Proprietà e capitale (1)
1. Tecnica produttiva e forme giuridiche della produzione
Con una formula semplice e giustificata dalle esigenze della propaganda si è sempre definito il socialismo come abolizione della proprietà privata, aggiungendo la precisazione: dei mezzi di produzione, e poi l'altra: e dei mezzi di scambio.
Anche se tale formula non è completa e del tutto adeguata, essa non va ripudiata. Ma le vecchie e recenti sostanziali questioni sulla proprietà personale, collettiva, nazionale e sociale rendono necessario delucidare il problema della proprietà di fronte all'antitesi teorica storica e di lotta tra capitalismo e socialismo.
Ogni rapporto economico e sociale si proietta in formulazioni giuridiche, e partendo da tale posizione il Manifesto dice che i comunisti pongono avanti in ogni stadio del movimento la "quistione della proprietà", poiché essi pongono avanti la quistione della produzione, più generalmente quella della produzione distribuzione e consumo, quella dell'economia.
In un'epoca in cui la grande antitesi storica tra feudalesimo e regime borghese era apparsa prima come un conflitto ideologico e di diritti che come rapporto economico e mutamento delle forme della produzione, non si poteva non porre nel massimo rilievo, anche nelle enunciazioni elementari, la forma giuridica delle rivendicazioni economiche e sociali proletarie. Nel passo fondamentale della prefazione alla Critica dell'economia politica Marx enuncia la dottrina del contrasto delle forze produttive con le forme della produzione e subito aggiunge: "oppure — il che è soltanto un'espressione giuridica — con i rapporti di proprietà".
La giusta accezione della formulazione giuridica non può dunque fondarsi che sulla giusta presentazione del rapporto produttivo ed economico, che il socialismo postula di infrangere.
Adoperando quindi in quanto utile il linguaggio della scienza corrente del diritto si tratta di ricordare i caratteri discriminanti del tipo capitalistico di produzione — che vanno definiti in rapporto ai tipi di produzione che lo precedettero — e ulteriormente discriminare tra tali caratteri quelli che il socialismo conserva e quelli che invece dovrà superare e sopprimere nel processo rivoluzionario. Tale distinzione va ovviamente istituita sul terreno dell'analisi economica.
Capitalismo e proprietà non coincidono. Varie forme economico-sociali che hanno preceduto il capitalismo avevano determinati istituti della proprietà. Vedremo subito che è convenuto al nuovo sistema di produzione adagiare la sua impalcatura giuridica su formule e canoni derivati direttamente da precedenti regimi, malgrado che in essi i rapporti di appropriazione fossero diversissimi. Ed è non meno elementare la tesi che nella visione socialista il capitalismo figura come l'ultima delle economie fondate sulla forma giuridica della proprietà, sicché il socialismo nell'abolire il capitalismo abolirà anche la proprietà. Ma quella prima abolizione, e, meglio detto, successione violenta e rivoluzionaria, è un rapporto chiaramente dialettico e la si enuncia con più fedeltà al linguaggio marxista nostro proprio, che non la abolizione della proprietà di sapore un poco metafisico e apocalittico.
Rifacciamoci tuttavia all'inizio dei nostri noti concetti. Proprietà è un rapporto tra l'uomo, la persona umana, e le cose. I giuristi la chiamano la facoltà di disporre della cosa nel modo più esteso ed assoluto, e classicamente di usare e di abusare. Si sa che a noi marxisti queste definizioni eterne non piacciono, e potremmo meglio dare una definizione dialettica e scientifica del diritto della proprietà dicendo che è la facoltà di "impedire" ad una persona umana di usare di una cosa, da parte di un'altra persona o di un gruppo.
La variabilità storica del rapporto emerge ad esempio dal fatto che per secoli e millenni tra le cose suscettibili di formare oggetto di proprietà era la stessa persona umana (schiavismo). Che d'altra parte l'istituto della proprietà non possa pretendere alla prerogativa apologetica di essere naturale ed eterno lo abbiamo provato mille volte col riferimento alla primitiva società comunista in cui la proprietà non esisteva, in quanto tutto era acquisito e usato in comune dai primi gruppi di uomini.
Nella relativa primordiale economia o se si vuole pre-economia il rapporto tra uomo e cosa era il più semplice possibile. Per il limitato numero di uomini e la limitata gamma di bisogni, appena superiori a quelli animali della alimentazione, le cose atte al soddisfacimento dei bisogni stessi, che poi il diritto chiamò beni, sono dalla natura poste a disposizione illimitata e il solo atto produttivo consiste nel prenderle quando occorrono. Esse si riducono ai frutti della vegetazione spontanea e in seguito della caccia e della pesca e così via. Vi erano oggetti di uso in quantità esuberante, non vi erano ancora "prodotti" usciti da un sia pure embrionale intervento fisico, tecnico, lavorativo, dell'uomo sulla materia quale la offre la natura ambiente.
