31. Demoni pericolosi (2)
I giganti, i nani e la patristica rivoluzionaria
Tutto quello che è stato fatto e registrato dalla memoria storica dell'umanità prima di noi serve come trampolino che ci permette di fare il salto successivo; ma non tutto viene abbandonato nel nostro salto, vi sono degli invarianti che saltano con noi nel presente e vi rimangono. Se abbiamo questa scala storica che, nonostante i suoi balzi e le sue stasi rappresenta comunque un'ascesa continua, non possiamo togliere il gradino di sotto, crollerebbe tutta la costruzione. Ecco perché scherzosamente Amadeo, in una riunione che stiamo cercando di trascrivere e pubblicare in un contesto omogeneo di altro materiale, dice: può darsi che si trovino più elementi per sostenere la nostra visione materialistica del divenire della società umana nella Bibbia o in un testo metafisico che non in un testo scientifico odierno. E legge alcuni passi della Genesi per dimostrare il materialismo di Dio contro la metafisica del titubante Abramo e, nello stesso tempo, dimostrare l'inconsistenza degli argomenti di un sedicente scienziato sovietico che sulla Bibbia si basa per le sue farneticazioni.
Ciò è abbastanza normale. Il testo scientifico odierno scaturisce da ambienti governati da interessi generali e particolari. Una ricerca può essere influenzata o addirittura intrapresa solo perché vi sono dei fondi stanziati a favore di camarille di potere. Gli interessi generali sono quelli che servono a dare alla classe dominante più fiato per sopravvivere, ma anche quelli particolari hanno la loro influenza quando riguardano carriere universitarie, maneggio di miliardi ecc. Nonostante tutto, noi indaghiamo in mezzo a questo pattume per liberare da esso tutto ciò che rappresenta un sintomo anticipato della rivoluzione, una capitolazione ideologica della borghesia di fronte al marxismo.
La borghesia non ha nessuna intenzione, naturalmente, di fare concessioni al suo nemico storico, ma è costretta a venire sul nostro terreno per la semplice ragione che i fatti materiali procedono verso il comunismo e non possono non esistere già ora elementi di transizione.
Abbiamo tenuto una serie di riunioni sull'argomento, raccogliendo materiale per dimostrare che questo non è un nostro assunto, ma una precisa indicazione di lavoro trasmessaci da chi ci ha preceduto. Le riunioni sono state registrate, troveremo il tempo per sistemarle e pubblicarle.
Recentemente è finito sulle bancarelle dei libri vecchi un testo molto interessante per noi ed evidentemente poco interessante per il mercato e quindi per l'editore che, giustamente, se ne è disfatto permettendoci di acquistarlo a poco prezzo. Si tratta di alcuni articoli del matematico francese René Thom in difesa del determinismo e degli articoli di risposta prodotti dal vespaio sollevato nell'ambiente dell'indeterminismo corrente (19).
Ora è chiaro che prendendo in mano un testo del genere sappiamo di non trovarvi certamente materiale della nostra scuola, ma vi scorgiamo tra le pagine un qualcosa che vi si collega: vi riconosciamo per esempio alcuni argomenti utilizzati da Bordiga nel "Filo" su Einstein, diamo ragione al borghese che casualmente, goccia nel mare, denigrato nel suo stesso ambiente scientifico, riesce a discernere il filo materialistico che risulta utile ai fini della propria ricerca sui fenomeni complessi, scagliandosi senza tanti complimenti contro certi aspetti dell'ideologia dominante pur senza trattarla come tale. Non sappiamo se Thom è un metafisico o un materialista, ma si schiera col determinismo, non finge il dialogo, non fa il democratico, non intende sottoporsi ad un confronto di idee, non mette ai voti il risultato delle sue ricerche sottomettendosi alla maggioranza. Così facendo ci è subito simpatico, perché rappresenta un sintomo, un'avvisaglia di defezione dai ranghi della classe borghese.
Contro di lui si scaglia una decina di altri scienziati borghesi che difendono la posizione della classe dominante, per la quale, passato il periodo delle certezze rivoluzionarie di un Laplace, non si può assolutamente intravedere il futuro, meno che mai prevedere scientificamente le strade che vi conducono. Sono permeati dalla dottrina del dubbio, secondo la quale è fatica inutile cercare di capire quali siano le leggi soggiacenti ai fenomeni complessi; per essi risulterebbe scientifico basarsi sull'unica certezza esistenziale della statistica probabilità. Ma la statistica è regina dell'esistente indagato a posteriori, quindi una sola certezza offre: la speranza borghese che tutto rimanga così com'è. Dall'ambiente borghese stesso, però, ogni tanto scaturisce una voce contraria che contribuisce a minarne le fondamenta teoriche, una voce spinta dal maturare delle forze produttive che hanno bisogno di nuovi apparati d'indagine teorica. Questi sono i fatti fondamentali, i passi nel movimento reale che, secondo Marx, sono mille volte più importanti di una carrettata di proclami politici à la Proudhon.
Dopo le esperienze passate, che non è il caso di ricordare più dopo la carrellata dell'anno scorso, abbiamo cercato di riprendere, come siamo capaci, i metodi e i criteri di coloro che ci hanno preceduti. Che altro erano gli articoli Sul Filo del Tempo se non una indagine sugli invarianti della storia e, nello stesso tempo, sulla maturazione irreversibile delle forze produttive e di tutta la sovrastruttura? Nessuno pensa di rifare o proseguire i "Fili", non siamo in grado, dacché essi sono anche prodotto di un momento e di una lotta specifica, vera e propria opera scientifica e artistica nello stesso tempo. Ma se voi ci aiutate, raggiungeremo insieme risultati più completi. È questa una presunzione?
D'accordo, non siamo nessuno, ma accidenti, abbiamo ripreso il lavoro di una corrente che ci lascia un patrimonio inestimabile, come ci scriveva il vecchio "Todaro", scomparso anche lui dopo aver provato a far lavorare insieme i compagni ottenendo il risultato opposto (20). Ogni tanto, discutendo tra di noi, ricordiamo una aforisma di Newton cui siamo particolarmente affezionati. Noi siamo dei nani, in confronto ai giganti della scienza che ci hanno preceduti; ma se saliamo sulle loro spalle e utilizziamo così le loro scoperte, riusciamo a vedere più lontano di loro (21).
Newton non era per nulla un nano, e neppure chi ci ha preceduto nella storia della rivoluzione comunista. Ma se noi piccoletti riusciamo ad aggrapparci agli scaffali della biblioteca e a salire sulla catasta di libri in essa contenuti, riusciremo a vedere più lontano dei nostri predecessori. Il problema è di giungere sulle loro spalle e non rimanere impigliati nel risvolto dei pantaloni.
Un modo per farlo è raccogliere i libri, gli articoli, le lettere, i documenti, tutto il materiale che si trova e incominciare a studiarlo per trarne insegnamenti. Prima però bisogna avere il materiale, ordinarlo secondo determinati criteri, schedarlo, ripubblicarlo. Quando abbiamo incominciato ad avere una certa abbondanza di materiale nel nostro archivio si è posto subito il problema di come maneggiarlo, di come ritrovare nella marea di fogli quello che ci poteva servire.
Abbiamo studiato un po' il problema, ma su questo non c'era molto da scoprire: avevano già scoperto tutto i monaci che avevano dato una sistemazione ai testi sacri della Chiesa Cattolica. La Bibbia, i Vangeli e tutta la patristica sono trattati con indicatori che costituiscono una rete di rimandi utili per "navigare" nei testi e attraverso i testi. Oggi si usa molto parlare di ambienti ipertestuali, ebbene, non è un'invenzione dell'era del computer, ci avevano già pensato i preti.
La macchina moderna può rendere un ulteriore servizio, quello di eliminare l'operazione manuale della ricerca tra le pergamene e operare collegamenti tra contenuti in tempi brevissimi. Un archivio ben fornito trattato con i mezzi moderni sarà un formidabile mezzo di lavoro e di ricerca. Diciamo sarà perché stiamo parlando di ipotesi future. Forse non tutti si rendono conto della mole di lavoro che occorre per la preparazione di quanto avremmo in mente e purtroppo non disponiamo... di conventi e di certosini.
A tutt'oggi abbiamo digitalizzato materiale per circa trenta milioni di caratteri e ne abbiamo in cantiere per altri milioni. Trenta milioni di caratteri rappresentano grosso modo il contenuto di un centinaio di libri. Questo per quanto riguarda la stampa, cioè Quaderni, libri vari, Lettere ai compagni, corrispondenza, volantini, ecc. Possiamo digitalizzare tutto ciò che vogliamo, basta trovare l'energia da applicare, un archivio elettronico non ha teoricamente limiti. Bisognerà pensare a un sistema di navigazione in mezzo alle informazioni, sistema a proposito del quale è da una vita che insistiamo senza riuscire a metterlo in cantiere, e forse è meglio così, perché ciò dovrebbe obbligarci a passare direttamente a qualche forma di ricerca ipertestuale (22).
