Proprietà e capitale (5)
Invece del riepilogo delle puntate precedenti fin qui pubblicato, riportiamo una riduzione dello svolgimento in
Tesi
- 1. - Nelle rivoluzioni sociali una classe toglie il potere alla precedente quando il contrasto tra i vecchi rapporti di proprietà e le nuove forze produttive conduce ad infrangere i primi.
- 2. - La rivoluzione borghese, allorché le scoperte tecniche ebbero imposto la produzione in grande e l'industria meccanica, abolì i privilegi dei proprietari feudali sull'opera personale dei servi e i vincoli corporativi al lavoro manuale, espropriò in larga misura artigiani e piccoli contadini, spogliandoli del possesso del loro sito e dei loro arnesi di lavoro e dei prodotti della loro opera, per trasformarli, come i servi della gleba, in proletari salariati.
- 3. - La classe degli operai salariati lotta contro la borghesia per abolire, con la privata proprietà del suolo e degli impianti produttivi,, quella dei prodotti dell'agricoltura e dell'industria, sopprimendo le forme della produzione per aziende e della distribuzione mercantile e monetaria.
- 4. - La rivoluzione borghese al posto delle gestioni comuni della terra agraria e della distribuzione di essa in circoscrizioni feudali istituì il libero commercio del suolo, facendone un processo borghese conseguibile non per nascita ma con danaro, al pari di quello delle aziende industriali e commerciali.
L'ordinamento borghese nel campo agrario, come in tutta Italia, è nel Mezzogiorno pienamente compiuto. La pretesa esigenza di una lotta contro privilegi baronali e feudali costituisce una deviazione totale dalla lotta proletaria di classe contro il regime e lo stato borghese di Roma. - 5. - La disciplina giuridica applicata dalla classe capitalistica all'acquisto e al trasferimento dei suoli, aboliti i vincoli feudali, fu presa dal diritto romano, reggendo colle stesse norme formali la piccola proprietà contadina ed il grande possesso fondiario borghese.
I problemi dell'agricoltura italiana non sono risolubili con riforme giuridiche della distribuzione titolare dei possessi, ma solo con la lotta rivoluzionaria per abbattere il potere nazionale della borghesia, per eliminare il dominio del capitale sull'agricoltura e la polverizzazione della terra, forma miserrima di sfruttamento di chi la lavora.
6. Il capitalismo e la proprietà urbana.
La sistemazione dei rapporti economici e di diritto che si riferiscono ai fabbricati e ai suoli urbani nell'epoca del capitalismo moderno può sembrare di peso generale inferiore a quello rappresentato da una parte dal settore agricolo, dall'altra dalla produzione industriale.
A parte la considerazione che il volume del movimento economico rappresentato dalla gestione dell'abitazione non è trascurabile poiché rappresenta una frazione abbastanza alta del bilancio di ciascuna famiglia della media popolazione (in Italia in tempi normali e per determinati strati sociali perfino più di un quarto), la quistione risulta molto interessante, poiché il suo esame consente di delucidare in modo molto espressivo il gioco di elementi e di relazioni economiche fondamentali per intendere lo svolgimento odierno del capitalismo, specialmente per la distinzione tra i rapporti di proprietà titolare e patrimoniale, che in certo senso rappresentano la statica della economia privata, e i rapporti di gestione e di esercizio, di entrata e di uscita continue che ne costituiscono la dinamica.
Per l'ordine dell'esposizione facciamo cenno dell'origine storica del possesso urbano privato, argomento meritevole di lungo studio ed esposizione.
Il processo è ben diverso da quello che condusse alla definizione e limitazione dei possessi agricoli. Quando le tribù nomadi si fissarono su terre feraci si passò in vario modo dal godimento e dalla coltura in comune alla individuazione di campicelli singoli e familiari. Attraverso innumeri rivolgimenti e sconvolgimenti si pervenne al classico e ben codificato sistema romano, indi a quello feudale, finché, come abbiamo trattato nel quarto e quinto capitolo, con la vittoria della borghesia il suolo agrario divenne commerciale e la disciplina giuridica fu di nuovo copiata su quella romana.
Le vicende dell'abitazione non possono identificarsi con quelle del campo agrario. L'antico nomade o seminomade, cacciatore, pescatore, raccoglitore di frutto spontaneo, poi primordiale coltivatore, porta con sé la sua abitazione, carro, tenda di pelle, o facilmente la improvvisa nella rudimentale capanna o in naturali spelonche.
Col formarsi degli stabili poderi agrari privati, la popolazione dedita alla coltura si costruisce per lo più da se stessa le primitive abitazioni fisse campestri; fino ad oggi queste vanno trattate, dal punto di vista fondiario come da quello della gestione produttiva, alle stregua di impianti agricoli di cui l'opera umana ha arredata lungo i secoli la nuda terra vegetale. Vogliamo invece qui seguire il sorgere dell'abitazione urbana.
È palese che i primi agglomerati di fabbricati stabili non sorsero per dirette esigenze della tecnica produttiva non agricola, essendo in epoche meno sviluppate la iniziale manifattura ben compatibile con lo sparpagliamento della popolazione e l'utilizzazione dei margini giornalieri e stagionali del tempo dell'agricoltore. Più quindi che le prime forme dell'artigianato e della fabbricazione di prodotti non naturali, furono le esigenze della organizzazione sociale politica e militare a determinare il primo sorgere delle città. Può dunque ritenersi che l'area urbana nacque in un regime collettivo, e solo dopo si spezzò in domini singoli, corrispondendo alle necessità di amministrazione, di difesa, di dominazione, in rapporto a masse sparpagliate o a turbe di invasori, e appartenendo quindi tutta la cinta urbana al re, al tiranno, al capitano militare, alle prime forme di stato, alcune volte ad associazioni sacerdotali. ciò vuole dire la tradizione parlando di Romolo e Remo che tracciano la cinta delle mura di Roma trasformando il primo utensile rurale, l'aratro, in macchina edilizia. Influirono poi le esigenze di difesa fortificata; la polis greca aveva nel suo cuore l'acropolis o cittadella; uno dei termini latini per indicare la città è oppidum, che significa luogo fortificato, mentre civitas più che indicazione topografica è termine giuridico per designare lo Stato.
Nello stesso periodo romano, con l'ingrandire della città in cinte sempre più vaste di mura, col sorgere di una classe dominante di patrizi proprietari di vaste tenute agricole e di numerosi schiavi, si ebbero le aedes e le insulae private ed anche un frazionamento della proprietà urbana tra abitazioni dei ceti inferiori. Lo Stato tuttavia, repubblicano o imperiale, conservò su tutto il complesso urbano uno stretto controllo, dimostrato dalla grande importanza della magistratura degli edili; fino all'altro riflesso tradizionale che ci narra di Nerone, invasato da progetti grandiosi di rinnovamento urbanistico, che non avrebbe esitato dinanzi al mezzo radicale di dare alle fiamme i quartieri dell'urbe.