Con il lavoro, la tecnica produttiva, l'aumento delle popolazioni, la limitazione di terre vergini libere su cui espandersi, sorgono i problemi di distribuzione e diviene difficile fronteggiare tutte le necessità, le richieste di uso e di consumo di prodotti. Nasce il contrasto tra individuo e individuo, tribù e tribù, popolo e popolo. Non occorre ricordare queste tappe dell'origine della proprietà, ossia della appropriazione, per il consumo, per la formazione di riserve, per l'iniziato scambio a soddisfazione di altre sempre più vaste esigenze, di quanto ha prodotto il lavoro di uomini e di comunità.
Appare in processi svariati il commercio, le cose che erano solo oggetti di uso divengono mercanzie, appare la moneta e al valore di uso si sovrappone il valore di scambio.
Nei varii popoli e nelle varie epoche dobbiamo intendere quale fosse l'avanzamento della tecnica produttiva quanto a capacità di intervento dell'opera dell'uomo sulle cose o materie prime, quale il meccanismo della produzione e della distribuzione degli atti e sforzi produttivi tra i membri della società, quale il gioco della circolazione dei prodotti da mano a mano da casa a casa da paese a paese verso il consumo. Da tali dati possiamo passare ad intendere le forme giuridiche corrispondenti, e che tendevano a coordinare le regole di tali processi, attribuendo a date organizzazioni la disciplina di esse e la possibilità di costrizioni e di sanzioni verso i trasgressori.
Come non risale alla primitiva umanità la proprietà delle cose o beni di consumo e la proprietà dello schiavo, tanto meno vi risale la proprietà del SUOLO ossia della terra e di quanto di stabile l'uomo vi aggiunge e costruisce, i beni immobili del diritto. Tale proprietà nella sua forma personale viene in ritardo rispetto a quella delle cose mobili e degli stessi schiavi, in quanto all'inizio tutto se non è comune è per lo meno attribuito al capo dell'aggruppamento familiare di tribù o di città e regione.
Ma anche volendosi contestare che tutti i popoli siano partiti da questa prima forma comunistica e volendo ironizzare su una tale età dell'oro, l'analisi che ci interessa sulla derivazione dell'istituto giuridico dagli stadii della tecnica non ne resta inficiata, e basta rimandare alla grande importanza che Engels e Marx dettero all'avvio di questi studi sulla preistoria, premendoci di venire molto più oltre.
Riducendoci alle linee scheletriche e alle cose a tutti note, bastano i rapporti sulla proprietà dell'oggetto mobile consumabile e comunque adoperabile, dell'uomo schiavo o servo, e della terra, a definire le linee fondamentali dei successivi tipi storici di società di classe.
La proprietà, dice il giurista, nasce dall'occupazione. Lo dice pensando al bene immobile, ma la formula va bene anche per la proprietà sullo schiavo e sull'oggetto merce. Infatti "le cose mobili si appartengono al possessore". Non meno ovvio è il trapasso da possesso a proprietà. Se io ho una cosa qualunque tra le mani, in generale anche un altro uomo o un pezzo di terra (nel qual caso non lo tengo colle mani — e nemmeno l'uomo e la merce tengo costantemente colle mani) senza che un altro riesca a sostituirmi, io sono il possessore. Possesso materiale, fin qui. Ma il possesso diviene legittimo e giuridico, e si eleva a diritto di proprietà, quando ho la possibilità contro un eventuale pretendente o disturbatore di conseguire l'appoggio della legge e della autorità, ossia della forza materiale sistemata nello stato, che verrà a tutelarmi. Per la cosa mobile o merce il semplice possesso dimostra la proprietà giuridica finché qualcuno non prova che io gli abbia sottratta la cosa con forza o frode. Per lo schiavo negli stati bene ordinati vi era una anagrafe familiare che li registrava al padrone. Per gli immobili anche modernamente la macchina legale è assai più complessa, dipende da titoli in date forme e da pubbliche registrazioni, e così più complesso è il controllo legale dei trapassi di proprietà. Comunque il possesso materiale è sempre una grande risorsa per il suo effetto sbrigativo, e la legge lo difende in un primo stadio salvo in secondo tempo la difficile indagine piena sul diritto di proprietà. Si dice come paradosso giuridico che anche il ladro può chiedere alla legge la tutela possessoria, se estromesso (magari dallo stesso proprietario, per teorico assurdo) e i più avveduti patrocinatori legali dicono che tutti i codici si possono ridurre al solo "articolo quinto, chi tiene in mano ha vinto".
Alla base quindi di ogni regime della proprietà vi è un fatto di appropriazione dei beni in generale. I figli dello schiavo restavano al padrone, se fuggivano poteva farli inseguire dalla legge che glieli riconduceva.