Forse a qualche compagno queste escursioni sembrano forzate e probabilmente inutili. Desideriamo tanto poco forzare le cose che parliamo di possibilità piuttosto che di realizzazione. Bisogna però convincersi di una cosa: nessuno ha mai avuto tanto disprezzo della conservazione del proprio patrimonio teorico quanto gli eredi della nostra corrente storica. Come partito stampavamo in sei lingue una decina di perodici più o meno "di battaglia" comprese alcune riviste, ma non esisteva un programma di stampa di tutti i testi della Sinistra. Non diciamo che dovremmo fare come certi faraoni che scolpivano i loro proclami sulle pietre più dure firmando: il faraone tal dei tali detta e scolpisce per l'eternità. Se siamo d'accordo con quanto detto finora, noi siamo la nostra storia ed è criminale lasciarla ai topi. Non abbiamo una raccolta organica dei testi della Sinistra e solo con molta fatica siamo riusciti a dar vita alla raccolta che va sotto il nome di Quaderni Internazionalisti, suddivisa per temi in modo da facilitare il lavoro dei compagni, in attesa del famigerato indice analitico o ipertesto che dir si voglia.
Alla fine della riunione parleremo sia delle difficoltà di reperimento del materiale, sia del problema del suo ordinamento e "gestione", come parleremo della necessità di una rivista politica con determinate caratteristiche legate alla qualità del lavoro che secondo noi è oggi necessario. Siamo convinti che il lavoro di raccolta della nostra memoria, del nostro patrimonio e dei documenti prodotti intorno ad esso, sia una delle principalissime cose che bisogna fare per riuscire a salire sulle spalle dei giganti e vedere più lontano di loro. Già oggi pensiamo di avere il più completo archivio esistente sulla Sinistra comunista, ma non basta, occorre che questo archivio diventi patrimonio comune attraverso i mezzi che oggi la tecnica ci mette a disposizione.
"Cultura", "lotta", rivoluzione in permanenza
Da quanto detto non si ricavi che intendiamo fare i notai della Sinistra. Ritornare genuinamente al marxismo significa lottare positivamente contro le tendenze che lo impediscono. E positivamente significa mettere in atto un lavoro pratico che neghi la prassi corrente. Quando i giovani socialisti di Napoli, intorno al 1911, iniziarono la lotta all'interno del PSI, denunciarono semplicemente che il partito aveva abbandonato le sue caratteristiche rivoluzionarie e che aveva trovato un suo equilibrio all'interno di questa società, ma la loro denuncia si trasformò in modo del tutto naturale in attività concreta, che vuol dire riunioni, giornali, organizzazione. Si trattò della negazione pratica di ciò che effettivamente succedeva all'interno del partito, un superamento reale dei limiti raggiunti dalla pratica rivoluzionaria in Italia. Il punto di partenza fu uno studio dei reali rapporti di classe e delle radici della "questione meridionale" cui non corrispondeva più l'azione del partito, impegnato nei blocchi elettorali e nell'azione sindacalisteggiante.
Il Partito Socialista, diretto dai massimalisti e dai riformisti, era legato alla tradizione relativamente recente dei rivoluzionari che avevano contribuito a gettarne le basi, i Costa, i Bignami, i Labriola. Ma l'insieme del partito, pur considerandosi marxista, aveva messo Marx in soffitta (La soffitta fu uno dei giornali giovanili di quel periodo) e i dirigenti preferivano lasciare i libri in biblioteca e fare altro invece di attingervi, salvo chiamare i giovani ad istruirsi, cioè a impadronirsi della cultura affinché fossero preparati per la rivoluzione.
I giovani del PSI avevano "capito" che un partito come quello cui appartenevano non avrebbe retto alla prova rivoluzionaria. In questo erano proiettati verso il futuro e i loro appelli insistevano proprio sulla formazione di un ambiente ferocemente anticapitalista in cui ogni militante fosse assolutamente indisponibile a compromessi con la società presente, blocchi, elezioni, culturalismo, meridionalismo piagnone.
Se si dovesse definire il senso profondo della battaglia della Sinistra all'interno del PSI, diremmo che è stata la battaglia per rivendicare la possibilità di conoscere che cosa sarebbe successo domani e che cosa sarebbe servito effettivamente per arrivare a una vittoria del proletariato in questo domani. Per giungere a un risultato del genere non potevano servire semplicemente delle chiacchiere e delle "posizioni" personali; doveva essere seguito un metodo ben preciso e quindi si doveva adottare quel rigore teorico che il partito aveva perso. Questi dovevano essere gli elementi basilari dell'attività rivoluzionaria. Non si rifiutava ovviamente la cultura o la lettura o l'apprendimento; si rifiutava l'utilizzo scolastico di questi elementi dell'attività di partito. L'assimilazione scolastica è semplicemente una memorizzazione sterile, fine a sé stessa, non ha nessun futuro; mentre la dinamica del lavoro di partito, della lotta di classe, può stimolare anche l'apprendimento teorico, che viene dopo. La conoscenza non deve essere libresca, tanto meno la conoscenza rivoluzionaria. Essa scaturisce da forze materiali che obbligano il corpo, e con questo il cervello, a muoversi e a lottare. La coscienza del proletario è l'istinto di appartenere ad una classe la quale ha un solo modo di esistere: o è classe per sé o non è nulla. Nell'ambito del proletariato l'individuo può assimilare conoscenza e formarsi coscienza soltanto nella lotta di classe e noi diciamo che la classe esce dalla pura esistenza statistica solo quando esprime il suo partito politico.
La Sinistra imposta la sua battaglia nel Partito Socialista nel 1911-12 e da questa battaglia scaturisce nel '21 il Partito Comunista. È uno degli episodi che dimostrano come le rivoluzioni critichino continuamente sé stesse. Una identica battaglia viene sostenuta dalla Sinistra nell'Internazionale già nell'anno di costituzione del partito e dura fino al 1926. Cambia l'estensione, l'epoca, la situazione mondiale, ma le questioni di fondo sono sempre quelle che guidarono l'azione della Sinistra contro le degenerazioni del Partito Socialista.
Il concetto di rivoluzione che critica sé stessa è di Marx e di Engels ed è equivalente a quello di rivoluzione in permanenza. Non indaghiamo adesso cosa intendesse Trotzky con lo stesso termine e tantomeno che cosa intendano i trotzkisti. Vediamo quale significato ci interessa dal punto di vista della "cultura" e della "lotta".
La cultura non ci dà le armi critiche sufficienti per comprendere il periodo storico: tutti i socialisti erano convinti che il Mezzogiorno d'Italia fosse arretrato perché ancora permeato di residui feudali o, nel migliore dei casi, che fosse bloccato nel suo sviluppo da caratteristiche peculiari, sociali, economiche, persino antropologiche. L'intelligenza politica e filosofica dell'epoca non faceva che sottolineare questi dati, e la "cultura" del partito, specie nel Mezzogiorno, li assorbiva, impostando il lavoro dell'organizzazione sulla specificità del Sud in generale e di Napoli in particolare. Naturalmente ogni area dell'Italia di allora si prestava a simili operazioni "culturali" e infatti a Torino prendevano piede le teorizzazioni dell'Ordine Nuovo con relativi risvolti pratici, mentre nella Padania si sviluppavano posizioni legate alla situazione e alla combattività dei braccianti.
La reazione a tutto questo era lo sviluppo di un sindacalismo rivoluzionario e attivistico che però, rimanendo nell'ambito del partito, finiva per essere più parolaio che, non diciamo rivoluzionario, ma anche solo attivistico.
La specificità delle condizioni in cui opera ogni organizzazione, teorizzata e sostenuta dall'intelligenza dei partiti di allora, dalla loro cultura, fu la tomba della rivoluzione in Europa. I partiti dell'Internazionale non riuscirono mai a sentirsi come sezioni del partito mondiale. Furono sempre e soltanto partiti nazionali federati, e anche federati malamente. La battaglia della Sinistra fu contro questa situazione e fu ininterrotta a partire almeno dal 1912. La Sinistra fu sconfitta e il movimento operaio conobbe una serie di disfatte. Scusate la sintesi estrema, ma dobbiamo arrivare alla rivoluzione in permanenza.
