31. Demoni pericolosi (1)

Il testo che segue è stato scritto sulla base della registrazione di tre relazioni tenute a un incontro tra compagni di diverse località, avvenuto a Torino dal 20 al 22 maggio 1994.

Della prima relazione (sul metodo) abbiamo tagliato le parti che si riferivano all'esperienza passata, integrandola invece con suggerimenti scaturiti da discussioni avvenute in incontri successivi. Con i compagni francesi, che si erano fermati dopo l'incontro di maggio, abbiamo discusso a proposito delle questioni legate alla conoscenza e ai recenti risultati della scienza borghese. Con i compagni tedeschi, con i quali abbiamo avuto un incontro nel maggio di quest'anno, abbiamo affrontato il problema della continuità con il lavoro della Sinistra e della necessità di applicarne il metodo scientifico. In un incontro avvenuto a Roma tra compagni di diverse località, abbiamo affrontato principalmente i problemi del lavoro di partito nell'attuale situazione e dell'adesione al comunismo.

Della seconda relazione abbiamo trascritto la parte introduttiva (da "La scienza è un macigno..." fino a "La forza produttiva sociale incatenata" compreso), tralasciando la parte descrittiva del lavoro che sarà pubblicato nei prossimi mesi.

Della terza relazione (sul "giornale") abbiamo sviluppato, rispetto all'originale, le parti che potremmo chiamare "lavoro organico e informazione come sistema in Lenin".

Le relazioni e gli appunti sono stati integrati in modo da ottenere un testo il più possibile omogeneo, quindi non sono trascritti nella sequenza temporale esatta.

Premessa

Il lettore prenda queste pagine come una escursione sul "metodo" marxista, che è criterio materialista e dialettico di indagine, di investigazione scientifica. Tale escursione non è fine a sé stessa: vuole essere anche la descrizione di come, a nostro avviso, i militanti si "appropriano" del patrimonio teorico del marxismo e quindi della Sinistra "italiana". Vorremmo avanzare un invito esplicito affinché l'adesione al comunismo non venisse mai intesa come scelta dovuta a libero arbitrio, come adesione aprioristica a un qualche "ismo" più o meno personalizzato (marxismo, leninismo, bordighismo o, perché no, engelsismo ecc.) e trovato in qualche luogo di riunione, ma come cattura dell'individuo da parte del comunismo che lavora al cambiamento cercando i suoi strumenti.

Occorre riscoprire la Sinistra alla luce di ciò che essa ha effettivamente rappresentato nella storia del movimento rivoluzionario comunista. È ovvio che parlando in positivo del metodo si dimostrano anche i guasti prodotti dallo stalinismo e quali siano stati, e siano, i suoi riflessi sul movimento di classe in questi ultimi tre quarti di secolo. Ma lo scopo principale di queste note è quello di suscitare in chi ci legge almeno qualche interrogativo sulle interpretazioni correnti del patrimonio teorico che la Sinistra ci ha lasciato.

La Sinistra italiana rappresentò il tentativo storico di superare l'immaturità del movimento che rimaneva legato alla Terza Internazionale pur criticando lo stalinismo. Il tentativo fu spezzato una prima volta verso la metà degli anni '20 in un contesto mondiale; una seconda volta in questo dopoguerra nel contesto della salvaguardia della dottrina. Due "sconfitte" sono evidentemente troppe per le poche forze rimaste a rappresentare l'internazionalismo. Ecco che allora ci si chiede: dove abbiamo sbagliato? Si insinua il tarlo soggettivista delle modifiche formali o sostanziali alle origini, cosa che equivale ad un'abiura, perché la sconfitta ha le sue leggi, la sua spiegazione esula dallo sconforto soggettivo, i suoi effetti sono rivoluzionari. Questi risultati sono già raggiunti da Marx, come vedremo fra poco (1).

La Rivoluzione d'Ottobre fu un episodio così grandioso che permeò delle sue caratteristiche tutta la storia successiva dell'Internazionale. A parte la Sinistra, le correnti che tentarono di superarne i limiti teorici e organizzativi non riuscirono invece a raggiungere neppure il livello del suo II Congresso del 1920, il punto più alto raggiunto dai partiti comunisti o, come sarebbe più giusto dire, dal bolscevismo che, invece di rappresentare la "pianta di ogni clima", come affermò la Sinistra aderendo in pieno all'insegnamento di Lenin, fu rovesciato completamente nel suo significato, in primo luogo dai suoi falsi cultori. Dato che tale insegnamento avveniva in ambiente di rivoluzione doppia, ciò che fu universale in esso, cioè inerente al comunismo, fu ridotto a questione specificamente russa; ciò che fu specificamente russo, cioè inerente alla democrazia, fu elevato ad universale. E per democrazia non intendiamo soltanto il meccanismo democratico, bensì ogni legame con l'ideologia dominante, anche e soprattutto se mimetizzato. Così lavora la controrivoluzione.

La storia della Sinistra comprende un arco di anni così vasto e una serie di eventi così importanti, che non poteva non subirne tutte le conseguenze. La storia della Sinistra non riuscì a staccarsi dalla storia dell'Internazionale neanche per la stragrande maggioranza di quelli che ne facevano parte. Eppure proprio la Sinistra aveva superato l'Internazionale nello stesso momento in cui aveva incominciato a criticarne non solo la tattica ma i moventi che tale tattica suggerivano. La sua azione fu spaccata in due dalla Seconda Guerra mondiale, massima espressione della controrivoluzione borghese. Una parte rimase storicamente legata alla battaglia contro la degenerazione dell'Internazionale all'interno della stessa Internazionale morente; l'altra parte rappresentò il futuro della rivoluzione con un taglio netto rispetto alle forze che si portavano ancora dietro caratteristiche terzinternazionaliste: la ricostituzione della teoria non fu in nessun modo un ritorno agli anni '20. Purtroppo, conclusosi il percorso storico della Terza Internazionale così come si era concluso quello della Prima e della Seconda, non si aprirono le condizioni materiali per una nuova Internazionale o, meglio, per il vero partito comunista unico mondiale per il quale la Sinistra lavorò sempre. Questa è la causa materiale che inchioda quasi tutti gli "allievi" della Sinistra al modo di pensare della morta Internazionale, in antitesi agli insegnamenti della stessa scuola cui giurano formalmente fedeltà.

Il nostro scopo è quello di far riflettere i compagni, tutti i compagni, non solo i "nostri", sul significato dell'attività di partito e sulla necessità storica di certe sconfitte alla luce delle considerazioni che già fece Marx. Non a caso questa lettera finisce con il problema del "giornale", un capitoletto da cui si trae facilmente la ragione per la quale siamo gli unici a non averlo e, per ora, a non volerlo.

Tonfo del praticismo

In una polemica sulle concezioni primitive del comunismo visto come un qualcosa da realizzare tamite la volontà di coloro che ci si adoperano, Marx scrive:

"Noi abbiamo la ferma convinzione che non il tentativo di sperimentare in pratica le idee comuniste, ma la loro elaborazione teorica formi il vero e proprio pericolo, perché agli esperimenti pratici, sia pure esperimenti di massa, si può sempre rispondere con il cannone non appena diventino pericolosi, mentre le idee che la nostra intelligenza ha acquisito vittoriosamente, che il nostro animo ha conquistato, alle quali l'intelletto ha forgiato la nostra coscienza, sono vincoli dai quali non ci si strappa senza lacerarsi il cuore, sono demoni che l'uomo può vincere soltanto sottomettendosi ad essi" (2).

Un anno o due dopo aver scritto queste righe, Marx preciserà che l'arma della critica non può certamente sostituire la critica delle armi, e che la forza materiale dovrà essere abbattuta dalla forza materiale; però la teoria diviene una forza materiale non appena si impadronisce delle masse ed essa può farlo solo quando diviene radicale, cioè coglie le cose alle radici. Questa secondo Marx è la prova della "energia pratica" di una teoria (3).

Notare come il termine idee venga sostituito con quello materialisticamente corretto di teoria, ma soprattutto come venga fissato definitivamente il binomio teoria-prassi: la teoria rivoluzionaria, quella che dimostra le cose alle radici, è direttamente energia pratica. Non diversamente la Sinistra Comunista definì il proprio lavoro di difesa della teoria nel secondo dopoguerra: si tratta di lavoro pratico.

