Scienza e rivoluzione - volume I parte I (1)
Lo sviluppo rivoluzionario della forza produttiva capitalistica, la pretesa conquista del Cosmo e la teoria marxista della conoscenza
Parte Prima
1. Per capire la polemica "spaziale"
" Oggi che basta concepire in modo dialettico, cioè secondo il loro nesso, i risultati dello studio della natura per arrivare ad un 'sistema della natura' sufficiente per i nostri tempi, oggi che il carattere dialettico di questo nesso si impone anche contro la loro volontà alle teste degli scienziati educate in modo metafisico, oggi la filosofia della natura è morta per sempre. Ogni tentativo di resuscitarla non sarebbe solo superfluo, sarebbe un regresso" (8).
Un bilancio di tutta la vicenda spaziale, compresa la polemica interna al movimento, è utile soprattutto per ripassare la teoria marxista della conoscenza. E' infatti in questo ambito che la questione fu discussa nel vecchio partito, senza dimenticare che anche detta teoria è arma di parte. Secondo le concezioni correnti, invece, ogni bilancio dovrebbe limitarsi ad una valutazione dei fatti, delle loro motivazioni e dei risultati prodotti a prescindere dalle vecchie polemiche. Dovrebbe insomma essere obiettivo, come si suol dire; vecchio concetto illuministico - quello dell'obiettività - legato ad una Ragione che tutto sovrasta. Ora, non si può fare un bilancio in un modo qualsiasi: bisogna sapere bene di che cosa si parla, in quale ambito e in quale processo temporale. A questo proposito, in un testo della Sinistra Comunista si trova una indicazione utile come strumento di indagine e ad essa ci atteniamo:
"Tale questione non è certo semplice e non può essere trattata se non si stabiliscono i limiti del problema che di volta in volta è in discussione" (9).
Si trattava di dare risposta definitiva ad una diatriba (che dura ancora) intorno al libro di Rosa Luxemburg sull'accumulazione del capitale, diatriba riattizzata da una risposta polemica di Bucharin e che solo un bilancio fuori da ogni soggettivismo potrebbe risolvere.
All'epoca si era tentato di stabilire i limiti del problema e di trattare la questione attraverso la ricerca di una formalizzazione matematica, la sola che avrebbe potuto far tacere tutti quanti, dato che nei vari decenni anche buoni rivoluzionari avevano detto fesserie non da poco (1). Le conoscenze odierne permettono ardite formalizzazioni, anche in presenza di fattori non trattabili analiticamente (cioè tramite equazioni), ma evidentemente la difficoltà era e rimane l'impostazione del problema, non la sua risoluzione. Perciò la diatriba continua, anche se non con la passione delle epoche di fermento rivoluzionario.
Anche per quanto riguarda la questione spaziale vale la stessa cosa. Si tratta di porla da un punto di vista politico, o scientifico? O non è forse arbitrario scindere le due cose? I limiti che noi stabiliamo intorno ad un problema non sono inerenti alla natura fisica ma al modo di conoscere dell'uomo. D'altra parte, a sua volta, l'uomo fa parte della natura, come dire che la natura conosce sé stessa. Si entra inevitabilmente in un circolo vizioso, si cerca cioè di dimostrare la realtà con sé stessa, difficoltà ben conosciuta sia dalle passate filosofie che dall'epistemologia moderna.
Per esempio la frase citata non può essere risolutiva perché contiene una contraddizione: se di volta in volta si debbono stabilire dei limiti per conoscere, alla fine significa che non si può conoscere, perché la conoscenza completa non può avere limiti. Siccome però non facciamo parte della schiera di coloro che amano abbracciare filosofie del dubbio (anche perché siamo per la morte della filosofia), usciamo subito da tale circolo vizioso e, come ha fatto la scienza rivoluzionaria borghese, delimitiamo il problema e lo trattiamo in un ambito di riferimento preciso, ben conosciuto, affidabile come una serie di assiomi della matematica (finché non se ne trovano altri più potenti). L'ambito di riferimento per la nostra indagine è il marxismo. Missili, satelliti e problemi astrali hanno attinenza con esso? Certamente: forse Marx non si occupò direttamente della Luna ma, come fu risposto a Gramsci al Congresso di Lione, il marxismo è una concezione dell'Universo, non una ricetta per fare politica. Il modo di fare politica è una conseguenza (11).