Nel medioevo lo sviluppo dei grandi centri ebbe un rinculo rispetto ai fasti delle capitali asiatiche e classiche. Sorsero i manieri feudali, attorno ad essi o ai loro piedi si aggrupparono i borghi, alloggio prima di servi e di domestici, indi a poco a poco di maestri artieri e di mercatori indipendenti.
È con la borghesia moderna che nascono e ingrandiscono le città. Esse, superando ogni considerazione di difesa militare dei poteri signorili o dinastici, abbattono e travalicano le anguste cinte di mura e di bastioni, e si dilatano a formare gli enormi agglomerati contemporanei, entro la cui cerchia sono ammassati in opifici e stabilimenti giganteschi i milioni di lavoratori che la moderna tecnica produttiva ha concentrato.
Una tesi fondamentale marxista è la stretta relazione fra il dilagare della produzione industriale e dell'economia borghese e l'imponente fenomeno sociale dell'urbanesimo. "La borghesia ha assoggettato la campagna alla città: ha creato città enormi aumentandone immensamente gli abitanti in confronto di quelli delle campagne; così una parte considerevole della popolazione è strappata all'ignoranza della vita rustica" (Manifesto).
Forse è stata l'Italia, seguita dai Paesi Bassi, a dare i primi esempi, sul finire del medioevo, di grandi città di tipo moderno. I grandi palazzi, e gli imponenti complessi di case civili, non portano solo i nomi e gli stemmi delle grandi famiglie gentilizie, ma appartengono a ditte formate da gente plebea che ha accumulato nelle banche, nei commerci, nella navigazione i primi grandi capitali, e già ne investe una parte notevole nell'edilizia urbana, mentre i più importanti maestri artigiani si fanno padroni dello stabile che alloga il loro laboratorio, come lo fu il bottegaio di Roma della sua taberna.
Diffusosi il capitalismo moderno in altri stati, vi sorsero o città industriali giovani e nate borghesi come Manchester o Essen, o grossi agglomerati periferici delle storiche capitali che dopo la caduta degli antichi regimi aumentarono a dismisura il numero dei loro abitanti, divenendo le grandi Parigi, grandi Londre, grandi Berlino di oggi; mentre oltremare altre città borghesi si fondavano, spoglie di quartieri storici, riconoscibili nella planimetria dal monotono reticolato ortogonale, segnate dallo standard di questo tempo mercantile e dalle leggi disumane della corsa al profitto.
* * *
Quanto al meccanismo giuridico, quello dei codici romani e giustinianei, come si prestò assai bene per la conquista da parte del capitale del suolo agrario, servì nei codici dei nuovi poteri borghesi a disciplinare egregiamente il possesso l'acquisto e il trapasso dei beni urbani, sia quanto a fabbricati esistenti sia quanto a suoli disponibili per l'edificazione. Una particolare disciplina legale servì allo smistamento dei diritti dei singoli privati su edifici distinti in proprietà singole di piani o di appartamenti, con l'istituto del condominio per parti divise. Se la speculazione capitalistica dei nuovi padroni della società ebbe sviluppi di vasto raggio nell'investimento in tenute agricole e nella loro trasformazione secondo le nuove richieste del consumo ed utilizzando i nuovi mezzi e forze produttive, esercitazioni ancora più clamorose essa riuscì a compiere ovunque col "libero" commercio dei suoli edificatori e la continua esaltazione del loro valore che nel vecchio e nel nuovo mondo raggiunse quote iperboliche.
Benché le stesse regole di diritto dicano come si deve svolgere il mercato dei suoli agrari e dei suoli urbani, stabilendo l'equivalenza fra il valore immobiliare fondiario e la somma di numerario in cui si converte, nella realtà economica i due fatti sono diversissimi.
Si attribuisce alla terra agraria un valore spettante al proprietario giuridico, restando immutato il quale corre il gettito annuo continuo di una rendita fondiaria. Le scuole economiche conservatrici hanno ritenuto, da quella fisiocratica, che voleva, in difesa del regime feudale, fare l'apologia della forza produttiva della terra in contrapposto a quella della manifattura e dell'industria, il concetto di una produttività base della terra, sia pure la meno attrezzata, che senza e prima dello sforzo di lavoro elargisce un prodotto. Le migliori colture rese possibili dall'apporto di ulteriori investimenti di lavoro sotto forma di impianti e costruzioni diverse ed anche di periodici interventi con dissodamenti concimazioni e così via, aggiungono, per l'economia ufficiale, a quella rendita base, un nuovo gettito che costituisce il profitto dell'impresa agraria.
A parte la diversa posizione marxista della quistione — per cui, come abbiamo visto, la terra non ha una forza produttiva di per sé ed è uno strumento di lavoro — la rendita fondiaria non può oltre certi limiti elevarsi rispetto alla data estensione del terreno e al tempo del suo ricavo. Le stesse grandi migliorie fondiarie, nel presente meccanismo economico, se permettono di aumentare notevolmente la produzione di derrate, esigono tuttavia l'investirsi di capitali ancora superiori al valore fondiario base ed impongono attese lunghissime e perfino sospensioni di rendita che si devono portare al passivo in uno agli interessi del capitale investito. Quindi in regime capitalistico i suoli agricoli possono aumentare di valore ma entro limiti abbastanza ristretti. La trasformazione agraria, che interesserebbe moltissimo per il benessere comune, fa raramente comodo alla borghese classe dominante, e non raggiungerà un grande sviluppo che dopo la fine del capitalismo.
Ben altri fenomeni determinano il mercato dei suoli urbani e di tutto quanto sopra essi si eleva. Nella produzione agraria abbiamo un certo equilibrio fra la sua importanza come patrimonio di colui che su di essa vanta il titolo, e come contributo alla produzione: i regimi terrieri non erano i più predatori. Nell'economia industriale abbiamo che, restando limitati i valori patrimoniali titolari, si esalta enormemente il valore dei prodotti e la massa del profitto.
Sarà svolgimento di questa indagine portare in luce la modernissima tendenza ad un capitalismo senza patrimoni ma con altissimi profitti. Ma ritorniamo al nostro suolo edificatorio e troveremo un esempio di un massimo di patrimonio concentrato su di una estensione piccola completamente inerte, ove non cresce una pianta di insalata e non si investe un'ora di lavoro umano. Finche il suolo non sarà venduto per costruzione, non vi è alcun bilancio di gestione o di esercizio, non occorre alcun capitale mobile. Non si pagano neppure imposte, finché appunto non fu istituita quella "patrimoniale". Questa voleva costituire una moderata confisca parziale di patrimoni privati, ma in realtà viene pagata anch'essa attraverso i vari redditi delle classi abbienti e nel caso del nostro lotto per costruzioni non è che minima sottrazione all'incessante aumento di valore patrimoniale e venale, di regola assai più forte di quello di un patrimonio monetario cui si lasciassero aggiungere gli interessi.