Il concetto non è immediatamente intuitivo solo per chi non abbia digerito l'importanza del programma nella teoria marxista e il suo vero significato. Programma è parola derivata dal greco e vuol dire "scritto prima", cioè esposizione scritta di un piano operativo; anzi, è il piano stesso, con i suoi risultati, nella sua formulazione teorica. Il concetto di difesa della teoria come lavoro pratico non ha dunque nulla a che fare con la semplice stampa dei libri, la semplice diffusione dei volantini, la redazione degli articoli ecc. Tale difesa è lavoro pratico quasi esattamente come lo è il progetto dell'ingegnere, progetto che contiene in sé sia l'opera finita che il percorso per giungervi, i materiali da usare, le tecniche più idonee, gli strumenti da mettere in moto, lo studio dell'ambiente in cui l'opera si forma e in cui dovrà funzionare o dimostrare la sua utilità.

La parola quasi posta davanti a esattamente è dovuta alla peculiarità dei rapporti sociali, che rientrano nel campo di quei fenomeni complessi della natura non trattabili allo stesso modo dei fenomeni lineari (4). Il programma comunista differisce dal progetto dell'ingegnere in modo sostanziale a causa delle relazioni dialettiche fra individui e classi, fra il modo di produzione attuale, quelli passati e quello futuro, fra le organizzazioni che gli individui e le classi possono darsi. Se il programma comunista fosse esattamente come il progetto dell'ingegnere, avrebbero ragione gli immediatisti di ogni specie, che intendono la teoria come una specie di manuale tecnico cui attingere le nozioni per guidare l'azione costruttiva. Essi vogliono costruire le condizioni della lotta immediata, costruire l'organizzazione, costruire il socialismo. I costruttori di questa specie hanno clamorosamente fallito e il fragore di questo fallimento ci giunge dall'Est, non solo con il fruscìo dei dollari e dei marchi, ma anche con il tuono delle cannonate che demoliscono l'esperimento pratico di massa di cui parla Marx. Occorre forse sottolineare che tale demolizione è resa possibile solo in quanto è stata precedentemente demolita la teoria rivoluzionaria proprio per mano dei costruttori di socialismo?

Oggi sembra non vi siano demoni pericolosi in circolazione mentre la borghesia è intenta a celebrare il suo trionfo sulle "idee del comunismo". A dire il vero c'è qualcosa che guasta la festa, come l'accumulazione asfittica, le popolazioni che muoiono di stenti, l'aumento inarrestabile della sovrappopolazione relativa, le guerre, l'impossibilità di trasformare come previsto dai profeti del Capitale gli ex paesi "comunisti" in floridi mercati per l'Occidente.

Noi diciamo che, anche se oggi lo spettro del comunismo non si aggira visibilmente per l'Europa, non per questo esso è sparito. Sta accumulando energia potenziale per la battaglia decisiva. Le idee comuniste, i demoni da cui non ci si può liberare se non assoggettandosi ad essi, non muoiono mai. Traduciamo: la teoria rivoluzionaria non muore mai; il partito rivoluzionario non muore mai; nessuna controrivoluzione è mai riuscita a cancellare il partito storico delle forze sociali prorompenti. I demoni, cioè le idee, cioè la teoria marxista, lavorano. Oggi anche i capitalisti più attaccati ai loro luoghi comuni non sanno più spendere una parola sincera in difesa del capitalismo attuale e qualcuno di loro sta già fornicando con utopie di capitalismi modificati che non sono più capitalismi. L'abbiamo dimostrato nella nostra Lettera Come un logaritmo giallo, citando testi dove due pezzi grossi della cultura borghese ponevano il problema della ripartizione programmata del plusvalore nella società capitalistica ormai giunta al tetto del quantitativismo produttivo. Ciò non è più nemmeno keynesismo spinto, è tradimento della propria classe. Tradimento ancora perpetrato con vigliaccheria, dato che i signori presi ad esempio non sono per nulla transfughi della propria classe; ma sempre tradimento, sintomo interessante per i rivoluzionari che debbono tenere stabilmente le loro sonde in campo avversario.

Bordiga in Fiorite primavere del Capitale si riferisce a Marx parlando dei transfughi della nobiltà feudale durante la rivoluzione borghese, personaggi strappati dalla rivoluzione alla loro anagrafe di origine, capi politici e militari "la cui diserzione dalla propria classe è indicata nel Manifesto come vero sintomo dei tempi maturi" (5).

Il comunismo è un movimento reale

Altro sintomo di tempi maturi sarà il risorgere delle esigenze organizzative nel futuro scontro fra proletari e capitalisti, scontro che potrebbe anche non seguire gli schemi classici della lotta economica, ma avvenire sul terreno sociale in forme non immediatamente riferibili alle due classi principali. Non è detto che la difesa degli interessi di queste due classi le veda sempre protagoniste frontali di uno scontro. Dato che la borghesia è impegnata in una controrivoluzione permanente, lo scontro può assumere forme mascherate che danno luogo a fenomeni sociali a prima vista incomprensibili, come lotte all'interno della borghesia sul modo di attuare la controrivoluzione, rivolte delle classi intermedie schiacciate fra gli interessi delle due grandi classi, anche azioni militari, dirette o indirette (6), delle borghesie nazionali nei confronti di altri paesi che abbiano un saggio di profitto più alto. Da molto tempo sosteniamo che fenomeni in genere analizzati sotto l'influsso di impressioni immediate e riferiti a rapporti fra le persone o fra gli Stati in realtà sono provocati dal sotterraneo scontro fra le classi. Non è agevole farsi capire quando si parla di lotta di classe mentre si analizza, per esempio, la caduta dell'Est o la Guerra del Golfo, ma è impossibile dal punto di vista marxista prescindere dal fatto che qualsiasi cambiamento dello statu quo è provocato dal problema della formazione o della realizzazione del plusvalore. E ciò ha attinenza sia con la lotta di classe che con la formazione del Partito, la sua azione, il suo sviluppo.

I fatti materiali agiscono sulle idee e sulle coscienze individuali, e una situazione che matura non sempre si manifesta con la chiarezza politica che ognuno di noi desidererebbe. Nonostante ciò, sappiamo che in certi momenti della storia le idee presentano convergenze notevoli e le posizioni politiche degli uomini si radicalizzano, polarizzandosi intorno agli interessi delle classi principali. È allora che teorie per lungo tempo quiescenti vengono riprese, il patrimonio storico incomincia a lavorare non più su individui isolati ma su interi strati della popolazione, sorgono organizzazioni che, nella situazione sociale in fermento, incominciano a scontrarsi, a definirsi, a delimitarsi. È allora che il partito della rivoluzione raccoglie intorno a sé gli strumenti umani di cui ha bisogno per svilupparsi.

Ciò significa che il partito della rivoluzione non nasce in quel momento, ma preesiste. Soltanto che la sua esistenza non è formalizzata, non coinvolge un grande numero di uomini, forse non li riunisce neppure sotto la stessa etichetta, non ha sedi, indirizzi, sale di riunione e tipografie.

Marx, nella molto citata lettera a Freiligrath del febbraio 1860, dice che la Lega dei Comunisti è stato solo "un episodio nella storia del Partito". Facendo le debite proporzioni e tenendo conto delle differenze di epoca, possiamo continuare la serie: Lega dei Comunisti, Prima Internazionale, Seconda, Terza. I partiti formali sono episodi effimeri della grande storia del partito storico. Marx rincara la dose per chi non avesse capito (e Freiligrath, poeta enfatico del comunismo rozzo, era duro di comprendonio): il Partito "si forma dappertutto, in modo naturale, sul terreno della società moderna". Bisogna cercare di capire se si tratta di una singolare disposizione spontaneistica scaturita in una lettera all'amico o se si tratta di una proposizione scientifica. I dubbi sono allontanati nella parte finale della lettera: "Ho cercato di eliminare l'equivoco per il quale io avrei potuto intendere con la parola 'partito' una Lega defunta da otto anni o una redazione di giornale disciolta da dodici. Parlando di partito intendevo il partito nel grande senso storico della parola". In altre traduzioni è forse detto meglio: "Intendo partito nella sua larga accezione storica".

