33. Militanti delle rivoluzioni (2)

Riconoscere i testi della rivoluzione

Allora, esiste o non esiste, non nella Sinistra, ma nella coscienza collettiva della specie, la teoria del battilocchio? Esiste, a dispregio dei marxologi da strapazzo. Esiste il concetto organico di partito? Esiste, a dispregio dei democratici travestiti da marxisti. Il buon militante non ha bisogno che in uno scritto compaia la regolamentare dozzina di citazioni da Marx, Engels, Lenin, o vi siano intercalate ogni tre parole le espressioni marxismo, rivoluzione, masse, sfruttamento e, perbacco, "attacco borghese alle masse oppresse", per sapere se si tratta di scritto rivoluzionario. Bordiga scrive intorno alla fisica moderna e all'arbitrarietà delle concezioni che separano il mondo del continuo da quello del discreto, l'onda dalla particella, l'energia e il pensiero dalla materia. Anche Diderot, ma due secoli prima, spinge il lettore a superare l'antico dualismo. La separatezza dei corpi sussiste anche se la nostra immaginazione li unisce avvicinandoli, ma la soluzione del problema non consiste nel vedere continuità solo con l'incollare corpi separati; occorre concepire l'universo intero come un tutto senza soluzione di continuità, anche persistendo la separatezza apparente dei corpi. Oggi sappiamo che la presenza o meno di un insignificante elettrone ai margini dell'universo ha effetti misurabili su di un altrettanto insignificante elettrone a casa nostra, senza che si tocchino, a miliardi di anni luce di distanza.

Siamo fatti di atomi, elettroni, energia, come ciò che ci circonda, suggerisce Diderot senza sapere di atomi e di elettroni. Siamo fatti di cellule e noi stessi siamo cellule di una specie che abita un pianeta che fa parte... ecc. E' perciò che la critica all'individualità dei corpi, compresi i corpi umani, va spinta fino a criticare la confusione tra contiguo e continuo. L'occhio soggettivo vede oggetti contigui, e la mente ordinaria immagina molecole contigue nella stessa materia che ha un'apparenza bella solida, continua, di atomi attaccati l'uno all'altro un po' come i granelli di sabbia e i ciottoli cementati nel calcestruzzo. Ma la natura non possiede che la continuità fra le sue parti, quindi esse in qualche modo comunicano sempre, non sono mai separate. La continuità nella materia tiene quindi in relazione perenne tutte le cose dell'universo.

Dieci mele contigue non sono altro che un mucchietto di mele, oggetti singoli che hanno significato solo nel contesto in cui esistono, per esempio vengono mangiate, marciscono, lasciano un seme che produrrà altre mele ecc. Un albero di mele rappresenta meglio la mela, ma anche la continuità con il contesto, le radici, la terra, l'acqua, i minerali, l'aria, il sole ecc. Dieci uomini sono un mucchietto di uomini e venti solo un mucchietto più grande. Venti uomini contigui nel mucchietto non produrrebbero conoscenza più di quanto ne produrrebbe uno solo, cioè niente. Oppure, se vogliamo, venti uomini possono ripetere tutti la stessa fesseria allo stesso modo in cui altri venti possono dire venti fesserie diverse. Se invece di dire fesserie dicessero cose importanti e vitali il risultato non cambierebbe di molto, perché si possono sommare all'infinito cose importanti e vitali senza che si aggiunga alcunché all'esistente. La vera trasformazione avviene quando le molecole umane sono in relazione di continuità, non di vicinanza, vale a dire quando sono tra loro collegate e tra loro trasmettono e ricevono. La rete di relazioni dove ogni molecola (umana e non) rappresenta un nodo di comunicazione è l'unica via attraverso cui aumenta la conoscenza del sistema nel senso che il tutto è maggiore della banale somma delle parti. Questa capacità autoorganizzativa è una proprietà della materia e quindi anche il pensiero è una proprietà della materia.

Queste considerazioni che collegano uomini con un ponte di due secoli fanno parte del bagaglio umano e non sono solo frutto di immaginazione individuale. Se c'è bisogno di prova dimostriamo subito con un esempio qualsiasi che esse non si presentano isolate ma germogliano rigogliosamente qua e là nell'espressione dell'intelligenza collettiva. Giacomo Leopardi, in molte pagine dello Zibaldone affronta il problema della materia e della sua relazione con lo "spirito". Eccone un esempio significativo:

Noi non possiamo giustificare altrimenti le nostre tante chimeriche opinioni, sistemi, ragionamenti, fabbriche in aria sopra lo spirito e l'anima, se non riducendoci a questo: che la impossibilità di pensare e sentire nella materia sia un assioma, un principio innato di ragione, che non ha bisogno di prove. Noi siamo effettivamente partiti dalla supposizione assoluta e gratuita di questa impossibilità per provare l'esistenza dello spirito... Qui davvero che il povero intelletto umano si è portato da fanciullo quanto mai in alcuna cosa. E pur la verità gli era dinanzi agli occhi. Il fatto gli diceva: la materia pensa e sente; perché tu vedi al mondo cose che pensano e sentono e tu non conosci cose che non sieno materia; non conosci al mondo, anzi per qualunque sforzo non puoi concepire, altro che materia.(28)

Leopardi nota che il non conoscere un fenomeno non ci dà la giustificazione per negarlo. Nel suo saggio sull'Interpretazione della Natura, Diderot sottolinea la differenza fra un'opinione e un fatto scientificamente provato chiamando a testimone l'istinto che non subisce la mediazione dell'intelletto. Inoltre afferma che per rendere effettiva la conoscenza, slegandola dalle pastoie della soggettività, occorre che il soggetto si metta in relazione con il mondo esterno:

Finché le cose rimangono esclusivamente nel nostro intelletto, sono nostre opinioni, sono nozioni che possono essere vere o false, accettate o contraddette. Esse acquistano consistenza solo legandosi agli esseri esterni. Tale legame si attua mediante una catena ininterrotta di esperienze... Disgraziatamente è più facile e più semplice consultare sé stessi che non la natura. Perciò la ragione è portata a restare in sé stessa, mentre l'istinto si diffonde verso l'esterno... Si potrebbe imparare più fisica sperimentale studiando gli animali che non seguendo i corsi di un professore.(29)

Tutte queste osservazioni rappresentano la registrazione di una conoscenza che l'umanità ha raggiunto una volta per tutte. Esse sono rimaste per lungo tempo frammentarie e sparse nell'opera di personaggi che si sono occupati di moltissime cose e nemmeno Marx ed Engels hanno potuto raccoglierle e sistemarle in un testo unitario. La nostra rivoluzione non ha potuto produrre ancora tale testo. Il saggio dottor Bordeu, dopo aver ascoltato il già citato delirio di d'Alembert, commenta: "Ha fatto una digressione molto bella. Questa è altissima filosofia; sistematica, per il momento; credo che più le conoscenze umane progrediranno, più essa sarà verificata". La teoria dell'unità di energia e materia è ormai verificata. La teoria dell'unità di materia e pensiero ha ancora bisogno di una rivoluzione per essere universalmente accettata. La teoria del trattare le relazioni umane come si trattano le relazioni dell'energia e della materia è opera di Marx, ma, per ora, solo la Sinistra l'ha portata sul terreno delle relazioni che stanno alla base del partito, degli individui che lo formano, delle classi che, scontrandosi, liberano energia rivoluzionaria.

Bussola e sestante per non perdersi nella storia

Nell'ambito della teoria rivoluzionaria la Sinistra non ha inventato nulla, ma solo la Sinistra ha precisato le relazioni dell'individuo con la specie, del singolo con la collettività organizzata, del moto fisiologico individuale con il moto delle classi, delle singole molecole con la massa materiale che spazza via le vecchie società. Solo la Sinistra ha potuto strappare tali relazioni dalla "sistematica" per portarle nel campo della verifica sperimentale da cui trarre conclusioni teoriche il cui valore si può assimilare a quello di una legge.

Ci si potrà obiettare che un mucchio di gente l'ha fatto, che ci sono lavori teorici di precisazione rispetto al materialismo dei nostri antenati ecc. Ovviamente. Ma la differenza fondamentale sta nel fatto che nessuno di questi lavori ci dà soddisfazione sul piano teorico perché rimane un prodotto di uomini che trovano "più facile consultare sé stessi che non la natura". Chiediamoci perché solo la Sinistra ha potuto precisare in modo esplicito tutto ciò e vedremo che la risposta è: la Sinistra non ha consultato sé stessa, ma ha elaborato la teoria della funzione dell'individuo e dell'organicità necessaria per una sua azione proiettata verso nuove forme in una battaglia reale contro forze che stavano negando la rivoluzione stessa.

Da dove è scaturita questa possibilità di elaborazione? Perché altri ne sono rimasti tagliati fuori? Domande che richiedono risposte certamente complesse e che, come al solito avrebbero bisogno di una riformulazione della domanda. La Sinistra era più avanti degli altri partiti europei e più in armonia con il bolscevismo del momento rivoluzionario, per questo era isolata e non capita. Non si tratta di fare il piagnisteo, era un dato di fatto. E l'isolamento divenne ancora più pesante in seguito, quando il bolscevismo si ritirò sulle questioni russe coinvolgendo gli altri partiti.

Forse la Sinistra, come abbiamo detto tante volte, nel suo isolamento seguìto alla sconfitta e nella stessa sua esistenza nel cuore del capitalismo avanzato è riuscita a stare (o forzatamente è stata) alla larga dalle grandi correnti internazionali che hanno coinvolto i partiti più numerosi e importanti. Nell'isolamento e nella forzata mancanza di espressione energetica attiva nei confronti delle "masse" ha avuto la tranquillità sufficiente per sviluppare per via teorica tutto ciò che aveva vissuto nella lotta perduta sul fisico campo di battaglia.

La Sinistra non ha dovuto affrontare il problema dei contadini, quello della lotta materiale contro l'arretratezza della società, non ha dovuto mettere in cantiere tentativi pratici che possedevano di per sé tutto il potenziale sufficiente per portare al fallimento la rivoluzione proletaria quando essa arretrò in Occidente. Lo stesso fascismo dette alla Sinistra l'opportunità di capire a fondo quanto fosse necessario contrapporre alla borghesia strumenti teorici e pratici più potenti di quelli del passato. Tutti credevano che il fascismo fosse un ritorno indietro rispetto alla democrazia, mentre la Sinistra vide chiaramente che esso rappresentava la risposta moderna e potente, più potente di quanto si fosse mai visto, di controllo della vita sociale. Il corporativismo fascista era la sanzione del dominio reale del capitale anonimo su tutta la società. Non si poteva contrapporre alla modernissima forma di dominio borghese una forma di organizzazione proletaria che facesse ancora affidamento sugli arnesi democratici e sulla funzione degli individui e dei capi, dei loro pensieri e delle "loro" tesi. Nello stesso tempo la Sinistra si scontrò con l'impossibilità di realizzare un partito organico. Esso doveva essere basato su relazioni fra militanti rivoluzionari improntate alle esigenze della rivoluzione in ambiente capitalistico ultraevoluto, ma in questo ambiente la rivoluzione non decollò.

La Sinistra ha avuto quindi la grande opportunità storica di una situazione particolare che l'ha salvata da "esperimenti pratici" legati alla sorte dell'Internazionale che stava degenerando. Ciò non significa che "è andata bene così". Certamente la Sinistra stessa lottò fino in fondo affinché l'Internazionale non degenerasse, anche quando le fu evidente (e lo fu almeno dal 1924) che la battaglia era persa. Ma la storia è andata diversamente dalle aspettative. Come giustamente ricorda Lenin, ogni situazione è speciale quando vengono poste le condizioni storiche per fermarsi e fare un bilancio dei fatti. Ciò successe in Russia dopo il 1905 e si ripeté dopo il disastro della Seconda Internazionale. Fu ancora una situazione "speciale" quella che permise al giovane proletariato russo e non a quello occidentale, benché più navigato, di prendere il potere.