Ora questa speciale forma di arricchimento delle classi borghesi non è che un aspetto dell'accumulazione primitiva del capitale, che parte dal depauperamento e dalla cattura nei gorghi dell'urbanesimo industriale, imposti ai piccoli produttori liberi contadini o artigiani ridotti a proletari nullatenenti. Si tratta di un fatto sociale; attraverso il concentrarsi nei limitati spazi urbani di masse di forze produttive, che vanno dall'uomo alle macchine e alle complesse attrezzature moderne, condizione base dell'enorme profitto che l'industria offre al padronato è la disposizione di aree in quelle zone privilegiate per allogarvi opifici, uffici, abitazioni per le masse dei salariati. È dunque possibile che nel mercato di queste aree somme sempre più alte corrispondano alle stesse estensioni di suolo, e l'unità commerciabile non è più l'ettaro o l'acre ma il metro o il piede quadrato.
L'evoluzione del complesso organismo urbano si svolge in direzioni che tutte conducono ad aumentare il costo del suolo edilizio. Col progressivo aumento dell'intensità del traffico nelle strade, sebbene l'aumentata velocità dei mezzi meccanici faciliti il passaggio di un maggior numero di persone e volume di merci nel medesimo tempo, s'impone l'allargamento delle strade, e ad ogni trasformazione le isole fabbricate diventano più piccole. Nello stesso tempo il progredire della tecnica consente di aumentarne l'altezza, e quindi sulla stessa area si ha maggior numero di ripiani di ambienti e di abitatori. Aumentati così lo sfruttamento e la utilità del suolo, ne aumenta il prezzo che il proprietario pretende se lo aliena. Con i criteri della vigente economia si stima il valore di un suolo edificatorio calcolando quale sarà la rendita del massimo edifizio, si deduce la spesa per eseguire la costruzione, la quale risulta in generale inferiore al valore, precedentemente detto, dell'edifizio. La differenza è un premio che compete al proprietario del suolo, è un valore fondiario, di natura diversa da quello degli immobili rurali, che tuttavia genera una rendita anch'esso quando il padrone del suolo resta padrone dell'edifizio.
Per chiarezza notiamo che nella locazione per abitazione delle case costruite non figura o risulta alcun profitto di intrapresa comparabile a quello dello affittuario agricolo che passa un canone al proprietario del fondo e provvede poi all'esercizio e alla coltura di esso, restando padrone del prodotto.
Non è comparabile economicamente all'affittuario intraprenditore agrario l'impresa che ha costruito l'edifizio; questa viene soddisfatta nel suo avere e scompare dal rapporto: quando abbiamo parlato di calcolo della spesa di costruzione abbiamo considerato compreso in essa l'utile dell'impresa edilizia ed anche gli interessi commerciali spettanti al capitale liquido rimasto impegnato per il tempo della costruzione. In tutti questi processi economici le varie figure possono coincidere nella medesima persona, ma bisogna ben distinguerle per decifrare i processi che studia il determinismo economico. Così nell'agricoltura non sempre si distingue il proprietario fondiario, il fittavolo intraprenditore, il lavoratore manuale salariato. Il grande agrario coltivatore diretto riunisce le prime due figure in sé; il piccolo colono le ultime due, il piccolo proprietario contadino tutte e tre. Similmente nella proprietà edilizia il possessore di un suolo può costruirvi la casetta che abiterà, se non colle sue mani, per lo meno col sistema "in economia", e spendendovi denaro proprio: costui sarà non solo proprietario, ma insieme banchiere, impresa costruttrice, locatario di se stesso.
Vedemmo già che un testo marxista ricorda come in Inghilterra l'industriale spesso non è proprietario della fabbrica. In altro testo, del quale tra poco ci occuperemo assai ampiamente, è perfino rilevato che il proprietario della casa può non essere proprietario del suolo su cui è costruita. Determinati ordinamenti giuridici rendono infatti possibile la concessione di costruire sul suolo, il cui proprietario riceve un canone dal costruttore e possessore della casa. Simili forme molto interessanti, diciamo di passaggio, vanno diffondendosi per costruzioni ed impianti fatti a loro spese da privati speculatori su suoli non loro, ma demaniali, ossia di proprietà di Enti pubblici (comuni, province, stati), si ha così la concessione, istituto che sta estendendosi notevolmente, tipo di capitalismo senza proprietà.
Il senso del movimento economico del moderno tempo capitalistico è nella distinzione, separazione, sceveramento tra le figure economiche di un ciclo di produzione-consumo, e non nella loro sovrapposizione e confusione. Non solo questa è una tesi obiettiva fondamentale, ma va accompagnata all'altra per cui questo senso di sviluppo del mondo capitalistico è quello che noi marxisti, suoi implacabili avversari rivoluzionari, accettiamo e sviluppiamo come base del trapasso alla economia collettiva.
Riprendendo quindi l'edifizio testé costruito e appartenente a un titolare privato, e dopo aver visto come sorge e si trasmette nell'ordine presente la sua titolarità patrimoniale, esaminiamone l'esercizio e la gestione. Premettiamo tuttavia un concetto di economia urbanistica importante. Il patrimonio fondiario rurale è in un certo senso perpetuo poiché nel ciclo di esercizio la terra riproduce fisicamente la sua produttività base, a differenza per esempio di un giacimento minerario di cui si può calcolare l'esaurimento. Il fabbricato urbano invece non è eterno. È solo la letteratura che canta "exegi monumentum aere perennius", elevai un monumento più eterno del bronzo; ed anche i colossi edilizi di tempi passati hanno una vita, sia pure lunga, deperiscono e muoiono. Il normale fabbricato per abitazioni ha per diverse ragioni un limitato ciclo di vita. Da una parte il tempo ne logora le strutture, avvicinandole al cedimento e alla rovina, dall'altra il tipo di abitazione si trasforma col progresso della tecnica, deve soddisfare nuove esigenze e lo fa talvolta con dispositivi meno costosi degli antichi. Come ricorda anche il testo cui ci riferiamo avviene ad un certo punto che il fabbricato vale economicamente meno del suolo che occupa, essendo le sue abitazioni meritevoli di bassi canoni, ed essendo cresciute le spese di esercizio. Il ciclo di vita di un fabbricato urbano per case di abitazioni può essere assai variabile, per dare un esempio che contrappone poveri a nababbi, vinti a vincitori, sarà a Napoli di 300 anni, a Nuova York di 30.