Colleghiamo un momento questa concezione del partito con quanto Marx ed Engels dissero a proposito del comunismo. C'era chi concepiva il comunismo come una filosofia, una particolare branca del "pensiero" o una dottrina politica. Questa concezione è talmente dura a morire che ancora oggi molti compagni non l'hanno per nulla abbandonata e continuano a destreggiarsi con il comunismo come se questo fosse una particolare forma di pensiero. Le cose non stanno così. Marx ed Engels rispondono che prima di tutto il comunismo non è affatto una dottrina ma un movimento reale. Esso non scaturisce da particolari principii ma dai fatti del mondo fisico e della società che su di esso si sviluppa. Il presupposto del comunismo non è una particolare filosofia, ma tutta la storia del mondo e dell'uomo agente in esso, specialmente negli ultimi anni dello sviluppo sociale. Infatti il comunismo si può sviluppare come elemento agente nella società soltanto quando nei paesi che Marx chiama civili si raggiungono i grandi risultati dell'industria con tutte le conseguenze che ne derivano. La politica comunista viene dopo che il comunismo ha agito alle radici della società umana. L'industria moderna semplifica i rapporti fra le classi della società capitalistica e il comunismo diviene l'espressione teorica del rapporto fra tali classi, cioè l'espressione teorica della lotta tra il proletariato e la borghesia per la vittoria del primo sulla seconda, vittoria che si traduce nella scomparsa di tutte le classi, dato che il proletariato non può più proseguire il ciclo delle classi dominanti (il proletariato può dominare soltanto transitoriamente sulla borghesia; questa scompare lasciando sulla scena il solo proletariato che alla fine scompare anch'esso come classe, con lo Stato e con tutte le categorie della vecchia società).

La "biblioteca" va intesa dinamicamente

D'accordo, tutti conoscono questa storia, non stiamo facendo catechismo. Ma giova ripeterla per un motivo inerente alla dimostrazione cui vogliamo giungere a proposito del partito. Forse non è stato sottolineato abbastanza che quanto Marx ed Engels dicono a proposito del comunismo può essere utilizzato per il partito. Il partito non è solo una organizzazione fisica ma un movimento reale. Come la storia del mondo prepara il comunismo, essa prepara anche il partito, forgiando uomini d'azione e di testa, lasciando nei suoi strati "geologici" impronte del suo divenire, vittorie come sconfitte, risultati scientifici come errori di calcolo e di metodo. Vogliamo chiamarla "biblioteca"? In un certo senso chi ha forgiato il paragone ci ha azzeccato. Le cinque maggiori biblioteche del mondo contengono quaranta milioni di volumi. Poi ci sono le biblioteche specializzate, quelle di quartiere, i conventi cristiani e buddisti, i nastri delle televisioni, i compact disc ecc. La biblioteca è memoria, ma non è l'unica: Bordiga chiama memoria anche uno strato geologico fossile. Dal teorema di Pitagora a quello di Gödel, dai Veda al Capitale, la babelica e borgesiana biblioteca del mondo (7) contiene il comunismo, rappresenta il partito storico. Occorre soltanto non utilizzare male il paragone, cioè non concepire tale biblioteca come un qualcosa di isolato nello spazio e nel tempo. Occorre abbinare ad essa sia la Rust Belt americana che registra il tramonto irreversibile del quantitativismo produttivo (8), sia il ragazzino cinese che scorrazza per il mondo tramite Internet, espressione invece di qualcosa che non sappiamo ancora valutare appieno.

La Biblioteca di Borges registra in un gioco mentale tutte le combinazioni dei segni di scrittura e, nonostante la sua passività, contiene le rivoluzioni e le controrivoluzioni, passate e future. La biblioteca del mondo reale esprime le potenzialità sovvertitrici dei risultati già raggiunti dalle rivoluzioni e controrivoluzioni realmente avvenute, sulle quali si ergerà la rivoluzione futura.

Affinché la "biblioteca" sia utilizzabile come immagine del partito storico, occorre tenere presente che qualcuno ha scritto i libri, qualcuno li ha raccolti e catalogati con un certo criterio, qualcuno li utilizza scegliendoli magari con un nuovo criterio, qualcuno può notare che ne mancano ecc. Sono i fatti materiali che obbligano questi "qualcuno" a fare ciò che fanno. Il libro può registrare un avvenimento reale, una teoria o un fatto immaginario. Il comunismo, come movimento reale che abolisce lo stato di cose presente, si dà gli strumenti adatti per farlo, sotto forma di uomini e di biblioteche, di teorie e di organizzazioni. Il lettore che estrae un libro dallo scaffale è stato portato a questo dalla passione per l'orticoltura o dalla passione rivoluzionaria, da una discussione o da un altro libro - i libri sono sempre concatenati tra loro - ma sempre agisce in base allo stimolo di ciò che ha intorno, di ciò che rappresenta la sua esperienza reale. Nello scaffale può "scegliere" tra Bernstein o Marx, oppure scoprire per la prima volta sia l'uno che l'altro e fare un paragone in base alla maturità delle condizioni che lo hanno spinto davanti allo scaffale, quelle stesse condizioni che lavorano per l'abolizione dello stato di cose presente sulla pelle e nel cervello di tanti altri che non andranno mai davanti a uno scaffale ma che faranno scioperi, discussioni, figli, insurrezioni, raccolte di francobolli o progetti per l'avvenire. In tale contesto i tasselli della biblioteca andranno insieme a formare le nuove possibilità rivoluzionarie.

Abbiamo fissato un punto: il partito non muore mai. Esso darà luogo, secondo le situazioni, favorevoli o sfavorevoli alla rivoluzione, alla sua espressione formale più o meno sviluppata.

Il partito storico non è una "cosa"

Fissiamo subito un altro punto: i sintomi positivi del cambiamento di situazione sono essenzialmente due. Il primo e più importante è la conquista di un numero qualitativamente significativo di cervelli da parte della teoria, non importa se attraverso una convinzione scientifica o una fede istintiva (su questo magari ritorneremo). Il secondo è la defezione di classe di borghesi che passano dalla parte del proletariato.

Legando il primo punto (il partito non muore mai) al secondo (i due sintomi positivi del cambiamento di situazione) abbiamo la definizione di "situazione rivoluzionaria". Perché abbiamo bisogno di questa definizione? Citiamo Bordiga, giacché facciamo prima:

"Dicendo 'esiste una situazione obbiettivamente rivoluzionaria, ma è deficiente l'elemento soggettivo della lotta di classe, il partito rivoluzionario' si sballa, in ogni momento del processo storico, un grossolano non senso, un'assurdità patente. È invece vero che in qualunque frangente, anche il più periglioso dell'esistenza della dominazione borghese, anche allorché tutto sembra franare e andare in rovina (la macchina statale, la gerarchia sociale, lo schieramento politico borghese, i sindacati, la macchina propagandistica), la situazione non sarà mai rivoluzionaria, ma sarà a tutti gli effetti controrivoluzionaria, se il partito di classe sarà deficitario, male sviluppato, teoricamente traballante" (9).

Affinché vi siano le condizioni per la vittoria rivoluzionaria devono saldarsi il partito storico e le determinazioni dei singoli, cioè l'influenza della teoria sulle loro azioni polarizzate verso il raggiungimento degli obiettivi della rivoluzione. Chi lavora per la difesa della teoria non è il partito storico, ma ne fa parte, per questo non può lavorare in un modo qualunque. Il partito storico non è una cosa che si possa toccare con le mani.

Da anni andiamo ripetendo che la nostra risposta pratica alla mancanza del partito formale è quella di lavorare comunque organizzati, come se il partito ci fosse. Questo atteggiamento ha provocato delle perplessità, chiamiamole così, in molti compagni che sono stati in contatto o in corrispondenza con noi. Ebbene, vogliamo ribadire che non troviamo nessuna contraddizione fra il nostro atteggiamento, quello di Marx nella citazione d'apertura e le Tesi della Sinistra.

