31. Demoni pericolosi (3)

La scienza è un macigno, non una pillola (41)

Da tempo cerchiamo di presentare, nel modo più conciso e semplice possibile, il lavoro che stiamo facendo intorno alle formulazioni di Marx con l'utilizzo di un apparato matematico che ha spaventato molti compagni. Questo lavoro è iniziato da ormai una dozzina d'anni, ma permangono i problemi nel capirne le motivazioni e il filo conduttore. Quasi tutti i compagni trovano difficile questo tipo di argomento, cioè i meccanismi della riproduzione, il processo di accumulazione e così via, ma trovano ancor più difficile la sua esposizione matematica che, a rigor di logica, dovrebbe essere, invece, una semplificazione dei termini del problema che si vuole risolvere.

Non bisogna dimenticare che la teoria marxista è una scienza e, come tutte le scienze non è immediatamente accessibile senza studiarla a fondo. Non è da meno e anzi per certi aspetti è anche più difficile della fisica, della biologia o di altre scienze. La teoria marxista in questo aspetto, diciamo nel corpo centrale che è l'insieme di tesi e proposizioni che trovate nel Capitale, nell'Ideologia tedesca ecc., è scienza dei processi storici. Processo storico è, da un certo punto di vista, qualcosa di diverso da processo fisico. Un processo fisico genera una dinamica e tratta di corpi inanimati, un processo storico tratta di movimenti di classi. Il fatto è che sia l'uno che l'altro possono essere descritti in termini oggettivi.

La teoria marxista, in quanto scienza dei processi storici, è in grado di spiegare al proletario le ragioni profonde della sua lotta contro il capitale, e non solo questo. Essa è anche in grado di delineare nei suoi fondamenti la struttura del meccanismo di riproduzione nella società comunista. Non come idealistica rappresentazione mentale di pensatori geniali che poi dovrebbe riflettersi in una realtà futura - l'utopismo procede così - ma osservando quella che è la linea di sviluppo del modo di produzione capitalistico, giacché le basi materiali della società comunista si vedono appunto nell'alto grado di sviluppo delle forze produttive in questa società, un grado di sviluppo che è diventato letale per questa forma di produzione. Soprattutto vediamo il futuro non tanto osservando i particolari nazionali, ma l'enorme integrazione del mercato mondiale, dei sistemi di riproduzione nell'ambito di esso, integrazione che distrugge dal canto suo una società che è fondata sulla divisione in nazioni, e quindi sulla strutturazione a priori della riproduzione su basi nazionali.

Il mercato mondiale è dunque un elemento potente quanto la forza produttiva. In realtà è un aspetto dell'aumento della forza produttiva del lavoro, ma è un potente mezzo di distruzione, di dissoluzione dei rapporti di produzione esistenti. È proprio osservando questo mezzo di dissoluzione che noi possiamo delineare i caratteri generali della società comunista. Quindi non un sogno da pensatori, ma un'osservazione scientifica dello sbocco deterministico, necessario, una traiettoria che parte da lontano.

Si tratta in sostanza di questo: nella società capitalistica il valore si presenta come una forma trasfigurata del lavoro umano, una forma che determina una regolazione del meccanismo generale - una regolazione in senso tecnico, naturalmente - una compensazione violenta dei disequilibri attraverso le crisi, le guerre e così via. Nella società comunista, dove invece i rapporti tra i produttori associati sono chiari e il tempo di lavoro non si trasfigura in valore ma resta tempo di lavoro, è possibile decidere che cosa e quanto produrre in modo da ridurre al minimo la dispersione di lavoro umano, in ultima analisi di energia umana.

Questo non è un calcolo semplice. Se immaginiamo che cosa possa essere il meccanismo di riproduzione non suddiviso nelle due grandi sezioni, mezzi di produzione e mezzi di consumo, ma nei suoi dettagli sfera per sfera, e se osserviamo tutti gli intrecci tra queste sfere collegate, ci accorgiamo che siamo di fronte a un sistema piuttosto complesso da studiare, da mantenere in equilibrio. L'armonizzazione tra sfere diverse apparentemente indipendenti è un fatto problematico, specie nella fase di transizione. E comunque questo è l'obiettivo del partito comunista che in quel momento rappresenta la specie nel passaggio da una società all'altra. Il problema non è transitorio, esso si porrà anche nel comunismo sviluppato.

Come abbiamo visto, l'umanità non si pone se non problemi che è in grado di risolvere oppure la cui soluzione è comunque in divenire. Ai tempi di Marx i caratteri generali della società comunista non erano così visibili come oggi tendiamo a credere dato che egli ne ha parlato. Anche nei suoi testi ne troviamo frammentati qua e là, ad esempio in un paragrafo del I Libro del Capitale, quel famoso Il carattere feticistico della merce che non ha fatto dormire tanti lettori, oppure anche in Critica del programma di Gotha. Marx operava su materiale ancora in divenire, mentre oggi operiamo su materiale putrefatto; le sue anticipazioni sono veramente illuminanti su come si possa fare scienza anche con pochi dati disponibili; d'altra parte a quell'epoca non erano disponibili gli strumenti statistici di cui potremmo disporre oggi, solo l'Inghilterra forniva dati e nemmeno omogenei tra loro, dato che non esistevano standard economici di riferimento. Non esisteva la odierna fortissima integrazione del mercato mondiale, non esistevano i computer, non esistevano strumenti matematici in grado di poter descrivere un sistema complesso come è il meccanismo di riproduzione.

È sintomatico che oggi ci siano forze che si pongono il problema della rivoluzione non tanto in termini di programma insurrezionale, ma in termini già di rovesciamento della prassi, di applicazione integrale di elementi che abbiamo imparato ad esaminare già nel capitalismo. Ciò dovrebbe dare l'idea di quanto siamo distanti dalla Terza Internazionale, più distanti di quanto lo fosse Marx dalla Lega dei Comunisti nel 1860. Non che il problema della presa del potere sia passato in secondo piano, anzi. Ma oggi il capitalismo ci offre su un piatto d'argento soluzioni di transizione già pronte, mentre i nostri predecessori ne potevano soltanto scrivere.

Il programma comunista non è dato soltanto dalla strategia e dalla tattica per la presa del potere; è anche questo, ma è dato soprattutto dal "dopo", nel senso che individua gli strumenti e i criteri che guidano la trasformazione della società in senso comunista, cioè il fatto che rappresenta la vera e propria rivoluzione, nel senso di capovolgimento dell'attuale sistema dei rapporti di produzione. Ecco perché ci occorrono strumenti che si aggiungano e che in un certo senso vadano oltre quelli che furono a disposizione della Terza Internazionale. In Russia fu necessaria una grande battaglia politica accompagnata da misure pratiche in linea con tale politica. Dopo la rivoluzione, ma soprattutto dopo la battaglia Bucharin-Preobragenskij sulla cosiddetta accumulazione socialista, si pensò che l'economia pianificata, quindi meno anarcoide di quella di mercato, fosse facilmente formalizzabile secondo modelli di entrata-uscita di valore, secondo lo schema marxista, ma ciò non si dimostrò affatto vero. In primo luogo perché l'economia cosiddetta socialista non era altro che capitalismo di stato piuttosto rudimentale; inoltre perché il principale ostacolo non è nella soluzione dei problemi, ma nella loro corretta formulazione. I pianificatori furono sopraffatti dalle leggi di mercato che volevano imbrigliare.

Siccome c'era l'economia pianificata, si ricorse a sofisticati algoritmi, ma siccome c'era mercato, si ricorse alla raccolta ultraminuziosa di statistiche nelle quali annegava l'astrazione di partenza. Si ebbero quindi degli ibridi fra modello analitico e modello statistico che non potevano funzionare. Nonostante i russi avessero i migliori ideatori di modelli del mondo, la pianificazione sovietica si dimostrò un gigantesco fallimento (42).

Il nostro compito non è quello di ideare un modello x per la futura economia socialista, ma quello di non fare come i pianificatori sovietici. Si tratta esattamente di capire, sulla base del capitalismo inteso come processo dinamico, quali siano le forme e leggi del trapasso dall'economia capitalistica all'economia futura e formularle in modo esatto. Si tratta, precisamente, non tanto di risolvere un problema, ma di trovarne prima la corretta formulazione. Non tanto di far funzionare sulla carta un'economia ibrida, ma di far scaturire l'economia futura dalle ceneri di quella vecchia, perché, come dice Hegel, ciò che è reale è possibile e ciò che è possibile è reale (43).

La teoria marxista è una scienza e, come tutte le scienze, ha le sue difficoltà. Se ora ci mettessimo a parlare di fisica delle particelle ci sarebbero delle difficoltà notevoli sia da parte nostra che da parte di chi ci ascolta. Quando si parla di "politica" diventiamo tutti maestri. È un difetto tutto italiano quello di trattare temi complessi come si tratta del tifo calcistico. La teoria marxista non è una scienza meno difficile, o più elementare, o più superficiale di altre scienze. Di veri scienziati sociali nella storia mondiale del marxismo ce ne sono stati ben pochi.

Ma a ben guardare quanti teorici della fisica ci sono stati? Facciamo pure riferimento alla fisica, quella che è considerata oggi come la scienza per eccellenza. Quanti veri scienziati della fisica ci sono oggi? Dieci? quindici? Tutto il resto della massa dei fisici non fa altro che utilizzare le scoperte, le equazioni di quel piccolo gruppo. Una cosa è curare gli aspetti teorici, una cosa è applicarli. Ci sono dei compagni che si lamentano della difficoltà del quaderno sull'accumulazione. È vero, è alquanto ostico. Ma non è necessario che tutti si mettano a studiare matematica o semplicemente a leggere l'opera omnia di Marx ed Engels, di Lenin e di Bordiga nonché magari quella degli avversari per capire bene le storiche polemiche. Dato che non si può fare diversamente, com'è ben spiegato nelle nostre tesi, dobbiamo rassegnarci al fatto che il futuro partito avrà tra i suoi militanti pochi compagni in grado di formulare la fisica dell'economia di transizione, pochi compagni in grado di formulare la fisica dell'equilibrio ambientale, pochi compagni in grado di formulare la fisica dell'istruzione globale ecc.