Il proprietario del fabbricato trae le sue entrate dalle pigioni o canoni di locazione che versano periodicamente gli inquilini. Tale gettito non è affatto eterno e costante, e non è per intiero a disposizione del padron di casa. Ad esso, che suol chiamarsi rendita lorda, si oppongono una serie di uscite: spese per la custodia del fabbricato (portiere), per la illuminazione e pulizia dei passaggi comuni agli inquilini (androni, scala ecc); spese di manutenzione delle parti che vanno in logorìo, spese generali per l'amministrazione e varie. Nei casi normali occorre aggiungere una quota media di sfitto o di pigioni non incassate. Ed infine per provvedere al deperimento del fabbricato occorre accantonare la così detta quota di ammortamento, ossia una annualità periodica tale che messa a risparmio possa accumulare alla fine dello stabile la somma da spendere per ricostruirlo a nuovo. Sommate tutte queste spese e dedotto il loro importo dall'entrata lorda, dedotte altresì le tasse che si pagano a pubblici enti, rimane l'effettivo reddito netto che il proprietario è libero di godere. I correnti estimatori traggono la cifra del valore patrimoniale dello stabile da quella del capitale che ai vigenti tassi di interesse riprodurrebbe la rendita netta. Una analisi più approfondita mostra che tale procedimento incorre in molte inesattezze perché implicitamente ammette la costanza in avvenire di molte condizioni che in effetti sono mutevoli.
Abbiamo ricordato tutto ciò per mostrare con un facile confronto le differenze economiche e sociali tra l'azienda che ha in gestione il proprietario di case, e le generali aziende produttive dell'agricoltura e dell'industria. Queste basano la loro entrata di esercizio sul realizzo di prodotti che di continuo generano e portano a vendere sul mercato. Con tale entrata lorda soddisfano le varie spese tra cui vi sono due categorie importantissime, che per il proprietario di case sono praticamente assenti: acquisto di materie prime da manipolare; remunerazione di lavoro salariato. Quindi il rapporto della locazione di casa manca di questi tre elementi: produzione di merci, salario, acquisto di materie prime. Vi è in realtà un logorìo e un consumo della casa, ma è piccola frazione del bilancio annuo, minima della consistenza patrimoniale, e vi provvedono gli indicati accantonamenti economici. Invece nell'industria quelle tre partite (prodotti, salari, materie prime) non solo rappresentano la parte preponderante del bilancio annuo, ma possono raggiungere cifre più elevate, in certi casi, dello stesso valore di patrimonio degli impianti, pure avendo provveduto nel ciclo a conservarlo intatto. Nel diritto e nell'economia comune avviene tuttavia per la locazione di case un regolare e contrattuale scambio di prestazioni e di valori, come accade quando si danno delle monete contro un pezzo di pane. Che cosa ottiene l'inquilino in cambio del suo danaro? Non certamente qualcosa che possa asportare o consumare distruggendola. Nel linguaggio del codice borghese egli ottiene l'uso della sua abitazione, e lo paga ai prezzi correnti per unità di tempo. Adunque il locatore vende all'inquilino semplicemente l'uso, il possesso della casa, il diritto di entrarvi e restarvi. Vedremo subito come questo scambio nell'economia marxista è considerato uno scambio commerciale, tra equivalenti, in cui può bene una delle parti danneggiare l'altra perché tutto il commercio borghese è una rete d'imbrogli, in cui è sempre probabile che sia il più abbiente a farla al più povero. Ma non vi è applicazione di forza lavoro alla trasformazione di materie e quindi non è questo un settore del campo in cui si genera, acquistando la particolare merce che è la forza umana di lavoro, la formazione di plusvalore e il profitto capitalistico.
Nella presente meccanica dei rapporti tra contraenti, queste peculiarità del rapporto locativo producono sensibili disparità pratiche e giuridiche. Esse si riducono al fatto materiale che il produttore agricolo o industriale tiene bene in pugno la sua merce e per fargli allargare le dita occorre di norma cavar fuori il danaro. Quella particolare merce che è il possesso della casa, anche se vogliamo chiamarlo un prodotto, sta nelle mani non del padrone ma dell'inquilino: se questi non paga ci vuole un complicato meccanismo giudiziario-poliziesco per metterlo fuori. E su ciò che si basano le baggianate e la demagogia della borghese legislazione sulle case in tempi di emergenza, e il suo sfruttamento da parte di partiti popolareschi e pseudo-socialisti. Prima tuttavia di delucidare questo punto ci corre l'obbligo, per illustrare la nostra tesi che il rapporto di locazione non è un rapporto capitalistico, di provare in primo luogo di non aver detto una eresia né una fesseria, in secondo luogo di non aver scoperto proprio nulla di nuovo.
* * *
Lenin, nel suo scritto cardinale "Stato e Rivoluzione" cita largamente le più note opere di Federico Engels come "Origine della proprietà della famiglia e dello Stato" e "La scienza sovvertita dal signor Eugenio Dühring", ma al capitolo IV si riferisce ad un lavoro dello stesso scrittore, molto a torto meno noto e meno adoperato nella propaganda socialista. Il titolo del lavoro è "La quistione delle abitazioni". Lenin si serve di quanto Engels dice sul programma dei comunisti in materia di alloggi per porre con l'abituale perspicuità in evidenza il compito dello Stato nelle mani del proletariato, le analogie e le differenze che corrono tra questo Stato di domani e l'attuale Stato della borghesia quanto alla loro forma e quanto al contenuto della loro attività. La preoccupazione di Lenin è di pervenire a due solidi caposaldi. Primo: lo stato che uscirà dalla rivoluzione è una macchina nuova e diversa che si formerà dopo avere abbattuta ed infranta quella dello stato attuale; secondo: le funzioni di questa nuova macchina di potere e il suo intervento di classe nel corpo della vecchia economia si svolgeranno in modo da non dare a temere (come liberali e libertari insinuano) che sul nuovo potere si edifichi una nuova forma di sopraffazione, di sfruttamento sulle masse da parte di una cerchia di privilegiati. Il problema se finora la storia abbia dato conferma alla costruzione dottrinale marxista e leninista anche in questo punto, non può essere sicuramente abbordato senza una completa chiarezza nella indagine positiva sui rapporti economici e sociali di oggi. Il campo del settore abitazioni serve mirabilmente ad Engels e Lenin per far misurare l'abisso che corre fra le soluzioni proprie della critica rivoluzionaria marxista, e quelle smerciate o dai puerili utopismi, o dai riformismi legalitari e anticlassisti.
Lo studio di Engels porta la data del 1872 e raccoglie tre articoli pubblicati nel Volksstaat di Lipsia, che l'autore riunì con una prefazione del 1887. Engels li scrisse in replica a scritti di un certo Mülberger ospitati nella stessa rivista e completamente deviati dalla linea marxista in senso proudhoniano. Engels ne trae occasione per una critica della posizione piccolo-borghese del Proudhon, posizione che sotto vari nomi, prima e dopo di allora, incessantemente riaffiora e insidia la direttiva marxista. Si tratta di una esposizione condotta con mano di maestro nella quale, come sempre in Engels, stupisce la sicurezza teoretica accompagnata alla chiarezza cristallina dello svolgimento e della forma. Forse la letteratura marxista non possiede, per il settore della produzione agraria, un testo completo e sistematico, come questo che definisce ed esaurisce l'argomento della proprietà urbana. E pure l'impareggiabile uomo che era Engels tiene a chiarire, quasi scusandosi, che nella distribuzione del lavoro tra Marx e lui, perché il primo potesse dedicarsi tutto alla sua opera massima, toccava a lui, Engels, sostenere il loro indirizzo nella stampa periodica; ed aggiunge che egli ha voluto, prendendo occasione dalla quistione delle abitazioni, aggiornare la critica di Proudhon fatta nel 1847 con la "Miseria della filosofia", concludendo testualmente: Marx avrebbe fatto il tutto molto meglio e in modo più esauriente!