Nelle Tesi di Napoli e nelle Considerazioni, che sono state scritte quasi contemporaneamente, vi sono due concetti fondamentali: il primo riguarda la necessaria armonia tra il partito storico e il partito formale; il secondo riguarda l'attività rivoluzionaria nei periodi storici sfavorevoli. I militanti rivoluzionari devono rimanere in armonia con il partito storico e, nello stesso tempo, non dimenticare che la loro attività è guidata da tutto il ventaglio di possibilità che il partito sviluppato può mettere in atto quando agisce realmente sulla scena storica; l'unico dato di fatto limitativo è la reale possibilità di fare certe cose piuttosto di altre. "Rivendichiamo dunque tutte le forme di attività proprie dei momenti favorevoli nella misura in cui i rapporti reali di forze lo consentono".

Sembra abbastanza chiaro eppure, regolarmente, siamo costretti a ritornarvi su per via della generale difficoltà di accettare fino in fondo le conseguenze dei limiti posti dai reali rapporti di forze. Eppure sono proprio tali limiti che dovrebbero imporre categoricamente il senso della misura quando si parla di partito.

Ora, il problema non si pone soltanto a noi. Si era posto al Partito Comunista Internazionalista nell'immediato dopoguerra, quando aveva centinaia di militanti, decine di sezioni e una quindicina di federazioni sparse per l'Italia. C'era una continuità fisica con il partito del '21 e con la Frazione all'estero, le tessere, i congressi, le tesi congressuali e il centralismo democratico. Era questa continuità che minava il partito formale e lo riduceva ad una propaggine in ritardo dei partiti della Terza Internazionale. In poche parole il partito del dopoguerra non era in armonia con il partito storico "che si formava dappertutto in modo naturale sul terreno della società moderna". Era evidente che la soluzione non poteva che essere dolorosa: delimitazione, selezione, riduzione del numero, eliminazione dell'apparenza per valorizzare la sostanza. Il significato della rottura del '51-52 va ricercato nel tentativo di armonizzare il partito formale con il partito storico. Non fu possibile se non per pochi anni, una decina, poi vi furono gli avvenimenti che tutti conosciamo.

Smetterla con i dualismi

Inutile recriminare e cercare gli errori del passato. Questioni di tale portata si risolvono alla scala storica e nessuno avrebbe potuto con un colpo di volontà strappare il legame che bloccava il partito formale a un'Internazionale "morta da vent'anni" impedendogli di sfruttare al massimo il patrimonio che pure lo proiettava nel futuro, che lo metteva in sincronia in modo naturale con il terreno di sviluppo della società moderna. Diciamo che la biblioteca è rimasta, che nuove forze si sono formate intorno al programma, che la corrente non è morta. Nessuno creda che qui si parli di noi stessi. Chi dovrà fare il lavoro più impegnativo non è ancora tra di noi: forse la nuova generazione saprà sfruttare al meglio il patrimonio della Sinistra e utilizzare la storia passata non come un manuale pratico, ma come invariante storico da inglobare in modo naturale nel futuro processo di sviluppo del partito.

Abbiamo conosciuto vecchi compagni, oggi tutti scomparsi, che raccontavano della difesa della qualità del lavoro come se raccontassero episodi di guerra. Parlavano al passato, del '45 o '47, ma era come se parlassero del partito del momento, quello del '70 o '75. Avevano il senso della misura; forse erano ancora legati al PCd'I e all'Internazionale, ma sapevano valutare i nuovi militanti e sentivano che non c'era da farsi illusioni. Erano attivi, ma non attivisti: conoscevano bene la situazione reale e i suoi limiti, non pensavano affatto di risolvere con le proprie forze il problema del divario tra la situazione oggettiva in cui versa il capitalismo in crisi e la situazione soggettiva del partito. Non erano tutti così, e questo dimostra soltanto che delimitarsi è tremendamente difficile e scomodo.

Ma non siamo qui per parlare del passato, bensì del futuro; del passato abbiamo già parlato nello scorso incontro, facendo un bilancio degli ultimi dieci anni (10).

Parlare di futuro significa parlare del lavoro e del metodo con cui intendiamo lavorare. Prima di tutto c'è una questione di dialettica che bisogna affrontare. Per quanto riguarda il lavoro di partito senza partito non abbiamo scomodato la dialettica per non dare troppa importanza ad un problema che per noi è risolto, e comunque la dialettica c'entra. Dobbiamo affrontare il problema della ripetizione dei sacri testi e della elaborazione di nuovi testi. O meglio, dobbiamo approfondire un po' il concetto perché a grandi linee ne abbiamo già parlato. Si tratta in fondo di gettare le basi sulle quali si svilupperà ulteriormente il lavoro futuro. Qui razionalizziamo semplicemente ciò che già abbiamo fatto in pratica anche mentre partecipavamo alla battaglia che ha portato alla selezione attuale. La battaglia continuerà certamente in altre forme, ad altri livelli; gli attuali raggruppamenti che si richiamano alla Sinistra (compreso il nostro, certamente) saranno sconvolti dal maturare dei fatti reali e dobbiamo già sapere che ciò sarà positivo per il maturare delle condizioni che renderanno possibile il partito.

Noi ci troviamo di fronte molto spesso a dubbi amletici del tipo appena ricordato: lavorare con metodo di partito o lavorare senza metodo di partito dato che il partito non c'è; ripetere, ribadire, non innovare, oppure elaborare, innovare. Evidentemente la fregatura sta nella domanda che è formulata in modo sbagliato, è la domanda sbagliata che crea un'opposizione fra termini che in opposizione non sono. A questo punto bisogna fare per un momento una breve escursione nella teoria marxista della conoscenza. Abbiate pazienza, non sarà l'unica.

La specie umana ha incominciato a pensare quando ha incominciato a distinguere l'uguale dal diverso. Queste sono tutte mele e quelle sono tutte susine. Così facendo è andata subito a cercar grane, perché i diversi potevano essere uguali sotto la categoria frutta. La nostra specie si è evoluta ponendosi dei problemi a prima vista irresolubili: è infatti impossibile logicamente riconoscere il diverso come uguale. Però così facendo si impara a maneggiare la logica formale e a trattare problemi secondo determinate astrattezze. Tutti gli alberi sono alberi specifici, diversi, ma secondo certe determinate astrattezze sono uguali.

Ora, unire l'uguale con il diverso è operazione dialettica e oltre certi limiti la logica formale s'impantana. La formazione della conoscenza scientifica consiste nella formazione di strumenti che ci diano la possibilità di unire sotto un unico aspetto fenomeni diversi ma, soprattutto, di capire i fenomeni che mutano continuamente raggruppandoli sotto categorie che ne dimostrino l'identità. Solo da questo punto in poi possiamo contare e far di calcolo con delle quantità omogenee. Ma in questo modo giungiamo anche alla possibilità di parlare di dialettica unione dei contrari e dell'identità fra quantità e qualità. Non è possibile contare delle quantità senza avere presenti delle qualità, d'altra parte non si possono contare quantità di qualità senza fare un'ulteriore astrazione. Si riesce a dimostrare, infatti, che l'informazione è quantificabile anche se essa è una qualità, soltanto che per far questo occorre trattare le differenze rispetto alle identità. Solo in questo modo riusciamo a rendere comprensibili i debolissimi messaggi che provengono da un Voyager o trasformare in qualità auditiva i dati numerici quantitativi di un Compact Disc (11).

Quantità e qualità sono anche termini della nostra lingua, che forse ha raggiunto dei limiti di espressione rispetto ai nuovi risultati della conoscenza. Per precisare alcuni aspetti della dialettica siamo costretti ad aggiungere aggettivi o altre parole. Il numero delle mele, dei metri o dei litri rappresenta una quantità che si può estendere aggiungendo semplicemente altre quantità della stessa misura, mentre per esempio la temperatura, l'intensità del suono o della luce si ottengono aggiungendo energia, la quale è misurata in una scala a parte. Vi sono dunque quantità discrete e quantità continue che bisogna precisare con l'aggiunta di parole, salvo poi accorgersi che non vi è dualismo fra il discreto e il continuo e così via (12).