Disfatta della rivoluzione? Nella prima pagina del suo libro sul '48 in Francia, Marx dice:
"Disfatta della rivoluzione! Chi soccombette in queste disfatte non fu la rivoluzione. Furono i fronzoli tradizionali prerivoluzionari, risultato di rapporti sociali che non si erano ancora acuiti sino a diventare violenti contrasti di classe, persone, illusioni, idee, progetti, di cui il partito rivoluzionario non si era liberato prima della rivoluzione di febbraio e da cui poteva liberarlo non la vittoria di febbraio ma solamente una serie di sconfitte" (23).
Per quanto sia immensamente tragico ricordarlo, i fronzoli del vecchio socialismo che la rivoluzione si portava dietro negli anni che stanno a cavallo della grande Rivoluzione d'Ottobre, potevano sparire soltanto con una serie di sconfitte. Evidentemente i rapporti sociali mondiali non erano ancora maturi e la lotta di classe non si era ancora acuita al punto da influire stabilmente sulla teoria e sulla tattica della rivoluzione. Non appena il culmine fu raggiunto in Russia, intorno al 1920, diciamo con il II Congresso dell'Internazionale, la controrivoluzione incominciò ad agire a tutti i livelli producendo da una parte il fascismo e dall'altra lo stalinismo. I due fenomeni sociali non erano le due facce della stessa medaglia, come dicono i borghesi e i democratici, intendendo che erano espressioni di violenza sociale. Erano le due facce della stessa medaglia per un motivo molto più profondo: il fascismo rappresentava nello stesso tempo la repressione violenta delle lotte proletarie e la riorganizzazione dello Stato allo scopo di incanalare lo scontro di classe negli ammortizzatori dello Stato corporativo; lo stalinismo rappresentava lo strumento attraverso cui si legava il proletariato ad una competizione pacifica e democratica con le centrali del capitale, ad una accettazione di tutti i meccanismi della società capitalistica alla quale, in alcune aree del mondo, aveva semplicemente cambiato nome. All'Italia, alla Germania e alla Russia, dobbiamo aggiungere gli Stati Uniti la cui politica statale, dal punto di vista del sostegno al capitale, fu autoritaria e centralistica non meno che negli altri paesi (24).
La Sinistra comunista, che rivendichiamo come radice nostra, ebbe la possibilità di diventare ciò che è stata, cioè il punto più alto raggiunto dall'elaborazione teorica e dalla tattica marxista, in virtù del rapporto dialettico che aveva con la controrivoluzione. Prosegue Marx nello stesso testo citato:
"In una parola: il progresso rivoluzionario non si fece strada con le sue tragicomiche conquiste immediate, ma, al contrario, facendo sorgere una controrivoluzione serrata, potente, facendo sorgere un avversario, combattendo il quale soltanto il partito dell'insurrezione raggiunse la maturità di un vero partito rivoluzionario".
È la stessa tesi contenuta nel 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, tesi che sta alla base del giudizio storico dato dalla Sinistra sul fascismo. Non si può non pensare anche a Lezioni delle controrivoluzioni scritto un secolo dopo, dove si afferma che, se c'è la controrivoluzione, vuol dire che la rivoluzione, in potenza, c'è. Tornando a Marx, egli, a proposito del partito della rivoluzione, dopo aver affermato che in Germania occorreranno tempi lunghi per lo sviluppo rivoluzionario, in un indirizzo ai proletari tedeschi aggiunge:
"Ma essi devono fare l'essenziale per la loro vittoria finale chiarendo a sé stessi i loro propri interessi di classe, assumendo il più presto possibile una posizione indipendente di partito, e non lasciando che le frasi ipocrite dei piccoli borghesi democratici li sviino nemmeno per un istante dalla organizzazione indipendente del partito del proletariato. Il loro grido di battaglia deve essere: La rivoluzione in permanenza!" (25).
Certo, per Marx la rivoluzione in permanenza significava bruciare i risultati conseguiti man mano che la rivoluzione li raggiunge e nel mondo, all'epoca, le possibili tappe da bruciare (e non da raggiungere gradualmente!) erano ancora molte. Lo stesso concetto verrà ripreso nell'opera di Lenin. Sappiamo che in Russia la conquista del potere consegnò ai comunisti una situazione ambigua, "doppia": essi dovettero, in qualità di detentori del potere proletario, quindi come rappresentanti della rivoluzione comunista, farsi carico di problemi arretrati non risolti dalla rivoluzione democratica borghese, bruciata velocemente fra l'aprile e l'ottobre. Questi problemi presero il sopravvento e alla rivoluzione fu storicamente lasciato il solo compito capitalistico di far marciare l'accumulazione in tutto l'immenso territorio. Retrocesse insomma a "semplice" rivoluzione borghese senza avere più la possibilità di compiere un nuovo salto rivoluzionario, questa volta proletario puro.
Il risultato fu la degenerazione dell'Internazionale che divenne un mero supporto della politica internazionale russa. Che cos'era successo? Esattamente quello che abbiamo detto all'inizio: un'incertezza sulla dottrina significa assimilare le dottrine altrui, un'incertezza sulla volontà, quindi sulla possibilità di elaborare una tattica, significa adottare tattiche altrui. È ovvio che l'incertezza è dovuta a condizioni materiali, ma questo rafforza anziché indebolire la nostra tesi: il più grande esperimento di massa sul comunismo della storia, come lo chiamerebbe Marx, ha dato prova del suo preventivato fallimento ma, nello stesso tempo, ha contribuito a rafforzare la sua antitesi, per ora a livello potenziale: la teoria rivoluzionaria. I tempi della rivoluzione non coincidono con il tempo biologico degli uomini che la vivono. Noi consideriamo la controrivoluzione come un grande, unico 18 brumaio che la rivoluzione ha perfezionato al solo scopo di abbatterlo meglio (26).
Riconoscere la rivoluzione che lavora
La rivoluzione, però, lavora in modo molto pratico e tutti ne assimiliamo i contenuti, anche se, in via generale, non in modo cosciente. In questo processo la teoria ricava le sue verifiche e ne trae conseguenze pratiche. Quando parliamo di potenziale rivoluzionario usiamo questo termine appunto perché le idee di cui parla Marx (i demoni che è impossibile dominare se non assoggettandosi ad essi, insomma la teoria) in mancanza di polarizzazione sociale non conquistano i cervelli di coloro che dovrebbero essere gli utensili vivi della rivoluzione, ma solo quelli di sparse avanguardie (troveremo mai, un giorno, un termine meno sputtanato?). Nello schema di Bordiga sul rovesciamento della prassi non siamo ancora alle freccette che indicano l'influenza rivoluzionaria come agente in senso inverso all'ideologia dominante (27). Esistono oggi anche solo barlumi di questo processo? Ed è possibile assecondarli con un'azione in regola con il concetto di rovesciamento della prassi?
La linea che separa il volontarismo da un'azione che sia coerente con l'assunto delle Considerazioni citate è, come abbiamo visto, contenuta nella frase "nella misura in cui i rapporti reali di forze lo consentono". Non per nulla abbiamo usato il verbo "assecondare". Si tratta di sapere se la rivoluzione che lavora ad aumentare la pressione del vulcano produce effetti visibili e, se sì, individuarli, capire se coinvolgono individui o gruppi, impostare un lavoro di "liberazione" di questi effetti dai legami con l'ambiente capitalistico.
Il panorama sociale fotografato oggi dai nostri occhi non sembra dei più entusiasmanti. Se alla luce di questa fotografia dovessimo rispondere secco secco alla domanda posta nelle nostre Tesi: qual è dunque la situazione oggi? non avremmo dubbi nel formulare la risposta nello stesso modo e con le stesse parole: è la peggiore possibile. Quindi non cambiamo una virgola alle conseguenze che bisogna trarne: è esclusa ogni possibilità di influenzare la situazione (oltretutto, come andiamo ripetendo da anni, occorre avere il senso della misura e del ridicolo); non si lanciano appelli al proletariato, il quale oggi se ne frega di noi e di tutti i gruppetti variamente sinistri.
Dunque la situazione è ancora la peggiore possibile. Ma intanto sono crollati sia il Muro di Berlino che il colosso sovietico, mentre la ricostruzione postbellica e la successiva stabilizzazione sono ormai un ricordo. Tutte queste cose sono collegate fra di loro e, seguendo le catene di fatti collegati, possiamo aggiungere anche altri aspetti peraltro da noi previsti, come il punto morto a cui arriva l'imperialismo nel momento in cui, nella sequenza storica dei paesi che guidano l'imperialismo (Venezia, Portogallo, Spagna, Olanda, Inghilterra, Stati Uniti, ricordate?), non vi è successione possibile agli Stati Uniti. A meno di non aspettarsela da Cina, India o Russia, ipotesi piuttosto fantastica per via dei tempi necessari e, soprattutto, per via delle condizioni materiali che dovrebbero verificarsi affinché diventasse possibile un'accumulazione conseguente in quei paesi. Teniamo presente che nella successione storica un paese imperialista scalza l'altro e non è ipotizzabile marxisticamente un imperialismo a guida "vacante", è solo ipotizzabile una crisi storica dell'imperialismo in generale di fronte alla rivoluzione.
