Pacifismo?

Nella tradizione marxista è ben solida la opposizione al nazionalismo e al militarismo. Pervi comunisti le radici di tutte le guerre moderne sono da ricercare nella forma dell'attuale modo di produzione.

Il capitalismo nasce con la guerra nell'epoca in cui la borghesia stabilisce il suo dominio e forma gli stati nazionali centralizzati e si mantiene sulla scena storica con la guerra, nell'epoca imperialistica in cui la posta in gioco è la ripartizione del mercato mondiale.

Oggi, per dirla con il Marx del "Manifesto", "le forze produttive che sono a sua disposizione non servono più a promuovere la società borghese e i rapporti borghesi di proprietà; anzi, sono divenute troppo potenti per quei rapporti e ne vengono ostacolate (...) i rapporti borghesi sono divenuti troppo angusti per poter contenere la ricchezza da essi prodotta. Con quale mezzo la borghesia supera le crisi? Da un lato, con la distruzione coatta di una massa di forze produttive; dall'altro con la conquista di nuovi mercati e con lo sfruttamento più intenso dei vecchi. Dunque, con quali mezzi? Mediante la preparazione di crisi più generali e più violente, con la diminuzione dei mezzi per prevenire le crisi stesse".

Di mercati "nuovi" non ne esistono più con potenzialità pari a quelle dell'epoca espansionistica del capitale; sfruttare quelli vecchi, al capitale esuberante non può certo bastare.

E' evidente da un secolo che il militarismo e la preparazione bellica sono parte integrante del sopravvivere di questa società.

Noi siamo contro il pacifismo proprio per questo, perché il pacifismo pretende di chiedere al capitalismo ciò che il capitalismo non può offrire. Il pacifismo è una delle manifestazioni dell'ideologia piccolo-borghese, paragonabile al riformismo, che vuole la società capitalistica senza gli sconquassi economici del capitalismo.

Ma siamo contro il pacifismo anche perché non siamo per nulla indifferenti verso il problema della guerra.

I marxisti non hanno mai nascosto la loro rabbia per l'imbattibilità militare dell'Inghilterra fino ai giorni nostri, ma d'altra parte Marx stesso auspicava la sconfitta della Russia per opera della borghesia inglese: sarebbe caduto un formidabile bastione della storia passata e quindi della reazione mondiale.

"E' mai possibile a marxisti" - si dice nel nostro testo del 1945 "Le prospettive del dopoguerra" - "asserire che sia proprio indifferente, per tutto lo svolgersi del processo che condurrà dal regime capitalistico a quello socialista, la vittoria o la sconfitta ieri degli Imperi Centrali, oggi del nazi-fascismo, domani della plutocrazia americana o del totalitarismo pseudo-sovietico?".

E' proprio perché con il capitalismo la guerra diventa parte della società stessa molto di più che in tutte le società precedenti che "noi affermiamo senz'altro che alle diverse soluzioni non solo delle grandi guerre interessanti tutto il mondo, ma di qualunque guerra, anche più limitata, hanno corrisposto e corrisponderanno diversissimi effetti sui rapporti delle forze sociali in campi limitati o nel mondo intero e sulle possibilità di sviluppo della azione mondiale di classe" (stesso testo).

D'altra parte le determinanti storiche della prossima guerra mondiale (o di quella serie interminabile di guerre "locali" che ne potrebbe rappresentare il surrogato) sono già individuate nelle necessità vitali dei grandi stati capitalistici, Stati Uniti in testa. Dicevamo fin dai 1947: "Vediamo che razza di guerra sarebbe la eventuale prossima dell'America per cui si votano crediti militari immensi"; la possiamo definire "come la più clamorosa impresa di aggressione, di oppressione, di invasione e di schiavizzamento di tutta la storia. Non si tratta solo di una guerra eventuale od ipotetica poiché essa e già in atto, essendo tale impresa legata da stretta continuazione con gli interventi nelle guerre europee del 1917 e del 1942, ed essendo in fondo il coronamento del concentrarsi di una immensa forza militare e distruttrice in un supremo centro di dominio e di difesa dell'attuale regime di classe".

Non solo quindi la critica, ma è inevitabile anche la nostra lotta di propaganda contro il pacifismo, maschera ipocrita dietro cui si allestiscono preparativi di guerra, anzi, sintomo sempre più appariscente man mano che questi preparativi si intensificano. Non dice nulla il fatto che per esempio la socialdemocrazia tedesca, che di guerre se ne intende almeno dal famoso agosto 1914, marci alla testa dei cortei pacifisti? Il fiore del pacifismo europeo è proprio in Germania, paese che sarebbe sicuro teatro di scontro in una guerra generale: le spinte che muovono il pacifismo tedesco (ed europeo) sono di stampo nazionalistico e quindi altra faccia del militarismo borghese perché, se si prescinde dalla lotta tra le classi al di sopra dei sacri confini, ci si culla nella pia illusione della "abolizione della guerra" finché non salti fuori la necessità della "difesa della patria" che, ovviamente, può consistere anche in un attacco preventivo contro i preparativi del nemico.