Che cosa vogliamo dimostrare? Intanto che nel processo della conoscenza è impossibile avere risultati nuovi se non si adoperano quelli già raggiunti. In secondo luogo che i risultati nuovi non negano quelli passati: li superano solo inglobandoli. In terzo luogo che ogni risultato rimane valido in toto finché non matura un cambiamento che ne rivoluzioni la portata. In quarto luogo che i nuovi risultati invece negano quelli del passato se non si appoggiano su di essi e quindi, in ultima analisi, non sono affatto né nuovi né risultati, ma parti delle elucubrazioni individuali che, nell'albero della conoscenza, finiscono in rami collaterali morti, non innescano peccati "originali" ma solo stupidaggini scontate.

Questa scaletta, che possiamo utilizzare per capire il problema a un primo approccio, è troppo semplificata, o, se si preferisce, a un livello ancora alto di astrazione. In realtà la conoscenza non procede a tappe, un risultato dopo l'altro: essa è una rivoluzione continua. Se procede per grandi balzi e grandi epoche, nondimeno è una concatenazione incessante di eventi che in dati svolti storici conoscono una esplosione, ma solo come se si scatenasse una forza che si è accumulata lentamente. Ognuno di noi ha alle spalle una storia di migliaia, milioni di anni, anche se non ne è immediatamente cosciente. Attraverso ognuno di noi agisce questa storia e perciò ognuno di noi agisce anche per le generazioni future. Per questo ognuno di noi non può essere portatore individuale di conoscenza. Noi abbiamo una vita piuttosto breve, ma la specie non conosce questo intervallo, la specie ha una storia continua. È in questa storia che le Tesi della Sinistra indicano di lavorare per la rivoluzione.

L'individuo di massa e il suo rovescio

Nell'incontro dell'anno scorso abbiamo già cercato di capire insieme che cosa significasse realmente per Bordiga il termine invarianza. Collegandoci alle definizioni e ai processi delle scienze in fisica e in matematica, avevamo detto che il marxismo rimane invariante anche se variano coerentemente "le grandezze in esso contenute". Ciò significa che l'invarianza non è garantita solo dalla conservazione dei libri ma dalla elaborazione del loro contenuto in altri libri, con tutte le conseguenze legate al lavoro necessario per far questo. Non si trattava per la Sinistra di fare lavori nuovi e scrivere libri nuovi, ma di lavorare per la conservazione del patrimonio teorico trasportandone il contenuto invariante in una elaborazione ulteriore.

Il problema che si pone a chi vuole lavorare in armonia con la rivoluzione in potenza non è fissarsi su uno dei due corni del dilemma amletico, cioè non elaborare più, ripetere semplicemente - come diceva Amadeo - oppure elaborare in continuazione e giungere a sempre nuovi risultati. Le due affermazioni vanno prese insieme e vanno collegate a tutte le altre questioni di metodo che devono governare la nostra attività. Quando si dice: bisogna ripetere, bisogna cancellare l'io che ci spinge a inventare tutti i giorni, occorre capire che si proclama una verità collegata ad una situazione reale e che questa verità per noi non ha nulla a che fare con la mistica cristiana o buddista che vogliono annullare la personalità in Dio o nell'Universo. Dopo diecimila anni di vita di classe l'uomo singolo ha curiosamente sdoppiato sé stesso come uno schizofrenico sociale; da una parte ripete come un deficiente quello che gli inculca la classe dominante, dall'altra raggiunge il vertice storico dell'individualismo credendo di essere il centro del mondo e il padrone assoluto del libero arbitrio. Proprio mentre è schiacciato dalla più pesante massificazione che l'umanità abbia mai conosciuto, l'individuo di massa immagina di essere "creativo". Non a caso i creativi sono quei tipi che, impiegati nel campo della pubblicità, cercano di dire delle cose "nuove" che abbiano la caratteristica di colpire il cervello individuale della maggioranza statistica della popolazione, ovvero lo spazio in cui più alligna il "vecchio" luogo comune, l'idiozia di massa (13).

La condizione dell'individuo schizofrenico borghese si supera quando siano negate le sue caratteristiche: quando cioè non si ripetono più come dei deficienti i temi dell'ideologia borghese e quando la si smette di pensare di essere il centro del mondo e di dominare il proprio libero arbitrio. La molla che fa scattare negli individui il meccanismo di abbandono dell'ideologia borghese non è indagabile. Non perché abbia qualche qualità misteriosa e per principio inconoscibile, ma perché inerente all'universo di determinazioni minute che non è neppure utile conoscere per avere una conoscenza dei processi umani.

Sta di fatto che l'abbandono dell'ideologia borghese comporta l'adesione a qualcos'altro. Questo qualcosa non può essere un'altra ideologia, perché quella che domina è una sola; non può essere una qualche forma di agnosticismo perché queste forme fanno parte dell'ideologia borghese. Per chi abbandona l'ideologia borghese vi è solo una via: l'adesione al programma rivoluzionario. L'abbandono di una via per aderire all'altra è prodotto determinato che varia da individuo a individuo, come varia la comprensione e il coinvolgimento nei confronti del programma rivoluzionario, ma sempre ci si trova di fronte ad una situazione che esclude la "scelta". Si può dire che al programma rivoluzionario non si "aderisce" neppure, ci si trova oggettivamente "dentro", nel senso descritto da Marx. Il comunismo è davvero quel demone di cui non ci si può liberare se non assoggettandovisi incondizionatamente. Infatti, se l'adesione al programma fosse prevalentemente di carattere soggettivo, se fosse cioè frutto di una "scelta" operata secondo il libero arbitrio, ci troveremmo di fronte ad un fatto assimilabile alle "scelte culturali" che furono oggetto di un'aspra battaglia da parte della Sinistra nei confronti del PSI degli anni precedenti la Prima Guerra Mondiale.

Diciamo dunque che l'individuo al programma non aderisce ma ne è catturato. Quando ciò succede l'individuo di massa si trasforma nel suo contrario: l'individuo

"dimentica, rinnega, si strappa dalla mente e dal cuore la classificazione in cui lo iscrisse l'anagrafe di questa società in putrefazione e vede e confonde sé stesso in tutto l'arco millenario che lega l'ancestrale uomo tribale lottatore con le belve al membro della comunità futura, fraterna nella armonia gioiosa dell'uomo sociale" (14).

Beh, diciamo che ciò avviene a diversi gradi, che oggi l'anagrafe del capitalismo putrefatto pesa ancora qualcosina sulla possibilità, per il militante comunista, di confondersi con l'armonia dell'uomo futuro. Ma per ogni militante, finché rimane tale, il salto è fatto: egli, catturato dal demone, diventa un "utensile vivo" della rivoluzione, in grado di applicare tanta o poca energia non importa, sarà la situazione generale a deciderlo. Allora ogni militante trasformato nel contrario dell'individuo massificato borghese ha due caratteristiche opposte a quelle di quest'ultimo: non è più un individualista perché si confonde nella specie; non è più massificato perché va a far parte dell'avanguardia rivoluzionaria. Il termine si è alquanto logorato per via dell'uso spropositato che se ne è fatto, ma è quello che usa Marx nel Manifesto e non è possibile cambiarlo senza inventare qualche parola nuova. L'avanguardia rivoluzionaria ha già in sé, certo in modo impercettibile dai singoli, una caratteristica tipica del partito sviluppato: la possibilità di contrasto delle influenze del mondo borghese, primo livello di ciò che abbiamo chiamato il rovesciamento della prassi.

Così il militante svolgerà attività nella classe o a contatto di essa nell'unico modo possibile: facendolo invece di discuterne. Lo farà nella massima sicurezza di far bene, se rimarrà legato al programma, perché non mancherà di influenzare chi lo circonda e fargli sentire la necessità della rivoluzione, anche se questo non significherà avere immediatamente un seguito organizzato. Se incomincerà a porsi troppe domande sul perché, sul come, sul quando, sul se ecc., inventandosi dubbi a catena e teorie che chiamerà "questione sindacale", non farà che dimostrare una titubanza teorica e pratica, distruttrice della tattica e della prassi marxiste. Denuncerà con questo di non essere ancora abbastanza assoggettato al demone comunista, ma di volere a tutti i costi partecipare come individuo alla costruzione di ciò che non si costruisce, cioè la lotta di classe, sia nelle sue espressioni economiche, sia nelle sue espressioni politiche.