E' in questi momenti che nasce effettivamente la possibilità di fermare un qualcosa dal punto di vista teorico, perché è possibile non farsi trascinare dalla maledetta attualità. Sembra una contraddizione, per quanto riguarda la Russia, ma non lo è. L'attualità in Russia imponeva un percorso stabilito nei fatti: rivoluzione democratica, parlamentarismo, appoggio e partecipazione al governo provvisorio, pace. Sappiamo com'è andata a finire: arrivo di Lenin alla Stazione di Finlandia, delegazione del governo provvisorio, Lenin che maneggia impacciato il mazzo di fiori e ascolta indifferente il discorso di saluto, poi si rivolge agli operai al di là delle transenne e grida: siete l'avanguardia della rivoluzione mondiale! Sgomento dei rappresentanti democratici che guardano al pazzo di aprile, sorrisi ironici dei vecchi volponi menscevichi, uno dei quali, nelle sue memorie scriverà:

"Ciò fu ben curioso! Questa voce che faceva irruzione nella rivoluzione non contraddiceva affatto il 'contesto' di quest'ultima, essa non appariva affatto come discordante, ma introduceva una nota nuova, un senso come di stordimento".(30)

Anni di esilio hanno permesso il bilancio, la selezione ha assottigliato in maniera drastica gli effettivi: a luglio ci si deve nascondere e sembra tutto finito, perso, a settembre la svolta nei Soviet, a ottobre la rivoluzione.

La Sinistra ha conosciuto il suo periodo di silenzio. Ciò le ha permesso di affinare le armi critiche, come lo aveva permesso a Marx ed Engels, come lo aveva permesso a Lenin. Il bilancio passa attraverso l'esperienza della lotta condotta fino a che fu possibile: via gli orpelli democratici, via le scimmiottature dei meccanismi borghesi, via il culto dell'individuo e della sua presunta ingerenza nella storia. L'impersonalità dell'azione di partito deve essere messa al primo posto, vista e sperimentata l'azione personale di individui, ognuno dei quali credeva di essere l'unico clavicembalo sensibile esistente al mondo e che tutta l'armonia dell'Universo si producesse in lui; la qual cosa produceva immediatamente l'effetto di lottare per i posti in cui manifestare la propria potenza, sostenuta con circolari e con deliberati di CC e CE, di Direzioni e Sezioni, Federazioni e Congressi, di Responsabili e Segreterie, di Gruppi parlamentari ed Esecutivi ristretti o allargati.

Certo che la Sinistra ha impostato in modo peculiare il problema dell'individuo, dell'Io, dell'intuizione contro la cultura che prepara più azzeccagarbugli che scienziati, dell'istinto rivoluzionario contro la presunta volontà rivoluzionaria, del centralismo organico contro la presunta funzione di capi che sarebbero motori di rivoluzioni o controrivoluzioni. Questo argomento permea tutta l'opera della Sinistra dalle Tesi ai Fili del Tempo, dalle riunioni generali agli articoli sparsi sul periodico di partito.

La rivoluzione, le leggi fisiche e l'isolamento

Ma è una manìa! dice l'osservatore sprovveduto. No, non è una fissazione, è un chiodo che va ribadito a caldo e quindi non bisogna mai far raffreddare perché, per ricordare ancora Diderot, il personalismo idealistico nasce dal fatto reale che l'individuo esiste, assorbe e fa suo il mondo esterno riflettendolo come sua specifica opera. Le questioni dell'intuizione, dell'istinto e del mito dell'individuo quadrano perfettamente con il materialismo storico e dialettico, non è vero che non fanno parte del bagaglio marxista precedente la Sinistra. Marx ed Engels giunsero separatamente alle stesse conclusioni partendo da premesse del tutto diverse. Il primo scriveva al padre sprazzi della nuova concezione del mondo quando ancora ragazzo studiava a Berlino: "Un sipario era caduto, il mio sacrario era spezzato, e nuovi dèi dovevano essere insediati... Volli ancora una volta tuffarmi nel mare, ma con la ferma intenzione di trovare la natura spirituale altrettanto necessaria, concreta e saldamente conchiusa di quella fisica". Aveva diciannove anni. Il secondo si convinceva, lavorando per la prima volta nella fabbrica del padre, che la soluzione stava nella classe operaia. Aveva diciotto anni. Pochi anni dopo scrivevano insieme il manifesto del partito della rivoluzione proletaria e dopo altri tre o quattro erano a spasso senza legami col partito effimero, distrutto dal riflusso rivoluzionario e dalle beghe umane. Nessuna potenza poteva alleviare la disoccupazione dei "geni" della nuova dottrina sociale e non li ascoltava nessuno. Una decina di anni dopo erano i temuti capi di una organizzazione internazionale rivoluzionaria.

Non avevano fretta, non si poteva violentare la natura spirituale (leggi: politica) una volta che si era stabilito che le sue leggi erano come quelle fisiche. Insomma, non erano dei volgari attivisti e non contavano sulle loro auguste persone per fare in modo che la rivoluzione si desse una mossa. Sentite cosa dice Engels in una lettera a Marx del 13 febbraio 1851:

Finalmente abbiamo un'altra volta - per la prima volta dopo molto tempo - l'occasione di dimostrare che non abbiamo bisogno di nessuna popolarità, di nessun support di qualsiasi partito di qualsiasi paese e che la nostra posizione è totalmente indipendente da miserie del genere. Da questo momento noi siamo responsabili soltanto di noi stessi, e quando verrà il momento in cui i signori avranno bisogno di noi, noi saremo in grado di dettare le nostre condizioni. (31)

L'isolamento (che poi era un isolamento relativo) durerà fino al 1864, quando Marx ed Engels verranno chiamati ad occuparsi della nascente Internazionale. La frase suona veramente arrogante per i democratici. Ma come, e il dibattito? Verrà il momento in cui i signori avranno bisogno di noi e allora detteremo le nostre condizioni. Certo, viene il momento in cui la rivoluzione ha bisogno di chi non si è lasciato trascinare nelle chiacchiere della politica corrente e ha stabilito le basi teoriche su cui muoversi, la tattica, il programma. Le lettera continua:

Che ci fa a noi, che sputiamo sulla popolarità, che dubitiamo di noi stessi quando cominciamo a diventare popolari, un 'partito', cioè una banda di asini che giura sulle nostre parole, perché ci ritiene suoi pari? Veramente non è una perdita se non passiamo più per la 'esatta e adeguata espressione' di queste stupide bestie con le quali questi ultimi anni ci hanno mescolato. (32)

Non era passato gran tempo da quando si era formata la Lega dei Comunisti e i moti del 1848 l'avevano già decretata sorpassata. La rivoluzione non si ferma ai primi risultati, tende sempre ad andare a fondo delle cose. Dopo che il movimento reale ebbe espresso i suoi strumenti, ecco che lo stesso movimento reale decreta il loro avvenuto decadimento. Uomini che potevano essere validi per la rivoluzione democratica si erano dimostrati inferiori agli stessi avvenimenti e non potevano più definirsi rivoluzionari. Certamente la vigliaccheria della borghesia tedesca aveva delle radici materiali e ci penserà Bismark a compiere dall'alto la rivoluzione abortita dal basso, ma l'inconsistenza degli autonominatesi rappresentanti della rivoluzione non aveva scuse. Perché allora lasciarsi trascinare nel vortice di un partito che si riconosce non essere mai stato lo strumento adatto della rivoluzione?

Una rivoluzione è un puro fenomeno naturale che viene guidato piuttosto da leggi fisiche che secondo le regole che determinano l'evoluzione della società nei tempi normali. O piuttosto, nella rivoluzione queste regole assumono un carattere molto più fisico, la forza materiale della necessità si rivela con maggior violenza. E in quanto si agisce come rappresentanti di un partito, si è presi in questo vortice della incoercibile necessità naturale. Solo per il fatto di mantenersi independent essendo in realtà più rivoluzionari degli altri, si può almeno per un certo tempo conservare la propria indipendenza di fronte a questo vortice. (33)

La consegna quindi è: resistere all'attività a tutti i costi, conservare la propria indipendenza di fronte al partito formale mantenendosi fedeli al partito storico. Come dicono le Considerazioni più sopra citate, sbaglia chi volge le spalle al partito formale sentendosi in regola col solo partito storico. Chi, anche con indipendenza di fronte alle fesserie degli uomini, non è però indipendente dalla necessità di lavorare in modo organizzato, finirà comunque per essere "trascinato dentro" alle questioni di organizzazione, come dice Engels nella lettera stessa. L'importante è che venga trascinato con la necessaria freddezza che gli consenta di non assumere posizioni altrui. Un conto è essere trascinati in un processo in modo cosciente, come chi lo conosce e lo domina; un conto è lasciarsi trascinare e basta, assumendo posizioni altrui per mancanza di posizioni.

Nessuna responsabilità per conto di somari, critica spietata per tutti, e inoltre quella serenità che tutte le cospirazioni di queste teste di pecora non ci leveranno davvero. E questo possiamo farlo. Possiamo nella realtà essere sempre più rivoluzionari di tutti i frasaioli, perché noi abbiamo imparato qualche cosa e loro no, perché noi sappiamo che cosa vogliamo e loro no, e perché, dopo quello che abbiamo visto negli ultimi tre anni, prenderemo la cosa molto più freddamente di ogni altro che sia interessato alla faccenda. (34)

Seguono, guarda caso, le indicazioni sulle uniche cose che si possono fare quando la situazione storica è sfavorevole ai rivoluzionari, l'approfondimento teorico, lo sviluppo dell'analisi, la diffusione dei risultati a mezzo stampa:

La cosa principale per il momento è la possibilità di far stampare le nostre cose; o in una rivista trimestrale, in cui attaccare direttamente e consolidare la nostra posizione di fronte alle persone; o in grossi volumi, dove fare la stessa cosa senza avere neanche la necessità sia pur di nominare uno di questi ragni. Per me tutt'e due le cose vanno bene [...]. Che cosa sarà di tutte le stupide chiacchiere che tutta la plebaglia degli emigrati può fare sul tuo conto, quando tu risponderai con l'Economia? (35)

Il militante sa che cos'è il comunismo

Come si vede Marx ed Engels non furono teneri con la "banda d'asini" che voleva a tutti i costi essere sulla cresta dell'onda; cercarono l'isolamento buttandosi sull'unico lavoro da fare quando la situazione è storicamente sfavorevole: conservare il futuro della linea di classe del partito. Eppure non si negherà che siano stati militanti comunisti rivoluzionari. Il fatto è che il militante della rivoluzione sfugge a una descrizione che, come si usa dire oggi con una frase orribile, "voglia entrare nel merito". E' vero che la definizione di militante citata all'inizio non risponde a quesiti "pratici", ma in fondo non si può neanche rispondere in modo compiuto alla domanda che cos'è un militante della rivoluzione senza porsi dal punto di vista del processo complessivo che prepara una rivoluzione.

L'unico modo per rispondere è ripercorrere, oltre ai passi che abbiamo già percorso per necessità, anche la storia dello sviluppo del partito. E' militante comunista colui che agisce in sintonia col partito storico e si comporta di conseguenza nei confronti del partito formale. Tutte le fesserie che si dicono di solito negli ambienti sedicenti rivoluzionari sulla dedizione del singolo, sul numero di riunioni frequentate, sulla misura del lavoro erogato o sul grado di comprensione dei sacri testi sono da buttare. Abbiamo sentito alcuni aneddoti gustosi sulla concezione del partito come ambiente di marketing politico (36). E' ovvio che deve nascere una relazione naturale fra ciò che si intende essere e ciò che si fa, ma deve anche essere ovvio che non può esistere un comunistometro da applicare ai compagni per misurarne il grado di rivoluzionarietà. Il comunismo cattura i suoi militanti così come le leggi fisiche della natura catturano gli uomini di scienza che le rendono esplicite e le adoperano. Prima di tutto, quindi, occorre riprendere la classica definizione di Marx ed Engels sul comunismo la quale rovescia la concezione idealistico-utopistica che fa del militante un attivista con velleità di facitore di storia:

Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente. (37)

Se il comunismo non è un ideale degli uomini al quale dovrebbe conformarsi la realtà, è escluso che gli uomini "facciano" la rivoluzione secondo coscienza, quindi è escluso che gli uomini "scelgano" di diventare comunisti, cioè strumenti della rivoluzione. Gli uomini sono "scelti" dalla rivoluzione e gettati nella lotta secondo criteri determinati solo dai fatti reali, che succedono indipendentemente dalla loro volontà. Engels ribadisce il concetto nello scritto che abbiamo messo in apertura del nostro opuscolo di presentazione (38). Da nessuna parte troviamo la volontà individuale come spiegazione degli avvenimenti rivoluzionari nel loro divenire, tantomeno troviamo alla base della rivoluzione una scuoletta di militanti che, riuniti in gruppo o partito, rappresenti con la sua volontà l'innesco del processo rivoluzionario, la possibilità di ingrandirsi fino a comprendere le masse, la capacità precostituita di "creare" un meccanismo organizzativo ben oliato e disciplinato:

Il comunismo non è una dottrina ma è un movimento; non muove da principii ma da fatti. I comunisti non hanno come presupposto questa o quella filosofia, ma tutta la storia trascorsa e specialmente i suoi attuali risultati reali nei paesi civili. Il comunismo è nato dalla grande industria e dalle sue conseguenze, dall'instaurazione del mercato mondiale, dalla concorrenza libera da ostacoli che questo comporta, dalle crisi commerciali sempre più violente e generali, che già ora sono diventate crisi complete del mercato mondiale, dalla creazione del proletariato e dalla concentrazione del capitale, dalla lotta di classe - che ne deriva - tra proletariato e borghesia. Il comunismo, per quel che è teorico, è l'espressione teorica della posizione del proletariato in questa lotta e il compendio teorico delle condizioni per la liberazione del proletariato. (39)

Ecco, per essere militanti comunisti occorre essersi sintonizzati con il contenuto di questa concezione del mondo in divenire. Se si ha qualsiasi altra concezione del movimento storico che fa agire gli uomini verso una società diversa, non si è comunisti rivoluzionari. Si è anarchici, sindacalisti, utopisti di qualche sfumatura, stalinisti, ma non comunisti. Non possono esserci altre definizioni materialistiche del percorso rivoluzionario e dei passaggi che lo segnano. Non sembri un'esagerazione. Queste cose sono a disposizione di tutti. Vi sono montagne di materiale vivo cui il militante può attingere a piene mani. La stragrande maggioranza di coloro che si sono autodefiniti comunisti per anni non ha digerito la grande lezione che è stata scritta nel processo rivoluzionario incessante. Non si tratta evidentemente di analfabetismo politico, si tratta di forze materiali che impongono occhiali deformanti, quando non lenti impermeabili alla luce. La cecità teorica è derivata in modo diretto da una prassi che ha allontanato la classe proletaria dai suoi compiti storici e ridotto al lumicino i continuatori della tradizione marxista. Perché il comunismo è l'espressione teorica dell'atteggiamento del proletariato in quanto classe e, se il proletariato non agisce come classe per sé, la sua espressione teorica non ne rimane toccata, ma quella pratica è necessariamente quella che viviamo.

I comunisti, dunque, non hanno come presupposto questa o quella filosofia. Perché? Perché da quando l'umanità ha sorpassato le antiche cosmologie che della religione, della scienza e della filosofia facevano tutt'uno, ogni filosofia è diventata prerogativa del pensiero individuale, che si prende l'arbitrio di dare una spiegazione là dove non giungono religione e scienza. La filosofia non è più ricerca e spiegazione, ma costruzione ideale, interpretazione, e questo non ci interessa, è lontano mille miglia dal nostro percorso. Non si può più dire, oggi, filosofo materialista. Chi è materialista moderno (storico e dialettico) non è più filosofo ma rivoluzionario. Ma perché accanirsi contro la filosofia? Non è forse essa un innocuo prodotto del pensiero individuale? Che danno fa? Se vogliamo parlare di impotenza della filosofia attuale in effetti il discorso finisce lì. Il fatto è che essa rimane il prodotto deteriore di una concezione che vede l'individuo come motore di storia concepita nel cervello e ciò produce danni immensi anche nelle nostre file, perché alla fin fine il maledetto organo circonvoluto si trasforma non in preteso motore di storia, ma in motore di sballati rapporti fra uomini, scatenando tutte le misere faccende che riguardano il tormentato percorso del partito formale.

Gli uomini esistono e hanno un cervello reale che funziona come funziona, quindi non si può prescindere dai guai che esso combina. Ma le rivoluzioni insegnano e gli insegnamenti devono rimanere. Nel lungo arco storico, per milioni di anni l'individuo si confuse con il gruppo sociale, con la specie; per diecimila anni ebbe bisogno di miti e di dèi personalizzati; per due o tremila anni ebbe bisogno di eroi.

Riformismo, conformismo, antiformismo

La nuova rivoluzione si ricollegherà al ciclo di specie tramite la liberazione dal legame con la natura dovuta al procedere tecnico e sociale, non avrà più bisogno di miti e di eroi. Una volta una compagna scrisse ad Amadeo:

Dici bene che un marxista deve guardare i principii e non gli uomini... noi diciamo gli uomini non contano e lasciamoli fuori, ma sino a che punto si può far ciò? Se sono gli uomini che determinano in parte i fatti? Se gli uomini sono in parte la causa che determinò lo scompiglio, noi non possiamo dimenticarli del tutto. (40)

La domanda è cristallina e la risposta non ha bisogno di riformularla in termini marxisti. In quanto militanti rivoluzionari ci occupiamo di fatti sociali operati da uomini e quindi senza l'elemento umano la nostra costruzione non reggerebbe. I non marxisti credono che l'uomo prima pensi e poi agisca; da ciò derivano tutti gli effetti che si traducono nei rapporti visibili della vita materiale. I marxisti dicono che prima vi sono i rapporti materiali, siano essi animali e fisici o economici, determinati da eventi precedenti, poi vi è la razionalizzazione teorica o, più spesso, ideologica. Vi sono in effetti tre modi per porre la questione ed essi si possono schematizzare attraverso il linguaggio: i fatti sono operati dall'uomo tal dei tali; i fatti sono operati dagli uomini; i fatti sono operati da uomini. Questa è la successione storica di come viene posta la questione una volta superato lo stadio in cui l'uomo è legato strettamente alla natura, stadio che produce le concezioni che vengono chiamate animismo e totemismo. E Amadeo continua:

I tradizionali sistemi religiosi o autoritari dicono: un grande Uomo o un Illuminato dalla divinità pensa e parla: gli altri imparano e agiscono. Gli idealisti borghesi più recenti dicono: la parte ideale, sia pure comune a tutti gli uomini civilizzati, determina certe direttive, in base alle quali gli uomini sono condotti ad agire [...]. I marxisti poi dicono: l'azione comune degli uomini, o se vogliamo quanto di comune e non di accidentale e particolare è nell'azione degli uomini, nasce da spinte materiali. La coscienza e il pensiero vengono dopo e determinano le ideologie di ciascun tempo. E allora? Per noi come per tutti sono gli atti umani che divengono fattori storici e sociali: chi fa una rivoluzione? Degli uomini, è chiaro [...] Ma il fatto nuovo è che a noi non sono indispensabili, come alle precedenti rivoluzioni, neppure col compito di simboli, uomini determinati, con una determinata individualità e nome. (41)

Ci si potrebbe obiettare che si tratta di una questione che l'umanità si porta appresso e che non è nelle nostre possibilità eliminarla decretandone semplicemente l'inutilità. Ciò è esatto. Ma allora, perché non volgere a nostro favore questo elemento, utilizzarlo, visto che la suggestione per il Capo, la sua funzione, possono ancora essere elementi trascinanti, favorire gli schieramenti, essere determinanti nelle battaglie? La risposta è:

Il succo delle dure lezioni di tanti decenni sia questo: rinunziare a smuovere gli uomini e a vincere attraverso gli uomini non è possibile, e proprio noi sinistri abbiamo sostenuto che la collettività di uomini che lotta non può essere tutta la massa o la maggioranza di essa, deve essere il partito non troppo grande, e i cerchi di avanguardia nella sua organizzazione. Ma i nomi trascinatori hanno trascinato in avanti per dieci, e poi rovinato per mille. Freniamo quindi questa tendenza e in quanto praticamente possibile sopprimiamo, non certo gli uomini ma l'Uomo con quel dato Nome e con quel dato Curriculum vitae. (42)

Se la forma è il sedimento, l'incrostazione che si deposita sulla sostanza, dobbiamo sapere che gli uomini tendono soggettivamente a privilegiare la forma visibile e palpabile rispetto alla sostanza, che invece è da scoprire per quella che è tramite i procedimenti scientifici. Tali procedimenti ci portano ad escludere che la tradizionale credenza nella funzione dei battilocchi possa essere utile più di quanto sia dannosa e questo vale anche per gli infimi livelli dei rapporti tra le persone che compongono un gruppo o un partito.

La personalizzazione degli errori, le "colpe", i processi, la ricerca delle cause di vittorie o sconfitte nelle azioni degli individui vanno bandite. L'indugiare sulla tradizionale personalizzazione degli avvenimenti anche banali, anzi, soprattutto se banali, significa rispettare in modo del tutto reazionario la forma rispetto alla sostanza. E' un indice di conformismo deleterio, che impedisce al militante rivoluzionario di badare al suo percorso, che lo distrae dai suoi compiti, facendolo precipitare nel pantano della lotta politica personalizzata, più vicina ai discorsi da bar che alla ricerca scientifica e all'azione conseguente. Come non vedere che gli atteggiamenti minimi sono direttamente collegati alle concezioni massime? Se il rifiuto della forma economica e sociale capitalistica è totale, dovrebbe anche essere totale il rifiuto delle forme derivate che riguardano il comportamento. Per quanto sappiamo che ciò sia una delle cose più difficili da raggiungere, cionondimeno il problema deve essere presente e dar luogo almeno a una tendenza nel lavoro comune.

Non si può ovviamente eliminare per decisione statutaria il conformismo indotto nell'individuo che vive immerso nella realtà conformista, come si pretende in certi gruppi che dettano le regole di comportamento individuale nei minimi particolari. Dovrebbe essere chiaro che quando ciò succede è perché vi è una incapacità pratica di raggiungere il risultato e si cerca di supplire con formalismi sempre più particolareggiati. E dovrebbe essere anche chiaro che questa è una strada senza fine, imboccata la quale non c'è limite alla precisazione, come ha ben sperimentato la Sinistra nei confronti dell'Internazionale e del centrismo. Il grande risultato della spersonalizzazione dei problemi si raggiunge per altra via, cioè facendo ricadere sul lavoro quotidiano l'effetto di una concezione generale dei rapporti sociali. Si raggiungerà così quella sana diffidenza verso le forme e i formalismi che permette di evitare il conformismo alle abitudini inculcate dal modo di vita borghese.

La Sinistra ha creato il neologismo antiformista, contrapponendolo al nome delle correnti riformiste, che tendono a cambiare gradualmente una forma senza modificarne la natura, e a quelle conformiste, che tendono a mantenere lo stato di cose esistente senza neanche tentare di cambiarlo. Il militante comunista è soldato dell'antiformismo perché non concede nulla alla forma attuale e non solo non vede l'ora di spezzarla, ma si comporta conseguentemente, ben sapendo che occorrono armi, truppe e organizzazione per giungere a tale risultato. Se fosse tutto lì, qualcuno potrebbe obiettare che allora basta darsi da fare e reclutare, preparare, organizzare, andando dove c'è "fermento", e via di questo passo, predicando una morale rivoluzionaria. Trotzky, che se ne intendeva sia di rivoluzione che di cose militari, e non solo per aver diretto sia i Soviet che l'Armata rossa, ma perché aveva assimilato armi teoriche assai poderose, diceva che nessuna rivoluzione potrà mai abbattere l'ordine esistente se questo già non è minato da sé stesso (43).

L'arma più potente che abbiamo a disposizione è dalla parte del nemico e lavora contro di lui, a sua insaputa. Per converso l'arma più potente che ha la borghesia contro di noi ce la portiamo dentro noi stessi.

Militanti delle rivoluzioni passate

I combattenti di Spartaco furono sconfitti perché non ebbero la possibilità storica di sconfiggere i due elementi appena ricordati: il sistema avversario era ancora troppo forte e gli schiavi non erano ancora riusciti a concepire appieno un mondo senza schiavitù. Le prime bande disorganizzate avevano iniziato la loro rivolta a Capua e avevano imparato dal nemico a battersi sul campo durante il combattimento stesso. In capo a due anni, dopo aver sconfitto tre eserciti romani, avevano dominato la Valle Padana e l'Italia del sud. Alcune fonti parlano di centomila armati. Sembrava un esercito invincibile, sostenuto dalla forza di chi non ha nulla da perdere e dalla capacità militare acquisita unendo l'abilità individuale alle tecniche del nemico. Eppure Spartaco fu sconfitto non tanto dalle legioni di Crasso, quanto dal fatto che Roma era nel pieno della sua forza e un capo di schiavi, abile fin che si vuole, era destinato a rimanere un capo di schiavi. Spartaco non poteva trarre vantaggio sociale dopo le vittorie perché non era ancora all'orizzonte il tramonto della schiavitù. Questa fu la tragedia che terminò con lo sterminio. Ma Spartaco è un militante della rivoluzione umana.