La posizione contro la quale sin dall'inizio Engels appunta la sua critica è quella che vuole risolvere la "crisi delle abitazioni", fenomeno moderno che ha colpito e colpisce in ripetuti periodi i più varii paesi, con una riforma attraverso la quale ogni inquilino diventa il proprietario della abitazione in cui vive attraverso un riscatto che ne paghi a rate il prezzo al proprietario. A questo grossolano errore programmatico l'articolista confutato perviene, naturalmente, attraverso madornali errori di economia, che Engels elimina traendone brillante occasione per rimettere in luce la interpretazione economica marxista. Una delle tesi sballate è questa: "quello che è l'operaio salariato di fronte al capitalista è il locatario di fronte al possessore di case". Marx avrebbe forse sprizzato fiamme e lanciato fulmini al sentire di queste tamburate; Engels dice con calma: ciò è del tutto falso. E pazientemente e limpidamente spiega come stanno le cose, richiamando i semplici criteri descrittivi che noi abbiamo esposti più sopra. Egli ne trae la confutazione del calcolo balordo per cui l'inquilino pagherebbe a furia di mesate, due, tre, cinque volte il valore della casa. Ne trae dippiù occasione non solo per sviscerare la critica economica al così detto socialismo piccolo borghese, ma anche i "chiodi" etico-giuridici di questo. L'articolista, che come migliaia di suoi compagni nel peccare si credeva marxista, si era lasciato sfuggire quest'altra scarola: "La casa una volta costruita serve come un titolo perenne di diritto"; secondo Proudhon infatti tutto consiste nel riuscire ad introdurre nella economia "l'eterna idea del diritto". Engels mostra la vacuità di un tale linguaggio che vorrebbe stigmatizzare l'esosità del lucro del padron di casa come una volta si scomunicava quello dello strozzino; e cita Marx: "sappiamo noi qualcosa di più intorno all'usuraio se diciamo che egli contraddice alla eterna giustizia, alla eterna equità, alla eterna reciprocità e alle altre eterne verità, di quello che sapessero i padri della chiesa quando dicevano che contraddiceva all'eterna grazia, alla eterna fede e all'eterno volere di Dio?"
Tra il 1847 e il 1887 un avversario era messo a terra quando era convinto di teismo. Marx ed Engels, atleti della polemica, avrebbero oggi un compito più duro, perché gli scrittorelli marxisti non sono slittati solo fino a Proudhon, ma fino agli stessi Padri della chiesa. Praticano ormai il "catch as catch can"!
Poiché l'incauto articolista non si contenta di progettare la sua miracolosa "riforma di struttura" per le case abitate, ma vanta di possedere simile ricetta per tutti gli altri settori, Engels estende il campo della sua messa a punto sulla descrizione marxista del processo produttivo, anche alla quistione del saggio d'interesse del capitale, deridendo la pretesa di "prendere finalmente per le corna la produttività del capitale" con una legge transitoria per fissare gli interessi di tutti i capitali all'uno per cento! E pure ancora oggi quanti e quanti presentano la lotta socialista come una campagna per abolire l'affitto della casa, quello della terra e il frutto del denaro, pensando di avere così trasportato sulla terra il regno della morale, coll'impedire di guadagnare a chi non lavora; allorché invece si tratta di sradicare tutto un ingranamento di forme sociali protetto e difeso dalle mostruose impalcature di potere armato concentrato nello stato politico!
La risposta di Engels stabilisce che "la produttività del capitale è una assurdità presa senz'altro dagli economisti borghesi". In verità l'economista borghese classico è più serio di quello piccolo-borghese e riformista, poiché (dopo aver contestato ai fisiocrati che la ricchezza sorgesse dalla produttività della terra, ai mercantilisti che sorgesse dalla produttività dello scambio) affermò esattamente che è il lavoro la sorgente di ogni ricchezza e la misura del valore di tutte le merci. Per spiegare tuttavia come il capitalista, che impegna il suo capitale nell'industria, non solo alla fine dell'affare lo ricupera, ma in più ne trae un profitto, enunciò, avvolgendosi in mille contraddizioni, una certa "produttività del capitale". Per i marxisti invece è produttivo soltanto il lavoro, non il fondo o la casa del proprietario d'immobili o il danaro del banchiere. Il fondo, la casa, la fabbrica, la macchina sono forze produttive perché sono strumenti e mezzi di produzione ossia sono adoperati dall'uomo per lavorare. Nell'attuale ordinaménto, e finché non sarà rovesciato, la facoltà del danaro e del capitale non è una facoltà produttiva ma è la facoltà sociale "ad esso pertinente di potersi appropriare il lavoro non pagato dei lavoratori".
Pure essendo in possesso soltanto di una traduzione scadente, cessiamo di parafrasare e lasciamo parlare Engels: "l'interesse del denaro dato a prestito è solo una parte del profitto; il profitto, sia esso del capitale industriale o del commerciale non è che una parte del plusvalore che la classe dei capitalisti sottrae alla classe dei lavoratori sotto forma di lavoro non pagato. Per ciò che riguarda la spartizione di questo plus-valore fra i singoli capitalisti, è chiaro che per l'industriale e commerciante, i quali hanno nelle loro imprese molto capitale anticipato da altri capitalisti, la quota del loro profitto crescerà in quanto cada la percentuale dell'interesse. Perciò il ribasso e la finale abolizione dell'interesse non afferrerebbero in alcun modo "per le corna" la così detta "produttività del capitale" ma solo regolerebbero altrimenti la divisione tra i capitalisti del plus-valore non pagato e sottratto alla classe dei lavoratori, e assicurerebbero un vantaggio non già al lavoratore di fronte al capitalista industriale, ma proprio a costui di fronte a chi vive di rendita".
Ritorna la tesi su cui in queste pagine stiamo battendo: non sono il rentier, il signore di terre e di palagi, che tanto ci fregano, questi poveri avanzi di un tempo che fu, ma il capitano d'industria, l'imprenditore, modernissimi e progressivi! e dinanzi a questi ultimi proclamiamo: ecco il nemico!