Quando non esiste il partito sviluppato l'avanguardia, per carità, è quella che è, ma la sua possibilità di inserirsi pienamente nella linea del partito storico dipende dall'interazione dei due fattori che ne determinano l'esistenza: il fatto di essere prodotto della storia e il fatto di incominciare ad agire al livello di rovesciamento della prassi. I concetti di partito storico e partito formale "non sono in opposizione metafisica" e la rivoluzione vincerà quando e perché avrà saputo risolvere la contraddizione apparente tra il contenuto (programma) e la forma (forza, prassi, azione fisica). Trarre da questo la conclusione che occorre agire per sviluppare il partito è troppo; trarre la conclusione che non serve agire è troppo poco. La rivoluzione libera le forze produttive dalle loro catene, quindi agire significa liberare, assecondare, favorire elementi che esistono, non certo creare elementi che non esistono, questo è il concetto che sta alla base del nostro rovesciamento della prassi.

Rovesciamo l'individuo di massa aderendo al Manifesto anche tenendo un atteggiamento coerente nei confronti degli altri: ci siamo stufati di tutti quei partitini saccentelli che sembra non abbiano altro da fare che pontificare sull'ortodossia altrui. Chi ha fatto il salto, chi si mette realmente a lavorare per la rivoluzione perché così determinato, è prima prodotto della situazione che fattore, è prima esaminato che esaminante, esaminato dalla stessa situazione che l'ha portato nella sua nuova condizione. È il rivoluzionario che deve dimostrare di saper conquistare la fiducia di chi lo circonda, che coinvolge altre persone con l'esempio della sua azione rigorosa, che deve sottoporsi all'esame dei fatti e di quanti lo circondano, potenziali elementi conquistabili alla rivoluzione. Non c'è un prima e un dopo nello svolgersi dell'attività rivoluzionaria, abbiamo visto che il ventaglio dei compiti è a 360 gradi, ma è certo che la verifica materiale di idoneità delle avanguardie è un processo dinamico che può prendere lungo tempo, e il rovesciamento della prassi operato dal partito sviluppato, l'applicazione della volontà ai fatti economici e sociali, nello schema di Amadeo viene per ultimo. Ciò è corretto: nello schema generale marxista il passaggio dal regno della necessità a quello della libertà è la rivoluzione, e il regno della libertà, della progettazione sociale, viene dopo la dittatura del proletariato.

Il periodo che sta per aprirsi è quello in cui gli esaminatori saranno esaminati, speriamo che l'individuo e il suo omologo, il partito-individuo, vadano a farsi fottere.

Teoria, prassi, ripetizione e ripetenti

Allora, ripetere o non ripetere in attesa messianica che il Verbo si incarni e dia inizio al Giorno del Giudizio, cioè al Rovesciamento della Prassi? Il baffuto esaminatore che ironizzava a questo modo è già stato esaminato. La potenza di Stalin e della sua ombra, non scalfita dal pubblico processo del '56 alla persona, è ora nelle condizioni che tutti sanno. Il grande esperimento materiale di "socialismo" non ha retto alla prova della teoria: i "dogmatici", gli "attendisti", i "fossili" del marxismo hanno vinto, costruzioni che sembravano giganti storici si sono sgretolate. Chi ha vinto? Le idee? Mettiamola così, alla Marx: le idee = teoria marxista = dimostrazione teorica di un assioma scientifico. L'assioma non ha ancora la sua verificabilità pratica, ma è dimostrata una volta di più la possibilità del socialismo vero attraverso la critica di quello falso, che è capitalismo a tutti gli effetti. Il demone ci prende, occorrerà che ci si assoggetti un po' di più ad esso favorendo il suo lavoro da vecchia talpa sui fatti materiali. Non c'è altro modo per vincerlo: le mezze misure sarebbero spinte verso il fronte avversario.

Fra poco affronteremo il tema dello studio e del lavoro sulla società capitalistica attuale e sul suo futuro, ma prima soffermiamoci un momento sulla questione della teoria e della prassi, sulla vecchia critica che da sempre ci rivolgono: "Siete dogmatici, non avete capito che la teoria non è un dogma bensì una guida per l'azione". Sembra che una frase del genere l'abbia detta anche Lenin, ma non l'abbiamo mai trovata nelle sue opere. Comunque ci servirà per introdurre il tema successivo.

Noi rifiutiamo di pensare che il dogma sia privo di valore scientifico nel percorso della conoscenza umana: la scienza precedente a quella di oggi, come la religione e la filosofia sono impregnate di dogmi; esse hanno seguito la concezione totemistica e animistica, tipiche del periodo in cui l'uomo era e si considerava tutt'uno con la natura circostante, non avendo ancora imparato a dire "Io" nell'accezione attuale. Affermare che il marxismo non è un dogma ma una "filosofia della prassi" ci fa fare un passo indietro nella storia, insieme con Gramsci che ha coniato questo modo di dire.

Il marxismo è la scienza delle cause e delle leggi che regolano la prassi umana in tutte le sue epoche, non solo quella capitalistica. La prassi umana, della specie, non quella degli individui presi singolarmente. Il comportamento sociale comprende certo gli individui, ma essi sono veicoli di azione e conoscenza, non ne sono in alcun modo generatori. Il comportamento sociale diventa a sua volta un fattore dei processi storici, in certi periodi un acceleratore della loro dinamica, ma non è mai alla base dello studio critico, bensì all'ultimo posto, l'elemento finale di cui la ricerca si dovrà occupare. L'ingresso sulla scena della volontà espressa dalle classi sociali quando i tempi sono maturi per il cambiamento e, in senso stretto del partito rivoluzionario, rappresenta il rovesciamento della prassi.

Le teorie, e fra esse i dogmi, sono sorte socialmente quando è stato necessario raccogliere in un tutto significativo delle regole che non erano per nulla campate in aria ma rappresentavano una scienza utile all'azione umana, utile per rompere dei vincoli che impedivano alla storia di balzare in avanti. Un dogma ha mosso le crociate, quindi gli scambi, quindi il mercantilismo, le repubbliche marinare, il capitalismo e lo Stato moderno. Il dogma è tradizione condensata, esperienza di attività sociale; ma anche normativa etica che impedisce alla sovrastruttura di agire a casaccio. E allora i dogmi sono, dal punto di vista marxista, delle guide per l'azione.

Dire: il marxismo non è un dogma ma una guida per l'azione è un nonsenso.

Il marxismo non è assimilabile a un dogma, essendo scienza di una classe sociale, scienza non fissata da regole etiche o ideali ma scaturita dalla dinamica che porterà questa classe ad emanciparsi e a eliminare tutte le classi. Il marxismo è la teoria su cui si basa l'azione della classe guidata dal suo partito, quindi è una guida per l'azione. Sia il dogma che il marxismo sono allora guide per l'azione. L'insieme delle due frasi unite da quel ma è di utilizzo ambiguo e va bene per altri, non per i marxisti. Per criticare il dogma bisogna perlomeno essere arrivati alla sua altezza. Il marxismo l'ha superato, i critici del marxismo autentico sono ancora alla forma religiosa del dubbio pre-dogmatico. Il marxismo è comprensivo della conoscenza precedente, quindi il marxista fa bene a ripetere quando non abbia la possibilità di elaborare. Chi non è ancora giunto all'altezza delle cose che critica è un ripetente di luoghi comuni, incapace di passare il classico ponte degli asini.

Bisogna vedere se è vero che il marxista conseguente quando ripete fa proprio solo quello. Noi neghiamo che sia semplicemente così. Un uomo solitario davanti allo specchio che reciti a memoria il Capitale di Marx certamente non rende un grande servizio alla rivoluzione, a meno che non stia imparando a memoria perché un Grande Fratello, in un'epoca di Tallone di Ferro, si è messo a bruciare i libri rivoluzionari come in Fahrenheit 451. La ripetizione per tramandare ai posteri ha già uno scopo. La ripetizione per allargare i soggetti della conoscenza anche. In questo caso lo scopo prevede più interlocutori e questi non possono che interagire fra di loro, criticarsi o giungere a ulteriori commenti o elementi di ricerca; siamo già ad una elaborazione. Di più: costituendosi una doppia direzione, abbiamo già una dinamica a risultato positivo, perché la discussione non può che collegarsi alla dinamica delle cose e quindi non può che portare a verifiche successive, selezioni, delimitazioni, riconoscimento di errori ecc.