I più importanti testi della Sinistra spaziano spesso sulle questioni della conoscenza e altrettanto spesso i militanti li trovarono e li trovano "difficili". Se in essi il metodo discorsivo prevale su quello formale, ciò non significa che venga a mancare il rigore scientifico: la difficoltà è nel problema trattato, perché il marxismo è un "macigno" che non può essere "ridotto in pillole". Più spesso ancora la difficoltà è nell'inerzia del lettore, che vuole capire tutto e subito, non ha la pazienza di approfondire e documentarsi, preferendo i digest cui lo ha abituato questa società superficiale. E' soprattutto questa l'origine, che un Lenin avrebbe definito dilettantesca e immediatista, di molta critica alla Sinistra Comunista "italiana". In Italia, dove sono fiorite scuole scientifiche coi fiocchi, per nulla secondarie rispetto al panorama internazionale e misconosciute in patria, ha avuto notevole peso, paradossalmente, anche l'avvelenamento antiscientifico crociano, di conseguenza gramsciano e gobettiano, che il movimento operaio italiano ha assorbito tramite l'opportunismo.
Ma veniamo al metodo. Nella frase che abbiamo citato viene usata la parola trattare e non risolvere. Prima di risolvere un problema, dunque, bisogna saperlo trattare. Sappiamo che il nostro problema è trattabile attraverso criteri che stabiliamo secondo procedure non presenti nella natura fisica ma inventate da noi (noi umani; non importa adesso stabilire come). Il rapporto fra trattare e risolvere fa quindi parte di una dinamica in cui la conoscenza è un dato provvisorio, che non riguarda il modo di essere delle cose ma il modo di analizzare proprio dell'uomo. Mentre la filosofia si impantana nelle interpretazioni possibili (e queste sono innumerevoli), la scienza per sua natura tende a dare risposte univoche e inconfutabili (perlomeno fino al passo successivo).
Da quando Galileo si è cimentato con la teoria della conoscenza, il modo di trattare il problema, cioè il modo per avvicinarsi alla conoscenza, dipende 1) dal sistema di riferimento e 2) dal quadro di riferimento generale. La relatività galileiana passa pari pari nella relatività di Einstein e finora è un pilastro della conoscenza: l'osservatore in A non avrà nessuna possibilità materiale di valutare oggettivamente né la sua situazione, né un fenomeno in B. Lo stesso succederebbe ad un osservatore in B che valutasse un fenomeno in A. Oggi la questione sembra banale: un oggetto che cade dal pennone di una nave in moto rispetto alla banchina, percorre una verticale per coloro che si trovano sulla nave e una diagonale per coloro che si trovano sulla banchina. Nave e banchina sono i rispettivi sistemi di riferimento, mentre l'ottica in cui si mette Galileo per trarne conclusioni teoriche diventa un nuovo quadro di riferimento generale. Einstein non farà che ampliare il quadro generale dallo spazio tridimensionale allo spazio-tempo. Dall'interno di un sistema di riferimento la realtà è percepita soggettivamente e dall'interno di un quadro di riferimento vecchio non si può vedere nulla di nuovo. La grande diatriba spaziale era stata scatenata su cose banali.
All'esterno del partito, la critica agli articoli che pubblichiamo fu ad un livello piuttosto triviale, ma gli stessi articoli non furono accolti con favore unanime neppure al suo interno. Dato che il nostro bilancio può avere interesse soltanto se serve a fare un passo avanti nella comprensione del metodo, non ci teniamo certo a continuare la vecchia diatriba. Occorre perciò verificare se per caso non ci sia qualcosa che non va in critici e criticati, se appunto non vi sia stato da qualche parte un difetto di delimitazione del problema e quindi un difetto nella possibilità di trattarlo.