Nel regime medioevale del feudalesimo appare in generale abolita la tecnica della produzione con manodopera di schiavi e la relativa impalcatura legale che disciplina la proprietà sulle persone umane. La disposizione della terra agraria assume una forma più complessa di quella classica del diritto romano in quanto su di essa si adagia una gerarchia di signori che culmina nel sovrano politico, che distribuisce ai dipendenti vassalli le terre con un regime giuridico assai complesso. La base economica è il lavoro agricolo a mezzo non più di schiavi, ma di servi della gleba, che non sono oggetto di vera proprietà ed alienazione da padrone a padrone, ma non possono in generale lasciare il feudo su cui lavorano con la loro famiglia. I prodotti del lavoro da chi sono appropriati? In una certa parte dal lavoratore servo, e in generale dandogli un piccolo appezzamento i cui frutti gli devono bastare per alimentarsi coi suoi, mentre egli è tenuto a lavorare solo o con gli altri nelle più vaste terre del signore, e tali maggiori prodotti sono a questi consegnati. Tale lavoro è la cosiddetta comandata. Nelle forme più recenti il servo si avvicina al colono in quanto tutta la terra del feudatario è smistata in piccole aziende familiari, ma dal prodotto di ognuna una forte quota viene consegnata al padrone.
In questo regime il lavoratore ha un parziale diritto ad appropriarsi dei prodotti del suo lavoro per consumarli a suo beneplacito. Parziale in quanto vi incidono i tributi in tempo di lavoro o in derrate che siano, al padrone feudale, al clero e così via.
La produzione, non agricola ha scarso sviluppo, per la tecnica ancora arretrata, la scarsa urbanizzazione e la primitività generale della vita e dei bisogni delle popolazioni. Ma i lavoratori di oggetti manufatti sono uomini liberi, ossia non legati al luogo di nascita e di lavoro. Sono gli artigiani, chiusi nelle pastoie di organismi e regole corporative, ma tuttavia economicamente del tutto autonomi. Nella produzione artigiana, della piccola e minima azienda e bottega, abbiamo la proprietà del lavoratore su varii ordini di beni: gli strumenti non complicati del suo lavoro, le materie prime che acquista per trasformarle, i prodotti manufatti che vende. A parte gli oneri delle corporazioni e dei comuni e dati diritti feudali sui borghi, l'artigiano lavora solo per sé e gode il frutto di tutto il tempo e di tutto il risultato del suo lavoro.
La rete di circolazione di questo sistema sociale è poco intricata. La grande massa dei lavoratori agricoli consuma sul luogo quanto produce e poco vende per acquistare i limitati oggetti di vestiario o altro che usa. Gli artigiani e mercanti scambiano coi contadini e tra loro per lo più in cerchi ristretti di città, villaggi e campagne, una piccola minoranza di signori privilegiati attinge da larghi raggi gli oggetti del suo godimento e fino a pochi secoli fa ignorava essa stessa le forchette, il sapone o quasi, per non dire di cento altre cose oggi usate da tutti.
Man mano però si pongono le premesse della nuova era capitalistica, con i ritrovati tecnici e scientifici che arricchiscono in mille guise i processi di manipolazione dei prodotti, con le scoperte geografiche e le invenzioni di nuovi mezzi di trasporto di persone e di merci che allargano continuamente l'ambito delle zone di circolazione e le distanze tra il luogo di fabbricazione e quello di uso dei prodotti.
Il procedere di queste trasformazioni è svariatissimo e conosce strane lentezze e travolgenti espansioni. Mentre dall'inizio dell'evo moderno già milioni di consumatori imparavano a conoscere e adoperare spezie e merci ignorate ed esotiche sorgendo nuovi bisogni (caffè, tabacco, ecc. ecc.) era ancora possibile al tempo della prima guerra mondiale sentire che una signora calabrese, grande proprietaria, aveva in un anno speso "un soldo" in tutto per gli aghi, essendole tutto il resto fornito dalla sua proprietà.
Arrivati a questo solito punto colla rammemorazione di questi pochi cenni, semplificata volutamente ma tentando di mettere le parole giuste al loro posto, domandiamoci quali sono le reali caratteristiche differenziali della nuova produzione ed economia capitalistica e del regime borghese a cui questa fornisce la base. E vediamo subito in che veramente consiste il mutamento che i nuovi sistemi tecnici, le nuove forze di produzione poste a disposizione dell'uomo, inducono dopo una lunga e dura lotta nei rapporti di produzione, ossia nelle possibilità e facoltà di appropriazione dei varii beni, in contrapposto a quanto avveniva nella società precedente, feudale ed artigiana.
Incominceremo così a stabilire in modo chiaro le basi della nostra ulteriore indagine sulle effettive relazioni tra il sistema capitalistico e la forma della appropriazione dei varii beni: merci pronte al consumo, strumenti di lavoro, terra, case e impianti varii fissati al suolo, per estenderla al processo di sviluppo dell'era capitalistica ed a quello della sua fine.
Da "Prometeo" n. 10, giugno-luglio 1948
Proprietà e Capitale
Quaderni di n+1 dall'archivio storico.
Il lettore d'oggi che pagina dopo pagina arriverà al capitolo finale in cui si tirano le somme sul piano politico, avrà la netta sensazione di avere tenuto fra le mani un libro straordinario. Presa dimestichezza con un linguaggio potente dal punto di vista letterario ma fuori da canoni della saggistica divulgativa, sarà costretto ad ammettere che il metodo d'indagine adottato ha permesso di intravvedere fenomeni poco evidenti all'epoca in cui il libro fu scritto e ancora in embrione nel 1991.