Da ciò non è lecito dedurre che l'imperialismo sia diventato una "tigre di carta" come dicevano i maoisti negli anni '60. Non era vero allora e non è vero oggi. L'imperialismo maggiore è oggi in grado di far vedere i sorci verdi a chiunque come e peggio di prima, come ha ben dimostrato la Guerra del Golfo, e non è detto che i missili siano la sua arma più potente (28).
Proviamo a commentare l'arcinota introduzione di Marx a Per la critica dell'economia politica alla luce di quanto detto. In fondo è lo stesso Marx che ci indica la famosa scaletta come "risultato generale al quale arrivai e che, una volta acquisito, mi servì da filo conduttore nei miei studi".
"Nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita" (29).
La sovrastruttura è multiforme, caotica, apparentemente indecifrabile per chi si accingesse a ricavarne le leggi che la governano. D'altra parte è così perché non è generata direttamente dalla struttura economica, altrimenti sarebbe la sua trasposizione perfetta in termini politici ecc. La sovrastruttura è condizionata in generale, dice il testo, dal modo di produzione. Questo significa che la sovrastruttura si adegua al modo di produzione e, siccome esso cambia nel tempo, adeguandosi lo segue, nel senso che la sovrastruttura cambia dopo il modo di produzione. La sovrastruttura potrebbe portarsi dietro caratteristiche dei modi di produzione precedenti, e ciò succede effettivamente.
Questa naturalmente non è una legge, ma l'osservazione deve essere accettata in base al fatto che Marx indica questa sequenza: 1°, forze produttive in sviluppo; 2°, modo di produzione; 3°, sovrastruttura. Il modo di produzione da fattore di sviluppo si tramuta in catena per le forze produttive; rivoluzione sociale; adeguamento della sovrastruttura. Ne consegue che il primo fattore da tener d'occhio non è la sovrastruttura, che è ambigua, mutevole e soggetta alle leggi della complessità; non è il modo di produzione, che è storicamente dato, ma è lo sviluppo relativo delle forze produttive.
Perché relativo? Per la semplice ragione che il modo di produzione è invariante per tutta l'epoca durante la quale esiste e, per il capitalismo, ormai per tutto il mondo, mentre lo sviluppo delle forze produttive è incessante. Osservazione relativa, quindi, al grado di maturità del modo di produzione, e questo grado di maturità oggi lo chiamiamo imperialismo. Allora, primo punto fermo: l'imperialismo è l'ultima fase del modo di produzione capitalistico, la fase suprema, secondo Lenin. Di più: è capitalismo di transizione, un modo di produzione morente. Quanto tempo la bestia ci metta a morire non si sa, dipende dai rapporti di classe, ma ogni indagine in questo senso può solo basarsi sul primo elemento fra i tre disponibili: lo sviluppo delle forze produttive.
"A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi si erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo" (30).
Lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche è dunque l'unico aspetto trattabile scientificamente. Marx vuol dire che se ne possono trarre indicazioni quantitative misurabili, cioè formalizzabili. Marx lavorava con il livello di formalizzazione raggiunto nella sua epoca, oggi estenderebbe di più il campo d'indagine perché la stessa borghesia ha ormai accettato in campo scientifico che vi è una dialettica fra il quantitativo e il qualitativo, entrambi formalizzabili. Questa accettazione formale è nuova per la borghesia (data da circa trent'anni), ma l'unità dialettica fra il qualitativo e il quantitativo è già utilizzata ampiamente da Marx in modo discorsivo, e non solo là dove dice di civettare un po' con la dialettica hegeliana ripassata al vaglio del materialismo. Oggi sono conosciute formalizzazioni di fenomeni complessi, al tempo di Marx no. La differenza sta tutta qui, solo che la borghesia non ha nessuna intenzione di applicare le sue tardive scoperte al campo sociale e così non sappiamo se certe formalizzazioni applicate con successo in altri campi sarebbero valide in questo caso. D'altra parte, per ora, non abbiamo conoscenze sufficienti per dedicarci alla matematica dei fenomeni complessi, ma per ciò che dobbiamo fare il materialismo dialettico basta e avanza.
Vogliamo dimostrare che è possibile indagare a proposito dello sconvolgimento materiale delle condizioni economiche in atto e trarne delle conclusioni quantitative. Ma è in atto davvero tale sconvolgimento? E non stiamo per caso uscendo dall'ambito della "tradizione" della Sinistra? Guardiamoci bene in faccia. O facciamo come tutti gli altri, e allora non si capisce perché siamo qui invece di chiedere l'adesione a qualche "partito" tra i tanti esistenti, oppure riusciamo a penetrare veramente nel patrimonio che la Sinistra ha lasciato. Sappiamo benissimo che certe proposizioni tipiche della Sinistra sono trattate dagli epigoni più o meno come folklore. La Sinistra ha attraversato tre epoche del movimento operaio, ha una storia immane sulle spalle; quella della formazione dell'Internazionale, quella della battaglia contro la sua degenerazione, quella del suo superamento. L'ultima epoca non è stata capita. L'enorme importanza del lavoro scientifico di Bordiga è trattato alla stregua di un'originale contributo ai risultati raggiunti dall'Internazionale. Questo è un errore madornale. Bordiga non ha voluto aggiungere nulla alla storia di un'Internazionale morta da tempo, ha voluto salire su quel risultato per trovarsi più in alto, assimilarlo per operare quella negazione della negazione che è al tempo stesso affermazione del risultato più maturo.
Sappiamo benissimo che le nostre "novità", che peraltro attingiamo da testi di mezzo secolo addietro, sono avvertite dai più come un tremendo pugno nello stomaco. Ma non possiamo farci niente se non stiamo parlando della Russia del 1917 o dell'Internazionale del 1926. Stiamo parlando del contesto in cui sono maturate le riunioni di Forlì e quella di Genova, sono maturati Proprietà e Capitale e quei "Fili del tempo" ora raccolti sotto il titolo di Imprese economiche di Pantalone, sono maturate le riunioni che abbiamo chiamato Scienza economica marxista come programma rivoluzionario con tutti i testi che vi si collegano (31). Permettete ancora una citazione, l'ultima, dal brano che stiamo glossando:
"Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza".
La frase sembra piuttosto categorica e qualcuno potrebbe indebitamente trarne l'impressione che 1) la rivoluzione non c'è stata finora perché non sono sviluppate appieno le forze produttive e 2) che quindi occorre aspettare che lo siano per avere la possibilità della rivoluzione. Gravissimo errore dovuto alla lettura esclusivamente logica del testo.
Leggere bene: il testo si riferisce a qualsiasi formazione sociale, anche a quella capitalistica; nuovi rapporti di produzione non possono subentrare prima che siano maturate nella vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza; possono però subentrare dopo. È quanto la Sinistra va affermando da sempre: il cadavere ancora cammina. Riflettere su questo bel titolo di articolo, efficace anche se un po' macabro: si tratta di un cadavere, uno zombi tenuto in piedi dall'energia che solo il proletariato gli concede. Non cammina con le sue forze, ma con quelle della società nuova che lo investono e lo permeano. Le condizioni materiali di esistenza dei nuovi rapporti di produzione esistono già e si tratta solo di capire qual è il loro grado di maturazione. Non esiste nessuna possibilità scientifica di imbastire teorie sul preteso divario fra situazione reale galoppante e lotta di classe stagnante. Non vi è in effetti un ritardo della lotta di classe. La lotta di classe c'è, solo che per ora è latente mentre impera la controrivoluzione. Manca la lotta del proletariato in quanto classe per sé e questa mancanza lo inchioda alla condizione di classe per la borghesia.
L'unica cosa che non possiamo calcolare è la durata del periodo che passa tra l'avvenuta maturazione delle condizioni materiali di esistenza della nuova società e l'effettiva realizzazione della stessa; purtroppo questa è anche l'unica domanda che si pongono gli impazienti, i quali proprio per questo finiscono per prendere le illusorie scorciatoie degli opportunismi. Tutto il resto è calcolabile. Politicamente (e la Rivoluzione d'Ottobre l'ha dimostrato in un paese arretrato come la Russia) le condizioni per il cambiamento sociale sono mature nell'Occidente almeno dal 1871, data della Comune di Parigi. Dal punto di vista economico possiamo posporre la morte virtuale del capitalismo all'epoca della Prima Guerra Mondiale.