Ci sarà un mucchio di gente invece che applicherà la ricerca contribuendo materialmente ad apportare nuovi dati per il suo affinamento. Nel lavoro di partito non sono affatto richiesti al militante la conoscenza completa e il lavoro sugli aspetti puramente teorici, di conoscere - facciamo un esempio - l'azione del tempo di rotazione sulla valorizzazione, o sapersela sbrogliare con i calcoli della riproduzione allargata. Chiaramente tutti i militanti dovrebbero conoscere almeno i fondamenti della teoria perché il compito principale è quello di utilizzare quei concetti per spiegare accadimenti, per darci una ragione dei fatti e trasmetterla agli altri nel nostro lavoro quotidiano, ciò che farà il partito a contatto con il proletariato. Utilizzare dei concetti è azione diversa dal formulare concetti. La scienza non è democratica perché la democrazia in natura non esiste. Questo è il grande insegnamento della nostra scuola anticulturalista.

Non possono non esistere aspetti diversi, almeno due, del lavoro di partito. In pratica il partito, essendo egli stesso scuola di militanza, deve sempre favorire nel giovane militante quelle che sono le sue attitudini: qualcuno sarà portato verso gli aspetti teorici, qualcun altro sarà più portato a scrivere dei begli articoli e così via... È un incidente storico, dicono le nostre tesi, che le differenze siano così marcate oggi, ma l'egualitarismo della militanza è una fesseria democratica.

Se parliamo di lavoro sui fondamenti teorici, non si può semplificare nulla. Come in altre scienze la semplificazione è cosa priva di senso, così è nel marxismo. Se discutiamo invece sul come far conoscere ai giovani certi aspetti teorici siamo d'accordo, ma stiamo parlando di altro. Nell'intento di farci conoscere si possono estrarre degli argomenti da un tutto complesso e presentarli dal punto di vista dello scopo che ha la ricerca, ma ciò non ha nulla a che fare con la ricerca stessa. Nell'ambito della ricerca ci può essere verifica e approfondimento, ma si scatta su di un altro piano. Questo lavoro di verifica lo facciamo in continuazione, l'abbiamo fatto tra noi stessi per capire fino in fondo ciò che stavamo elaborando. Serve a chi ascolta come, se non di più, a chi espone.

Nel normale lavoro di partito, che comprende l'elaborazione teorica, è prevista l'applicazione e la ripetizione dei concetti già elaborati, non è una novità. Se ci si muove nell'ambito della teoria senza sgarrare, difficilmente si commetteranno degli errori. Per come sono strutturate le scienze, essi sono praticamente impossibili. Ad esempio un fisico lavora con un certo corpo assiomatico, quindi sa che c'è la massa, il tempo, lo spazio, la velocità, e su quella base, su quel corpo assiomatico produce delle proposizioni che non escono da quella "casa" finché esigenze nuove non aggiungono qualcosa e ampliano la casa stessa. Se noi partiamo dal corpo assiomatico, dalla base che è il contenuto del Capitale, e lavoriamo esclusivamente su quel contenuto, non ci sarà mai la possibilità di uscirne e di arrivare a conclusioni errate. Per trarre conclusioni diverse da quelle di Marx, bisogna introdurre elementi diversi da quelli da Marx utilizzati.

La teoria marxista in quell'aspetto si comporta proprio come la fisica. Facciamo un esempio: sarebbe sbagliato dire che un lavoro teorico come quello di Rosa Luxemburg è errato perché mette in discussione gli schemi di Marx, oppure che il lavoro di Marx è sbagliato perché è messo in discussione dalla Luxemburg. Entrambi lavoravano all'interno dello stesso schema teorico di riferimento, quindi non potevano "sbagliare", come non "sbagliava" Bucharin nella critica alla Luxemburg. Non esiste una possibilità di "errore" di questo genere. Se tutti e tre hanno lavorato all'interno dello stesso sistema teorico di riferimento esiste solo la possibilità di portare a termine il semilavorato lasciatoci in eredità. La Sinistra voleva farlo, non ha potuto. Quando Einstein imposta la teoria della relatività non mette in discussione le equazioni di Newton, si mette sulle sue spalle; le teorie scientifiche sono sempre invarianti, il corpo assiomatico di base resta quello che è e non esiste la possibilità di uscire da questa casa se non costruendone un'altra più grande e precisa con i materiali delle precedenti.

Altra cosa è l'applicazione della teoria senza conoscerne a fondo le implicazioni in relazione alla realtà: io potrei essere un bravo ingegnere, conosco bene le leggi della fisica, costruisco un ponte, adopero materiali scadenti ed esso crolla. Analogamente un marxista. Per quanto bravo, per quanto conosca a menadito i fondamenti della teoria, se fa un'analisi su osservabili che non sono fondamentali la sbaglia. Questo può ben capitare, ma è un altro discorso, siamo su un altro livello, siamo sull'applicazione dei concetti teorici alla spiegazione di eventi reali indagati male.

Allora, il nostro lavoro è difficile o facile? Difficile, come tutte le scienze. Non sarebbe possibile, in pratica, prendere il Capitale e ridurlo a qualche altra cosa. Non si può, è così. È come se volessimo ridurre le equazioni di Newton a un'altra cosa più semplice. Ma il processo della conoscenza è un processo di approfondimento, penetra sempre più nel complesso. E su questo bisogna mettersi il cuore in pace, non c'è niente da fare: i borghesi lo chiamano progresso; noi la chiamiamo dinamica dei processi storici, dinamica dietro cui l'individuo arranca sbuffando, ma la specie umana cammina con sicurezza.

La curva dell'accumulazione

Abbiamo spesso detto che le nostre formulazioni matematiche sull'accumulazione non fanno che riprendere i concetti di Marx sullo stesso argomento. A ben vedere non si tratta semplicemente di questo. Non abbiamo solo preso quello che dice Marx traducendolo in formule. Cambia il formalismo, certamente, come cambia anche nella fisica, nelle altre scienze, dipende dagli strumenti che uno ha a disposizione. Marx aveva a disposizione l'analisi matematica e anzi aveva intrapreso studi per approfondirne la conoscenza personale giungendo a conclusioni poi verificate corrette dagli specialisti. Oggi abbiamo altri strumenti e cambia anche il formalismo; ma non si tratta semplicemente di dare una forma matematica a dei dati preesistenti.

Se noi prendiamo, ad esempio, la previsione che a un certo punto la massa complessiva del plusvalore e la popolazione operaia sarebbero iniziati a diminuire, questa è una "novità". Quando uscimmo per la prima volta con questa dimostrazione, essa produsse grande scandalo e tuttora ci sono compagni che sono scandalizzati da una cosa del genere perché Marx non l'ha detto, perché Bordiga non l'ha detto. La situazione in cui ci troviamo presenta effettivamente nuovi dati che potevano essere derivati da un punto di vista teorico. Dire, all'inizio degli anni '80, che sarebbe iniziato un processo irreversibile di diminuzione tendenziale del numero di operai occupati, quando tutti erano convinti che l'industrializzazione mondiale avrebbe comportato la trasformazione di strati maggiori della popolazione in popolazione operaia, era piuttosto temerario.

Ma questo e non altro scaturiva dalla nostra formalizzazione immessa nel primitivo computer utilizzato allora allo scopo per trarre le curve che avete visto sul Quaderno n. 1. Dodici anni fa avevamo degli indizi teorici, oggi ormai ne parlano tutti. Il fatto è visibile, i dati confermano in modo impressionante quelle che sono state le previsioni della teoria (44).

La sostanza di quel lavoro stava quindi nel vedere qual era la tendenza storica del modo di produzione capitalistico, quindi della curva di accumulazione. Ecco, quello è lo strumento primario che abbiamo a disposizione per studiare le grandi tendenze storiche espresse dalla curva di accumulazione. Purtroppo non abbiamo dati diretti sul valore; possiamo solo lavorare in modo indiretto sui dati disponibili, quelli che fornisce la borghesia, quelli che essa stessa usa per i suoi fini. Utilizziamo la curva degli indici della produzione industriale, per esempio, per delineare le grandi tendenze del capitalismo; sono dati parziali, però in qualche modo danno l'idea dell'andamento generale. Lo scopo del lavoro intrapreso allora era vedere gli effetti dell'aumento progressivo della forza produttiva del lavoro su questa curva di accumulazione. In tale contesto arrivammo alla dimostrazione teorica e pratica dell'affermazione di Marx che un operaio non potrà mai produrre tanto plusvalore quanto ne producono cento neanche se campasse di aria.

Con l'aumento della forza produttiva del lavoro aumenta il plusvalore estratto a un singolo operaio; se a questo punto aumenta anche il numero degli operai occupati sicuramente aumenta anche la massa del plusvalore complessivo; ma se a un certo punto comincia a diminuire il numero di operai occupati allora comincia a diminuire almeno tendenzialmente anche la massa globale del plusvalore. Ci si può chiedere: perché comincia a diminuire il numero degli operai? Perché il plusvalore estorto a un singolo operaio può aumentare solo sostituendo macchine a uomini. E quello che il singolo capitalista fa è per ragioni deterministiche in contraddizione con quello che sarebbe l'ideale per l'insieme dei capitalisti, per la società borghese. Il capitalista non può fare a meno di sostituire macchine o di ristrutturare, è un processo storico necessario, se non lo facesse verrebbe espulso dal mercato. Ogni capitalista ha questa esigenza e tutti assieme, così facendo, hanno portato la forza produttiva del lavoro a un livello tale che è incompatibile con la produzione di plusvalore ai ritmi precedenti, quindi in ultima analisi con i rapporti di produzione borghesi.