Il proudhonista immagina che questa compressione e finale soppressione dell'interesse del capitale comporti, oltre ad una generale meravigliosa panacea su tutte le altre questioni economiche e sociali: credito, debiti di stato, debiti privati, imposte, appunto l'abolizione per sempre della pigione delle case. Engels gli dimostra che anche se questo piano semplicistico fosse possibile, non ne verrebbe spostato il rapporto economico fondamentale capitalistico tra lavoratori salariati e padroni delle aziende di produzione; lo rimanda più e più volte alle basi dell'economia marxista e al Capitale di Marx: "La pietra angolare della produzione capitalistica è il fatto che l'ordinamento attuale della società pone in grado di comperare la forza di lavoro dell'operaio al suo valore, ma di ricavarne molto più del valore stesso, facendo lavorare l'operaio più a lungo di quello che sia necessario per la riproduzione del prezzo pagato per la forza di lavoro. Il plus-valore in tal modo prodotto viene ripartito complessivamente tra la classe dei capitalisti e dei proprietari di fondi, unitamente ai loro servi, dal papa e dall'imperatore sino alle guardie notturne". Ora il costo commerciale della casa come quello del pane del vestimento ecc. entra nelle spese di riproduzione della forza lavoro, nella parte di questa forza che il salario remunera, e costituisce il lavoro necessario, ed è oltre questa che veniamo nel campo del plus-valore o lavoro non pagato che compare nel prezzo del prodotto insieme a quello pagato. Come in tutti gli scambi con danaro, l'operaio ed ogni altro compratore può essere truffato; nello scambio del suo lavoro col salario deve essere truffato. Il rapporto dove viene colto il carattere capitalistico dell'economia è quello in cui il lavoratore incassa la sua paga, non quello in cui la esita tra panettiere, sarto, padron di casa eccetera.
Chiarita la quistione di analisi economica lo studio di Engels con non minore energia ribatte l'errore di natura sociale accusando i proudhonisti di ogni tipo di porre in evidenza sempre quelle rivendicazioni che sono comuni agli operai salariati e ai piccoli e medii borghesi, ma che, come classe, soltanto questi ultimi hanno interesse a difendere, e dimostra quanto una tale posizione sia reazionaria. Egli raccoglie dalla declamazione opportunista queste sciocche parole. "Noi siamo di gran lunga inferiori ai selvaggi; il troglodita ha la sua tana, l'australiano la sua capanna di argilla, l'indiano il suo focolare, il proletario moderno sta di fatto sospeso nell'aria", ecc.
Va ancora riportata nel suo testo la magnifica confutazione di Engels che si riferisce anche alla non meno pestilenziale richiesta della parcellazione rurale. "In questa geremiade abbiamo il proudhonismo in tutta la sua figura reazionaria. Per creare la moderna classe rivoluzionaria del proletariato, era assolutamente necessario tagliare il cordone ombelicale che teneva legati i lavoratori del passato al suolo e al fondo. Il tessitore a mano che oltre al suo telaio aveva la propria casetta, il proprio giardinetto e il proprio campicello, era, pur con ogni miseria e con tutta l'oppressione politica, un uomo tranquillo e contento; si cavava con tutta la beatitudine e riverenza il cappello davanti ai ricchi, ai parroci, agli impiegati dello stato, e nell'intimo era in tutto e per tutto uno schiavo. Per l'appunto la grande industria moderna, che del lavoratore incatenato al suolo fece un proletario al tutto privo di possesso, sciolto da ogni vincolo e veramente libero come un uccello, appunto questa rivoluzione economica è quella che ha creato le condizioni sotto le quali soltanto può venire distrutto lo sfruttamento della classe lavoratrice nella sua ultima forma, la produzione capitalistica. Ed ora viene questo lacrimoso proudhonista e si rammarica, come di un grande regresso, della cacciata dei lavoratori dalla casa e dal focolare, che appunto costituisce la prima fra tutte le condizioni della loro emancipazione".
Engels ricorda di avere per primo descritto nell'opera "Condizioni delle classi lavoratrici in Inghilterra" quanto fu feroce questa espulsione dei lavoratori dalla casa e dal focolare, e prosegue: "ma poteva mai venirmi in mente di vedere un regresso al di là dei selvaggi in questo processo evolutivo, in quelle circostanze storiche del tutto necessarie? Il proletariato inglese del 1872 è ad un livello infinitamente più elevato del tessitore campagnuolo con "casa e focolare" del 1772. E il troglodita con la sua tana, l'australiano con la sua capanna di argilla, l'indiano col suo proprio focolare avrebbero mai potuto produrre una insurrezione di giugno o una comune di Parigi?".
Indi Engels satireggia con un gustoso esempio — che si direbbe formato dopo avere letto l'odierna legge sul piano Fanfani — le conseguenze del piano imbecille (che già a quei tempi si ventilava anche in America, come da una lettera di Eleonora figliuola di Marx circa l'esosa vendita di casette nei suburbi ai lavoratori) per far comperare a rate ad ogni operaio industriale la sua casetta, ed immagina un operaio che dopo aver lavorato in varie città possiede un cinquantesimo di casa a Berlino, un trentaseiesimo nell'Annover, ed altre frazioni ancora più complicate in Svizzera ed in Inghilterra, il tutto in modo che "l'eterna giustizia" non può dolersi.
In conclusione: "tutti questi punti che ci vengono qui proposti come quistione interessantissima per la classe dei lavoratori, hanno in realtà un essenziale interesse solo per il borghese, ed ancor più per il piccolo borghese, e noi crediamo, nonostante Proudhon, che la classe lavoratrice non ha alcuna propensione a badare all'interesse di queste classi".
Naturalmente a questo punto viene chiesto ad Engels, a Lenin e a coloro che come noi sono tanto conservatori da non aver trovato nulla per superare posizioni vecchie di settantasette anni, che cosa si voglia fare, in ordine alle abitazioni. È appunto questo il passo che Lenin volle citare per dimostrare quanto poco vi sia di comune tra un estremismo utopista e le conseguenti posizioni del marxismo radicale, come a proposito delle prospettive sulla economia futura dice vivamente: "neppure un granello di utopia vi è in Marx".
La conclusione di Engels è questa "come dunque risolvere la questione degli alloggi? Nella società attuale, essa si risolve assolutamente allo stesso modo che qualunque altra questione sociale, attraverso l'equilibrio economico che si realizza a poco a poco tra la domanda e l'offerta; ora, è questa una soluzione che aggiorna continuamente il problema e, per conseguenza, non è una soluzione. In qual modo la rivoluzione sociale risolverà questo problema è un fatto che dipende non solo dalle circostanze di tempo e di luogo, ma che è anche legato a questioni che vanno assai più lontano, e delle quali una delle più importanti è la soppressione dell'antagonismo tra la città e la campagna. Poiché non siamo qui ad immaginare sistemi utopisti sull'organizzazione della società futura, sarebbe per lo meno ozioso il soffermarcisi. Tuttavia, una cosa sola è incontestabile, ed è che già attualmente, nelle grandi città, vi sono abbastanza immobili per mettere fin da ora riparo ad "ogni vera penuria di alloggi", a condizione che vengano utilizzati razionalmente. Questa misura non è realizzabile, beninteso, se non a condizione di espropriare i proprietari attuali, e di ammettere nei loro immobili i lavoratori senza alloggio, o che vivono in alloggi soprapopolati. Dal momento che il proletariato avrà conquistato il potere politico, una tale misura, dettata dall'interesse pubblico, sarà realizzabile con la stessa facilità delle espropriazioni e requisizioni di alloggi operate ai nostri giorni dallo Stato".