Rispetto ai coltivatori d'impazienza, dote che secondo Lenin è il contrario della virtù rivoluzionaria, noi siamo molto più curiosi. Non ci chiediamo soltanto quando ci sarà la rivoluzione, ma anche il perché e percome, non essendo tanto interessati al godimento dello spettacolo quanto alla soddisfazione di classe di avere le carte in regola con le leggi che regolano tutto il processo storico. La rivoluzione è possibile, ma non tutto ciò che è possibile si realizza. Allora la rivoluzione potrà non realizzarsi? No, perché il comunismo è un movimento in atto, quindi in fase di realizzazione.
Facciamoci aiutare un momento da Engels. Nella Dialettica della Natura, in un sottocapitolo intitolato Casualità e necessità (32), egli confuta sia i sostenitori del determinismo meccanico assoluto che i sostenitori del dualismo caso-necessità. Nell'affermare l'unità dialettica fra caso e necessità, cita Hegel a sostegno delle sue tesi e critica coloro che lo avevano messo in soffitta a causa dei suoi "paradossali giochi di parole, contraddittori assurdi" ecc. Ne deduciamo che Engels ci dà il permesso di utilizzare Hegel su quel problema (33). E mal ce ne incoglie, perché ci troviamo di fronte a qualcosa di veramente indigeribile, almeno nella forma di esposizione e almeno per noi che siamo più abituati ai cristallini ex discepoli. Si capisce bene, comunque, ciò che ci è essenziale nel tentativo di andare avanti con la spiegazione. Proviamo a dirlo con il linguaggio dei comuni mortali.
Nella realtà si verificano dei fatti, alcuni ritenuti casuali, alcuni determinati in modo evidente da cause ben definite: in entrambi i casi sono possibili in quanto si verificano. Il possibile è indagabile, ma non è detto che si realizzi, quindi abbiamo due aspetti del possibile: il primo è che, in quanto indagabile, è assimilabile a leggi; il secondo è che, in quanto non tutto sempre realizzato, è più ricco della realtà. Dunque il possibile, proprio in quanto possibile realizzabile, è anch'esso una realtà, solo che si trova a un livello più alto di quella che effettivamente vediamo tutti i giorni. Sembra di capire inoltre che, attraverso il possibile, si verifichi l'identità fra caso e necessità: infatti anche il fatto casuale è possibile. Hegel passa poi a trattare del rapporto causa ed effetto rifiutando il concetto che piccole cause possano creare grandi effetti: l'effetto non contiene niente che la causa già non contenga. Lenin annota:
"Ergo, causa ed effetto sono solo momenti dell'interdipendenza universale, della connessione universale, della reciproca concatenazione degli eventi, sono solo anelli nella catena dello sviluppo della materia (...) Hegel riconduce a pieno la storia sotto la causalità in maniera mille volte più profonda e più ricca di una folla di 'scienziati' odierni" (34).
Proviamo a riassumere in una sequenza ciò che abbiamo appena affrontato. I marxisti, in quanto esploratori del reale, sono anche esploratori di quel reale che chiamiamo possibile e delle sue motivazioni (leggi). Il singolo fatto possibile non è detto che si realizzi nella vita quotidiana (probabile) ma, nella connessione universale degli eventi, il possibile (comunismo) è determinato, che è come dire realizzato. Ed infatti lo troviamo realizzato già adesso, è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Ed infatti Marx parla di liberare le forze produttive dalle loro catene, e solo ciò che esiste si può liberare. Ed infatti noi diciamo che il capitalismo è morto, ma non esiste la morte di un modo di produzione senza che l'altro esista, un modo di produzione non muore mai prima che siano maturate le condizioni materiali di esistenza del nuovo. Ed infatti l'effetto (la società futura), non contiene niente che la causa (la società presente) non contenga; la differenza qualitativa sta nella negazione di tutti quei contenuti che vi compaiono rovesciati (no proprietà, no denaro, no salario, no sciupìo sociale ecc.).
Nello studio del "caos", si menziona molto l'esistenza, nel campo della complessità, di sistemi sensibili a piccole variazioni delle cause iniziali. Si tratta di un'altra forma del detto orientale secondo cui non può esservi battito d'ali di farfalla senza che succeda qualcosa dall'altra parte del mondo. Sembra così che piccole cause producano grandi effetti (la scintilla e l'incendio, la piccola turbolenza e il tornado, la palla di neve e la valanga ecc.), e che Hegel e Lenin siano in errore. In realtà è dimostrato che la "reciproca concatenazione degli eventi" non crea nulla che non esista già e il grande effetto risulta da spostamento o trasformazione dell'esistente.
Dalla pesantezza alla leggerezza
L'idolo moderno più adorato, contro il quale ci siamo scagliati tutte le volte che abbiamo potuto, è il famigerato PIL, il Prodotto Interno Lordo. Questa entità divinizzata è il fine ultimo di ogni attività economica e politica attuale. Capi di governo e di partito, sindacalisti e pennivendoli sono capaci di vendersi l'anima pur di trovare qualche ricetta che stimoli la loro audience, e nulla è più stimolante di qualche demagogica trovata per aumentare il PIL.
La sua definizione è "valore prodotto ex novo in un anno" ed equivale alla somma di tutti i valori dei prodotti finali, conteggiati una sola volta (cioè l'automobile finita e non anche l'acciaio prima che vi entri come materia prima). Esso si può calcolare in tre modi: sommando tutti i valori dei prodotti finali; sommando via via i prodotti parziali ma solo come valore aggiunto ad ogni ciclo; sommando i redditi netti ricavati in ogni stadio del processo di produzione. Il PIL è un indice puramente quantitativo dell'economia, quindi non dice nulla degli uomini, parla solo del capitale. Se tutti abitassero ad una distanza doppia dal posto di lavoro, aumenterebbe il disagio, ma ne beneficerebbe il PIL perché si consumerebbero più mezzi di trasporto, più carburante, più strade ecc. Se non si ammalasse più nessuno, se sparissero i ladri, se gli oggetti non si rompessero, crollerebbe il PIL.
Il PIL non è quindi un buon indice per misurare gli effetti qualitativi dell'aumento della forza produttiva sociale, non è il parametro che ci interessa per indagare sui limiti del modo di produzione che ad un certo punto si trasforma in catena dell'ulteriore sviluppo. Ecco perché dai dati economici forniti dalla borghesia noi abbiamo cercato altro che non l'andamento del PIL.
Mentre tutti i rappresentanti di questo modo di produzione si danno da fare per osannare o incrementare le quantità, bisogna spostarsi nel campo dell'arte per trovare qualche non-marxista che abbia la sensibilità di osservare quanto il mondo si stia spostando verso altre mete, verso la fine del "quantitativismo produttivo". Italo Calvino, in alcune lezioni preparate per una università americana poco prima di morire, notava che, se la prima rivoluzione industriale era avvenuta all'insegna della pesantezza, la seconda sta avvenendo all'insegna della leggerezza (35). Qui non facciamo della letteratura, parliamo di rivoluzione in corso. Se citiamo Calvino è solo per sottolineare che ciò che è negato alla scienza borghese, è accessibile all'intuito dell'artista per le stesse vie che portano il demone del comunismo ad impossessarsi degli uomini che ne sono lo strumento materiale. Del resto, nelle stesse lezioni, Calvino parla di molteplicità, quasi nello stesso senso in cui noi stessi utilizziamo il termine: una rete di relazioni che fa del mondo reale una unità che è arbitrario scindere in comparti separati.
Lo scrittore annota che è finita l'epoca pesante dell'acciaio con le sue immagini di gigantesche presse, laminatoi, altiforni e colate. Incomincia l'epoca leggera del software. Se la letteratura non gli basta per assicurarsi che non sta dicendo fesserie, egli si appoggia alla scienza e vi trova una conferma: l'uomo tende a svincolarsi dal peso di ciò che lo lega. Da Lucrezio a Newton, da Leopardi alla meccanica delle particelle, l'uomo è sempre stato in guerra con il peso che lo schiaccia. Abbiamo in Calvino la descrizione artistica del procedere umano, dall'evoluzione biologico-ambientale alla successione delle forme di produzione: le forme successive sono il risultato di una liberazione da vincoli che le forme precedenti ad un certo punto incominciano a stabilire. Non si costruisce, si libera, come Michelangelo affermava di voler liberare i suoi "prigioni" dalla materia marmorea inerte mentre essi stessi la forzavano contorcendosi in un saggio possente di energia. Si costruisce dopo, quando la volontà della classe rivoluzionaria vincitrice, attraverso il suo partito, rovescerà la prassi.