Il che non significa scendere a compromessi col concetto giuridico di neutralità di giudizio, concetto che nei rapporti di classe semplicemente non esiste: per i marxisti non si tratta mai di dare giudizi ma di scendere in lotta. Siccome gli errori non sono evitabili, si tratta di riconoscerli (sia nel senso di scoprirli che di ammetterli) in modo da non ripeterli o addirittura teorizzarli; lasciando ad altri ambienti l'autocritica, si tratta in fondo, per utilizzare una espressione indovinata, di "attuare un piano di sottoproduzione di fesserie".
E' stato attuato questo piano in occasione della kermesse spaziale in onore della dea scienza? Un minuzioso controllo degli articoli anche dal punto di vista tecnico ci permette di rispondere che ci sono molte più fesserie in riviste specializzate dell'epoca. E' vero che Bordiga, non essendosi preoccupato di rendere esplicite le sue fonti scientifiche può dare l'impressione di scodellare con leggerezza paradossi di sua invenzione, ma, come sempre, scriveva per militanti rivoluzionari, non per corsi accademici e non gli interessava fare il professore. E, piuttosto banalmente, i critici-critici hanno finito per basarsi su di un fatto immediato: si sono infatti accaniti contro la Sinistra aggrappandosi alla "smentita" dei fatti rispetto alle previsioni, per di più riferendosi alla cronaca spicciola piuttosto che al completo processo per cui gli stessi fatti accadono
Con tale metro dovremmo prendere Marx e metterlo davvero in soffitta. Le sue previsioni, per esempio, sono esatte o sbagliate, dato che la rivoluzione comunista non si è realizzata? Non c'è dubbio che il suo tempo è maturo da un pezzo. La rivoluzione è quindi in "ritardo"? Prescindendo dal processo capitalistico in corso qualcuno potrebbe dire che non ci sarà mai. Se cercassimo di spiegare marxisticamente cosa significa il termine "ritardo" riferito alla rivoluzione, ci renderemmo conto che il ritardo è attinente in modo esclusivo all'impazienza immediatista del cattivo militante o all'interesse del nemico di classe. In questo caso l'attenzione per il sistema di riferimento è traslata dal marxismo all'idealismo borghese. Per fare un altro esempio, contro coloro che dicono che la rivoluzione non ci sarà mai, potremmo citare Marx il quale dice che la rivoluzione c'è sempre (12).
Nel migliore dei casi chi cade in questo modo di procedere prende il marxismo come fosse una ricetta per risolvere problemi e non come una scienza che insegna a trattarli. Marx insegna che il comunismo è un processo reale e che non ha nulla a che fare con le filosofie finaliste: la rivoluzione è un processo storico che certamente pone dei problemi ai comunisti, ma la soluzione di questi problemi è aperta e dipende da come le varie componenti dell'umanità si schierano sul campo nel tentativo di affrontarli e risolverli (ed è in questo processo che si forma e si sviluppa anche il partito comunista formale). Per questo la Sinistra Comunista ha insistito per sessant'anni sul fatto che né i partiti né le rivoluzioni si fanno, bensì si dirigono. Chiamiamola pure esperienza pratica. In fin dei conti, alla scala storica, la previsione riescono a farla solo coloro che imparano a trattare la materia, non quelli che applicano presunte ricette. A quella scala il marxismo ha trionfato con dimostrazioni pratiche di potenza inconfutabile, dimostrabili per via sperimentale nell'economia e nella società di oggi.
Se si vuole fare un'indagine empirica ma non immediatista sulla cosiddetta questione spaziale, si provi ad introdurre il fattore tempo in un processo dinamico di qualche decennio e ad interrogare una pietra portata dalla Luna. A proposito del "salto umano in una nuova era", di cui allora tutti si esaltavano, a quarant'anni di distanza il paradiso spaziale non c'è stato, lo spazio sidereo è sempre là e l'uomo è più che mai legato ai molto terreni interessi del Capitale. Vedere una telenovela mediante ottocento satelliti ripetitori che hanno una vita media di qualche anno invece che mediante ottomila ripetitori a terra che possono durare quanto si vuole e che costano probabilmente meno, è un non-senso. Come non è così eclatante il fatto di farsi un uovo al burro in una padella ricoperta di vernice spaziale antiadesione (13). Tutto ciò può servire alla valorizzazione del capitale, non certo a dimostrarci che la ricaduta scientifica della ricerca astronautica sulle cose terrestri ha liberato l'umanità dai suoi problemi vitali. Può darsi che qualcuno ci trovi esagerati, ma con tutta calma rispondiamo che non c'è niente di strano: dipende da come ognuno inquadra sé stesso e il problema nei possibili quadri di riferimento.