Questa è la conclusione generale cui siamo giunti dodici anni fa, e se ne stanno accorgendo anche i singoli studiosi borghesi, oltre ai capitalisti non concorrenziali che chiudono bottega. Abbiamo precisato e ampliato quel lavoro e l'abbiamo proseguito con uno studio sulla teoria della rendita e sul nesso che c'è tra rendita in quanto parte del plusvalore che va al proprietario fondiario, e accumulazione nelle sfere industriali. Tutto ciò si trova nel nostro Quaderno sulla Teoria dell'accumulazione e ci servirà, nel proseguire il lavoro, a proposito del ruolo dei paesi produttori di materie prime nell'ambito del mercato mondiale. Proprio Dal mercato mondiale alla società comunista sarà il titolo della prima parte. Perché? Ma perché il mercato mondiale, come abbiamo già detto, soprattutto la forte integrazione tra le diverse economie è la base materiale del cambiamento e della società comunista.

Questo è un punto essenziale. Bisogna fare attenzione perché cambia la scala dei fenomeni. Se noi prendiamo un sistema di riproduzione idealmente chiuso e lo studiamo, vediamo che questo sistema evolve sempre in condizioni di non equilibrio. L'equilibrio viene periodicamente ristabilito attraverso le crisi. È quello che avevamo visto nella prima parte del lavoro. Se guardiamo invece al mercato mondiale, la scala di osservazione cambia, e i disequilibri non possono venire compensati tramite una crisi, ma tramite una guerra. Lo stesso Marx si riprometteva di continuare il lavoro analizzando i problemi legati al mercato mondiale, ma il lavoro è stato interrotto. Per il nostro lavoro futuro è essenziale delineare questo aspetto fondamentale della teoria marxista.

Pensiamo di strutturare questo lavoro in quattro parti che abbiamo intitolato provvisoriamente così: Il processo complessivo di formazione dei prezzi; Il mercato mondiale; Dinamica dei processi storici su scala mondiale; Dalla rivoluzione al comunismo. La prima parte, che riguarda il processo complessivo di formazione dei prezzi, in pratica è tutto un capitolo sulla legge del valore. Torniamo al primo capitolo del Capitale? No. Il processo di circolazione presuppone una conoscenza completa dei meccanismi della società capitalistica. Di conseguenza non è un argomento a priori nella teoria, ma può essere sviluppato solo una volta che sono state impostate tutte le leggi dell'accumulazione. Marx parla sì di legge del valore, nel primo capitolo del Capitale, ma il vero sviluppo della legge del valore lo si trova nel decimo capitolo del III Libro, quando si arriva a parlare di valore di mercato, di prezzi di produzione e così via.

La legge del valore nella teoria marxista è più o meno l'equivalente delle più importanti equazioni della fisica teorica. È un'equazione di invarianza. Se consideriamo un qualsiasi produttore e parliamo del tempo di lavoro necessario a produrre un certo valore d'uso, parliamo sempre di un certo valore potenziale, proprio come un corpo tenuto sospeso nell'aria ha una sua energia potenziale. Se andiamo a fare tutti i calcoli sull'accumulazione, sulla riproduzione ecc. utilizziamo sempre il concetto di tempo di lavoro. Ora, questo valore potenziale è valore in quanto tempo di lavoro; d'altra parte questo tempo di lavoro subisce una serie di trasformazioni non appena la merce esce dalla fabbrica e si presenta sul mercato.

L'osservazione da cui partiamo è la seguente: la produzione di merci in generale è innanzitutto produzione e insieme trasferimento di valore. In secondo luogo è ripartizione di questo valore tra le classi che compongono la società secondo i rapporti di produzione (di proprietà) esistenti. Lo studio deve proseguire ora intorno alla realizzazione effettiva di questo valore nell'ambito del processo di circolazione delle merci.

La forza produttiva sociale incatenata (45)

Nella prima parte del secondo Quaderno sulla dinamica dei processi storici, saranno affrontate le questioni relative alla formalizzazione della legge del valore. Gli argomenti affrontati nel Quaderno precedente hanno mostrato che l'epoca borghese è, in ultima analisi, un complesso intreccio di processi storici, ciascuno dei quali è caratterizzato, da un punto di vista matematico, da una o più grandezze che nello sviluppo del processo conservano il loro valore, in altri termini sono degli invarianti.

Ad esempio, nell'ambito delle crisi era di fondamentale importanza l'invarianza del fattore di scala della produzione sotto trasformazioni della forza produttiva del lavoro, mentre i periodi di espansione erano stati definiti come dei processi che lasciavano invarianti il valore della forza lavoro in relazione alla produzione e il rapporto tra il capitale costante ed il valore prodotto ex novo, ovvero il capitale costante trasferito da ogni operaio nell'unità di tempo.

Persino il processo di formazione dei prezzi nelle sfere soggette al meccanismo della rendita presentava, anche se non esplicitamente menzionato, un invariante caratteristico: il saggio del profitto maggiorato (saggio di rendita più saggio medio di profitto) ottenuto dal capitale investito sul terreno a fertilità meno elevata. Seguendo un procedimento analogo, nel corso del primo capitolo descriveremo i processi storici relativi alla formazione del valore di mercato, dei prezzi di produzione e del valore internazionale, mediante l'individuazione delle relative equazioni di invarianza. Un paragrafo dedicato al rapporto esistente tra le monete nazionali ed il denaro chiuderà la prima parte.

La seconda parte avrà un carattere più descrittivo. Innanzitutto verranno trattati gli aspetti strutturali del mercato mondiale. Lo scopo è quello di identificare i meccanismi che sono all'origine dei flussi internazionali di merci, capitali e forza lavoro. Questi movimenti avvengono nell'ambito di un sistema determinato di rapporti reciproci tra le nazioni, di cui le alleanze politiche o, viceversa, gli antagonismi tra paesi diversi, sono solo il prodotto superficiale. Ogni possibile equilibrio costituisce tuttavia solo una fase transitoria che viene ad un certo punto a trovarsi in contraddizione con le esigenze del processo di accumulazione e dello sviluppo delle forze produttive. In epoca imperialistica queste contraddizioni si risolvono, prima o poi, in conflitti armati diretti o indiretti, generali o locali tra le nazioni principali e nella successiva definizione di un nuovo sistema di rapporti internazionali. Tutte le fasi decisive della storia recente mostrano infatti che le guerre rappresentano essenzialmente l'anello di congiunzione tra due diversi contesti della riproduzione materiale. Si dimostra così la necessità storica degli innumerevoli conflitti che hanno costellato il XX secolo. Tra l'altro, come previsto dalla Sinistra (46), la moltiplicazione dei conflitti locali rappresenta un surrogato della guerra mondiale anche se le vere parti in conflitto, i grandi paesi imperialisti, non sono immediatamente tutte presenti sul campo di battaglia.

Come le crisi scoppiano ripristinando l'equilibrio del mercato interno, così le guerre scoppiano quando entrano in urto gli interessi degli Stati concorrenti, e con esse si tende a compensare lo squilibrio del mercato mondiale. Il nesso esistente tra la soluzione armata degli antagonismi ed il processo della riproduzione materiale costituirà il tema centrale di un altro capitolo. Il lavoro non sarà pronto in tempi brevi: l'elaborazione e la verifica collettiva prenderanno forse un paio d'anni; del resto è iniziato da tempo un lavoro proprio sulla guerra che è in armonia con quanto stiamo dicendo.

Le leggi della dinamica dei processi storici dimostrano che si arriva in ogni caso ad un punto a partire dal quale tutti i possibili contesti risultano inadeguati rispetto alle esigenze del processo di accumulazione, per cui ogni ulteriore sviluppo delle forze produttive risulta di fatto impedito. La società borghese entra così in una fase caratterizzata da innumerevoli e ricorrenti conflitti locali, in altri termini in una fase di guerra permanente tendenziale. Di conseguenza, mentre gli squilibri si approfondiscono e si sovrappongono, l'efficacia della guerra come strumento di regolazione drastica viene meno. Essa si tramuta in un logorante conflitto economico-finanziario tra i grandi Stati che provoca alla loro periferia l'esplosione rabbiosa dei tagliati fuori, degli esclusi dalla ripartizione sociale del plusvalore. È evidente che i conflitti etnici, gli integralismi religiosi, gli irredentismi fuori epoca, sono sintomi di un malessere mondiale che ha radici non tanto nella "difficoltà di convivenza civile" quanto nella difficoltà della riproduzione materiale.

Così, tra mille episodi fuorvianti rispetto al filo rosso che noi invece dobbiamo individuare, si fa strada nella società la sola alternativa possibile: la distruzione della società borghese.

Se in questo crescere di squilibri e di violenza inizierà un processo in cui la controrivoluzione spingerà la rivoluzione finalmente alla ribalta, come abbiamo visto citando i nostri classici, i primi sintomi saranno certamente quelli della rivoluzione in permanenza di Marx: il movimento non si accontenterà di aver raggiunto un risultato, ma si scaglierà contro di esso non appena lo avrà conquistato, si spingerà in avanti cercandone un altro e un altro ancora. Esso passerà forzatamente attraverso scontri tribali, campanilistici, religiosi, razziali o che altro ancora riuscirà ad offrire questa società che ha perso ogni funzione, ma eleverà il proletariato e il suo partito al di sopra del marasma.