I nostri critici avranno di che sollazzarsi. Calvino! Uno che in gioventù è stato resistenziale e ha bazzicato con gli stalinisti. Orrore! Non ce ne importa un fico. I compagni seri leggeranno quell'opuscolo postumo e, come dappertutto, fosse anche in Sant'Agostino, vi troveranno qualcosa di interessante, cioè sapranno cogliere per via marxista la serie degli argomenti concatenati utili alla comprensione del mondo (36). Allora confermiamo la metafora calviniana: dal regno della necessità a quello della libertà, l'uomo si deve alleggerire di tutte le catene che ne bloccano via via lo sviluppo. E lo fa, inevitabilmente, l'abbiamo visto in Marx negli scritti che precedono il Capitale.
Il capitalismo espropria capitalisti tramite la concorrenza e la concentrazione, li riduce a classe superflua mettendo le loro funzioni nelle mani di funzionari stipendiati, diffonde il capitale in tutta la società al punto che vi può essere capitale senza capitalista e capitalista senza capitale, distrugge persino l'azienda trasformandola in realtà virtuale, elimina sempre più operai dal ciclo produttivo dimostrando che gli operai potranno fare a meno del capitalismo stesso... Ai fini del nostro lavoro si tratta "solo" di analizzare questo processo e di capire quali sconvolgimenti può comportare sul modo di produzione, quali effetti sociali produrrà. Si tratta di individuare in anticipo sia le tendenze che le determinazioni sugli individui un giorno catturati dal demone comunista. Non vorremmo destare sospetti di adesione troppo letteraria al testo "demoniaco" di Marx, ma vogliamo anche rendere chiaro il nostro distacco dal comunismo rozzo dei lanciatori di appelli al proletariato; insomma, non siamo tagliati per metterci a gridare periodicamente dalle colonne di un giornale frasi fatte del tipo: "Possa la classe operaia trovare il suo glorioso partito nella futura ripresa della lotta di classe!" È uno sport che non ci fa muovere di un millimetro, anzi, frustra l'intelligenza di quei militanti che dal demone sono magari conquistati ma che sulla loro stada trovano soltanto ciò che la situazione offre.
La smaterializzazione del capitalismo si osserva bene nel processo di finanziarizzazione. Un tempo nelle banche, nelle borse titoli e in quelle merci, venivano trattate quantità fisiche. Si spostavano lingotti e monete, si firmavano titoli di credito e veniva emessa moneta con garanzia materiale. Le azioni passavano realmente di mano tra azionisti che partecipavano anche ai consigli di amministrazione. Venivano effettuate transazioni che comportavano il passaggio di mano di effettive balle di cotone, sacchi di grano e vagoni di minerale. Già al tempo di Marx iniziava il processo di smaterializzazione, ma oggi si è raggiunto il parossismo. Sul numero totale delle transazioni di qualsiasi tipo, quelle che riguardano i movimenti reali, pagamenti per servizi resi o vendita di merci, sono nell'ordine di pochi punti percentuali. La moneta elettronica ha sostituito quella cartacea anche nelle transazioni minute, al supermercato, al distributore di carburante, in pizzeria (37).
Ma ciò finora ha riguardato la rappresentazione del valore, non il suo oggetto, che è la merce. Marx con la merce inizia il suo lavoro di indagine definitiva sulle leggi del capitale. Non ha importanza, dice, che la merce sia adatta a soddisfare bisogni materiali che nascono dal corpo o bisogni immateriali che nascono dal cervello. Non ha neppure importanza il modo in cui soddisfa tali bisogni, se direttamente come per esempio il cibo o un oggetto di godimento; oppure indirettamente come per esempio un mezzo di produzione. A questo punto Marx osserva che le merci sono merci e non oggetti qualsiasi, proprio perché confrontano sul mercato la loro diversità (non si scambiano abiti con abiti uguali), quindi sono prodotte da lavori diversi, in un certo assetto sociale che si caratterizza per una divisione sociale del lavoro. Continuando, egli dimostra che la caratteristica del capitalismo è di mettere in confronto merci che sono il risultato di lavori privati differenti ma si scambiano a livello sociale; dimostra inoltre che l'essenza del capitalismo è l'insieme della produzione sociale cui corrisponde l'appropriazione privata del prodotto.
Nel procedere all'identificazione del valore della forza lavoro in quanto merce, Marx deve passare attraverso ciò che chiama "carattere feticistico della merce", che consiste nel rimandare agli uomini, come uno specchio, l'immagine delle caratteristiche sociali del loro lavoro. Questo passaggio è importante, perché nella determinazione del valore di ogni merce, occorre che la merce sia prodotta da lavoro umano. Ma riportiamo il passo completo:
"Dunque, il carattere mistico della merce non trae origine dal suo valore d'uso né, tanto meno, dal contenuto delle determinazioni di valore. Infatti, in primo luogo, per diversi che siano i lavori utili o le attività produttive, è una verità fisiologica che essi sono funzioni dell'organismo umano, e che ognuna di tali funzioni, qualunque ne sia il contenuto e la forma, è essenzialmente dispendio di cervello, nervi, muscoli, organi di senso, ecc., umani. In secondo luogo, per ciò che sta alla base della determinazione della grandezza di valore - la durata temporale di quel dispendio, ossia la quantità del lavoro compiuto - la quantità del lavoro è perfino tangibilmente distinguibile dalla sua qualità... Infine, non appena gli uomini cominciano a lavorare in qualunque maniera gli uni per gli altri, anche il loro lavoro assume forma sociale [Corsivi nel testo]" (38).
Nessun cambiamento di ordine quantitativo potrebbe mettere in discussione queste frasi. È sempre una verità fisiologicamente indiscutibile che il lavoro è una funzione dell'organismo umano. Come è sempre vero che l'unico mezzo di misura del lavoro è il tempo in cui viene applicato, la sua quantità, che prescinde dalla sua qualità.
Nessun cambiamento di ordine qualitativo, parimenti, potrebbe scardinare i tre elementi rispecchiati dalla merce; la qualità deve sempre essere riportata ad osservabili (elementi che si possano misurare), quindi si può realmente accedere ad una verifica del carattere feticistico della merce proprio attraverso la sua invarianza: le leggi che ci permettono di definire la merce in quanto tale non variano con il progredire del capitalismo verso la sua fine. Ciò che varia è l'intero assetto sociale che sta intorno alla produzione di merci, mentre una parte sempre più cospicua delle merci si stacca dal lavoro fisiologico, viene prodotta una volta e moltiplicata all'infinito senza più l'intervento fisiologico dell'uomo.
Oggi un oggetto di largo consumo costa pochi secondi di lavoro. In un negozio millelire potete portarvi a casa un catino di plastica o un cavatappi a cremagliera che costano per il lavoro fisiologico iniziale ma che poi sono prodotti in milioni di esemplari senza che mano umana li tocchi più. E non è finita, perché il catino e il cavatappi si toccano, mentre incomincia a diventare significativo il mercato delle merci immateriali, che non si toccano.
Se vogliamo possiamo andare più in là, perché una grande quantità di lavoro fisiologico, nella società moderna, non produce più merce. In un paese come l'Italia vi sono quattro milioni e mezzo di salariati pubblici che lavorano nel campo dei cosiddetti servizi non destinati alla vendita, mentre gli addetti all'industria, compresa la trasformazione energetica, sono meno di quattro milioni. Viviamo cioè in una società in cui la quantità di lavoro applicato alla gestione di sé stessa (lasciamo perdere le finalità e l'efficienza) supera già di circa il 20% la quantità di lavoro applicato alla produzione delle merci e dei mezzi di produzione (non consideriamo la quantità di servizio svolto all'interno dell'industria per conto dello Stato: amministrazione fiscale, contributi, ecc.). I servizi non destinati alla vendita non sono da considerare come una merce, nemmeno del tipo che soddisfa bisogni della fantasia. Sono pagati dall'intera società e rappresentano un fenomeno non più assimilabile alla vecchia servitù, ma ad una attività sociale percentualmente importante già sottratta alla contropartita in denaro (39).