Una situazione in cui si trovarono anche i contadini rivoluzionari alla cui testa si collocò Münzer, nel '500 in Germania. Anche Münzer fallì, ma rimane un militante della rivoluzione umana. E poi, cosa "fallì"? Solo sotto tortura e prima di essere decapitato pronunciò un programma comunistico, mentre in vita e in battaglia non ne ebbe una chiara consapevolezza. Rivoluzione prematura? Colpi di testa di capi irresponsabili? E quando mai una rivoluzione è prematura quando il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente? Il comunismo non è un movimento intermittente, ora c'è e ora non c'è: quando non lavora la rivoluzione attuale (quella che può essere riprodotta dall'estetica dei pittori o di altri moderni mezzi, quella fotogenica e cinematografica, quella con le spade e i cavalli, le bandiere e i cannoni), lavora l'altra faccia della rivoluzione, quella potenziale, quella dello sviluppo materiale della società, che prevede militi e soldati quanto e forse più di quella che si esprime con eroismo, rumore, polvere e sangue. Quando si muovono masse di uomini gli eroi non sono responsabili del movimento di esse ma ne sono il prodotto; essi poggiano le loro gesta su di un basamento ben più grande di loro, fatto di energie e azioni di militanti che non hanno trovato storici stipendiati a nominarli.

Forse Spartaco non è mai esistito, forse neanche Cristo; forse sono un simbolo mnemonico per anonime rivoluzioni, figure tramandate dai sopravvissuti per le future battaglie. La rivoluzione può essere "immatura" quanto si vuole, ma essa non cessa mai e non rallenta di fronte a nulla. La forza dell'avversario non le impedisce di trovare militanti disposti a combattere fino all'ultimo per una vittoria creduta possibile, anche senza che abbiano in tasca il biglietto per la gloria garantita. Guardate alla Comune di Parigi, di cui non si ricordano i nomi senza sforzare la memoria o andare a consultare i libri.

Anche la rivoluzione cristiana non ebbe nessuna possibilità di affermarsi finché Roma fu in grado di tenere saldamente il controllo dell'Impero. "Antiformista e rivoluzionario per eccellenza fu il movimento che porta il nome di Cristo", c'è scritto nel nostro Tracciato d'impostazione (44). E indica le fasi storiche attraversate da tale movimento e le sue stesse fasi: rivoluzionaria, riformista, conformista. La rivoluzione cristiana non ci ha tramandato caratteristiche combattenti come quelle di Spartaco o Münzer, ma possedeva una forza teorica dirompente nei confronti dell'ordinamento teocratico giudeo e soprattutto dell'ordinamento schiavistico romano. Essa infatti già nei primi decenni perse le sue caratteristiche primitive e divenne rivoluzione urbana diffondendosi nella rete delle più importanti metropoli dell'epoca fino a Roma.

La forza materiale dell'organizzazione e della solidarietà suppliva a quella delle armi, nel momento in cui queste non erano a disposizione dei cristiani e non sarebbero state in ogni caso sufficienti contro legioni addestratissime. Perciò il cristianesimo sviluppò per la prima volta nella storia un partito politico di massa con una sua dottrina e una sua struttura precise (le lettere di Paolo, che sono scritte intorno al 50-70, sono un trattato sul rapporto teoria-prassi). Non ha nessuna importanza che non fosse un partito come lo intende oggi la maggior parte delle persone, era comunque un partito, prima che una religione. Ciò non lo si dimostra tanto con la sua struttura gerarchica e la sua liturgia quanto con la sua capacità di rispondere organicamente alle esigenze della rivoluzione di cui fu portavoce, con la capacità e possibilità di darsi un programma conseguente, adottando una "tattica" in linea con il momento storico.

Il cristianesimo era una religione fra tante che esistevano a Roma, tutte importate da altri popoli. Date le sue origini, essa aveva pari opportunità statistica di emergere sulla religione ufficiale greca rispetto al culto di Mitra o di Iside, di Mani o di Zoroastro. Ma aveva una potenza superiore rispetto alle altre religioni con cui entrò in concorrenza: non era fine a sé stessa. Era una religione militante che prometteva risultati e agiva per ottenerli; non si basava sulla ragione ma sulla fede; non chiedeva al cervello di accettare i suoi principii, ma demandava l'adesione al trasporto dell'anima (45).

Non c'è niente da fare: se noi lanciamo quel ponte di cui parlavamo prima attraverso i millenni, dobbiamo fare i conti con gli altri partiti della storia, quelle organizzazioni con cui l'umanità stessa ha dovuto fare i conti nel suo sviluppo. Possiamo sorridere, dall'alto della nostra razionalità, di un S. Agostino che lotta contro il razionalismo manicheo per una fede senza aggettivi, possiamo anche trovare stucchevole tutto quel suo parlare a proposito della sua conversione che poco modestamente vuole tramandare ai posteri e che deve suonare fasullo anche ad un cattolico. Ma quelle parole sono state mattoni del partito storico e formale dei cristiani, con quei mattoni è stata costruita la loro chiesa, indipendentemente dai "santi" che hanno parlato per tutti. Chiesa vuol dire assemblea; cattolica vuol dire universale. Il partito di Dio ha fondato le sue premesse su argomenti solidi, non roba da ridere. Argomenti talmente solidi che hanno permesso di attingere a tutti i culti saldando in un tutto organico ciò che l'umanità aveva ancora bisogno di conservare, sebbene trasformato: dalla trinità alla dea-madre, dal feticismo al linguaggio simbolico (46).

La rivoluzione coglie qualunque umano disponibile

Quando l'umanità ha bisogno di un nuovo partito per la rivoluzione, i militanti di questo partito hanno la caratteristica di porsi totalmente al di fuori della società morente. Essi si scagliano contro delle forme fenomeniche, dèi o uomini o istituzioni, ma sono mossi da cause profonde e finiscono per scalzare la società fin dalle sue basi. Non ha nessuna importanza da quale classe provengano, di certo agiscono nel senso del movimento di quella classe che rappresenta l'avvenire, il trapasso in una società nuova. L'intelligenza dei fatti arriva dopo che gli uomini si sono mossi, e coloro che si muovono per primi sono quelli che non conoscono, che non sanno, che non capiscono. Per il movimento reale della rivoluzione basta l'istinto che spinge verso una società nuova di cui la vecchia è già impregnata. La storia del partito di Dio ci insegna anche questo, quando punta le sue forze sui diseredati e sui "poveri in spirito". Verranno dopo le defezioni dei dotti, dei proprietari, dei nobili, Costantino rappresenterà l'ultimo atto con la proclamazione del cristianesimo a religione di Stato.

Engels registra il percorso dei cristiani e del loro partito e ci ricama un po' su paragonandolo a quello dei socialisti, ma ricorda che la terribile "persecuzione" di Diocleziano non servì a nulla contro l'irresistibile sviluppo di quella religione, soprattutto nell'esercito, e che l'editto di Costantino fu emanato appena dieci anni dopo (47). Al di là di ciò che può succedere agli uomini come individui, l'avvento di ogni nuovo ordine è effettivamente "irresistibile". Il partito formale può subìre dei rovesci insieme con i suoi militanti, ma le decisioni degli uomini non possono nulla sul partito storico. Ciò viene registrato da tutte le rivoluzioni.

Anche Jack London, nel suo Tallone di ferro, evoca la sconfitta del partito formale e la vittoria definitiva ad opera del partito storico dopo secoli di dominio di una superborghesia. Non troppo rosea come prospettiva, ma efficace nel dimostrare inevitabile la rivoluzione anche nel caso di una forza estrema della reazione (48). Lenin in punto di morte chiese che gli fossero lette alcune pagine di London e Trotzky annotava come lo scrittore avesse saputo anticipare di una ventina d'anni la natura "del fascismo, della sua economia, della sua tecnica di governo e della sua psicologia politica" mentre invitava a riflettere "dinanzi all'intuizione potente dell'artista rivoluzionario". Artista rivoluzionario? E quando scriveva di personaggi che sarebbero piaciuti a Nietzche e ai nazisti, ai cultori dell'Io e della razza, come la mettiamo? La rivoluzione incide nel cervello singolo, ma a volte non ce la fa a compiere l'opera, lascia tracce che il militante deve scoprire a tratti, in una serie di relazioni per nulla lineari. Tuttavia essa non si ferma di fronte a nulla e porta fino alle estreme conseguenze i suoi sconquassi.

Tornando ai cristiani, possiamo avere tutte le simpatie che vogliamo per Giuliano l'Apostata (49), di cui ammiriamo l'odio per i preti che gli avevano fatto vedere i sorci verdi e che ormai, dopo pochi anni di potere, erano degenerati quasi come li conosciamo oggi. Ma il fatto è che Giuliano era completamente contro la storia; egli era controcorrente non tanto perché voleva reintrodurre il paganesimo in un mondo in cui ormai erano tutti cristiani, quanto perché la società impostata sui rapporti di produzione schiavistici non poteva più esistere e in essa non poteva più sopravvivere una religione adatta al vecchio modo di produzione. A differenza delle riforme di Diocleziano prima del cristianesimo riconosciuto, quelle introdotte da Giuliano poterono avere successo: i riformisti non hanno mai capito che si può riformare solo dopo che la rivoluzione ha vinto distruggendo la vecchia forma, non prima. Con l'introduzione di una nuova ripartizione dei tributi a favore delle classi meno abbienti, accompagnata da una politica monetaria sganciata dall'oro l'imperatore teneva conto della nuova economia che si stava sganciando dalla schiavitù. Non poteva avere successo il ritorno alla vecchia religione e, appena morto Giuliano, i cristiani ritornarono nelle scuole e nei posti di governo.

Possiamo rammaricarci del tributo gigantesco che questo passaggio ha comportato nei confronti dell'arte antica, spazzata via dai cristiani che di montagne di marmo scolpito fecero calce per le nuove chiese, mentre di libri, pergamene, papiri e tavolette fecero cenere. Ma le rivoluzioni non si svolgono secondo i desideri dei posteri e travolgono tutto sul loro cammino, compresi quei loro stessi militanti che si dimostrassero indecisi nell'azione.

La nascita della borghesia non è certo costellata da episodi edificanti. Le repubbliche marinare erano società di corsari e di mercanti senza scrupoli, mentre la lotta dei Comuni contro l'imperatore, che anticipava di secoli la borghesia illuminista della Rivoluzione francese, poggiava sulla Chiesa e su tutti i simboli che oggi rappresentano i "secoli bui" (che in fondo bui non sono stati per niente). La forza del nuovo modo di produzione non andava tanto per il sottile nella scelta dei suoi strumenti; forse le rivoluzioni non ce la fanno proprio a generare un'estetica tranquillizzante. Nella sua morte precoce, in Italia, il vecchio modo di produzione feudale (se qui ci fu mai, specie al Sud, come afferma Bordiga) generava sprazzi di classicità e di universalità contrapposti alla pesante grettezza degli strumenti del nuovo modo di produzione: impero contro comuni e Chiesa, visione globale e universale laica contro interessi locali e universalismo ecclesiastico. Eppure il fermento nuovo dei commerci e della produzione passava attraverso le armate raccogliticce serrate intorno al carroccio piuttosto che attraverso gli eserciti efficienti e tirati a lucido dell'imperatore. I comuni fallirono, ma lasciarono il posto alle signorie che furono la banca d'Europa, germe dell'accumulazione originaria.

E se le rivoluzioni, oltre a non soddisfare l'estetica degli storici che vorrebbero avvenimenti da sceneggiatura cinematografica, non soddisfacesse neppure la logica? Logica vorrebbe che i grandi sommovimenti vedessero protagonisti i diretti interessati al cambiamento. Macché, i fatti materiali trasformano in strumenti di storia qualunque umano disponibile, indipendentemente da quello che egli crede di essere.

La rivoluzione dovuta alle fresche energie barbariche sfociate nel feudalesimo ci mise un mucchio di tempo a compiersi e si tradusse in uno scontro fra due concezioni dell'universalità del dominio, quella papale e quella imperiale, entrambe sconfitte, poi, dall'avvento del mercantilismo e della produzione capitalistica. E' possibile allora, durante questo processo, che un sovrano feudale (Federico di Svevia) diventi un militante della rivoluzione borghese già in embrione. E che un grande poeta (Dante), cantore della feudalità e della sua struttura ideologica, si faccia portavoce di questo embrione. E che la struttura materiale della Chiesa, pilastro portante della medioevalità, si incarichi di fornire l'amministrazione e le armi alla rivoluzione a dispetto della persona del Papa (Cavalieri Templari e Teutonici, sistema della abbazie, specie cistercensi). E che tutta questa potenza embrionale sia ereditata da un grumo di interessi mercantili ancora ignorati dalla grande storia (Repubbliche Marinare e Comuni). E che la feudalità sia sconfitta diversi secoli prima di venir spazzata ufficialmente (capitalismo mercantile ed agrario delle prime signorie in Italia). E che il risultato di tutto ciò mostri definitivamente che i grandi condottieri, giuristi e pensatori sono comparse cui non è dato di fare ciò che vogliono, mentre sono portati a compiere azioni che conseguono una vittoria altrettanto definitiva sulle vecchie forme.