Come è detto in Proprietà e Capitale, quando c'è difetto di dottrina si assorbono altrui dottrine, quando c'è difetto di volontà, si subìsce l'altrui volontà. È la storia del movimento operaio, la storia terribile della Terza Internazionale fino al collasso del cosiddetto socialismo reale. Ma tutto ciò ha comportato anche una reazione, si è profilata un'arma critica, un ulteriore passo in avanti teorico utilizzabile da nuove generazioni di militanti che la trasformeranno in critica delle armi. Davvero, la rivoluzione non si ferma mai.

Feedback

Quando c'è un'attività che coinvolge più uomini c'è comunicazione. Anche l'attività di un uomo solo, se non si tratta di attività primarie come respirare, mangiare ecc. è legata alla comunicazione, perché l'attività umana è lavoro e il lavoro è il risultato ultimo di un'attività sociale precedente. A parte il fatto che respirare, mangiare e altre attività fisiologiche sono legate ormai a fatti sociali; l'aria è più o meno inquinata, il cibo non è certamente quello raccolto in ambiente vergine ecc. Gli spaghetti all'amatriciana hanno dietro di sé una storia di comunicazione, lavoro, così come ce l'ha un libro o una macchina utensile. Risalire indietro nel tempo alla ricerca dell'origine del lavoro, quindi della comunicazione e del linguaggio ci porta all'australopiteco e a un processo dinamico dove riusciamo ad individuare non tanto una data per la storia ma un'azione reciproca, retroazione, feedback, tra l'uomo e l'oggetto cui egli dà forma. Tale azione reciproca si estende fino a superare il contatto fisico con l'oggetto, che a tutta prima rappresenta la semplice estensione di un suo organo (dente, unghia, braccio, pugno). L'oggetto viene lanciato, poi costruitoper altri e così via, fino alla nascita della società, fino alla modifica progettata dello spazio circostante; diciamo un periodo di quattro milioni di anni. L'uomo è giunto alla società e allo spazio progettato dentro cui vive in un continuo processo di retroazione. Come lo strumento ha fatto la mano, cioè l'organo biologico, la società, lo spazio in cui l'uomo vive fanno l'uomo sociale. Non riusciremo mai più a strapparci di dosso le conseguenze di questo processo e la prossima evoluzione della specie non sarà di tipo biologico, interna al corpo, ma esterna, di tipo sociale (15).

Noi siamo continuamente in contatto con la memoria della nostra specie. La nostra attività e di coloro che ci hanno preceduto è regolata da questa memoria. Non dobbiamo più insomma continuamente scoprire l'acqua calda, ripercorrere strade già percorse e questo ci serve per risparmiare energie, evitare discorsi inutili e movimenti inconsulti. Molte cose sono formalizzate e le affrontiamo in modo automatico, senza pensarci troppo su; in poche parole ripetiamo in continuazione ciò che è stato memorizzato tramite schemi o meccanismi che permettono di tramandare la conoscenza. Questi schemi o meccanismi sono suscettibili di miglioramento e ciò comporta una sequenza irreversibile nella storia dei nostri atti. Non ci troveremo mai più nella situazione di quelle antiche civiltà che scompaiono per millenni, finché non ne viene scoperta la memoria negli strati archeologici.

Il marxismo, non essendo un'invenzione, libera dalla montagna di conoscenze memorizzate dalla specie umana quelle che sono utili per descrivere e comprendere la società attuale, quindi quella futura, perché se esiste una sequenza storica delle conoscenze come dei fatti, allora esiste la possibilità, se si sono scoperti gli strumenti adatti, di vedere nel futuro il proseguimento di tale sequenza. Non abbiamo più la scusa per dire che il futuro sociale è inconoscibile e d'altra parte abbiamo demolito quell'altra scusa che fa dire ai più: il futuro sarà sempre così perché l'uomo è così.

In fondo i rivoluzionari sono degli "esploratori nel domani" che hanno superato le ingenue fantasie degli utopisti e basano le proprie previsioni su dati di fatto reali. La società futura scaturisce dalla realtà di oggi, per questo bisogna conoscere quest'ultima per conoscerle entrambe.

I compagni tedeschi ci hanno fatto notare che nella loro lingua esistono più parole per definire la realtà e questa ricchezza di espressione può aiutarci ad illuminare un po' la via nel lavoro che stiamo facendo. In tedesco realtà in generale si dice Realität, mentre sarebbe propriamente reale soltanto ciò che produce effetti, e che è indicato con la parola Wirklich. Ebbene, la realtà è vasta, ma il compito dei rivoluzionari comunisti è quello di indagare nel futuro indagando specialmente sulla Wirklichkeit, quella "parte" della realtà che produce effetti utili alla transizione nella società futura. Questo è precisamente il lavoro che ci siamo messi in testa di intraprendere.

Siamo in buona compagnia. Bordiga in un articolo, dopo aver citato la celebre frase di Marx sull'umanità che non si pone se non quei compiti che può assolvere, dice testualmente:

"In questo senso noi 'prevediamo'. Il socialismo è dunque per noi un fine, un compito, ed anche una collettiva volontà, in quanto possediamo oggi tali dati che ne fanno, sulla strada del processo del divenire, una certezza (...) Lo scolastico sosteneva di poter predicare del suo dio non solo l'esistenza, ma la sostanza; egli non dimostrava solo quod est (che egli esiste) ma quid est (ossia che cosa egli è). Di più: dalla nozione dei suoi attributi voleva trarre la logica prova della sua esistenza. Il marxista dialettico non fa della società futura un mito, ma ben sa che non potrebbe provare quod erit (che essa verrà) se non potesse stabilire quid erit (che cosa essa sarà, che caratteri avrà). Tale il nostro rapporto con la inferiore visione utopista" (16).

Come l'uomo si è formato biologicamente e intellettualmente attraverso l'applicazione del lavoro per mezzo quindi di una "accumulazione" biologica che l'ha liberato via via da condizioni inferiori, così la nostra conoscenza procede attraverso una continua retroazione rispetto ai risultati raggiunti, si libera dal presente in trasformazione solo indagandolo a fondo e traendone dati che, reimmessi nella conoscenza già acquisita, non solo l'aumentano quantitativamente ma qualitativamente, rendendo noti i dati del futuro. Quando intraprendiamo un lavoro di questo genere, infatti, interagiamo con l'oggetto di esso, lo liberiamo dalla sua apparenza, ma ce ne facciamo trasformare, liberiamo noi stessi. Per questo la dinamica del lavoro "aperto" a 360 gradi è indispensabile per introdurre la dialettica nella banale concezione corrente del meccanismo di retroazione. La superiorità del lavoro collettivo sul lavoro individuale si dimostra non tanto con l'argomento da saggezza popolare che "l'unione fa la forza", quanto con il dato di fatto che l'informazione contenuta nel "sistema" aumenta più che proporzionalmente con l'aumentare dei nodi della rete conoscitiva. Attenzione, non con l'aumentare del semplice numero delle persone. Il numero conta, ma non è essenziale; possono esservi diecimila persone che lavorano in modo disorganico e la conoscenza non per questo è quella del singolo moltiplicata per diecimila. Diecimila persone possono essere veicolo di una conoscenza pari a quella del singolo.

Il problema è un altro. Il lavoro organico stabilisce dei collegamenti, opera delle concatenazioni che hanno analogia con il modo di funzionare del cervello. Si sa che il cervello non accumula memoria come un hard disk di computer, nozione dopo nozione, dato su dato; esso, al contrario, acquisisce conoscenza proprio perché collega i dati singoli attraverso sistemi di relazioni. Sappiamo che si sta tentando di riprodurre artificialmente questa prerogativa, ma ci sembra che siamo ancora molto distanti da risultati concreti.

Dunque sistemi di relazioni, di dati correlati in concatenazioni che permettono agli elementi semplici di dare, insieme, un risultato più grande di quanto non sia la loro somma. La stessa cosa scopre Marx quando nota che nella storia dell'accumulazione si passa dal lavoro individuale a quello associato, poi da questo al lavoro sociale propriamente detto, quel modo di lavorare che, pur non essendo prerogativa della sola società capitalistica, ha già preparato le basi per la società futura (17).

