterna tautologia della produzione e riproduzione di capitale fine a sé stessa.

Va da sé che soltanto la rivoluzione proletaria può spezzare questo cerchio vizioso e demente, e finirla una volta per tutte di sacrificare al Moloch la giovinezza della specie umana.

(Continua)

Da "Il programma comunista" n. 20, 2 nov. 1962

Copertina Scienza economica marxista
Scienza economica marxista come programma rivoluzionario

Quaderni di n+1 dall'archivio storico.

Una importante relazione del Partito Comunista Internazionale sulle "questioni fondamentali dell'economia marxista" nella quale si indaga intorno alla teoria della dissipazione capitalistica.

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