Certo, questo è uno schema. Arbitrario se volete. Ma ormai sappiamo già tutto sull'uso degli schemi, anche i più temerari (50). Proviamo a svilupparne qualche elemento.

Strumenti della storia, non suoi fattori

Federico II di Svevia fu quasi santificato dai suoi esegeti romantici nel panteon dei laici, quanto demonificato dai preti. Ma sostenne anche la vera santità della Chiesa demonizzando il papa e santificando sé stesso. Era indubbiamente un personaggio notevole e, se anche sappiamo studiarne le mosse con occhio materialista, non ce la facciamo a non lasciarci affascinare dall'universalità dell'ambiente di cui si era circondato, dalle sue opere, dal suo tentativo di unire la grandezza dell'antichità classica alle nuove forze produttive, dalla sua guerra con il papato. Ma rappresentava le contraddizioni di un'epoca che muore e sulla quale si sovrappone un'epoca nuova.

Sognava il classicismo pagano ma, mentre eliminava il feudalesimo in Sicilia, prometteva in feudo, ai cavalieri dell'ordine teutonico (da lui sostenuto) le terre che avessero saputo strappare ai pagani del Nord. In Italia praticava un illuminismo cortigiano fondando comunità di produzione con largo uso di lavoro salariato, ma i pagani del Baltico venivano massacrati e sostituiti con tedeschi governati dalla ferrea disciplina feudale dei potenti monasteri del "suo" ordine. Era pluriscomunicato dal papa dal quale (come dalla sua storia leggendaria) era presentato in veste di Anticristo, ma era fermamente risoluto a basarsi sulla tradizione della Chiesa per rimandare al mittente l'accusa. Si dice che non fosse credente, ma sentendosi alla fine dei suoi giorni, indossò l'abito monacale dell'ordine cistercense al quale aveva voluto aderire fin da ragazzo (51). Nella sua guerra contro il papato aveva invaso gli stati pontifici accolto dalla popolazione come un liberatore "stupore del mondo" circondato da leggende, ma nello stesso tempo non mollava una guerra spietata per soggiogare i liberi comuni che, dal tempo di Barbarossa (suo nonno) lottavano contro l'impero. Eretico, inventava il rogo pubblico per gli eretici; sterminatore di saraceni ribelli in Sicilia, li proteggeva e ne faceva il nucleo fedele del suo esercito in Italia; nemico della borghesia nascente, ne applicava in grande l'economia; universalista avendo ereditato l'Europa, agiva in profondità soltanto localmente in Sicilia; predicava la povertà della Chiesa e odiava i francescani dai quali era abbondantemente ricambiato; ripristinava a lingua ufficiale il latino antico di Cicerone e parlava tutte le lingue dell'epoca, mentre alla sua corte nasceva la nuova lingua volgare; si proclamava messia e volle trasformarsi da incudine a maglio per la cristianità ufficiale. Un superficiale direbbe che fu un casinista o uno sdoppiato psicologico, uno schizofrenico, ma la migliore definizione la dette egli stesso negando per primo la sua propria funzione di battilocchio del Bene o del Male che altri gli hanno attribuito: "Siamo costretti a volere ciò che non vogliamo e a non volere ciò che vogliamo" (52).

In realtà fu costretto a essere ciò che non voleva. Voleva forse "fare" una storia che non era ancora pronta. Non ce la fece, con tutta la sua potenza. Non poteva farcela perché la storia é fatta da uomini e non dall'Uomo Tal dei Tali e i vincitori alla fine cercarono di cancellarne persino il ricordo sterminando non solo la sua famiglia, ma anche le comunità militari e produttive dove convivevano italiani, arabi, ebrei ecc. Da Dante fu schiaffato nell'inferno, ma lo stesso Poeta raccolse su di sé un'eredità teorica dettata dai fatti per tramandarla al Rinascimento delle signorie e a Machiavelli.

Come si vede una confusione terribile di ruoli, di azioni a favore o contro il nuovo assetto delle forze produttive. Dov'erano i militanti della rivoluzione che doveva rimanere in gestazione per mezzo millennio? Certamente la Chiesa era schierata con le forze contrarie all'imperatore, ma altrettanto certamente non rappresentava la rivoluzione che avanzava. La rivoluzione sarà infine atea e illuminista, ma in quel momento maturava faticosamente fra salmi e campane, preti e mercanti, crociate e pogrom. L'imperatore svevo era un rappresentante della feudalità? Sicuramente. Ma non avrebbe potuto di certo creare da sé la sua propria leggenda.

Intorno all'anno mille esplode la forza produttiva sociale che si esprime per trecento anni con la costruzione di migliaia di abbazie, conventi, cattedrali e castelli. Esplosione è la parola giusta, tenendo conto del fatto che la nostra concezione del tempo si è alquanto contratta. Il bacino del Mediterraneo romano contava circa 60 milioni di abitanti distribuiti su quattro milioni di chilometri quadrati. Ma "distribuiti" è un termine che con il metro odierno non ha nulla a che fare. Si trattava di unità urbane poste al centro di più larghe unità agricole separate tra loro da grandi deserti e foreste, con un collegamento stradale che, per quanto grandioso, rappresentava dorsali uniche fra i vari centri. Man mano che ci si spostava verso i limes dell'impero, si trovavano solo serbatoi di produzione granaria disabitati, controllati militarmente.

Nell'VIII secolo la popolazione era scesa a meno di dieci milioni e si distribuiva su due milioni di chilometri quadrati, quindi con una densità minima. Le dorsali di comunicazione erano praticamente sparite, gli immensi territori africani, danubiani e germanici inghiottiti dall'avanzata del deserto, delle foreste e delle tribù barbariche. Prima del 1300 l'area abitata si era già estesa a due milioni e mezzo di chilometri quadrati, ma ciò che più conta è che la popolazione era risalita a 80 milioni. L'estensione totale era inferiore a quella raggiunta nell'antichità, ma la popolazione era maggiore e più distribuita. Per la prima volta nella sua storia l'uomo riempiva lo spazio a sua disposizione con migliaia di città e borghi collegati questa volta da strade che, per quanto meno perfette di quelle romane, costituivano una vera rete di comunicazione. Non c'era torre o campanile da cui non se ne potessero vedere altri e il paesaggio, comprese le foreste, era ormai completamente posto sotto regolamentazione. Si capisce che il processo di universalizzazione doveva essere diverso da quello della civiltà romana (53). Si capisce per esempio che dovesse nascere un conflitto tra due tendenze all'universalità, quella imperiale e quella della Chiesa. Ma la storia materiale gioca degli scherzi che gli uomini non immaginano neppure: impero e chiesa perdettero la loro universalità e lasciarono il posto a signorie locali. La politica degli uomini divenne particolare, mentre la rete dei campanili e delle torri divenne universale, come l'economia che per la prima volta ne reggeva le fondamenta. Alla sua morte Federico fu cancellato dalla memoria e tutti i suoi eredi, compresi i bambini, cancellati dal mondo dei viventi; ma la nuova rivoluzione fece tesoro lo stesso di un lascito anonimo che rivivrà di lì a poco in altri nomi più o meno importanti, a cominciare da Dante: la nuova economia, la nuova lingua e il nuovo Stato (54).

Piacerebbe a tutti e sarebbe piuttosto comodo avere a disposizione una storia dove ci siano rivoluzionari da una parte e controrivoluzionari dall'altra, in schieramenti netti e ben comprensibili anche ai bambini dell'asilo. Ma purtroppo il militante comunista deve investigare su tutto il materiale a disposizione e discernere attraverso il metodo marxista. Ciò gli insegnerà a non diventare indifferente di fronte a qualsiasi episodio e a valutare quanto la rivoluzione sia intrecciata con la controrivoluzione.

L'indifferentismo, bestia nera per i veri marxisti

Oggi ci troviamo di fronte allo stesso ordine di problemi. Controrivoluzione? E quando mai ci sarebbe bisogno di una controrivoluzione se non fosse all'ordine del giorno la rivoluzione? Togliete le briglie al capitalismo e avrete la rivoluzione. Così il capitalismo si imbriglia da solo e utilizza lo Stato per mettere in riga i singoli capitalisti. Welfare state, se volete. O ammortizzazione sociale. Noi conquistiamo una fiducia saldissima nei nostri testi e nei nostri maestri, ma questo non ci autorizza a smettere di cercare, ad essere così indifferenti nei confronti delle questioni che il mondo capitalistico di oggi ci pone di fronte come fatti arretrati, poco appariscenti, apparentemente fuori dalla grande battaglia per la società nuova. Certi dettagli forse sono tali per il superficiale, non per il militante della rivoluzione. Niente è così insignificante da non rientrare nel campo di interesse del partito e dei suoi militanti.

Come il militante rivoluzionario non è indifferente nei confronti di movimenti che non sono proletari, siano essi anti-imperialisti di maniera, contadini (piccoli proprietari ecc.) o perché no, di bottegai rovinati, non è neppure indifferente nei confronti della non-lotta del proletariato urbano classico. Abbiamo letto in Fattori di razza e nazione che anche nell'Occidente sviluppato possono esistere strati sociali che sono imbarbariti dal loro stesso modo di essere all'interno di questa società. Ebbene, essi possono essere uno dei proiettili che contribuiranno a demolirla. Non si tratta di fare alleanze con loro, ritorneremmo alle questioni della tattica errata, del fronte unico e dei sistemi di alleanza contro supposte parti arretrate o reazionarie della società. Si tratta di capire quale sintomo rappresentano e se hanno la possibilità di muoversi nel senso della distruzione dello stato di cose esistente. Non staremo a sentire cosa dicono di volere. Ci basta sapere che cosa demoliscono al momento o che cosa hanno la potenzialità di demolire. Si tratta di capire se vi sono strati sociali oggettivamente alleati del proletariato nell'eliminazione della borghesia come classe dominante, non di lanciargli lettere aperte o proposte d'azione. Quando la società si muove verso il nuovo, il caterpillar della rivoluzione se ne frega di indagare sulla classe di appartenenza del guidatore, purché il lavoro sia fatto.

Grande sgomento di chi si è già scordato un paio di fondamentali Fili del tempo. Eppure la nostra corrente ha scritto in abbondanza per quali vie si afferma la rivoluzione. Ha scritto chiaro e tondo che cosa significa per noi "fascismo", cioè non un ritorno indietro, ma un passo avanti nella dominazione capitalistica; ha scritto chiaro e tondo che l'ultima rivoluzione sociale non ha visto i borghesi in prima fila a combattere per Liberté, égalité, fraternité, bensì proletari, sanculotti, popolani, contadini e bottegai rovinati. Anche feudali che avevano saltato il fosso ed erano passati con la rivoluzione contro la loro classe (55).

Come si è visto non ci fanno ridere le vite dei santi, non ridiamo quando parla il partito di Dio, con il linguaggio insopportabile della mistica e della morale. Anche se la lettura di Sant'Agostino è qualcosa di tremendo, noi sappiamo trarre più di altri dalla cronaca e, perché no, dalla mistica. Anche se si sente da mille chilometri che le Confessioni vogliono sottolineare l'importanza che lo scrivente dà alla sua propria conversione e in fondo a sé stesso (tant'è vero che parla direttamente con Dio come se fosse un suo compagno di bagordi rinsavito prima di lui) sappiamo risalire a monte del battilocchio e scavare con la talpa di allora per trarre insegnamenti dalla rivoluzione di allora. Voltaire è peggio di Agostino nel prendere un atteggiamento inverso, quando prende in giro la mistica, i preti e si professa fedele di una religione personalizzata. Che comodità, verrebbe da dire, compagni; che soluzione geniale hanno trovato questi grandi interpreti della rivoluzione borghese, che risolvono il problema della religione in cuor loro, come se fosse un fatto personale; e prendono in giro i poveri egiziani che adoravano persino i gatti mummificati. Anche Diderot, che ci piace assai di più degli altri illuministi, aveva una "sua" concezione religiosa (d'accordo, era una manìa diffusa anche prima, Leibnitz, Galileo, Newton ecc. avevano loro religioni). E prendiamo in giro a nostra volta questi parrucconi.