Tali attività sono percentualmente più importanti di quanto appaia nelle cifre fornite dagli istituti di statistica. Ogni passivo statale anche nei campi dei servizi destinati alla vendita come le poste, le ferrovie, i telefoni o le autostrade, gli ospedali, rappresenta un contributo a quello che Bordiga ha chiamato "esempio anticipato delle nuove forme". La radio non si paga in quanto merce ma sotto forma di imposta o tassa, i pompieri non si fanno pagare per spegnere gli incendi, né si fa pagare l'esercito quando interviene in servizio di "protezione civile" o nella difesa armata degli affari nazionali (40). Ciò che comunque dà l'idea della quota di attività sottratta al meccanismo dello scambio con denaro, non è tanto l'esempio singolo, quanto la quantità di plusvalore che, nella ripartizione generale fra Stato e capitalisti, viene adoperata a fini sociali. Fini sociali capitalistici legati alla conservazione di classe, certamente, ma sempre indicativi di ciò che potrebbe essere se non ci fosse il capitalismo.
Questo è un aspetto della modificazione profonda avvenuta nel capitalismo moderno: proprio mentre tutto si mercifica al massimo e aumentano i tipi delle merci possibili, esse vedono diminuita la loro capacità relativa di diffusione. Un altro aspetto è quello già accennato della smaterializzazione vera e propria di un numero sempre maggiore di merci, un tempo costituite da componenti materiali, oggi costituite sempre più da elementi impalpabili. Un primo esempio è il software. Esso non è una merce che soddisfa solo la fantasia e nemmeno una merce per la soddisfazione di un bisogno individuale: il software è un mezzo di produzione ormai molto diffuso, solo secondariamente è una merce di "consumo" individuale. La produzione di software non si sottrae alla "verità fisiologica" di essere prodotto tramite il dispendio di energia umana. Il fatto è che la sua riproduzione non richiede catene di montaggio, semilavorati che provengono da rami industriali indotti, materie prime in gran numero, stabilimenti con molti lavoratori cui estrarre plusvalore. Il software è prodotto da relativamente pochi uomini, ma ciò che più conta è che la sua riproducibilità tecnica non richiede altro intervento umano. Non è come un'auto o una lavatrice, è incorporeo e sta su un dischetto da poche lire riproducibile in milioni di copie.
Ciò per un mezzo di produzione è paradossale, proprio nella fase matura del capitalismo, quando l'importanza del settore primario nell'accumulazione è massima.
Anche il computer su cui il software si applica è un mezzo di produzione, a parte l'uso improprio come giocattolo domestico. Ma ha parti meccaniche ridicole rispetto a una pressa, a una macchina a controllo numerico, o alla parte meccanica di un robot. In genere parlando di calcolatori, specie sui giornali, si ricerca l'effetto e la meraviglia dell'interlocutore, ma è effettivamente vero che quarant'anni fa, un computer di potenza neppure paragonabile alla calcolatrice che oggi possiede qualsiasi bambino che frequenti le elementari, occupava una stanza, scaldava come una stufa e pesava alcune tonnellate. Anche il computer odierno è facilmente riproducibile in milioni di esemplari senza mettere in moto apparati produttivi giganteschi. Oltretutto si presta ad essere costruito con sistemi altamente automatizzati i quali a loro volta sono progettati con computer e costruiti con sistemi automatizzati.
Moltissime merci che un tempo richiedevano molto lavoro e materia prima si producono adesso con mezzi completamente automatici e con pochi pezzi. Si confronti un televisore odierno con uno di dieci anni fa, o una radio, un impianto Hi-Fi: sembra che siano vuoti. Gli orologi e le radiosveglie ormai li mettono come regalo nei fustini di detersivo. Molte merci, come le calcolatrici tascabili o i notebook, hanno cessato la loro corsa alla miniaturizzazione per il semplice fatto che l'uomo utilizzatore ha dimensioni non riducibili ed è costretto ad usare mani, occhi e movimenti in un campo strettamente dato.
Un altro esempio di merce smaterializzata è l'intrattenimento. Dal teatro al cinema c'era già una bella differenza, ma la televisione è realmente un'altra cosa. Dieci milioni di persone o un miliardo, se occorre, possono vedere un'unica pellicola. Per quanto si moltiplichino gli studi, le antenne, le nuove emittenti, rimane il fatto che da una sola emittente si possono raggiungere milioni di utilizzatori, con una sola copia della merce, del film trasmesso, dello spettacolo, dell'informazione. È vero che il guadagno d'imprenditore può essere più alto che in altri settori, ma l'industria tradizionale induceva effetti trainanti sull'insieme dell'apparato produttivo, mentre un'industria che produce merci non materiali può solo sviluppare sé stessa come grande "servizio" che produce altri servizi. Anche il servizio è merce, purché sia prodotto con salariati e venduto per denaro che permetta di realizzare il plusvalore. Ma, come non si può ricavare da un solo operaio che controlla un robot tanto plusvalore quanto se ne ricavava da cento operai (Marx), così non si può ricavare, in una società fatta di servizi, tanto plusvalore quanto se ne ricava in una società industriale, a meno che non si riesca a vendere i servizi a qualcun altro che abbia plusvalore in abbondanza.
Due fattori si combinano nel capitalismo odierno con effetti esplosivi, senza che sia cambiata una virgola nelle leggi che li regolano: da una parte l'altissima composizione organica (macchine e automazione) che ha effetti sul saggio di profitto e sul saggio di sfruttamento; dall'altra la produzione di merci immateriali che, a differenza di un tempo, non costituiscono più l'innovazione che permette di recuperare la forza lavoro lasciata "libera" sul mercato dalle macchine. La disoccupazione fluttuante nel tempo, caratteristica dei cicli di razionalizzazione del capitale, diventa disoccupazione stabile e crescente. Essa non segue più i cicli di accumulazione, cioè non aumenta in tempo di crisi per diminuire in tempo di ripresa, aumenta sempre.
La disoccupazione ha una definizione borghese da un certo punto di vista interessante: essa non è quasi mai assoluta, ma relativa, dato che i rilievi statistici registrano in effetti il tempo di ricerca di nuova occupazione. Ciò significa che il tempo di disoccupazione individuale si amplia perché agisce la speranza di trovare un posto alle condizioni salariali precedenti. Questa speranza è vanificata, quindi il disoccupato non è permanente purché si adatti ad un lavoro magari dello stesso tipo, ma meno remunerato.
Questa definizione statistica dimostra anche la legge della miseria crescente: l'aumento del saggio di sfruttamento e della composizione organica permette individualmente a qualche capitalista di "arricchirsi" sempre di più, ma solo a spese dei suoi concorrenti che chiudono; aumenta così la concentrazione monopolistica e aumenta il numero dei senza-riserve che impoveriscono sempre di più, facendosi concorrenza. Si capisce che questa è una miscela sociale esplosiva che, se non intervengono fatti nuovi, porterà a una rottura dell'apparente stabilità capitalistica in tutto il mondo. Ma quali fattori nuovi possono intervenire? Questa è la domanda angosciosa che si pongono i borghesi e alla quale noi implicitamente abbiamo già dato una risposta.
Si tratta di riuscire, con il nostro lavoro, a trasformare queste argomentazioni discorsive in dati certi e inconfutabili come formule matematiche.
Note
(19) Autori vari, Sul determinismo, Il Saggiatore.
(20) Riccardo "Todaro" Salvador fu espulso da "Programma" con tutta la sezione di Schio circa un anno dopo di noi. E' mancato all'età di 93 anni partecipando fino all'ultimo al lavoro politico. Finché ebbe la forza di scrivere, scambiò una fitta e affettuosa corrispondenza con noi, incitandoci nel lavoro. Dopo la disgregazione di "Programma" cercò, senza velleità, di unire i compagni. Non vi riuscì, ma ottenne di mantenere, almeno con noi, la discussione su un piano amichevole nonostante alcune divergenze, soprattutto di percorso. Negli ultimi anni era ritornato in "Programma". Vogliamo ricordarlo con la citazione da una sua lettera e invitiamo i compagni ad inserirla nel contesto di quella che stanno leggendo: "Non prendetemi per il solito sognatore perché ho un po' di esperienza riguardo il materiale umano e anche perché, come deterministi, sappiamo quanto pesino i fattori esterni. Sappiamo che i comunisti non si formano in vitro ma attraverso un travaglio del quale quasi sempre si acquista coscienza in seguito. Una cosa, però, secondo me, non dobbiamo dimenticare: quando il materiale è di buona lega, non è detto che lungo il percorso non possa essere indotto a commettere errori, ma, e questo è importante, ci sono molte probabilità che una volta conosciuto l'errore sia in grado di ritrovare la strada giusta. E per essere ancora più chiaro, non credo che dipenda solo dalla Bussola. Anche in questo caso dobbiamo essere pazienti, perché la Bussola, in mancanza del partito, è un privilegio di pochi (...) Il disinquinamento politico è molto più faticoso di quello ambientale" (3 genn. 1989).