Avrà luogo questo processo? Dobbiamo esserne sicuri. Non si tratta di sapere quando, perché la dialettica delle cause antagonistiche non ci permette di vedere nella sfera di cristallo, ma di sapere come, perché è durante il processo che si formano e si sviluppano le potenzialità del partito, giuste le Tesi di Roma. Il processo di distruzione dell'esistente è ad altissimo potenziale: non solo si inceppano i meccanismi economici, ma salta tutto, la cosiddetta convivenza civile, la famiglia, persino la droga democratica che è l'ultimo cemento sociale. Parlare in termini costruttivi del divenire della rivoluzione, come facevano gli industri avvicinatori delle curve divergenti - quella economica e quella sociale - dovrebbe essere ormai chiaro, è un nonsenso volontaristico. La distruzione della società borghese, che è in gran parte autodistruzione, dovrà essere semplicemente portata a compimento. Come diceva Lenin, per noi occidentali non russi (ma ormai siamo tutti "occidentali"), sarà molto più difficile prendere il potere, ma sarà più facile mantenerlo. Non si tratta di una banalità: la distruzione definitiva della società borghese coincide necessariamente con la "costruzione" di una forma sociale superiore, ma solo quando sarà attuato quel trapasso sociale che noi chiamiamo "rovesciamento della prassi". Senza partito non c'è rovesciamento della prassi, senza dissolvimento della potenza materiale della borghesia non c'è assalto al cielo che tenga, come osserva Engels, come osserva Trotzky (47).

Nella fase di trapasso, sarà un compito determinante della teoria marxista quello di fornire gli strumenti teorici che consentiranno all'umanità di controllare l'intero meccanismo della riproduzione materiale. Incominciare a studiare adesso il problema non è illusione, è l'unico mezzo per porsi sulla strada che porterà l'uomo a porselo materialmente, compresi gli strumenti per giungervi. Altrimenti ci si spieghi che diavolo significa il termine "avanguardia".

Rivalutazione dell'intuito e dell'istinto

Uno dei temi sui quali insistiamo di più è la necessità di uscire dal chiuso del lavoro locale. Questa nostra espressione potrebbe essere interpretata in modo veramente restrittivo, perciò pensiamo sia utile spendere due parole di spiegazione. Per lavoro locale non intendiamo semplicemente quello che svolgono i singoli compagni nella loro "località" di residenza o addirittura nella loro abitazione. Il lavoro locale è quello che obbliga chi lo svolge ad occuparsi di una gerarchia ristretta di problemi, per la semplice ragione che esso si svolge in un universo relativamente chiuso. Relativamente, ma sempre chiuso. Ora, se è vero che nessun campo d'indagine può essere, a rigori, veramente "locale" anche se si parlasse di un uomo chiuso nella sua stanza vuota in compagnia delle sue sole conoscenze (48), è anche vero che la conoscenza non si basa sull'esclusiva padronanza del proprio cervello individuale ma si fonda soprattutto sulle necessarie relazioni dialettiche con il mondo. L'uomo ha bisogno di relazioni dialettiche con l'ambiente, sia quello della natura che quello da egli stesso creato. In mancanza di questa relazione, le costruzioni logiche di cui è capace l'individuo si indeboliscono fino a risultare false:

"Noi non neghiamo l'esistenza della logica come scienza e tecnica strumentale delle forme del pensiero; è anzi ben noto che nella concezione marxista al suo impiego si accompagna quello della dialettica, o scienza delle relazioni, di cui avremo a parlare. Ma ciò che deve essere chiarito è che la logica è costruita e giustificata dalla sua applicazione e corrispondenza alla realtà e non codificata a priori nella nostra testa e solo dopo applicata alle cose" (49).

Ne deriviamo che tutto ciò che ci permette di liberarci dal "locale", nel senso di ciò che si differenzia, o meglio, non si identifica anche con l'universale (o con il "globale", come si dice oggi con accezione matematica), ci permette anche di fare un salto di qualità nel nostro lavoro. Ma ciò non basta. I risultati devono essere riverberati e devono provocare un ritorno (Tesi di Napoli e Milano), al fine di mantenere la loro dinamica e non sclerotizzarsi. Ogni processo di conquista di nuove frontiere ha sempre raggiunto questo doppio risultato e la forma della comunicazione, il linguaggio, ne è stato in genere sconvolto, adattandosi alle nuove esigenze:

"Sembra molto forte l'argomento che tutto questo sistema: nozione, ragionamento, previsione, non possa sussistere senza il soggetto uomo, e per di più uomo pensante, e che i suoi rapporti e connessioni non siano proprietà di un mondo esterno extraumano, ma di un mondo che è tale in quanto conosciuto e pensato da noi. In vero la grave difficoltà di questo problema consiste più che altro nelle imperfezioni del linguaggio in cui cerchiamo di tradurlo. Se pretendiamo di risolverlo pensando, ci siamo già posti sul terreno di chi vuol convincere che ogni risultato è condizionato da leggi intrinseche del pensiero. Il procedimento corretto è invece l'opposto: il meccanismo proprio dello strumento pensiero, ossia del linguaggio, abbisogna di essere perfezionato e corretto perché il quesito possa essere eliminato. Correggere e rettificare il meccanismo del linguaggio significa modificare opportunamente il valore dei termini che rappresentano le cose e i fatti reali, e delle relazioni logico-sintattiche suscettibili di sempre maggior adattamento al loro scopo" (50).

Oggi, ed è evidente a chi scrive e a chi legge queste righe, molti nostri ragionamenti sono viziati da vocaboli e costruzioni tipiche dell'ultimo livello raggiunto dalla rivoluzione, e non ce la faremo mai a infrangere questa realtà finché la rottura non sarà imposta da un processo rivoluzionario. Per di più la rivoluzione si è manifestata in un ambiente di compiti multipli (Russia) per cui il linguaggio si è caricato di ibridi ancora democratici. Fosse solo una questione di linguaggio sarebbe ancora questione da poco. Il fatto è che il linguaggio rappresenta una realtà, ne è lo specchio fedele. Per questo le Tesi di Roma insistono sulla formazione di una scuola, di una corrente, unico indizio autentico della possibilità di formazione e sviluppo del partito. Per noi anticulturalisti "scuola" è una parola che va intesa nella sua più larga accezione, cioè come prodotto di un insegnamento e di una dottrina, ambiente in cui tale dottrina opera e in cui è portata a perfezionamento, in cui si agisce in base ad essa anche senza averla "studiata tutta", cioè se ne seguono le indicazioni per determinazione storica e materiale.

Troppe volte abbiamo visto compagni giovani e non giovani ripromettersi di appropriarsi del marxismo attraverso lo "studio" dei libri a cominciare dal Capitale di Marx. E troppe volte abbiamo visto abbandonare tale studio dopo le prime solite pagine, che in genere non vanno oltre il capitolo sul carattere feticistico della merce. Si sono perse per strada in questo modo infinite letture dell'Antidühring, dell'Ideologia tedesca, della Sacra famiglia ecc. Che cos'è che non va in questa più che giustificata voglia di "studiare"? Nessuno qui si sogna di negare l'utilità della lettura e dello studio. Ma lo studio è ben poca cosa se non è finalizzato ad un lavoro generale di cui sia parte integrante. Nessuna lettura potrà supplire alla partecipazione, al confondere l'individuo in un lavoro organico. E la partecipazione fa sì che le molecole individuali partecipino al tutto rendendo del tutto indifferente il chi e il quanti alla fine hanno studiato e imparato, glossato e portato a ulteriore compimento il materiale a disposizione.

Avevamo accennato all'istinto e alla fede rivoluzionaria ripromettendoci di ritornarvi su. Bordiga termina così una riunione sulla conoscenza:

"[Si dice che] l'artista procede per intuizione e lo scienziato procede per intelligenza. Ora, noi rivoluzionari in quale di queste due schiere ci vogliamo porre? Noi, naturalmente, non possiamo procedere per intelligenza, perché solo una società libera dalla dominazione di classe e dalle eredità di queste epoche sfavorevoli e penose potrà adoperare la sua intelligenza per costruire la scienza di domani e potrà salire al sommo della scala [della conoscenza], o molto più in alto lungo la scala; ma evidentemente anche noi ci serviamo dell'intuizione. E forse per definire questo mostro, il movimento artistico, possiamo noi accettare questa delimitazione? Per stabilire che differenza ci sia tra arte e scienza?

No, noi negheremo l'esistenza di prodotti che facciano parte di un'attività conoscitiva di natura particolare, che è quella artistica, in cui sia affissata una eternità negata ai lavori scientifici, alle conquiste scientifiche. Prima di tutto questo non è esatto, perché vi sono certe opere della scienza le quali certamente resteranno eterne quanto resteranno eterni i versi di Omero e i versi di Dante. [...] Sono opere che contengono elementi di scienza ed arte; raggiungono la laboriosità paziente, analitica, dello scienziato e la sintesi potente dell'artista. E di tante altre opere potrebbe dirsi lo stesso senza dilungarci in questa analisi.

Quindi arte e scienza in certi momenti si incontrano. Arte e scienza sono due aspetti analoghi della conoscenza umana. La differenza non va messa dunque fra l'arte e la scienza, fra l'intuizione e l'intelligenza. È con l'intuizione che l'umanità ha sempre avanzato perché l'intelligenza è conservatrice e l'intuizione è rivoluzionaria. L'intelligenza, la scienza, la conoscenza hanno origine nel movimento avanzante - abbandoniamo l'ignobile termine di "progressivo". Nella parte decisiva della sua dinamica la conoscenza prende le sue mosse sotto forma di una intuizione, di una conoscenza affettiva, non dimostrativa; verrà dopo l'intelligenza coi suoi calcoli, le sue contabilità, le sue dimostrazioni, le sue prove. Ma la novità, la nuova conquista, la nuova conoscenza non ha bisogno di prove, ha bisogno di fede! non ha bisogno di dubbio, ha bisogno di lotta! non ha bisogno di ragione, ha bisogno di forza! il suo contenuto non si chiama Arte o Scienza, si chiama Rivoluzione!" (51).