Eh no. Stiamo parlando del militante rivoluzionario e del suo atteggiamento di fronte all'indifferentismo. Ecco che allora non ci fa affatto ridere la ragione per cui Voltaire è costretto a fare ironia sulla religione passata e presente, così come non ci facevano ridere i sospiri di Sant'Agostino in diretta con il padreterno. Figuriamoci che non ci fanno neppure sorridere i positivisti (in genere i materialisti volgari) che quando fanno gli atei sono peggiori di tutti i santi più lamentosi. Perché non si tratta di irridere, ma di studiare l'ambiente in cui gli utensili vivi e i loro strumenti teorici e organizzativi hanno agito e dovranno agire. E non ci sarà niente da ridere di fronte all'immensa energia che sarà liberata dalla morte della società borghese di fronte all'assalto degli anonimi rappresentanti della società futura.

Motori delle rivoluzioni

Le rivoluzioni nel loro divenire anticipano i caratteri della società futura. Il cristianesimo anticipa l'abolizione dello schiavismo praticando la solidarietà e l'uguaglianza morale fra gli adepti, e quindi registrando la situazione reale in cui la schiavitù è già dai fatti decretata inutile; non esisteva nel suo programma la rivendicazione di liberare gli schiavi.

Neppure lo schiavo Spartaco aveva in programma l'abolizione della schiavitù: la sua guerra fu l'espressione di un modo di produzione che basava la propria economia sulla sete di sopralavoro; la massa umana adibita alla produzione era diventata troppo alta rispetto alla relativa esiguità della popolazione libera e ciò creava una contraddizione sociale stridente.

Nella nostra epoca neppure Lincoln aveva nel suo programma la liberazione degli schiavi. Lo scontro fra unionisti e secessionisti fu l'espressione di una società industriale già matura per un grande mercato, che doveva spazzare via i resti della società arretrata, un ibrido antistorico perché la società industriale non sapeva più che farsene dei bassi rendimenti del latifondo e degli schiavi: aveva bisogno di terra libera per il Capitale e uomini liberi per il mercato della forza-lavoro.

La stessa grande reazione eretica alla degenerazione della Chiesa, spesso con sfumature comunistiche, non è tanto caratterizzata dalla rivendicazione aprioristica di modelli organizzativi, quanto dalla richiesta generalizzata affinché venissero riconosciuti movimenti già formati sulla spinta di determinazioni materiali cui si è data sistemazione teorica a posteriori. La storia delle eresie è costellata di battaglie cruente per l'affermazione di questi risultati già raggiunti e la violenza della repressione è pari al radicamento della necessità materiale dell'eresia. Non a caso la storia delle eresie a sfondo sociale incomincia a Milano nella metà dell'XI secolo, nello stesso periodo in cui si sviluppa il fenomeno dei Comuni e la Chiesa diventa una vera potenza economica.

La borghesia anticipa la liberazione dei servi della gleba non tanto rivendicando in un programma specifico il loro affrancamento giuridico, quanto assumendo nelle manifatture forza-lavoro, innescando il bisogno di uomini liberati dal legame con la terra e con il padrone, operando una rottura nel tessuto sociale chiuso del feudo col bisogno di libera circolazione delle merci.

Nel capitalismo è anticipata la società comunista non tanto attraverso la descrizione di un modello e la rivendicazione di un fine, quanto attraverso la reale demolizione dei vincoli che legano le forze produttive, l'estendersi della produzione automatizzata, la "liberazione" esasperata di forza lavoro, la crescente ripartizione del plusvalore nella società; la reale produzione di fabbrica, entro le cui mura vige un razionale piano di produzione in antitesi rispetto all'anarchia esterna del mercato, vige la produzione senza scambio di valori, dove ogni pezzo prodotto serve ad un fine senza essere merce e dove anche il prodotto finale non è merce finché non valica la porta esterna del magazzino.

Così il proletario anticipa nel proprio partito la comunità futura non tanto rivendicando un modello utopistico di comunità umana, ma lavorando nel sistema di fabbrica in simbiosi con il capitalista, vivendo la contraddizione dello scontro fra la produzione secondo un piano prestabilito nella fabbrica e l'anarchia sociale fuori di essa; trasportando nel partito la sua "educazione" ad un "ordine" e vivendo in esso la condizione di membro della specie umana finalmente libero dai vincoli di classe, di mestiere, di lingua; libero da ogni classificazione in cui può essere collocato l'individuo nella società borghese, perché nel partito vi sono solo militanti rivoluzionari, senza altra distinzione.

Queste anticipazioni materiali possono non essere immediatamente evidenti ed è proprio per questo che è compito dei militanti rivoluzionari evidenziarle. La conoscenza collettiva nel corso del lavoro di partito è arma rivoluzionaria, così come lo è ad un certo punto la possibilità di rendere generale tale conoscenza all'esterno di esso, con la propaganda, il proselitismo, la mobilitazione. L'individuazione dei meccanismi della rivoluzione procede dalla base materiale, dall'economia, dai processi produttivi, ma non si possono trascurare le manifestazioni apparentemente minime ed esteriori, la politica corente, la vita quotidiana degli uomini, l'estetica, tutte manifestazioni che il militante saprà valutare collegandole in un insieme coerente con le basi da cui esse scaturiscono.

Nell'articolo della serie Sul filo del tempo (56) di cui abbiamo già parlato, Amadeo dedica alcuni paragrafi ai Motori, agli Attori, ai Militi e agli Stili delle rivoluzioni. Il motore di ogni rivoluzione è lo sviluppo materiale delle forze produttive della società. Non è possibile definire i caratteri della società comunista senza indagare a fondo i passaggi precedenti, dalla riproduzione nel comunismo primitivo alla comparsa della proprietà, dalla società antica al moderno capitalismo; per questo abbiamo sempre dato grande importanza allo studio del succedersi delle forme economiche e sociali (57). Nel procedere dell'umanità verso le forme superiori, vi sono stati certamente avvenimenti non sempre coerenti per via dell'instabilità degli uomini, ma occorre sottolineare che lo sviluppo delle forze produttive non ha mai conosciuto soste, insomma, la storia ha sempre camminato in avanti, mai all'indietro. Ciò vale anche per il trapasso fra la società capitalistica e il comunismo, ormai maturo da tempo, e quindi è militante comunista chi sa individuare quale sia questo movimento in avanti, o almeno tenta, con i mezzi messi a disposizione dalle rivoluzioni passate. Come è già stato chiarito dagli stessi Marx ed Engels, la base materiale è il motore della storia, ma ciò non significa che sposiamo un meccanicismo antidialettico. Che funzione hanno allora gli uomini con la loro volontà, se neghiamo loro una funzione come fattori di storia? A maggior ragione, come può il militante rivoluzionario, lavorando per ora in modo organizzato, ma certo senza avere influenza visibile, realizzare questo compito attuando una piccola applicazione di volontà, cioè attuando un rovesciamento della prassi locale (58), senza cadere in atteggiamenti attivistico-velleitari, senza togliere nulla al concetto generale che invece è legato alle sorti del partito principalmente nelle fasi rivoluzionarie? Amadeo si chiede se la volontà del singolo, a volte generosa, non possa essere utilizzata e risponde:

Entro savii limiti sì, nel preferire di essere discepoli con la sufficienza anziché maestri da operetta, nel progettare non più lo scatenamento dell'Apocalisse, ma un sennato piano di sottoproduzione delle fesserie. (59)

Un risultato del genere, che sembra alquanto minimalista è invece fondamentale. Se l'economia è il motore della storia, quindi della rivoluzione, non occorre produrre minuziose "analisi della situazione", che cambiano con il cambiare del redattore, ma basta tener presente che la base economica dei grandi rivolgimenti è stata definita nei vari aspetti dal marxismo una volta per tutte, quindi anche per il futuro. Ogni rivoluzione è causata dalla necessità di produrre e distribuire i prodotti in forme nuove, del tutto diverse dal passato. Il piano di sottoproduzione di fesserie da parte del militante consiste prima di tutto nell'individuare il processo di cambiamento nello sviluppo delle forze produttive e gli effetti che ne derivano, cioè il palesarsi anche a livello sovrastrutturale, politico, sociale, della necessità delle nuove forme di produzione e distribuzione. I compagni che ci seguono sanno che cerchiamo costantemente di stabilire per esempio che relazione c'è tra le forme fenomeniche della politica interna ed estera e le esigenze materiali delle classi e degli Stati, tra un Bossi e la fabbrica automatica, tra Maastricht e il differente tasso di accumulazione in paesi diversi, tra i compiti del militante e la smaterializzazione del capitale e delle merci nell'era informatica. Con senno, senza inventarsi cavalli di battaglia solo perché un giorno leggiamo per esempio che alla Mazda c'è uno stabilimento con 270 robot e nessun operaio, situazione che di per sé risolve già Marx parlando dei telai della fabbrica automatica.

Attori delle rivoluzioni

Superando lo stretto significato teatrale o cinematografico, chiamiamo attore chiunque abbia parte attiva negli avvenimenti. Sulla scena della rivoluzione in marcia si muovono personaggi diversi. Ognuno svolge il suo compito e naturalmente c'è chi è impelagato nel solito tran tran, chi dirige i movimenti altrui, chi registra ciò che succede, chi distrugge, chi fa il parassita e chi fa semplicemente casino. In tutto questo agitarsi gli uomini agiscono, fanno la storia, anche se non la fanno come vogliono, ma sono guidati dalle forze materiali dello sviluppo. Dice il testo citato che, mentre non ammettiamo che la storia vada avanti per la volontà di qualche battilocchio, ammettiamo volentieri l'esistenza di uomini, pensatori, scrittori, agitatori che, tra tutti gli attori, funzionano non tanto da fautori quanto da rivelatori dell'evento storico e lo fissano in testi e programmi più o meno fedeli o distorti. L'energia liberata da una rivoluzione fisserà con chiarezza questi programmi e li renderà operativi per il raggiungimento di risultati coerenti con gli scopi della rivoluzione stessa. La potenza dell'urto tra classi in Francia e la chiarezza con cui maturarono i compiti della rivoluzione fecero sì che i rivelatori ne registrassero con largo anticipo i segnali e fu prodotto il magnifico materiale che gravitò intorno all'Enciclopedia, vera arma di demolizione del vecchio stato di cose. Quando fu l'ora della battaglia sulle piazze e in campo aperto, i militi della rivoluzione ebbero il loro programma già pronto e agirono come suoi strumenti.

Marx, Engels, Lenin e tutti i rivelatori della futura rivoluzione comunista e proletaria ne hanno preparato il programma, ma non sono stati i soli attori sulla scena del comunismo in divenire, vi sono stati anche i ricercatori nell'ambito del mondo fisico, biologico, gli artisti e, non meno importanti, gli agenti della controrivoluzione che hanno fornito materiale per possenti bilanci. Tutti costoro non furono neanche proletari, non lavorarono in fabbrica, eppure furono senza dubbio attori della rivoluzione proletaria.

Militi delle rivoluzioni

Chi furono i militanti della rivoluzione borghese? furono i d'Holbach, i Voltaire, i Rousseau, i Diderot, i D'Alembert? No perché erano già morti all'epoca della Bastiglia. Furono i teorici della rivoluzione borghese, ma borghesi non erano. E' qui che si erge il ponte degli asini per coloro che, malati d'attivismo sempre alla ricerca dell'Uomo fautore di storia, schizzano fuori dall'ambito marxista per allinearsi alle vecchie ideologie. I militanti della rivoluzione borghese furono molti, combatterono valorosamente ma non furono borghesi. Combatterono i feudatari passati alla rivoluzione, i soli in grado di comandare azioni militari, combatterono i garzoni di bottega, i proletari delle prime fabbriche, gli artigiani rovinati, i soldati degli eserciti disgregati, gli studenti, i piccoli professionisti, alcuni funzionari, raramente i contadini, dato che le rivoluzioni sono un fatto prevalentemente urbano. Ponte degli asini era chiamato il teorema di Pitagora, chi non lo capiva non poteva andare avanti in matematica: un conto è dare una definizione scientifica di un modo di produzione in cui gli interessi delle classi sono ben definiti, un conto è la velleitaria ricerca dell'esatta suddivisione degli strati sociali per collocarli in schemi d'azione che si presuppongono loro propri, come se rivoluzionario nella sua testa possa essere solo il proletario, e reazionario solo il borghese, mentre il bottegaio dovrebbe adeguarsi a una via di mezzo.