Nella polemica sulla questione spaziale è interessante notare che nel migliore dei casi il critico ammetteva che vi fossero premesse magari giuste (con questi sistemi non manderete mai un uomo sulla Luna), ma affermava che le conclusioni (l'uomo sulla Luna non andrà mai) erano sicuramente sbagliate. Se infatti era impossibile con i primitivi missili spedire un manufatto nell'orbita circumlunare e poi farlo allunare, ripartire e ritornare a terra, non se ne doveva per forza dedurre che ciò non si sarebbe potuto fare in seguito, se non altro perché le conoscenze sarebbero cambiate e le tecniche si sarebbero affinate. Questo discorso è giusto e ragionevole. Ma un marxista si può accontentare di così poco?
Togliamoci da questa epoca infetta e spostiamoci presso gli antichi Greci, la cui classe dominante non sentiva il bisogno di farsi pubblicità agli occhi degli schiavi. Immaginiamo che Archita di Taranto stia provando la sua famosissima colomba e che qualcuno, con le conoscenze dell'epoca, gli obietti: quell'automa di legno, metallo e stoffa non volerà mai come una colomba vera, perché è nella natura della colomba tendere verso l'aria e in quella del legno del metallo e della stoffa tendere verso la terra. Archita, filosofo e scienziato non da poco, vedeva nella colomba meccanica, come tutti i suoi contemporanei, un oggetto senza vita, cioè fatto di materia non inerente alla natura del volo, quindi che non poteva avere autonomia propria. Di fronte alla critica scientifica dell'osservatore, non avrebbe avuto nulla da ridire, perché l'automa in effetti non volava, ma si librava in aria solo un po' di più di un sasso gettato. Egli, pur essendo un pitagorico idealista, non avrebbe mai risposto che si aprivano epoche nuove per l'uomo e le sue colombe volanti. Lui voleva semplicemente costruire una macchina, inanimata come un sasso ma in grado di rimanere in aria un po' di più. E c'era riuscito con la tecnologia dell'epoca, così come altri suoi contemporanei avevano costruito buone macchine per computare il tempo. La Grecia classica non poteva pensare di più e Archita non aveva nessun interesse nell'usare colombe volanti per fare pubblicità alla classe dei filosofi possidenti, cui apparteneva.
Quando furono pronte le conoscenze necessarie, l'uomo fece le macchine per volare, le riempì di uomini e di merci e le mandò in giro per il mondo. Non fu il volo che portò a un'epoca nuova, fu un'epoca nuova che permise il volo. Così come permise lo Sputnik, il quale non aprì le porte del cosmo più di quanto la colomba di Archita o l'involucro di Montgolfier avessero aperto le vie dell'aria. Lo farà l'epoca della macchina che brucia materia per avere energia. E lo spazio sarà veramente conquistato in un'epoca in cui ciò non avrà prezzo, ovviamente dopo che sia stabilito se ha senso o meno per la specie umana. L'uomo di quest'epoca non lo può sapere: spara razzi per le sue esigenze militari, industriali e propagandistiche ed è certo che alla soglia del mancato profitto ferma qualsiasi "progresso scientifico".