Nell'organismo partito, o nella scuola che lo prefigura, Arte (intesa come contrapposto a natura, prodotto di lavoro umano) e Scienza saranno semplicemente due aspetti unificati nella realtà del "movimento avanzante". Del resto l'individuo non "sceglie", come abbiamo visto, di diventare comunista; egli è conquistato dal comunismo e la sua volontà è messa in una situazione piuttosto subordinata a tutto il resto, molto più di quanto ognuno è disposto a concedere.

La dimostrazione che la volontà individuale non conta nella determinazione del percorso militante di ognuno di noi, si può ottenere con il ricorso ad una immagine mutuata proprio dalla scienza moderna e che contiene in sé una storica battaglia fra determinismo e indeterminismo. Si tratta della teoria delle biforcazioni, di cui utilizzeremo qui un esempio ultrasemplificato.

Immaginiamo un percorso stabile che ad un certo punto giunga ad una biforcazione che porta da una parte alla rivoluzione e dall'altra al mantenimento dello stato di cose esistente, un po' come una palla che cade sul dorso di una collina liscia con due versanti simmetrici. Se il percorso (la traiettoria della palla) è spostato dal lato del versante borghese, non ci sono problemi, vince la forza dell'ideologia dominante e il percorso continuerà da quel lato. Lo stesso accade se il percorso è spostato dal lato del versante rivoluzionario. Lo spostamento del percorso, per quanto insignificante, è determinato dalla storia precedente e quindi sembrerebbe provato il determinismo classico. Nel modello appena descritto chiamiamo fattore di controllo il percorso e i vincoli che lo determinano (52).

Gli indeterministi pongono il problema del percorso che giunga alla biforcazione (che è perfettamente simmetrica, ricordiamolo) esattamente al culmine teorico dei due versanti. Essi dicono che a questo punto è il caso a decidere se il percorso "sceglierà" un versante invece che l'opposto; tra l'altro sembra che riescano a darne una dimostrazione plausibile in critica all'inadeguatezza del nostro senso comune, che sarebbe permeato dall'abitudine soggettiva di vedere sempre concatenazioni di cause ed effetti. In pratica sarebbe una questione di inadeguatezza del linguaggio espressivo cui soggiace una inadeguatezza della conoscenza dovuta alla pratica empirica. Gli indeterministi tirano quindi in ballo, curiosamente, argomentazioni molto simili a quelle espresse da Bordiga nella citazione di poco fa: non saremmo riusciti a modificare il linguaggio conseguentemente alle nuove esigenze della conoscenza.

I deterministi, che fino a pochi anni fa erano in esigua minoranza ma stanno rimontando, dimostrano che invece la questione del linguaggio è proprio quella che frega gli indeterministi. È l'inadeguatezza del linguaggio e della conoscenza soggiacente che permette di astrarre arbitrariamente e costruire un modello che contenga un punto di indeterminazione. La curva di biforcazione ha sì un punto "singolare" in cui è matematicamente impossibile stabilire quale direzione si prende in assenza di sollecitazioni in un senso o nell'altro. Ma il trucco volgare sta tutto qui. Il nostro percorso (la palla che cade) interseca la curva di biforcazione in modo identico sia nel punto singolare (realmente esistente sulla curva presa in sé stessa) che negli altri punti. In ogni caso la "storia" di tutti i percorsi possibili, dato che nessuno è isolato, è in relazione con l'universo delle storie adiacenti (fattore di controllo e vincoli), cioè è determinata da esse in tutti i punti della curva di biforcazione. Il solo fatto di trovare un risultato che rispecchia un ordine statistico dimostra che esso è determinato.

Applicando lo schema al percorso individuale del militante, osserviamo che egli si comporterà esattamente come la palla che cade sul dorso della collina. Seguirà una dorsale o l'altra quando la sua traiettoria subirà influenze in grado di spostarla verso l'una piuttosto che verso l'altra parte, cioè sarà rivoluzionario o controrivoluzionario a seconda dell'universo delle "storie" adiacenti. Così, nel punto singolare, dove la "decisione" non sarà demandata alla sua coscienza o alla sua cultura marxista ma al suo intuito, al suo istinto, egli crederà di scegliere la strada che gli è più congeniale, mentre in realtà andrà dalla parte della rivoluzione perché sarà "scelto" dalle determinazioni del comunismo in movimento che, come abbiamo visto, "sono vincoli dai quali non ci si strappa senza lacerarsi il cuore, sono demoni che l'uomo può vincere soltanto sottomettendosi ad essi". Dato che tutte le storie adiacenti influenzeranno prima i suoi organi fisici, poi i suoi interessi reali, in ultimo il suo cervello, il libero arbitrio di cui crede di essere veicolo andrà a farsi benedire. Solo a questa condizione egli diventerà potenziale strumento del rovesciamento della prassi operato dal partito della rivoluzione.

Un veicolo per l' "informazione", impalcatura del partito rivoluzionario

Vediamo ora di operare un collegamento tra questo schema e le esigenze pratiche del nostro lavoro. È nota la polemica di Lenin sulla questione dell'impalcatura utile allo sviluppo della "scuola" e sulla struttura di quest'ultima. Soffermiamoci sull'impalcatura, d'immagine tipicamente leniniana, semplice, efficace.

Il problema si presenta come un circolo vizioso che bisogna rompere ed è affrontato nel Che fare? dove Lenin riprende un suo interlocutore critico sulla questione del giornale. Gli dà ragione quando questi afferma che "se non si educano forti organizzazioni politiche locali, anche il più superlativo giornale nazionale non avrà alcun significato". Utilizziamo qui l'argomentazione secca a prescindere da un linguaggio che noi non utilizzeremo mai più. "Giustissimo", replica Lenin, "ma il fatto è proprio che non vi è altro mezzo per educare forti organizzazioni politiche all'infuori di un giornale nazionale". Nelle righe successive si analizza il motivo di questa necessità di inversione. Esiste un problema, che è quello di unificare politicamente gli operai russi che lottano dispersi nei circoli. Ogni problema deve avere una soluzione pratica, dato che la rienunciazione dello stesso problema in termini diversi non è una soluzione. La soluzione pratica sta nel modo di "educare" le organizzazioni locali.

"Voi volete lavorare soprattutto tra gli operai colti, mentre le masse hanno quasi esclusivamente condotto la lotta economica", viene rinfacciato all'Iskra bolscevica. Lenin s'infuria come al solito di fronte a queste considerazioni puerili e fa semplicemente notare che, disgrazia loro, sono proprio gli operai "colti" a buttarsi "quasi esclusivamente nella lotta economica", per questo occorre fornire a tutti uno strumento affinché ciò non succeda più. Uno strumento che porti ad ognuno tutti gli argomenti della lotta politica, "tutti i tentativi di protesta e di lotta fatti da diverse classi e per diversi motivi". Misconosciuto Lenin, stiracchiato da tutti gli attivisti; l'avevate sotto gli occhi, ciechi che non siete altro: protesta e lotta da parte di tutte le classi e per diversi motivi; questo dobbiamo avere presente, se non si vuole trasformare Lenin in una inoffensiva icona operaista.

Non esiste altro modo per "educare" i futuri dirigenti della rivoluzione, se proprio vogliamo usare il termine. Il futuro partito potrà darsi gli strumenti del rovesciamento della prassi "esclusivamente" forgiandosi in un ambiente che strappi i militanti d'avanguardia dalla prassi attivistico-volontarista corrente. Esclusivamente, capite? Poi seguono i notissimi passi sulla funzione dell'organo "organizzatore collettivo" e l'immagine del cantiere in cui si ergono le impalcature per la costruzione dell'edificio, sulla quale i "concretisti" rifiutano di salire agitandosi e lanciando i loro proclami politici, cioè "bevendo al pozzo più sputacchiato che ci sia".

Non è nostro compito cercare di influenzare i vecchi tromboni della pseudo-sinistra, essi fanno di tutto per non lasciarsi conquistare dal demone del comunismo, non fanno che tentare "esperimenti pratici", sono in questo molto "concreti", perciò li lasceremo ad abbeverarsi nei pozzi sputacchiati. Noi ci rivolgiamo invece a tutti coloro che sentono individualmente la necessità di abbandonarsi al demone, unico modo per tradurre sul serio la teoria in energia pratica. Essi sono già colpiti dall'ambiente in cui il comunismo matura e si avvicinano al punto singolare in cui il "fattore di controllo" del nostro modellino appena illustrato diventa decisivo, punto in cui il demone afferra l'individuo strappandolo dal "regno della necessità" per proiettarlo verso il "regno della libertà", cioè verso la formazione del partito che rovescia la prassi, verso il partito che "si forma dappertutto, in modo naturale, sul terreno della società moderna" e non verso "una Lega defunta da otto anni o una redazione di giornale disciolta da dodici" (per favore, si prendano le citazioni da Marx in senso non letterale, vorremmo evitare che qualcuno andasse minuziosamente a spulciare cosa diavolo sia successo otto e dodici anni fa).