In fondo chi si danna per la cosiddetta passività delle masse cercando espedienti per ovviare ad essa non ha superato il fatidico ponte, perché la descrizione della rivoluzione come lotta fra classi ben definite non è invalidata dall'esistenza pratica di classi ben poco definite e soprattutto ben poco agenti, in tempi non rivoluzionari, secondo i propri netti interessi. La stessa borghesia oggi si dà grandi zappate sui piedi predicando un ritorno liberistico assurdo e impossibile. Quindi non c'è contraddizione fra lo schema e i fatti reali

se si è capito che il marxismo non mette tra la determinante economia e lo scoppio delle azioni collettive il fatto di coscienza e di volontà. Questo non è escluso o addirittura capovolto, ma solamente collocato al suo posto (...) Secondo il determinismo marxista sono le vecchie forme di produzione che ricevono l'urto delle nuove prorompenti forze di produzione. (60)

La forma feudale entrò in contraddizione con le nuove forze emergenti e fu spazzata via. Caduto il dominio della monarchia e della nobiltà feudale, tali forze esplosero sfrenate e si stabilizzò la nuova forma, resa possibile dal programma dei precursori e dal combattimento dei militi. La nuova forma non corrispose alle ideali descrizioni dei primi e alle aspettative dei secondi ma corrispose alle leggi dello sviluppo dell'epoca, uno stadio di transizione verso una forma ancora più elevata.

La nuova rivoluzione procederà da un ambiente semplificato rispetto alle epoche precedenti. Sono rimaste due classi fondamentali e il proletariato potrà solo più combattere per sé stesso contro la borghesia. In questo caso il ponte degli asini è rappresentato dalle concezioni tattiche delle forze proletarie in campo. Certamente la prossima rivoluzione, come tutte le rivoluzioni, non ci farà il piacere di schierare le classi con gli individui divisi in due schiere rigidamente infilzate al loro posto come in un calcetto da tavolo e quindi la confusione sarà inevitabile. E' nella confusione degli schieramenti e negli obiettivi debolmente definiti che trova alimento la disfatta, più che nei rapporti di forza quantitativi.

Gli elementi della vittoria non sono da inventare, ma da cogliere dall'esperienza storica precedente: non più fronti unici con forze ibride interclassiste e senza finalità chiare; non più compromessi con la democrazia rappresentativa; non più oscillazioni tattiche dovute a pretese variazioni della situazione storica; non più incertezze programmatiche e federalismo fra i partiti proletari. La "situazione storica" è definita, non cambia più dal 1871, quando la Comune di Parigi fu sconfitta dagli eserciti borghesi coalizzati. Da allora: partito unico mondiale

Occorre che il militante si distacchi nettamente da tutte le concezioni che sminuiscono la funzione del partito nella rivoluzione. Non si tratta di divinizzare la forma partito, ma di capire che occorre un organo rivoluzionario rappresentativo del futuro della classe e quindi in grado di combattere senza cedimenti di fronte alle complesse vicende sociali dell'epoca rivoluzionaria. Il partito in questo non è assimilabile alle organizzazioni che siamo abituati a veder operare. Il partito è un organismo vivente e proprio in quanto tale sopravvive come seme per decenni per poi diventare pianta rigogliosa in certi momenti. Proprio un organismo vitale ha bisogno del ricambio di cellule e i militanti sono cellule dell'organismo partito. Più l'organismo metabolizza, più è vivo, più alto è l'apporto e lo scarto di cellule.

Come in tutti i sistemi complessi cui l'umanità ha dato vita, la singola cellula non ce la fa ad avere conoscenza dell'insieme. E' al contrario l'insieme che ha conoscenza di sé stesso attraverso l'azione delle cellule. Allora, in una società in cui si muovono attori della rivoluzione in base a ben determinati motori, come abbiamo detto, solo il partito, che è un insieme complesso, potrà valutare e raccogliere le forze che nei secoli passati furono disperse. I futuri Galileo, i futuri Federico di Svevia, i futuri Diderot, tutti i futuri militanti consapevoli o inconsapevoli, invece di costellare un faticoso percorso fatto di energie individuali in bilico fra ideali e azione, salti in avanti o spaventose frenate, nuove conoscenze e roghi conservatori, troveranno finalmente il modo di vedere le loro energie indirizzate verso uno scopo unico, energie che saranno sommate invece magari di elidersi.

Non si può parlare del militante comunista - quello in carne ed ossa, consapevole di essere un utensile della rivoluzione - senza parlare del partito comunista, dell'organizzazione che lo rende tale. Senza il partito che ne utilizzi le energie il militante comunista semplicemente non esiste. La difficoltà che si trovano a superare i compagni, ma specialmente le giovani generazioni, è che sulla questione del partito si sono sovrapposte un'infinità di mistificazioni e di concezioni che con il tipo di organismo di cui parliamo e di cui abbiamo bisogno non c'entrano. A seconda di che cosa si legge o si frequenta la parola partito diventa un'espressione senza senso che sta ad indicare cose variabili: dalle mostruosità di massa partorite dalla Terza Internazionale alle piccole sette chiuse, dai nuclei paramilitari al rifiuto stesso di ogni funzione organizzativa centralizzata.

Le rivoluzioni insegnano: una volta che hanno preso l'abbrivo, il partito della rivoluzione si forma, si sviluppa ed è circondato da un'area di influenza che trae vitalità da esso come esso trae energia dal terreno in cui ha messo le radici. Come diceva Lenin, il partito non va inteso solo in senso stretto ma anche in senso lato, perché esso non può esistere senza l'ambiente da cui è scaturito. Il Manifesto afferma che il partito e i suoi militanti sono l'espressione di rapporti di fatto. Ciò vale per il grande movimento storico come per le condizioni di lavoro del militante. Se c'è la controrivoluzione non c'è santo che tenga, i rapporti di fatto ne sono l'espressione; è la frattura tra compagni, è l'eterna diatriba, è la proliferazione e la scomparsa di gruppi e partitini. Molti non lo sopportano, ma il dato di fatto che la situazione ci cucina è quello e non possiamo farci niente con la nostra volontà. Ancora peggio sarebbe dedurre da questa situazione l'esigenza di nuovi corsi e cambi di rotta, prassi purtroppo comune che ha portato a sconfitte tremende.

La soluzione per resistere anche nei periodi peggiori e per preparare le forze non va inventata, esiste. Non è neppure una trovata dei comunisti, ma di chiunque abbia dovuto lottare per la preservazione di una linea futura della propria fede, della propria idea o della propria classe. Ci sono sempre stati gruppi più o meno vasti di uomini, organizzati secondo regole e disciplinati ad un programma comune. Noi lo chiamiamo partito, ma la natura di questi organismi si ribella ad una semplice definizione con parole del linguaggio corrente. Marx usa la parola Gemeinwesen per indicare una comunità di uomini legati dallo stesso obiettivo. Nel partito ci sono solo comunisti e non c'è niente altro, non ci sono professori, non ci sono operai, non ci sono impiegati, non ci sono intellettuali, o capitalisti o contadini e manovali. Il programma è comune, l'intento è comune, la disciplina è un risultato di questa comunanza e non un'imposizione, ecco perché il partito per noi in certo senso prefigura la società comunista, ecco perché al suo interno non si pianificano dibattiti, confronti di idee, discussioni su tesi diverse, ecco perché insomma non esiste democrazia. E' un po' come quando parliamo delle anticipazioni esistenti nella fabbrica, nel cui ciclo produttivo interno non esiste merce, non c'è denaro, non vi sono scambi di equivalenti, non c'è anarchia. Un ambiente in cui c'è solo un'attività diretta secondo un piano centrale, finalizzata ad un risultato preciso, una contabilità secondo quantità fisiche e non secondo valori, non vi sono votazioni sui pezzi da produrre, sulle idee di Tizio e di Caio, non vi sono frazioni e scissioni politiche.

E' sempre stata grande la tentazione di rovesciare il rapporto fra le determinazioni materiali e il fatto politico. Le determinazioni materiali spingono alcuni uomini all'unione sotto la pressione fisica delle loro condizioni di vita, prima in organismi immediati e, poi, col riconoscimento dell'autorità di un programma rivoluzionario, in un organismo politico al fine di lavorare per una battaglia di cui si sanno le caratteristiche e gli esiti futuri. Molti pensano che invece sia sensato creare una organizzazione che realizzi la comunità di uomini i quali devono aderire e sottostare ad un programma e a delle regole di funzionamento. Ogni militante che avesse una simile visione del partito sarebbe certamente un corpo estraneo nel movimento rivoluzionario.

Nelle organizzazioni che rispecchiano una prassi come quella accennata, si teorizza l'importanza della persona, ma si pratica il suo annientamento. Nel vero partito rivoluzionario ogni militante è uno strumento della rivoluzione. E' ovvio che perde con ciò la "libertà". Non ha libertà di pensiero, ovviamente, perché aderisce a un programma. Non ha libertà di fare ciò che vuole, perché aderisce ad un lavoro collettivo di cui è parte condizionata. Non ha libertà di elaborazione, perché l'elaborazione si fa sulla base del lavoro passato in vista degli obiettivi del futuro. Neppure la sua "persona" fisica, tanto idolatrata dalle modernissime campagne pubblicitarie di prodotti per il corpo, è di sua libera proprietà, dato che diventa consapevole parte di un tutto. Eppure è proprio in un organismo risultante dai fatti materiali maturi, specchio della collettiva vita di specie, che l'individualità, la capacità, l'energia del singolo sono messe a frutto soddisfacendo sia la parte che il tutto. (61)

Stili delle rivoluzioni

Ogni rivoluzione sconvolge l'estetica precedente e impone un nuovo stile o, come è forse meglio dire, libera le nuove possibilità di espressione estetica che maturano o sono in embrione nella vecchia forma. Rientrano nello stile della rivoluzione anche alcune forme del pensiero che non sono solo arte e "moda", ma anche il modo di concepire gli avvenimenti e il mondo circostante.

La liberazione delle forze produttive dovuta alla Rivoluzione Francese esplose visibilmente in campo militare a causa dell'esigenza pratica di rispondere agli attacchi avversari. Mentre per esempio l'artiglieria degli eserciti dinastici era composta da pezzi unici, ognuno con una sua storia, firmati dal fonditore, recanti il motto del re e così via, i pezzi dei nuovi eserciti furono per forza di cose anonimi e sgombri di fronzoli, fabbricati in serie e quindi con parti intercambiabili. Un cannone danneggiato all'affusto non era più perduto ma poteva essere ricostruito con i resti di un altro cannone danneggiato nel bronzo. Queste, che oggi sembrano banalità, sono invece tappe importanti dello sviluppo produttivo ed ebbero ricadute importanti nelle manifatture e poi nelle fabbriche dell'epoca successiva.

L'arte decadente e leziosa delle corti tramontò definitivamente, lasciando il posto alle grandi composizioni piene di movimento sia nelle arti figurative che nella musica, mentre cambiava totalmente il modo di vestire, di comportarsi, di vivere. Esplosero le scienze della natura e tramontò per sempre l'empirismo magico dell'alchimia che aveva permeato per secoli la ricerca.

Anche a cavallo della prima guerra mondiale i movimenti sociali che sfociarono nel periodo rivoluzionario europeo liberarono forme stilistiche legate al nuovo impulso ricevuto dalle forze produttive e ad esempio il futurismo espresse ritmi legati alla velocità e alla macchina, all'industria e ad un nuovo urbanesimo. In Russia il movimento si propagò sull'onda della situazione rivoluzionaria e tentò persino di dare sistemazione alle nuove espressioni letterarie collegandole ad una teoria della evoluzione storica del linguaggio. La vittoria della rivoluzione fece aderire entusiasticamente il movimento al nuovo ordine sociale (anche se la controrivoluzione, relegando le nuove forme espressive in un ambito ancora ingenuo e roboante non ne permise uno sviluppo pieno), mentre in Occidente il futurismo finì per essere assorbito dall'ondata fascista.

Persino Lenin utilizza, in alcune formule di agitazione, il linguaggio futurista (o è il linguaggio futurista ad adottare formule della rivoluzione?): che cos'è il socialismo? Soviet più elettricità, grande industria più controllo operaio. E così Trotzky critica le insufficienze dei "compagni di strada":

Il tentativo di sradicare dal futuro la costruzione architettonica porta soltanto ad un arbitrio personale più o meno ingegnoso. Ma il nuovo stile è quello che meno si concilia con l'arbitrio personale. Gli stessi scrittori del Lef rilevano giustamente che il nuovo stile nasce là dove l'industria meccanica lavora per un consumatore impersonale. L'apparecchio telefonico è un pezzetto del nuovo stile. I vagoni letto internazionali, le scale e le stazioni della metropolitana, gli ascensori sono tutti indiscutibili elementi di un nuovo stile, come anche, d'altro lato, i ponti metallici, i mercati coperti, i grattacieli, le gru. (62)

Dobbiamo chiederci se esiste e, in caso affermativo, qual è oggi lo stile anticipato dalla futura rivoluzione, che cosa esprimono e che cosa sanno cogliere gli sparsi militanti dalle espressioni correnti, "stilistiche" dell'oggi. Un oggi in cui telefoni e metropolitane non impressionano più nessuno, in cui non vi sono grida, cannoni, masse in movimento ma continua l'accumulazione di forza produttiva, in cui la progressiva umanità trucida i suoi propri cuccioli facendoli morire di fame o massacrandoli in quella sacra istituzione che è la famiglia moderna, non per carestia o pericolo estremo, ma per abbondanza di cibo, manufatti e nonsenso del vivere. Un oggi il cui stile si manifesta nel cretinismo parlamentare, nelle filosofie del dubbio, nei rimbambimenti televisivi, nella nuova alchimia mercantilistica della manipolazione genetica, nella virtualizzazione della vita e via elencando mostruosità senza precedenti. Ci chiediamo allora: dove trovare lo stile di una rivoluzione che non può non essere già operante? Chi anticipa il futuro?