Chi vuole abolire la guerra deve abolire il capitalismo e questo non si fa certo con le fiaccolate. Il pacifismo ostacola, non importa se in buona o cattiva fede, la ricostruzione di un impianto classista e l'azione del proletariato contro il capitalismo.

"Il pacifismo e la propaganda astratta della pace sono una delle forme di mistificazione della classe operaia. In regime capitalistico, e specialmente nella fase imperialista, le guerre sono inevitabili. D'altra parte (i comunisti) non possono negare l'importanza positiva delle guerre rivoluzionarie, cioè della guerra non imperialista (...) oppure delle possibili guerre per la difesa delle conquiste del proletariato vittorioso nella lotta contro la borghesia. Oggi la propaganda della pace, se non è accompagnata dall'appello all'azione rivoluzionaria delle masse, può soltanto seminare illusioni, corrompere il proletariato inculcandogli la fiducia nell'umanitarismo della borghesia e facendo di esso un trastullo nelle mani della diplomazia segreta delle nazioni belligeranti. In particolare è un grave errore pensare alla possibilità della cosiddetta pace democratica senza una serie di rivoluzioni" (Lenin, O. C. Vol. 21 p. 145).

L'ideale della rinuncia generica all'impiego dei mezzi violenti da Stato a Stato, da popolo a popolo e da uomo a uomo, ritenuto il toccasana contro l'odierna violenza sociale, è una delle tante vuote ideologie senza fondamento storico di cui il marxismo fin dal suo nascere ha fatto giustizia.

Le dottrine dell'opposizione della pace alla violenza, oltre ad essere irreali e senza esempi storici, non possono che servire a distruggere ulteriormente in seno al proletariato la preparazione allo scontro di classe con l'uso della forza per rovesciare il regime borghese. Questo regime non può cadere in altro modo. Tali dottrine sono assolutamente antirivoluzionarie in quanto propugnatrici del mantenimento dell'attuale regime che è generatore, non solo di immensi massacri mondiali, ma di una quotidiana violenza che è ben peggiore come sofferenza e numero di vittime, per cannone o per fame.

Il concetto di "pace" combatte, talvolta anche in armi, per tutte le finalità proprie degli aggressori stessi della pace, è messo a disposizione per la Patria, per la Democrazia, per il Progresso, per la Civiltà. Ma sempre contro la rivoluzione comunista.

Anche la questione del "disarmo" è legata a quella del pacifismo e soggiace alla stessa critica da parte marxista. Se il militarismo è materia portante in questa società, la proliferazione di enormi arsenali non può che essere l'ovvia conseguenza. Si manifesta contro i missili e le atomiche.

Ma dov'è il confine tra le armi lecite ed illecite? Dove si inseriscono i carri armati e le portaerei? Ma non sanno i signori pacifisti che proporzionalmente al numero dei combattenti le guerre antiche erano più micidiali di quelle moderne? Bisognerebbe disarmare anche gli schioppi da caccia e i temperini.

Sempre Lenin: "Il disarmo è l'ideale del socialismo (...). Ma non è socialista chi spera di realizzare il socialismo facendo a meno della rivoluzione sociale e della dittatura del proletariato.

La dittatura è un potere statale che poggia direttamente sulla violenza. La violenza, nel ventesimo secolo, come del resto in generale nell'epoca della civiltà, non è il pugno o il randello, ma l'esercito. Inserire nel programma il "disarmo" significa pertanto dichiararsi contrari all'impiego delle armi. In questo caso non c'è più nemmeno l'ombra del marxismo, è come se dicessimo che siamo contrari all'impiego della violenza" (Lenin, O. C. Vol. 23 p. 93)!

Il disarmo può essere un ideale, se vogliamo chiamarlo così, del socialismo, ma non una parola d'ordine per il proletariato nella sua lotta costante contro il capitale.

I comunisti rivendicano l'uso di ogni mezzo tecnico che la borghesia può aver escogitato per il suo dominio di classe nella misura in cui ciò può servire per spezzare tale dominio per sempre. Non solo le armi, quindi, ma anche l'esercito, mezzo di oppressione per eccellenza, può essere una delle impalcature che contribuiscono al nuovo edificio.

Trotzky, comandante dell'Armata Rossa, dimostrò che l'esercito proletario non può essere diverso dall'esercito borghese contro cui combatté. Solo il fine è diverso e, una volta raggiunto, l'esercito potrà sparire, l'impalcatura smantellata.

Se da cent'anni l'alternativa non è tra guerra e pace, ma tra guerra e rivoluzione, da cent'anni l'equazione è sempre la stessa: pacifista uguale nemico.

Opuscolo del 28 aprile 1984, Partito Comunista Internazionale Via Calandra 8/L - Torino

Red Terror Doctor