Si credeva che l'occhio fosse una specie di macchina fotografica o telecamera con obiettivo, diaframma, piano sensibile ecc. Non è affatto così. L'occhio umano ha una possibilità di definizione molto più grossolana, per via della sua relativamente semplice costituzione. Ciò che risulta veramente complesso è il modo di trarre dati estremamente dettagliati da una rilevazione grossolana della realtà. Ciò avviene attraverso lo sdoppiamento della visuale che dà la percezione tridimensionale, il movimento che permette di costituire sequenze, l'elaborazione del cervello, che ricostruisce una immagine perfettamente aderente alla realtà anche se l'occhio non ha potuto captarla così com'è. Ogni individuo ha una percezione troppo grossolana della realtà per poterne dire qualcosa di interessante. Solo in relazione con altri individui in un contesto sociale gli è permesso di non essere bestia e, al limite, egli avrebbe relazioni indirette anche se vivesse da eremita con i suoi ricordi e i suoi sogni oppure con dei libri, che sono raccolte di ricordi e sogni altrui.

In termini di lavoro organico noi dobbiamo raggiungere il risultato che precisamente è raggiunto con il lavoro sociale e, nell'esempio che abbiamo appena fatto, è raggiunto dall'occhio come organo non separato dal resto del corpo. Tale risultato è raggiunto da qualunque sistema che tragga dalle relazioni tra i suoi componenti più di quanto potrebbe dare un componente singolo, più di quanto potrebbe dare la somma aritmetica di tutti i componenti (18).

Note

(1) Vedere anche Il rovesciamento della prassi nella teoria marxista, specie ai punti 1-2-3 e 8 in Partito e Classe, ediz. Programma comunista pag. 120.

(2) K. Marx, "Il comunismo e la Augsburger Zeitung", 16 ottobre 1842, Editori Riuniti, Opere Complete vol. I pag. 218.

(3) Cfr. K. Marx, Introduzione a Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, inizio 1844, Op. Compl. cit. pag. 197.

(4) Si intende per fenomeno lineare un sistema in cui siano conosciute le condizioni iniziali da cui si possano trarre tutte le informazioni necessarie per la conoscenza del suo passato e del suo futuro. L'esempio più semplice è il moto dei pianeti dei quali è possibile conoscere la posizione avanti o indietro nel tempo a piacere.

(5) In Il Programma comunista n. 4 del 1953.

(6) Cfr. la nostra Lettera n. 30 nella parte dove si analizza l'azione degli Stati Uniti nei confronti di Germania e Giappone.

(7) Jorge Luis Borges, La biblioteca di Babele, in Finzioni, Einaudi.

(8) La "Cintura della ruggine" era particolarmente visibile alla metà degli anni '70 quando nella parte orientale degli USA era facile trovarsi a viaggiare fra centinaia di industrie siderurgiche chiuse e abbandonate.

(9) A. Bordiga, "Attivismo", in Battaglia comunista nn. 6 e 7 del 26 marzo 1952.

(10) Incontro del maggio '94 riportato sulla Lettera n. 30 intitolata "Dieci anni".

(11) L'informazione si misura in bit. Abbiamo un bit d'informazione quando ad una domanda ci viene risposto con un sì o con un no. I bambini fanno un gioco interessante: indovinare, tramite domanda con risposta sì-no, una parola pensata. Al contrario di quanto sembrerebbe intuitivamente, più si astrae o si generalizza la domanda più si abbrevia il percorso per giungere alla parola segreta eliminando il "rumore" di elementi indesiderati.

(12) Gli elementi separati di una realtà si dicono "discreti" con parola che è contrario di "continuo". Operare in scienza con dualismo fra le due categorie porta ai noti paradossi di Zenone: la freccia non può muoversi e Achille non raggiunge la tartaruga.

(13) Una piccola curiosità: il prefisso idio- vuol dire privato, particolare. I greci, popolo ancora legato all'essere sociale non degenerato, chiamavano idioti coloro che non partecipavano alla vita pubblica.

(14) A. Bordiga, "Considerazioni sull'organica attività del partito quando la situazione generale è storicamente sfavorevole", gennaio 1965, ora in In difesa della continuità del programma comunista, ed. Prog. com. 1970, disponibile presso Quad. Int.

(15) L'azione reciproca chiamata feedback, retroazione, non è da confondere con l'azione di risposta ad uno stimolo, cui la parola inglese viene applicata comunemente ma erroneamente. In un sistema che abbia un'azione di uscita rientrante nel sistema stesso, in grado di modificare l'entrata, si ha retroazione. Esempi classici si hanno nel regolatore di Watt, nel termostato o nei sistemi dinamici. La retroazione negativa smorza i dati in ingresso portando il sistema alla stabilizzazione, mentre la retroazione positiva li amplifica inducendo nel sistema fattori dinamici di squilibrio. Il termostato, il regolatore di Watt e i sistemi ecologici chiusi inducono all'equilibrio, mentre l'agricoltura (semina, raccolto maggiorato, risemina) e la produzione capitalistica (capitale, produzione-capitale maggiorato, reinvestimento) inducono a una dinamica squilibrata verso la crescita, al limite della quale deve presentarsi qualche fattore di rottura. Ma il concetto di retroazione possiede un significato più profondo. Engels, nella Dialettica della natura, lo applica al lavoro umano che è nello stesso tempo prodotto e fattore dell'uomo. La dinamica evolutiva dell'uomo si basa evidentemente su di una retroazione positiva; non procede verso una "destabilizzazione" dell'organismo biologico, bensì verso una rottura definitiva del vecchio rapporto con la natura (dalla necessità alla libertà, rovesciamento della prassi). Una trattazione scientifica del problema si trova ne Il gesto e la parola di Leroi-Gourhan, ed. Einaudi, dove l'autore tratta specificamente della liberazione progressiva dell'uomo, attraverso l'attività materiale nel tempo e nello spazio, dai vincoli imposti dalla natura. Il rovesciamento dell'idealismo è ottenuto, in Leroi Gourhan, attraverso la dimostrazione che il processo evolutivo ha prima interessato tutto il corpo umano a cominciare dagli arti inferiori e per ultimo il cervello. Testo non marxista ma raccomandato.

(16) In Drammi gialli e sinistri della moderna decadenza sociale Ed. Quad. Int.. pag. 161.

(17) Marx chiama "manifattura organica" quella in cui la divisione del lavoro permette la contemporanea esecuzione di centinaia di operazioni che confluiscono infine nel prodotto finito. Ogni fase permette l'utilizzo di lavoro medio sociale, quindi di qualità più semplice di quella del precedente lavoro artigiano; ma il risultato finale è il prodotto di una conoscenza complessiva, di una qualità più alta del processo. Questa non si vede necessariamente nella qualità del prodotto singolo, che può essere più scadente di quello dell'artigiano, ma nel risultato sociale, che invece non è comparabile, dato che non è solo "di più", ma è "altra cosa". Nella grande industria Marx vede "gli elementi costitutivi di una società nuova" (Il Capitale, Libro I, cap. XIII - 9).

(18) Speriamo che queste affermazioni non inducano qualche lettore in vena di approfondimento a chiedersi se per caso non siamo entrati in lizza nell'eterna quanto inutile polemica tra riduzionisti (meccanicisti) e antiriduzionisti (olisti). Noi siamo fuori da simili contese. Siamo con Galileo quando afferma che quando si studia un fenomeno occorre liberarlo da tutte le complicazioni accessorie (ma è l'uomo a stabilire qual è l'accessorio); siamo con Marx quando afferma che da questa necessità di astrazione dei particolari, ci si deve portare al generale concreto in quanto "unità del molteplice". Oggi riduzionismo e olismo non sono quasi più, rispettivamente, bandiere del materialismo meccanico e dell'idealismo perché l'indagine scientifica impone una sempre più labile distinzione fra le barriere epistemologiche. Per il marxismo esisterà una scienza sola e Bordiga, per non utilizzare il termine idealistico, dice che, in quanto marxisti, noi siamo "monisti" ("Relatività e determinismo", in Il Programma comunista n. 9 del 1955.

Lettere ai compagni