Le previsioni del marxista non sono mai contingenti né sono mai utopistiche, per questo il contingentista utopista non le capisce. Quando la Sinistra previde il disastro dell'Internazionale, Gramsci e Togliatti le opposero il successo del raddoppiamento degli iscritti al partito italiano, ma già due anni dopo il partito era distrutto. Quando la Sinistra disse che il fascismo era nient'altro che una diversa forma di dominazione borghese si scandalizzarono tutti i bolscevizzati d'Europa, ma il fascismo fu l'unico tipo di dominazione borghese da allora in poi. Quando la Sinistra sostenne che a Mosca non c'era altro che capitalismo, tutti risero fino al giorno prima che la gloriosa URSS, spacciata per la patria dell'utopia realizzata, crollasse come il più marcio dei capitalismi corrotti.
La Sinistra non ebbe successo. Essendo un'espressione della rivoluzione in un periodo di vittoria formale della controrivoluzione, non poté trovare ascolto e le sue rigorose analisi subirono una strana sorte: si disse che aveva sempre avuto una grande capacità teorica ma che non aveva mai avuto la capacità di prevedere le situazioni e di mettere in pratica la teoria. Questo lo disse Togliatti, e vi fu chi, magari inconsciamente, rispolverò il concetto a proposito della critica spaziale, con un sillogismo ottuso.
Siccome negli articoli compaiono affermazioni alquanto categoriche, in alcuni casi smentite poi dall'evolversi delle ricerche e degli esperimenti, allora l'errore teorico sarebbe provato. Anche negli anni '20 fummo smentiti. La tattica del fronte unico contro cui combattemmo ebbe un grande successo di applicazione. Vi furono fusioni e accordi con le socialdemocrazie, a partire dall'Ungheria del 1919, contro il nostro assunto che queste fossero peggio del fascismo in quanto infiltrate direttamente nel movimento proletario. Poi gli stessi che lavorarono alla smentita cambiarono idea e, una volta battuti, abbinarono meccanicamente i socialdemocratici ai fascisti, scoprendo il socialfascismo, e si lanciarono in teorie e pratiche per l'utopica costruzione del socialismo in un paese solo, con gli effetti disastrosi di cui li avevamo avvertiti molto per tempo. Ai congressi internazionali ci dissero che eravamo "come stelle fisse, immobili nel firmamento" (Bucharin). Chi invece aveva bisogno di muoversi ci buttò fuori dal partito e dall'Internazionale. Anche la vecchia guardia bolscevica fu contro di noi. Fu massacrata. Noi avevamo ragione in teoria ma torto nella pratica, si disse, ma ora la pratica dei tribunali stalinisti e dei plotoni d'esecuzione si mostrava tragicamente corrispondente alla teoria, anche se ormai era troppo tardi per porre rimedio. Certo, i rivoluzionari marxisti si sono ulteriormente divisi e qualcuno afferma che sono addirittura estinti; anche la classe operaia sembra non esserci più. Si potrebbe continuare, per elencare le ragioni dei critici, non solo nostri ma del marxismo in generale, tuttavia lasciamo perdere. Il marxismo è morto? E allora qualcuno ci spieghi come mai, in misura sempre maggiore, l'economia e la scienza capitolano davanti alle leggi scoperte da Marx e, come da lui predetto, mentre l'economia si volgarizza sempre di più, la scienza tende ad unificarsi distruggendo la filosofia.
Impariamo dunque a trattare le questioni in modo scientifico e non filosofico. In base al nostro quadro di riferimento (la scienza "globale", il "monismo materialistico e dialettico", la "dialettica relazione fra le discipline" o in qualunque modo si voglia chiamare l'unificazione scientifica invocata e prevista da Marx), la presa di posizione della Sinistra contro il Barnum spaziale non dev'essere affrontata in termini di logica formale (o formalistica). Vale a dire che essa non affermava: "se il lancio dello Sputnik ha prodotto un'orbita troppo ellittica, un perigeo troppo basso e una corrispondente velocità media troppo alta, allora la scienza di quest'epoca è non-scienza". Sappiamo benissimo che è grande scienza, cui Marx fece tanto di cappello: ma è scienza vecchia, non nuova conquista rivoluzionaria; è piegata alle esigenze di conservazione sociale, immiserita rispetto ai risultati raggiunti da un Galileo, da un Newton, che non fecero affatto del bricolage sperimentalista ma si buttarono effettivamente a capofitto in un nuovo scenario.