Da quando abbiamo "deciso", intorno al 1987, di dedicarci allo studio completo del lavoro della Sinistra traendone indicazioni per argomenti mai più trattati, abbiamo constatato che questa esigenza non era solo nostra. Da un paio d'anni compaiono articoli e pubblicazioni che tentano una strana ibridazione fra il marxismo e le nuove scoperte scientifiche, e lo stesso succede in discussioni individuali. Abbiamo cercato più volte di dimostrare che non si tratta di operare strani trapianti contro natura, ma di rendere evidente l'onnicomprensività del marxismo che ingloba tranquillamente risultati successivi e scientificamente coerenti. Tuttavia il fenomeno è importante e trova una verifica nei rapporti con le persone che ogni tanto incontriamo nello svolgimento del nostro lavoro, specialmente giovani: oggi suscita certamente più interesse un discorso scientifico sul futuro del capitalismo che uno politico sul passato del movimento operaio. La distinzione non è nostra, dato che per noi non esiste contraddizione fra scientifico e politico, è dell'interlocutore che ha bisogno di un salto di qualità e segue il suo istinto. Sta a noi unire il passato col futuro, i principii con il movimento reale, operare una congiunzione delle parti in un tutto agendo sulle importanti sollecitazioni dell'intuito e dell'istinto.

I principii stabiliscono le grandi linee dei processi storici, la loro dinamica; i "fattori di controllo" stabiliscono quali sono i percorsi reali fra i tanti possibili. Il giornale e la propaganda, come li intende Lenin, l'informazione, come l'intendiamo noi, fanno parte di quell'universo delle storie adiacenti al percorso degli individui e dei gruppi che è il solo in grado di spostarne l'esito. La nostra azione di informazione (la propaganda), il giornale, fanno parte delle determinazioni che possono spostare un percorso individuale quando questo sia arrivato vicino al punto singolare in cui scatta la "decisione". Il volontarista vuole spostare le curve generali della lotta di classe partecipando ad una attività più o meno importante, pensando che l'allargamento di questa pratica sortirà effetti materiali sull'estensione dell'attività e della organizzazione. Il marxista determinista dialettico sa che "le rivoluzioni e i partiti non si fanno, si dirigono", sa che non può nulla contro le determinazioni materiali che regolano l'azione sociale, ma sa che il capitalismo stesso prepara le condizioni per una polarizzazione dei percorsi individuali sui quali si può agire con forze infinitesime in grado di dare grandi risultati anche nei periodi peggiori. È questo il meccanismo che permette nelle situazioni rivoluzionarie al partito di "rovesciare la prassi".

L'attivista-volontarista fa in continuazione esperimenti pratici di comunismo ed è battuto dall'ambiente che tenta di violentare; il comunista non è mai battuto perché conosce i fattori di controllo ovvero i vincoli del problema ed ha in mano la vittoria potenziale perché è in grado di assecondare il movimento reale quando ciò si dimostri possibile. Questa è la spiegazione del ruolo della socialdemocrazia e dell'opportunismo: ad esperimento avvenuto, ci si accorge che non si sono rispettati i fattori di controllo, che non si asseconda un movimento reale rivoluzionario ma un movimento reale del capitalismo che ha bisogno di ammortizzare la tensione sociale. Nel frattempo la situazione matura, gli stessi problemi che hanno richiesto l'esperimento socialdemocratico ora ne minano la stabilità, il movimento comunista deve avanzare: la socialdemocrazia diventa così l'affossatrice delle istanze rivoluzionarie fino all'utilizzo della violenza armata. Prestato il servizio, la socialdemocrazia viene spazzata via, l'esperimento di massa trova la sua risposta nel cannone avversario. Noske prepara Hitler, la socialdemocrazia italiana permette Mussolini, Stalin aiuta l'imperialismo più forte a vincere la guerra e la politica.

Il "giornale" come organizzatore collettivo, ma non solo

Quando diciamo "giornale" intendiamo strumento di informazione. Che l'informazione viaggi in forma scritta, lungo cavi telefonici o attraverso l'aria, non ha importanza, è sempre informazione. Abbiamo già spiegato l'importanza che diamo al termine informazione e ormai tutti sanno che l'usiamo in senso lato. L'informazione è un problema. Sappiamo che in diverse occasioni dei compagni ci hanno conosciuto per caso, perché la nostra distribuzione e presenza non è certo capillare. Naturalmente il significato di "caso" in questo contesto è relativo, dato che si può trovare un testo e buttarlo nel cestino senza badarvi, o si può sentir parlare di qualcuno e fregarsene completamente. È evidente che se qualcuno si sofferma su un nostro testo o chiede di noi dopo averci sentiti nominare è perché qualcosa è già successo. Allo stesso modo può darsi che da qualche parte esistano compagni che fanno un lavoro per noi interessante e noi non lo sappiamo. Ma questo è un problema di informazione ancora piuttosto terra-terra.

Il problema vero di informazione oggi è la compatibilità del linguaggio, degli strumenti di ricerca, del travaso dei risultati raggiunti. Se i bolscevichi avevano il problema dell'analfabetismo, per cui un operaio che sapeva leggere doveva comunicare a venti che non sapevano quel che c'era scritto sull'Iskra, oggi noi abbiamo il problema che tutti leggono, ma sullo stesso testo ognuno capisce quello che vuole, come abbiamo dimostrato nella scorsa Lettera a proposito di nostri documenti passati, come dimostrano anche episodi recenti e per nulla piacevoli.

Il fenomeno è meno bizzarro di quanto possa sembrare a prima vista e l'abbiamo analizzato alla luce dei testi marxisti. Ci sono dei compagni che sono venuti a trovarci preoccupati per affermazioni sospette che avrebbero trovato nei nostri lavori. Abbiamo dovuto faticare per dimostrare che leggevano cose che non c'erano. Qualche anno fa c'è stato addirittura chi, nella foga della polemica, ha letto senza le virgolette alcune citazioni socialdemocratiche da noi riportate per la critica, attribuendole a noi con i risultati che si possono immaginare. Non è solo un problema di lingua o di malafede. Il fatto è che effettivamente si affronta la comunicazione in ingresso e in uscita attraverso filtri già esistenti. Che cosa sono questi filtri?

Per non addentrarci in una analisi specifica di fenomeni del genere, analisi che tirerebbe in ballo troppe cose che qui non c'entrano, riferiamoci al Lenin del Che fare?. Qualcuno potrebbe giudicarlo un testo "vecchio", ma lasciamo dire, vale anche qui il fenomeno di cui stiamo parlando, cioè si può vedere nel testo di Lenin soltanto ciò che è permesso dai "filtri" di chi legge. Noi invece che con un filtro smorzatore proviamo a leggere con una lente amplificatrice.

Il primo capitolo è intitolato Dogmatismo e "libertà di critica" e tratta della necessità della lotta teorica. È in questo capitolo che troviamo la frase: "Piccolo gruppo compatto, noi camminiamo per una strada dirupata e difficile, tenendoci saldamente per mano". Il gruppo cammina sotto il fuoco nemico, ma esso si è formato proprio per la consapevolezza della necessità di togliersi dal pantano democratico e legalitario in cui è caduta la maggior parte della socialdemocrazia dell'epoca a cominciare da Bernstein. Primo tempo, quindi, delimitazione dai nemici palesi od occulti.

Ma il gruppo non è per nulla compatto e non basta il fuoco nemico a serrarne i ranghi se, poche righe dopo, si scopre che ha al suo interno elementi che vogliono superare la delimitazione e andare verso il pantano democratico al grido di "libertà di critica". Tutto il libro si basa su questa immagine. Il secondo tempo, come affrontare il movimento spontaneo delle masse e il terzo, come lottare contro il primitivismo, ne sono la conseguenza. Il Che fare? non è per nulla il manuale dell'attivista come lo si è voluto far passare; è, al contrario, un bombardamento a tappeto contro l'attivismo, la razionale e rigorosa descrizione del rovesciamento della prassi. Lo si è potuto leggere in quella chiave perché vi si scorge più volte il riferimento alla volontà del partito, espressa in un momento rivoluzionario, anzi, ad una volontà che avrebbe potuto esprimersi solo in tale momento. Ecco perché le immagini di "costruzione" vi trovano posto senza far danno. La possibilità è, nel contesto, realtà.

Sappiamo dalla prefazione di Lenin che all'inizio egli voleva scrivere un opuscolo in positivo, senza fare ricorso alla polemica, ma fu poi costretto dai fatti a scrivere il più polemico dei libri e a cambiarne anche la struttura originaria. La ragione di questo va ricercata nel fatto che nel 1902-3 si stava radicalizzando la lotta, sintomo dell'esplosione rivoluzionaria del 1905. La questione del "giornale" deve essere vista in questa ottica e non tanto nell'ottica di avere un periodico buono per tutti, organizzatore collettivo in senso lato, non solo bidello per la scolaresca indisciplinata della multiforme socialdemocrazia dell'epoca.

"Parliamo linguaggi letteralmente diversi", dice Lenin nella prefazione, ecco perché non possiamo accordarci su nulla se non incominciamo da zero. Quando si potrà parlare di lavoro comune? Questo è il tema su cui Lenin insiste e ribatte: la frase lavoro comune compare decine di volte nei capitoli riguardanti il giornale. Bisogna organizzare il lavoro comune e il giornale ne è il veicolo. Occorre avere un linguaggio comune, e il giornale ne è lo strumento. Ci servono organizzazioni comuni, e il giornale ne è il fattore primario. Ma per far questo non si può essere "economisti", cioè andare dietro la spontaneità delle masse, non si può essere "primitivisti", cioè affrontare i problemi della rivoluzione in maniera dilettantesca, non professionale. Il comunismo russo ha passato tre periodi, dice Lenin nelle conclusioni. Il terzo periodo è caratterizzato dalla "unione di un praticismo meschino e della più totale noncuranza teorica". Che cosa bisogna fare?

"Liquidare il terzo periodo" è la risposta lapidaria.