Non ci sono dubbi: il futuro è rappresentato per ora solo e unicamente dall'avanzare inesorabile delle forze produttive e dalle sue manifestazioni, dalla leggerezza che sopravanza la pesantezza, dal Capitale che fa a meno degli uomini dimostrandoci che gli uomini possono fare a meno del Capitale. (63)

Tutto il resto è passato, passato, passato; non si vede e non si sente altro che passato nei giornali e nei discorsi di borghesi e pretesi ribelli, e questi ultimi esprimono il massimo del "futurismo" con l'esclamazione tipica: "possa un giorno la classe operaia spezzare le catene che la legano"! (Punto esclamativo di prammatica). Variante al presente: Risponda la classe operaia all'attacco padronale! (Ovviamente con punto esclamativo). Verrebbe voglia di gridare: proletari di tutto il mondo, stufatevi di questo moralismo da boudoir, non aspettate che vengano, come paventano i ventri satolli, le nuove invasioni barbariche, pance vuote, rabbia atavica, a portare sangue fresco, fisica energia, mazzate vitalizzanti a questa civiltà di zombie! Ma siamo sempre lì, non avremmo fatto altro che aggiungere l'ennesimo punto esclamativo contribuendo allo stile morente.

Una volta ci è capitato di partecipare ad un'assemblea tenuta da giovanissimi in una scuola occupata: rispondendo ad un intervenuto che si domandava quale potesse essere il futuro del movimento (la Pantera o qualche altra bestia), un ragazzo di meno di vent'anni rispose urlando: me ne frego del domani, voglio sapere cosa faccio oggi; e concluse la sua sparata proponendo (non importa se sotto suggerimento di collaudati marpioni) di invitare un gran vecchio della resistenza antifascista nella scuola occupata a tenere una riunione. Lo stile di queste "avanguardie" ricorda l'estetica del mostro rattoppato di Frankenstein.

Certo, lo sappiamo, queste manifestazioni esistenzialistiche senza neppure le pretese anticonformiste che voleva avere l'esistenzialismo filosofico e letterario, sono il frutto di una situazione materiale. Anche quando un uomo fosse conquistato alla rivoluzione e diventasse suo militante, non per questo cesserebbe di essere soggetto alle determinazioni materiali. Il militante non ha conquistato questa sua posizione per l'eternità. Non è strano che vi siano oscillazioni intorno a una corrente, una scuola, un nucleo, partito o no, proprio come nell'esempio di Diderot a proposito dei frati che si ricambiano nel convento. L'unità nel tempo è garantita. L'adesione al partito comporta un rifiuto dell'ideologia legata al momento, l'esistenzialismo è un prodotto deleterio di una società decadente, incapace di pensare al futuro. In questa ideologia dell'attimo fuggente, vera antitesi del marxismo,

da una parte si vuole ancora una volta affermare la impossibilità di trattare in conclusioni generali e sicure la realtà che ci attornia, da quella cosmica a quella sociale, di stabilire rapporti di causalità e di determinazione suscettibili di lanciare sguardi e programmi a cavallo dell'avvenire. Dall'altra si tende ancora e sempre ad illudere l'individuo umano sulla sua possibilità di sottrarsi alle determinazioni dell'ambiente, a riportarlo sul piano della iniziativa e della libertà, in un tempo in cui come non mai è stato fisicamente tritolato [da tritolo, n. d. r.] e stritolato, atomizzato e maciullato vivo nelle foibe, idealmente imbottito e imbonito di una gamma mai vista di bugie e di inganni, sbatacchiato e succube all'intontimento delle colonne stampate e sonore, ebbro di illusionismi ottici ed acustici, maneggiato e afferrato senza riguardo da ogni lato e per le parti che apparrebbero meno prensili [...] L'esistenzialismo è il tentativo di dare all'opportunismo politico una decenza filosofica. Così come è lo slip minimum per la decenza dell'opportunismo personale. (64)

La soluzione? Siamo sempre lì: non essere né conformisti, come il ragazzo e la resistenza, né anticonformisti, dato che l'anticonformismo di massa è ovviamente un nuovo conformismo; siamo antiformisti, distruttori e negatori di questa forma sociale. Non accettando neppure una delle caratteristiche di questa società il giovane che sia catturato dal demone rivoluzionario lancia una sfida a tutti i militanti fasulli: "Vuoi andare a votare? Allora ti muovi ancora all'interno del mondo borghese. Sei per la democrazia? Allora non puoi essere comunista. Pensi in cuor tuo che sia impossibile un mondo senza merci, denaro e lavoro salariato? Allora non parlare di rivoluzione. Sei ancora legato al sofisma dell'effimero? (65) Allora gira alla larga, c'è tanto posto al di là dell'abisso che ci separa.

Note

(28) G. Leopardi, Zibaldone di pensieri, ed. Mondadori, vol. secondo pag. 1128.

(29) D. Diderot, Interpretazione della Natura, SE Edizioni, pag. 19-21.

(30) N. N. Suchanov, La révolution russe - 1917, Editions Stock, pag. 135.

(31) K. Marx, F. Engels, Opere complete, Ed. Riuniti vol. XXXVIII pag. 208-9.

(32) Ibid.

(33) Ibid.

(34) Ibid.

(35) Ibid.

(36) Il riferimento, non comprensibile per chi non c'era durante la nostra battaglia all'interno del vecchio partito prima della sua liquidazione, è alle velleità di certi "militanti" che teorizzavano pratiche da commessi viaggiatori per sponsorizzare il prodotto della Sinistra presso gruppi di proletari che peraltro erano già ben forniti di prodotti disponibili sul mercato.

(37) K. Marx, F. Engels, L'ideologia tedesca, Ed. Riuniti, Opere complete vol. V pag. 34.

(38) Che cosa è la Sinistra comunista, ed. Quad. Int.

(39) F. Engels, I comunisti e Karl Heinzen, Ed. Riun. Opere complete, vol. VI pag. 321.

(40) A. Bordiga, Il battilocchio nella storia, ed. Quad. Int.

(41) Ibid.

(42) Ibid.

(43) Cfr. L. Trotzky, Insegnamenti dell'Ottobre, Ediz. Il programma comunista, 1971 pagg. 27-29.

(44) A pag. 15. Ed. Quaderni Internazionalisti.

(45) Per esempio in S. Agostino, a proposito della sua stessa conversione: "Incominciai a preferire la dottrina cattolica, anche perché la trovavo più equilibrata e assolutamente sincera nel prescrivere una fede senza dimostrazioni, che a volte ci sono, ma non sono per tutti, a volte non ci sono affatto. Il manicheismo, invece, prometteva temerariamente una scienza, tanto da irridere la fede, e poi imponeva di credere a un gran numero di fole del tutto assurde dal momento che erano indimostrabili" (Le Confessioni, ed. Einaudi pag. 137). Agostino racconta la sua conversione come una resistenza del cervello rispetto a tutto il resto del corpo: questi voleva seguire la nuova via ma ne era impedito dalla volontà, che riusciva a comandare ogni singolo movimento delle membra ma era impotente a comandare sé stessa. Nel momento culminante del passaggio al nuovo credo, il cervello di Agostino si ostina ancora nel rifiuto e, "nella tempesta dell'esitazione", non va verso la volontà del Dio e la sua alleanza, "verso le quali tutte le mie ossa gridavano che si doveva andare" (ibid. pag. 213, sottolineato nel testo) che è la formula spesso usata nella Bibbia quando c'è conflitto fra determinazioni materiali (fede) e resistenza dell'Io soggettivo.

(46) Vedi nel testo La passione e l'algebra il concetto di "invariante".

(47) F. Engels, Introduzione alla prima ristampa di Le lotte di classe in Francia (Marx), parte finale. Di Engels vedi anche Sulle origini del cristianesimo, ed. Rinascita, 1953.

(48) J. London, Il Tallone di ferro, Feltrinelli.

(49) Nipote di Costantino, acclamato imperatore dell'esercito (360 d.C.); regnò solo tre anni tentando la restaurazione del paganesimo e una riforma dello Stato ispirata alla Roma meno decadente dei secoli precedenti.

(50) La Sinistra ha sempre sostenuto che l'uso di schemi facilita la formulazione non soggettiva dei problemi, a patto di schematizzare in modo non arbitrario, cioè idealistico: "Questo nostro centrale teorema [che il marxismo contiene tutto ciò che si può sviluppare sulla società capitalistica] contiene lo sbugiardamento di tutte le menzogne revisioniste che circolano. È facile enunciarlo, sempre a fine non di esaurire lo sterminato tema, ma di chiarificarne e rinvigorirne la duramente raggiunta presentazione. Lo diremo, a rabbia dei chiacchieroni 'a soggetto', in modo schematico..." (La dottrina dei modi di produzione, ed. Quaderni Internazionalisti).

(51) L'imperatore ebbe uno strano rapporto con gli ordini monastici. Sostenne l'ordine cistercense dal quale trasse i suoi amministratori e i costruttori di centinaia di castelli e fortificazioni. Sostenne con tutti i mezzi, nel Nord Europa, l'azione dell'Ordine Teutonico il cui gran maestro era primo consigliere di corte. L'ordine cistercense divenne una potenza con S. Bernardo di Clairvaux che fu anche ispiratore, se non addirittura redattore, della Regola dell'Ordine dei Templari, potente nel Sud Europa e in Terra Santa; la stessa regola dei Templari fu concessa dal Papa ai cavalieri Teutonici.

(52) E. Kantorowicz, Federico II Imperatore, Garzanti, pag. 670.

(53) "Il mondo pieno è un tutto unico ed è in questo rapporto particolare dell'uomo con lo spazio, quindi in una densità eccezionale di comunicazioni interumane che consiste una delle qualità specifiche della cristianità liberatrice delle enclaves: in questo rapporto, esattamente, e non in una superiorità che non resiste a uno studio comparato delle tecniche e dei rendimenti". Pierre Léon, Storia economica e sociale del mondo, Laterza, vol. I pag. 45. Aggiungiamo che nella stessa area si trova la più concentrata massa di capitale e forze produttive del mondo attuale.

(54) Su Federico II ci sono in italiano tre biografie: E. Kantorowicz, Federico II Imperatore cit. (passionale romantico-hegeliana); E. Horst, Federico II di Svevia, Rizzoli (un po' giornalistica); D. Abulafia, Federico II - Un imperatore medievale, Einaudi (alternativo-dissacrante).

(55) Fiorite primavere del Capitale cit.

(56) Ibid.

(57) Cfr. Le forme di produzione successive nella teoria marxista, e Dottrina dei modi di produzione, nella cui Prefazione sono trattate le questioni di metodo (vedi catalogo delle pubblicazioni dei Quad. Int.).

(58) Come detto altre volte, il termine locale è utilizzato nell'accezione scientifica e non topografica.

(59) Fiorite primavere del Capitale cit.

(60) Ibid.

(61) Cfr. il bellissimo passo di Marx in Estratti da 'Eléments d'économie politique' di Mill, dove il vero lavoro, l'attività umana contrapposta a quella capitalistica, risolve la contraddizione tra l'individuo e la specie. Opere Complete, Ed. Riuniti, vol. III pag. 247.

(62) L. Trotzky, Letteratura e rivoluzione, ed. Einaudi, pag. 119. Ma vedere tutti i primi capitoli. Lef era la rivista futurista del "Fronte della Sinistra".

(63) Cfr. Lettera ai compagni n. 31 - Demoni pericolosi, capitoletto "Dalla pesantezza alla leggerezza".

(64) "Esistenzialismo", in Prometeo n. 11 del 1948.

(65) Cfr. capitoletto Grazie Vladimiro... in questa lettera.

Lettere ai compagni