In fondo i critici riflettevano su di noi un modo di pensare tutto loro e non capivano, perciò, che basandosi esclusivamente sulle "smentite" non riuscivano neppure a capire quale fosse veramente il terreno su cui era possibile trattare la questione. Essi in pratica dicevano: "se il problema consiste in orbite più circolari e in una velocità non troppo elevata che porti a quote più alte, allora non appena i borghesi ottengono ciò che cercate, siete smentiti". Poi le loro considerazioni passavano ai problemi successivi da noi posti, come il rilevamento di posizione, il pilotaggio delle capsule, il loro indirizzo verso la Luna, la permanenza dell'uomo nello spazio. Non si accorgevano che gli articoli erano impostati come un dialogato astrale (titolo di uno di essi) in cui di volta in volta si chiedevano risultati che dimostrassero quanto gli uomini fossero in grado di padroneggiare la materia, di sapere prima i risultati, non di andare a naso, ché non è scienza. E dopo aver annotato che alla scienza spaziale borghese non riusciva di rovesciare la prassi, cioè di progettare un risultato, noi si descriveva quali dovevano essere questi risultati; quando mesi o anni dopo essi venivano, si richiedeva all'avversario di smetterla con il brancolamento empirico e di darci un nuovo passo, questa volta progettato. Tutto sommato era un lavoro di previsione e arrivarono le conferme, altro che le smentite. Tra l'altro non c'era nulla di straordinario in ciò, dato che anche Newton, ai suoi tempi, avrebbe potuto spedire in orbita un satellite artificiale con carta e matita.
Ma gli immediatisti sono per definizione esistenzialisti, se ne fregano dei processi e delle dinamiche: scattano un flash sulla realtà e via, fino alla prossima volta, dimenticando ciò che è stato e, soprattutto, evitando di pensare a ciò che sarà. Questo tipo di logica è già stato demolito da Engels perché fa parte del ragionamento induttivo, le cui conclusioni sono troppo (o esclusivamente) legate all'esperienza, all'osservazione empirica. Per l'induzionista tutti i cigni sono bianchi perché li ha sempre visti così. Quando saltano fuori i cigni australiani neri la sua teoria va a farsi benedire. Dice Engels:
"Induzione e deduzione sono necessariamente implicati l'una nell'altra proprio come sintesi e analisi. Invece di innalzare al cielo l'una a danno dell'altra, bisogna cercare di usare ciascuna di esse al posto che le è proprio. Secondo gli induzionisti, l'induzione sarebbe un metodo infallibile. Lo è tanto poco che i suoi risultati vengono ogni giorno rovesciati da nuove scoperte" (14).
I nostri critici, attribuendo a noi una specie di metodo induttivo (i cui risultati sarebbero stati smentiti dalle nuove scoperte), dimostravano semplicemente di non esserne usciti affatto. Essi, come dice Engels, basavano la loro critica sulla mera successione degli eventi (15), per questo non potevano assolutamente capire la noncuranza con cui furono accolte le "smentite". Il fatto è che non c'erano nuove scoperte che potessero smentire la constatazione di una scienza giunta al suo limite. A distanza di quarant'anni, lontano dalla polemica, il lettore si renderà immediatamente conto della struttura anti-induttiva degli articoli "spaziali" per il semplice fatto che in essi si parla sempre del futuro e l'osservazione del presente serve solo a dimostrare che la borghesia sta utilizzando la sua scienza del passato. E' sempre più facile raccontare il passato che non prevedere il futuro, per questo l'immediatista è uno specialista del passato, ammesso che lo riesca ad interpretare. Il comunista, parlando del futuro a volte sbaglia; ma non esce mai dal quadro generale del divenire capitalistico. Si badi bene che la gran chiacchiera sugli articoli spaziali è venuta dopo le presunte smentite, non prima, non durante lo svolgersi delle prove spaziali fino ai primi risultati.