Bella forza, potrebbe dire qualcuno oggi: con la prospettiva realistica di distribuire in Russia diecimila copie di un periodico che esca una volta alla settimana (Lenin prende in giro certe riviste letterarie che escono una volta al mese!) si può ben parlare di liquidare un periodo. Oggi la situazione non è certo quella, ma anche nelle peggiori situazioni la questione del "giornale" rimane un invariante nella storia del partito, la Sinistra lo conferma con le sue numerose pubblicazioni.

Perché allora non abbiamo "fatto" un giornale? Il problema era stato da noi affrontato nella Lettera n. 13, nella Lettera n. 20 e nella riunione di Capodanno del 1993. Abbiamo detto: se si trattasse solo di scrivere e stampare, il materiale prodotto finora, con l'aggiunta di qualche decina di articoli di "attualità", avrebbe potuto trovar posto in forme diverse di pubblicazione, per esempio un periodico. Ma il problema non è solo quello di scrivere e stampare. Il problema è quello posto da Lenin: il lavoro comune. Che è poi il tema che abbiamo fatto nostro da quando esistiamo come entità politica, cioè da quando si è dimostrato impossibile il percorso comune con la maggior parte dei compagni dopo l'éclatement del vecchio partito. Il nostro progetto di pubblicazione periodica è perciò condizionato non tanto dalle nostre possibilità materiali, quanto dalla realtà che esiste al nostro esterno. In poche parole la stampa serve per comunicare, e questo lo facciamo, ma un periodico è un'altra cosa, serve anche per fare un lavoro comune, quindi instaurare la doppia direzione nella comunicazione, dal giornale al lettore, dal lettore al giornale. O, meglio ancora, una comunicazione a rete, tra gli organismi espressi proprio per e dal lavoro comune.

È innegabile tuttavia che eventi di portata storica come quelli più volte ricordati, il crollo del Muro tedesco, la dissoluzione dell'URSS, la globalizzazione dell'economia ecc. hanno introdotto potenzialità prima inesistenti, spinte oggettive che, in quanto marxisti, ci siamo sforzati di interpretare come inserite in una dinamica storica che non termina lì. Con la cautela che ha contraddistinto il nostro lavoro, abbiamo seguito i primi labilissimi sintomi di questa dinamica e abbiamo cercato di parlarne prima, anticipare le possibili conseguenze non solo sugli avvenimenti nel mondo, ma anche sulla nostra esistenza come gruppo, come per esempio l'aumento della diffusione delle Lettere o l'allargamento degli effettivi.

Attenzione, questo non è un annuncio di prossima uscita della rivista dei "Quadernisti", ma solo un modo per mettere la pulce all'orecchio di molti compagni che possono dare un contributo in tal senso. Come abbiamo già detto a proposito dei progetti di Lenin sul giornale, dietro la questione non c'è solo un problema di stampa. Noi per esempio abbiamo incominciato da tempo a lavorare su mezzi informatici. L'abbiamo fatto per necessità, dato che, con i pochi mezzi a nostra disposizione, sarebbe stato impossibile fare il lavoro di pubblicazione ricorrendo al classico sistema della tipografia. Ebbene, poco per volta, imparando ad utilizzare le macchine e rendendoci conto veramente di cosa erano, ci siamo anche resi conto direttamente che il mezzo informatico ha potenzialità molto utili dal nostro punto di vista.

Un conto è utilizzare un computer semplicemente per velocizzare il lavoro, un conto è utilizzarlo per cambiare il tipo di lavoro richiesto. Intendiamoci, questa non è una novità, anche l'introduzione del telaio meccanico ha obbligato a costruire le fabbriche in modo diverso da prima, ma il mezzo informatico ha in più una caratteristica finora sconosciuta: manipola il tempo e lo spazio. Niente di speciale, per quanto riguarda il tempo: tecnicamente vuol dire solo che la macchina può compiere operazioni in tempo reale oppure differire le operazioni memorizzando i dati per un utilizzo successivo e reiterato; per quanto riguarda lo spazio vuol dire invece che, per molte operazioni, è indifferente il luogo dove esse avvengono per avere il risultato voluto.

Lenin ricorda il calvario dello spreco di energie dovuto al lavoro locale di redazione, di stampa, di distribuzione; la tragedia di una stamperia individuata dalla polizia zarista; la necessità di centralizzare il lavoro in modo da rendere disponibili energie per altre attività ecc.

Tutto questo è sparito, relegato alla storia passata. Il mezzo tecnico ha superato ogni barriera posta all'informazione. Le organizzazioni borghesi che sanno e possono sfruttare questa potenzialità se ne avvantaggiano enormemente, a maggior ragione se ne saprà avvantaggiare il partito rivoluzionario. Per quanto riguarda il discorso dell'informazione, il mezzo tecnico avvicina i militanti, elimina la necessità degli spostamenti, della posta, dell'accesso agli archivi cartacei, quindi del possesso fisico delle annate dei giornali, dei documenti, persino dei libri; elimina il ricorso alla tipografia come era concepito un tempo, elimina la necessità di indici tradizionali. Quando concepimmo per la prima volta il piano per un indice analitico di tutto il materiale della Sinistra, ci rendemmo conto dell'enorme lavoro necessario, rivolgemmo un appello ai compagni e non riuscimmo a far altro che imbastire le prime schede. Il mese scorso (53) decidemmo di fare un opuscolo per il Primo Maggio centrato sulla questione dell'antifascismo, dato che la solita manifestazione sarebbe stata celebrata all'insegna del più vomitevole resistenzialismo contro Berlusconi e soci. Eravamo già a metà aprile. Impostammo la ricerca su poche parole chiave e "passammo" tutti i testi già memorizzati. In meno di mezz'ora avevamo tratto ciò che ci serviva. Non restava che redigere i testi di inquadramento e stampare. Ciò significa che non faremo più un indice analitico tradizionale, ma qualcos'altro. In un solo Compact disk troverebbero posto, memorizzate, tutte le opere di Marx, Engels, Lenin, Bordiga e avanzerebbe ancora spazio.

Se tra tutti noi riusciremo a raccogliere le energie oggi disperse, metteremo a disposizione di chiunque lo voglia non solo un patrimonio enorme, ma le chiavi di accesso a tutti i suoi elementi. Se si pensa che i testi della Sinistra sono collegati in quanto espressione di un lavoro organico durato almeno sessant'anni, si capisce che cosa vuol dire avere il patrimonio teorico della Sinistra e del comunismo a disposizione in una forma che ci permetterebbe non solo di mantenerne il collegamento tramite rimandi ecc., ma di estenderlo a tutte le fonti e al lavoro successivo.

Lenin si dispera perché le forze rivoluzionarie "si dissanguano nel ristretto lavoro locale". Teniamo presente quali implicazioni abbia per noi il termine locale, come abbiamo già sottolineato, e seguiamo il testo sul giornale politico per tutta la Russia con l'attenzione che merita. La vera disperazione di Lenin è la mancanza di flusso di informazione. Vuole muovere uomini e articoli, propagandisti e redattori, si diffonde minuziosamente a spiegare che cosa succederebbe se i militanti imparassero a fare "un piccolo viaggio per questioni di partito a spese del partito". Le minuzie non sono da Lenin, e infatti non di minuzie si tratta. Egli vuole inculcare nelle teste dure che il rivoluzionario di professione è quello che la pianta di sentirsi moscovita o sanpietroburghese passando tutto il tempo a coltivarsi i suoi comitati locali.

Oggi l'uomo borghese utilizza le finestre sul mondo apertegli dalla telematica come gioco che estende la patologia già insita negli audiovisivi casalinghi: diventando sempre più passivo e immobile. Ma perché non ha uno scopo. Noi lo scopo ce l'abbiamo. Le reti già realizzate permettono la comunicazione tra punti opposti del globo al costo di una semplice telefonata urbana. È facile capire l'importanza di questo per noi. Intendiamoci, nessuno è più lontano di noi dall'esaltare le "conquiste" della tecnica borghese e, in generale, anche il miglior compagno potrebbe farsi virtualizzare il cervello e perdersi fra i bit. Sappiamo benissimo che questa società frena anziché sviluppare le conoscenze scientifiche.

Tuttavia non vogliamo limitare il nostro discorso al mezzo tecnico. Avevamo cominciato col dire che sarebbe da stupidi non utilizzare gli strumenti che già oggi lo sviluppo delle forze produttive ci mette a disposizione, ma non possiamo limitarci a questo. Marx scrisse un capitolo del Capitale sulla rivoluzione delle macchine meccaniche; un altro comunista scriverà un giorno sulla rivoluzione delle macchine informatiche. Significa forse concedere qualcosa al borghese quando parla di "rivoluzione informatica"? Nemmeno per sogno. I borghesi finora hanno solo scritto fesserie, e più sono in alto nella considerazione dei loro simili, più ne scrivono: meglio il ragazzino cyberpunk (tanto gli passerà) che il guru Negroponte (54). L'uomo comunista utilizzerà le macchine in modo diverso rispetto all'uomo borghese, ma nel caso dell'informatica oseremmo dire in modo opposto.

Proviamo ad applicare il discorso di Lenin alle reti telematiche, leggiamo il capitolo sul giornale per tutta la Russia nell'ottica della comunicazione di questa fine di millennio. Non è un'operazione di fantasia né di azzardo politico, è un doveroso passo che dobbiamo fare. Ci accorgeremo della potenza teorica che sta dietro alla concezione della rete informativa immaginata quasi un secolo fa. Il giornale di Lenin è il supporto del centralismo organico, la rete che lavora con la doppia direzione pretesa dalle nostre Tesi di Milano, la base su cui si sviluppa il lavoro collettivo, unica garanzia per l'omogeneità teorica e tattica.