(21) A Roma, dove abbiamo ripreso questo aforisma, i compagni hanno messo in dubbio che esso sia di Newton. Non siamo riusciti a rintracciarne la fonte, quindi il dubbio rimane.
(22) Ipertesto è il nome dato ai sistemi di ricerca organizzato secondo rami o reti di conoscenza percorribili in tutti i sensi. L'ipertesto introduce in un mondo di informazioni praticamente illimitato, nel quale qualunque porzione di qualunque veicolo informativo, come un testo, un'immagine, un simbolo ecc. può essere legata ad altre porzioni di altri documenti. L'ipertesto facilita l'aumento di conoscenza non solo sull'oggetto della ricerca, ma anche sul mondo collegato a quell'oggetto perché stabilisce delle reti di argomenti concatenati, collegati.
(23) K. Marx, Le lotte di classe in Francia, Ed. Riuniti pag. 89.
(24) Si afferma in genere che il New Deal rappresentò una politica keynesiana alquanto timida e inconseguente: ciò è vero solo in rapporto alla vecchia Europa il cui capitalismo è nato praticamente statale, e in rapporto al risultato finale conseguito sul vecchio continente. Ma l'intervento statale durante il primo anno del New Deal rappresentò una cura da cavallo per il giovane capitalismo americano: si incominciò, nel 1933, con il chiudere tutte le banche tranne quelle collegate allo Stato tramite il Federal Reserve System; fu varata una riforma agraria tesa a troncare drasticamente le eccedenze e a sostenere i contadini che riuscirono a evitare l'esodo biblico dalle campagne; fu varata una riforma industriale e del lavoro a sostegno della produzione giudicata incostituzionale e subito riattivata con nuove leggi; fu sperimentata una gigantesca programmazione regionale su larga scala nella valle del fiume Tennessee, un bacino idrografico più grande dell'Italia diviso tra Kentucky, Illinois, Tennessee, Mississippi, Missouri, Alabama e Georgia (la bonifica dell'Agro Pontino coinvolse 800 Kmq!), i cui risultati servirono per il successivo piano statale del '35 contro la disoccupazione; fu varato infine il sistema assicurativo sociale che, alla faccia delle lamentazioni italiche recenti, giunse ad assorbire fino alla metà delle spese federali non militari (56,8 su 104,3 miliardi di dollari nel 1970).
(25) K. Marx - F. Engels, Indirizzo del CC della Lega dei Comunisti, marzo 1850, Opere complete, Ed. Riuniti, vol X pag. 287.
(26) Cfr. K. Marx, Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, Ed. Riuniti, Op. Complete vol. XI, pag. 193.
(27) Cfr: A. Bordiga, Teoria e azione nella dottrina marxista, in Partito e classe, ed. Programma comunista 1972, schema a pag. 136. Disponibile presso Quad. Int.
(28) Cfr. il nostro Quaderno La Guerra del Golfo e le sue conseguenze e la nostra Lettera ai compagni n. 30, Dieci anni, seconda parte.
(29) Ed. Riuniti, 1969 pag. 5.
(30) Lenin, L'imperialismo, fase suprema del capitalismo, Op. Compl. vol. 22 pag. 301.
(31) La riunione di Forlì, del dicembre 1952, tratta del programma immediato della rivoluzione nell'Occidente sviluppato (in Per l'organica sistemazione dei principii comunisti, ed. Quad. Int.); la riunione di Genova, dell'aprile 1953, tratta delle rivoluzioni multiple in rapporto a quella occidentale; gli altri testi trattano del capitalismo di transizione di cui parla anche Lenin.
(32) Cfr. K. Marx - F. Engels, Opere complete, Ed. Riuniti, vol. XXV pag. 504.
(33) Cfr. G. W. F. Hegel, Scienza della logica, ed. Laterza 1974, vol. 2 pag. 213 e segg.
(34) Lenin, Quaderni filosofici, Op. Compl. vol. 38 pag. 149.
(35) Italo Calvino, Lezioni americane, ed. Garzanti.
(36) Un paio di volte, altrove, abbiamo citato Carlo Emilio Gadda a sostegno di nostre tesi, suscitando in alcuni compagni una bonaria ironia. Mentre cercavamo il riferimento di Calvino (cerchiamo sempre di non lasciare tutto alla memoria che inganna) abbiamo ritrovato, in un passo delle sue "lezioni", anche un intreccio con Gadda: "Cercò per tutta la sua vita di rappresentare il mondo come un garbuglio, o groviglio, o gomitolo, di rappresentarlo senza attenuarne affatto l'inestricabile complessità, o per meglio dire la presenza simultanea degli elementi più eterogenei che concorrono a determinare ogni evento (...) Ogni minimo oggetto è visto come il centro d'una rete di relazioni che lo scrittore non sa trattenersi dal seguire (...) Da qualsiasi punto di partenza il discorso s'allarga a comprendere orizzonti sempre più vasti, e se potesse continuare a svilupparsi in ogni direzione arriverebbe ad abbracciare l'intero universo (...) La passione conoscitiva riporta Gadda dall'oggettività del mondo alla sua propria soggettività esasperata". Qui Calvino cita direttamente Gadda il quale si scaglia con odio contro la propria soggettività che si contrappone al mondo oggettivo come una tortura: "L'io, io!... il più lurido di tutti i pronomi!... I pronomi! Sono i pidocchi del pensiero. Quando il pensiero ha i pidocchi, si gratta... e nelle unghie, allora... ci ritrova i pronomi: i pronomi di persona". Vedete un po': Calvino e Gadda, due nostri "avversari ideologici". Anche il grande Bordiga sapeva alleggerire, e quanto all'io dei battilocchi ha messo le cose a posto. Ah, compagni! c'è tanto da leggere e imparare nella biblioteca del partito storico...
(37) A proposito del denaro virtuale che usa chi vive del proprio lavoro, proponiamo ai compagni una riflessione sul seguente passo di Marx: "Ma se il Gray presuppone il tempo di lavoro contenuto nelle merci come tempo di lavoro immediatamente sociale, egli lo presuppone come tempo di lavoro comune, ossia come tempo di lavoro di individui direttamente associati. Così, infatti, una merce specifica come l'oro e l'argento, non potrebbe contrapporsi alle altre merci come incarnazione del lavoro generale, il valore di scambio non diventerebbe prezzo, ma non diventerebbe neanche valore di scambio il valore d'uso, il prodotto non diventerebbe merce e in tal modo sarebbe eliminata la base della produzione borghese. Ma non è affatto questa l'opinione del Gray. I prodotti dovrebbero essere prodotti come merci, ma non scambiati come merci". A tutt'oggi i prodotti continuano ad essere prodotti e scambiati come merci, ma il denaro ha perso la sua caratteristica di merce che si contrappone alle altre merci come oggetto fisico, oro o argento, come incarnazione del lavoro generale. Il lavoro stesso è effettivamente diventato lavoro generale. La base della produzione borghese non è affatto eliminata, ma la tessera elettronica in tasca al proletario è più vicina alla rapresentazione di una quantità di tempo di lavoro che alla rappresentazione di una quantità di oro, sia pure trasformata in un titolo su di esso, la moneta cartacea, o anche a una moneta senza copertura. Ci avviciniamo quindi allo scambio tra tempo di lavoro e valore d'uso senza il passaggio attraverso l'equivalente generale, fatto che, nella fase di transizione, rappresenterà una conquista già raggiunta e non un problema da risolvere. Ciò semplificherà le cose nel passaggio ulteriore, quando la disponibilità di valori d'uso sarà via via slegata dal tempo di lavoro (cfr. Dall'economia capitalistica al comunismo, di prossima pubblicazione presso i Quad. Int.)
(38) K. Marx, Il Capitale, Libro I cap. 1.4. ed. Utet pag. 149.
(39) Cfr. Proprietà e Capitale, cap. XV ed. Quad. Int. pag. 137.
(40) I pompieri, a differenza degli anni '50, oggi si fanno pagare alcuni interventi, e così vengono fatti pagare altri servizi come la sanità, mentre altri ancora vengono soppressi. Si potrebbe trarre la conclusione che ci si trovi effettivamente di fronte alla "demolizione dello stato sociale" denunciata da tutti gli immediatisti (ufficiali o fuori rango). Nella Lettera n. 29 abbiamo dimostrato che non è vero: il patto corporativo del 23 luglio 1993 tendeva a razionalizzare e ad aumentare, non a diminuire l'azione dello Stato a sostegno del sistema produttivo e sociale. Va da sé che questo potrebbe essere fatto solo con un aumento del plusvalore estorto e con una sua ripatizione più efficiente ma noi neghiamo che nuove forme di keynesismo siano possibili.