E ancora: la nostra critica alla montatura spaziale non era contro l'esplorazione dello spazio in generale. Semplicemente collocava questo nuovo avvenimento accanto alle altre esplorazioni possibili in questa epoca, condotte nel cosmo con strumenti ottici e radioelettrici oppure nell'infinitamente piccolo con strumenti ancor più complessi. Non era una critica induttiva perché non ricavava a posteriori considerazioni specifiche dal lancio satellitare. Al contrario, tendeva alla prova di condizioni previste per mezzo di considerazioni precedenti. Essa diceva: "sappiamo già che siete degli idealisti e sappiamo pure che dall'Idea non scaturisce scienza ma filosofia, non analisi e sintesi sul reale ma interpretazione soggettiva della realtà; il vostro satellite non può che essere un'emanazione del vostro sistema economico e sociale, il quale non si basa sulla ricerca di leggi ma su interessi di classe, non si basa sul controllo preventivo dei fenomeni (progetto) ma su rattoppi escogitati man mano che si verificano i guai (keynesismo). E ve lo dimostriamo, perché voi comunicate i parametri delle orbite dopo che li avete misurati".
Note
(8) F. Engels, Ludwig Feuerbach, Editori Riuniti, pag. 61.
(9) Vulcano della produzione o palude del mercato?, ed. Quaderni Internazionalisti, Capitolo 1.41, "Modelli e realtà".
(10) Il lavoro si fermò purtroppo alla pubblicazione di due "Abachi" con semplici formalizzazioni degli assunti del primo e secondo libro del Capitale di Marx (ora nel testo Scienza economica marxista come programma rivoluzionario, ed. Quaderni Internazionalisti).
(11) "Egli [Gramsci] fu condotto a dire: dò atto alla sinistra di avere finalmente acquisita e condivisa la sua tesi che l'aderire al comunismo marxista non comporta solo aderire ad una dottrina economica e storica e ad una azione politica, ma comporta una visione ben definita e distinta da tutte le altre, dell'intero sistema dell'universo anche materiale. Quindi Gramsci comprendeva che chi passa sotto la bandiera marxista deve vincolare i termini del suo pensiero scientifico e filosofico e fare gettito deciso di quanto risalga, sia pure attraverso serio sforzo di studio, a fonti non classiste e non marxiste" (da "Comunismo e conoscenza umana", compreso nel volume Elementi dell'economia marxista, pag. 113, ed. Quad. Int.).
(12) E' noto (dovrebbe essere noto) che Marx intende il comunismo non come un modello sociale da raggiungere attraverso un'azione appropriata, ma l'intero processo, già presente ai suoi tempi e prima, che porta al cambiamento della forma economico-sociale. Ecco la differenza fra la visione scientifica e l'utopismo.
(13) Grandiosi progetti di reti satellitari per la comunicazione globale sono stati accantonati per via dei costi, ripresi da consorzi che univano grandi capitali e infine realizzati in scala minore. Mentre scriviamo è in corso la campagna pubblicitaria per il sistema Iridium (Motorola) basato su 66 satelliti ed è in progetto il sistema Teledesic, che ne prevede 924. Oltre alle padelle rivestite di vernice di Teflon (ci è capitato di vedere reclamizzata anche una cucina con piano di cottura fabbricato con ceramica "spaziale"), vi sono ovviamente utilizzi più importanti, ma quasi tutte le tecnologie spaziali potevano essere sviluppate come non-spaziali, nelle solite fabbriche. Le tecnologie "avanzate" hanno oltretutto un'obsolescenza direttamente proporzionale alla loro sofisticazione. Sui problemi della relazione ricerca-obsolescenza cfr. O. Garini - H. Loubergé, La delusione tecnologica, Ed. Scientifiche e Tecniche Mondadori.
(14) F. Engels, Dialettica della natura, Opere Complete Marx-Engels, vol. XXV, pag. 513.
(15) Engels cita la formula classica "post hoc ergo propter hoc", ovvero "dopo questo, dunque a causa di questo", falsa conclusione cui si perviene quando si stabilisce arbitrariamente la causalità di un fenomeno solo per il fatto che è posteriore ad un altro.