Lenin illustra che questo esempio dimostra una analogia formale tra certe funzioni dello attuale stato borghese e quelle che eserciterà la dittatura del proletariato.
Ma una cosa è molto notevole. La legislazione di guerra degli stati borghesi si è spinta alla limitazione e al blocco dei canoni di affitto, al divieto della espulsione dei locatari, così come in dati casi il meccanismo legale presente prevede la espropriazione dietro indennità di stabili privati, per fini di utilità pubblica. Marx in altro punto rileva che la legge di espropriazione prevede il risarcimento del valore venale al proprietario, ma di nulla viene risarcito l'inquilino cacciato sul lastrico dai grandi rinnovamenti urbani moderni e che pure viene assoggettato a spese di trasporto, al pagamento di fitti più alti, oltre alla modernissima estorsione della così detta ceditura o buon ingresso nella nuova casa, se ha tanta fortuna da trovarla. Dippiù durante le operazioni militari è oggi ammessa la occupazione di appartamenti per usi bellici o servizi connessi.
La misura prevista da Engels per compensare la malattia sociale del sovraffollamento, ha però questo di radicale e di assolutamente originale rispetto a tutto quanto finora si è visto e rispetto a tutti i piani riformistici di mutamenti di titolarità giuridica e creazione di nuovi minuti proprietari. Si tratta di una revisione dell'uso delle case. I temuti commissari degli alloggi del dopoguerra, potevano immettere chi credevano in case disponibili, ma non ebbero facoltà di imporre coabitazione in appartamenti troppo grandi, e di sindacare il fatto che una famiglia ricca disponesse — a titolo di proprietà o di locazione poco importa — di cinque ambienti per individuo nelle città in cui i poveri occupano in cinque e più un ambiente solo. Ecco quello che sarà veramente un intervento dispotico, che darà un colpo terribile alla garanzia e sicurezza privata sinora esistite (parole del Manifesto) e che farà strillare maledettamente alla violazione rivoluzionaria della santità del domicilio e del focolare!
Si prevede dunque come misura rivoluzionaria immediata la redistribuzione dell'uso delle case tra gli abitanti della città restando una prospettiva ulteriore il disaffollamento delle città congestionate.
Quello però che non mancherà di stupire molti che si credono marxisti, è il concetto economico di Engels secondo cui l'uso della casa non sarà immediatamente gratuito, per tutta quella fase che Marx chiama primo stadio del comunismo economico e su cui Lenin a suo luogo si trattiene illustrando la celebre lettera a Bracke sul programma di Gotha. Ecco l'altro passo di Engels: "Va constatato che l'effettiva appropriazione da parte del popolo lavoratore di tutti gli strumenti di lavoro e di tutta l'industria è in completa opposizione col riscatto propugnato da Proudhon. Secondo quest'ultima soluzione ogni operaio diviene proprietario del suo alloggio, del suo campo, dei suoi utensili. Secondo la prima è il popolo lavoratore che rimane proprietario collettivo delle case, delle fabbriche e degli strumenti di lavoro. Il godimento di queste case, di queste officine etc, almeno nel periodo transitorio non sarà lasciato agli individui e alle ditte private SENZA IL PAGAMENTO DI UN CANONE. Allo stesso modo, la soppressione della proprietà fondiaria non implica la soppressione della rendita fondiaria, ma la sua restituzione alla società, almeno sotto una forma modificata. L'appropriazione reale di tutti gli strumenti di lavoro da parte del popolo lavoratore non esclude quindi in alcun modo il mantenimento dell'affitto e della locazione".
Solo nella fase superiore del comunismo in cui non verranno remunerati con moneta gli oggetti di consumo e i servizii varii, sparirà anche il canone locativo, provvedendo una organizzazione generale anche al mantenimento e rinnovo degli edifici di abitazione per tutti.
Ben si vede il contrasto profondo tra tale chiara delineazione e i programmi progressivi delle democrazie popolari, tutti consistenti nel promettere frammentazioni di rendita fondiaria. Dove, stringi stringi non vi è da spartire la centesima parte di quanto pappano le intraprese, la millesima di quanto annienta il folle disordine della produzione.
* * *
Quel tanto di reddito lordo della casa che non corrisponde ad inevitabili spese, senza le quali si resterebbe privi entro un certo termine di abitazioni servibili, e che si può considerare rendita fondiaria del suolo, funzione del privilegio sul suolo, pure essendo questo come dicevamo improduttivo fisicamente di frutti, spetta, dice lo stesso Proudhon, alla società, e sta bene. Questo, risponde Engels, significa la abolizione della proprietà privata sul suolo, argomento che "ci porterebbe molto lungi".
Engels voleva evidentemente dire che senza dubbio con la rivoluzione proletaria e la statizzazione successiva della rendita fondiaria resta abolita ogni titolarità di privati sul suolo, tuttavia per il suolo urbano una simile "riforma" non è da escludere che possa essere fatta prima dallo stesso Stato borghese. Sarebbe una cosa più seria del "riscatto" da parte del locatario individuale.
Vediamo infatti che oggi non pochi urbanisti, certamente non di scuola marxista, propongono la "demanialità delle aree urbane". Questa sarebbe dello Stato o del Comune nelle grandi città, dietro si capisce una piena indennità ai proprietari attuali. Questi urbanisti infatti partono dal fenomeno del rapidissimo aumento di valore dei suoli edificatori, in una cerchia ad anelli sempre più vasti attorno alle grandi città, da cui l'assurdo apparente notato da Engels che può convenire abbattere un fabbricato valido per speculare sul suolo. Ciò rende costosissime le operazioni di bonifica e risanamento urbano e fa sì che il capitale ne rifugge. Ora anche un buon borghese fautore del principio ereditario può affermare che quel premio enorme, realizzato in molto minor tempo, talvolta, di una generazione, non è accumulo di ricchezza che viene di padre in figlio, ma è palesemente risultato passivo di una serie di fatti sociali. Tutti i suoli della città sarebbero così fuori commercio, il Comune li smisterebbe nelle fasi opportune tra vie, piazze, edifizi pubblici e casamenti di abitazione; la costruzione di questi può essere data in "concessione" per un termine di varii anni, dopo dei quali ritornano all'ente comunale.
È chiaro che un tale piano, mentre non esclude affatto il pagamento di canoni di locazione da parte dei cittadini, non sarebbe affatto rivoluzionario e non intaccherebbe i principi sociali capitalistici.
Ma può con questi ed altri piani la società borghese superare i problemi dell'urbanesimo? La corrente scienza urbanistica si pasce di esercitazioni tecnico-architettoniche e dimentica che il fondamento di tale disciplina è di natura storica e sociale.