Se i compagni fanno uno sforzo per estendere queste semplici considerazioni alla differenza qualitativa apportata dalla moderna comunicazione, si accorgeranno che vi sono ulteriori implicazioni. Prendete la questione del centralismo. Abbiamo sempre detto che il centralismo non è un principio organizzativo. In genere lo si confonde con un dettato teorico perché è l'unico modo che i comunisti conoscono per lavorare insieme, ma fortunatamente i mezzi moderni di comunicazione non impongono più che il "centro" debba essere composto da persone che agiscono nella stessa località, negli stessi "uffici", usufruendo della stessa burocrazia e degli stessi mezzi materiali come archivi, segreterie ecc. L'analisi della potenza materiale delle segreterie è ben sottolineata da Lenin nelle sue preoccupazioni scritte poco prima di morire, negli appunti che vanno sotto il nome di Lettera al Congresso. Non era mai successo nella storia che una segreteria, cioè un posto dove si sbrigano le ordinarie faccende, assumesse un simile ruolo di direzione materiale e politica. Ma la segreteria è il posto dove si accentra tutta l'informazione di un organismo come lo si è conosciuto finora e come la Sinistra ha cercato, con tutte le sue forze, di negare dal punto di vista teorico e pratico.

I nuovi sistemi di comunicazione stanno sconvolgendo il modo di lavorare dell'industria moderna, specie per quanto riguarda la struttura dell'informazione, quindi il flusso dell'autorità di fabbrica. A maggior ragione la loro semplice esistenza ha già potenzialmente sconvolto l'assetto organizzativo materiale del futuro partito. I capitalisti non riescono a utilizzare in pieno le nuove tecnologie per via dell'inerzia dovuta al costo dell'organizzazione e agli altri fattori che conosciamo, ma il partito rivoluzionario non ha partita doppia e realizza in pieno ciò che per ora fa parte solo della teoria dell'informazione borghese: l'informazione è a entropia negativa, i sistemi organici non sono dissipativi di informazione, non vanno verso il massimo disordine, la morte termica. Il lavoro organico del partito, strumento che si dissolverà nel comunismo, rappresenta il rovesciamento della prassi, il progetto complessivo del rapporto fra l'uomo e la natura (55). Non abbiamo certo aspettato che la borghesia ci mettesse a disposizione il suo armamentario tecnologico per giungere, come corrente, alle nostre conclusioni, ma oggi diventa meno facile subire l'influsso di meccanismi organizzativi gerarchici, in fondo democratici, tipici del passato (56).

Nelle nostre ultime Lettere abbiamo cercato di analizzare i fenomeni cruciali dell'attuale capitalismo. Abbiamo cercato di studiare, in ultima analisi, la dinamica degli elementi che compongono il Capitale scomponendolo negli elementi semplici che Marx ha individuato, il capitale costante, il capitale variabile, il plusvalore. Abbiamo cercato di individuare attraverso quali meccanismi si ripartisce il plusvalore all'interno della società borghese scomponendo il plusvalore negli ulteriori elementi semplici, profitto, interesse e rendita. La nostra ricerca, passando attraverso successivi livelli di astrazione, ci ha portato ad occuparci di ciò che le variazioni degli elementi strutturali producono sulla realtà fenomenica: dal crack dell'87 all'economia americana, dalla Guerra del Golfo al "crollo del falso comunismo", dalle necessità frustrate di superare il keynesismo alla dinamica delle forme istituzionali (sovrastrutturali) borghesi. Tale lavoro può e deve essere incrementato e migliorato, ma vi sono campi che non abbiamo ancora affrontato per iscritto anche se li abbiamo già trattati in diverse riunioni: la questione militare e gli schieramenti interimperialistici futuri, le capitolazioni ideologiche della borghesia di fronte al marxismo, le nuove scoperte della fisica e della matematica che lasciano intravedere un tramonto dell'indeterminismo e quindi della propensione sociale all'esistenzialismo antimaterialistico.

Il lavoro è aperto e ogni apporto non potrà che avvicinarci alla realizzazione di quello che Lenin oggi chiamerebbe almeno il "piano per un giornale per tutta l'Europa".

Ottobre 1995

Note

(41) Questo e il capitoletto che segue sono la trascrizione quasi letterale dal nastro magnetico. La parte che descrive il lavoro vero e proprio sul secondo volume della Dinamica dei processi storici esula dallo scopo di questa Lettera, quindi non la riproduciamo. Preghiamo i lettori di pazientare fino all'uscita del libro.

(42) I modelli di ottimizzazione dei processi, la cui matematica è chiamata Programmazione lineare, sono in genere attribuiti a G. B. Dantzig e agli sviluppi che avvennero negli Stati Uniti a partire dal 1947. In realtà il primo modello matematico di Programmazione lineare fu impostato da V. Kantorovich nel 1939 in URSS per la risoluzione di problemi eminentemente pratici.

(43) Hegel metteva in primo piano l'Idea e Marx rovesciò la sua costruzione. L'umanità non si pone se non quei problemi (il possibile) la cui soluzione è già nelle cose (il reale), l'abbiamo visto. Quando sorge il problema, esso è già in ritardo sui fatti che l'anno suscitato, l'idea nasce dalla materia.

(44) Prendiamo la Cina: una industrializzazione formidabile in pochi anni, tassi di crescita a due cifre, aumento dell'occupazione operaia; tutto vero, ma il boom cinese è dato da capitalismo modernissimo, macchinista e finanziario; non ha dato, in termini di occupazione industriale, risultati paragonabili al boom occidentale del dopoguerra. Solo le recenti ristrutturazioni nell'apparato industrial-burocratico statale hanno provocato 30 milioni di nuovi disoccupati, mentre la meccanizzazione delle campagne ha provocato una massa migrante di 150 milioni di persone che aumenterà a 200 milioni nei prossimi cinque anni (cfr. Le Monde Diplomatique, marzo 1995, tutti gli articoli di pagg. 14-15).

(45) Questo capitoletto, a differenza dei due precedenti, è tratto dalla bozza del secondo volume sulla Dinamica dei processi storici in corso di redazione. Nella bozza si dicono le stesse cose dette nella riunione, ma in modo molto più sintetico e quindi più utile ai fini che qui ci prefiggiamo. Abbiamo quindi ritenuto di attingervi cambiando solo poche frasi.

(46) Cfr. A. Bordiga, "Neutralità", ora in Bussole impazzite ed. Quad. Int.

(47) Engels attribuisce una grande importanza alla forza della borghesia armata e organizzata contro il proletariato e tratta in termini militari il problema dello scontro alla luce delle armi moderne ecc. (Introduzione a Le lotte di classe in Francia di Marx, Ed. Riuniti pag. 39 e segg.). Trotzky analizza la dialettica dei rapporti di forze, cioè il rapporto fra la forza numerica dell'avversario e le circostanze materiali favorevoli che la neutralizzano in Insegnamenti dell'Ottobre (ed. Programma com. 1973).

(48) L'aneddotica ufficiale che si occupa della fabbricazione di Battilocchi vari, ci fa sapere che un Pascal rifece da solo tutto il percorso della geometria euclidea e un Leopardi quello della conoscenza umanistica. Con ciò essa offende sia i personaggi che riuscirono giungere a tanto collegandosi alla conoscenza umana della loro epoca senza chiudersi, se non materialmente, nelle proprie stanze, sia la "biblioteca" cui fecero riferimento.

(49)Amadeo Bordiga, Critica della filosofia, circa 1928, di prossima pubblicazione presso i Quad. Int.

(50) Ibid.

(51) Ibid.

(52) Avevamo già scritto la lettera quando, cercando letture a proposito del determinismo, abbiamo trovato questa bella definizione del rapporto fra principii e vincoli che ci ricollega alle considerazioni fatte precedentemente nel citare Hegel e Lenin: "Se le radici dell'irreversibilità (deterministica, n.d.r.) non si trovano nei principii che regolano gli eventi microscopici (meccanica quantistica n.d.r.) significa che andranno cercate nei vincoli che condizionano il verificarsi di questi eventi. Principii e vincoli sono aspetti complementari della descrizione fisica della natura. I principii descrivono le regolarità sottostanti i fenomeni, sono poco numerosi e si applicano a un ambito molto vasto. I vincoli servono per selezionare, fra tutti gli eventi regolati da un principio, il particolare fenomeno che interessa. I principii definiscono l'ambito del possibile, i vincoli ciò che è reale o rilevante. I vincoli possono prendere la forma di condizioni iniziali, condizioni di contorno, o condizioni di simmetria" (D. Layzer, "La freccia del tempo", Le Scienze n. 92, aprile 1976).

(53) Si sta parlando nel maggio del 1994.

(54) N. Negroponte ha un laboratorio al MIT di Boston. È considerato un santone dell'informatica per via di un suo libro intitolato Being digital, che non abbiamo letto, e diversi articoli e interviste che abbiamo letto ricavandone la convinzione che fosse meglio non leggere il libro.

(55) "Secondo la linea storica noi utilizziamo non solo la conoscenza del passato e del presente della umanità, della classe capitalistica e anche della classe proletaria, ma altresì una conoscenza diretta e sicura del futuro della società e della umanità, come è tracciata nella certezza della nostra dottrina che culmina nella società senza classi e senza Stato, che forse in un certo senso sarà una società senza partito, a meno che non si intenda come partito un organo che non lotta contro altri partiti, ma che svolge la difesa della specie umana contro i pericoli della natura fisica e dei suoi processi evolutivi e probabilmente anche catastrofici" (Tesi di Napoli, punto 11).

(56) Questo passo è tratto, con alcune modifiche, da una lettera ai compagni di Roma.

Fine

Lettere ai compagni