Impotente a reagire al dato della concentrazione di un numero sempre maggiore di abitatori su minimo spazio, l'urbanistica dei Le Corbusier e degli altri che passano per avanzatissimi spinge gli edifizii ad altezze vertiginose e ad un numero inverosimile di piani, fantastica di città verticali ad atmosfere forzate, utilizzando le risorse dell'impiego di strutture metalliche che hanno trasformato la tecnica e conseguentemente la estetica delle fabbriche. Ma questa tendenza appare "avveniristica" solo in quanto non sa domandarsi se il migliore indirizzo della vita collettiva e le forme che assumerà in avvenire corrispondono a questo raccapricciante affollamento di gente sospinta in una vita sempre più febbrile malata ed assurda.
Nel secondo dei suoi articoli Engels pone appunto il tema: come la borghesia risolve la quistione dell'abitazione; e confuta la letteratura borghese ipocritamente filantropica a proposito dei quartieri malsani e affollatissimi nelle moderne Metropoli.
Alla quistione è direttamente interessata la piccola borghesia, e tale punto è stato delucidato abbastanza. Ma vi è interessata, Engels dice, anche la grande borghesia. Anzitutto i pericoli di epidemie infettive tendono ad estendersi dai quartieri poveri a quelli signorili. L'ideale borghese, che in urbanistica chiamano zonizzazione, consiste nel selezionare bene tra case operaie e case ricche; ma nelle vecchie città si ha ancora traccia dell'organizzazione feudale che frammischiava palazzi e casette, nobili, popolani e servi. "La signoria capitalista non può permettersi senza pericolo il piacere di suscitare malattie epidemiche nella classe dei lavoratori". Valga questa vivace battuta per quelli che hanno dipinto un Engels vecchio incline ad attenuare le avversioni di classe.
Un secondo punto riguarda la polizia politica delle città e la repressione delle insurrezioni armate, che fino alla seconda metà dell'ottocento ebbero buon gioco nelle vie strette e tortuose delle capitali. Engels ravvisa in un motivo di classe il taglio delle grandi strade ampie e rettilinee lungo le quali la mitraglia e l'artiglieria possono spazzare via i rivoltosi. La posteriore esperienza, se conferma che centro di ogni sforzo insurrezionale è la conquista delle grandi capitali e città industriali, mostra pure che le formazioni armate illegali guerrigliano meglio e più a lungo nell'accidentata campagna. Un buon esempio tecnico lo danno le forze di Giuliano, in quanto deve ritenersi che non sono una propaggine avanzata di lontani stati maggiori di forze regolari.
In terzo luogo Engels illustra le grandi intraprese speculative capitalistiche appoggiate dai governi sotto il doppio aspetto della costruzione di alveari per allogare gli operai presso le colossali fabbriche, il che tende a trasformare il libero salariato in una specie di "schiavo feudale del capitale" ; e della trasformazione edilizia e viaria dei quartieri centrali nelle grandi città, citando più volte il classico esempio del metodo Haussman con la grande curée del secondo impero, che creò i boulevards parigini in una orgia speculativa. Di questo tutte le altre nazioni hanno offèrto esempi suggestivi.
La base economica di questi rivolgimenti urbanisti, esaminata nel finanziamento statale, nel preteso selfhelp o autoaiuto degli operai, scarnendone la mercede, nella intrapresa privata, conduce l'autore a concludere che il motore e lo sbocco di tutto è il consolidamento sociale e politico del capitalismo.
Le tesi fondamentali marxiste sulla quistione degli immobili urbani, sono così riepilogate da Engels medesimo in cinque punti della confutazione ai proudhoniani.
1) - Il passaggio della rendita fondiaria allo stato significa abolizione della proprietà individuale del suolo, non del canone locativo.
2) - Il riscatto dell'abitazione per trasferirne la proprietà all'attuale inquilino non tocca per nulla il modo capitalistico di produzione.
3) - Questa proposta nell'attuale sviluppo della grande industria delle città, è tanto insulsa quanto regressiva.
4) - L'abbassamento coattivo dell'interesse del capitale non intaccherebbe minimamente il modo capitalistico di produzione; al contrario, come lo provano le leggi sull'usura, è altrettanto antico quanto impossibile.
5) - Con l'abolizione dell'interesse del capitale non si perverrebbe per nulla ad abolire la pigione delle case.
Rispetto poi all'indirizzo del grande capitalismo e degli urbanisti al suo servizio, circa la svolgersi della vita degli organismi urbani e circa la scarsezza delle abitazioni ecco in altri due punti, tratti dal testo, quali sono le tesi marxiste.
6) - non può sussistere senza difetto di abitazioni una società nella quale la grande massa lavoratrice è obbligata a rivolgersi al lavoro esclusivamente salariato per procurarsi i mezzi per vivere — nella quale il proprietario di case, nella sua qualità di capitalista, non solo ha il diritto, ma in virtù dello concorrenza, anche in certo modo il dovere di trarre dalla sua proprietà i più alti affitti. In una società simile il difetto di abitazioni non è un caso, esso è una istituzione necessaria e potrà essere rimosso solo quando tutto l'ordinamento sociale che ad esso dà luogo sia scalzato sin dalle fondamenta.
7) - Ogni soluzione borghese della quistione dell'abitazione naufraga per il contratto tra città e campagna. La società capitalistica ben lungi dal poter togliere questo contrasto non può che acuirlo sempre dippiù. Voler sciogliere la quistione dell'abitazione e voler mantenere le moderne città è un controsenso. Ma queste saranno rimosse soltanto con l'abolizione del modo capitalistico di produzione, con l'appropriazione per parte della classe lavoratrice di tutti i mezzi di vita e di lavoro.
* * *
Meritano una noticina a parte i capolavori dell'amministrazione pubblica italiana fascista e fascistoide a proposito di blocco dei fitti e ricostruzione di case, e i corrispondenti atteggiamenti di sporca demagogia da parte dei movimenti che, con la pretesa di rappresentarla, coprono tra noi di vergogna la classe operaia e le sue grandi tradizioni.
Speculazioni ciarlatanesche ed elettorali ne abbiamo viste e ne vediamo tutti i giorni innestarsi alla vicenda, molte volte tragica, della occupazione delle fabbriche e delle terre.
Non ancora abbiamo visto sperimentare l'invasione e l'occupazione delle case.
Il motivo è, tra l'altro, che non più i fantasmi dei baroni, non soltanto le persone degli affaristi super borghesi, ma anche troppi arrivati demagoghi e gerarchi, di là e di qua delle cortine di ferro, sarebbero disturbati nel loro tenore di vita da mantenuti.
Da "Prometeo" n. 14, febbraio 1950
Proprietà e Capitale
Quaderni di n+1 dall'archivio storico.
Il lettore d'oggi che pagina dopo pagina arriverà al capitolo finale in cui si tirano le somme sul piano politico, avrà la netta sensazione di avere tenuto fra le mani un libro straordinario. Presa dimestichezza con un linguaggio potente dal punto di vista letterario ma fuori da canoni della saggistica divulgativa, sarà costretto ad ammettere che il metodo d'indagine adottato ha permesso di intravvedere fenomeni poco evidenti all'epoca in cui il libro fu scritto e ancora in embrione nel 1991.