33. Militanti delle rivoluzioni (3)
LE DIFESE IMMUNITARIE DEL MILITANTE
DOVE SI ATTRIBUISCE UNA PERSONALITA' ALLA RIVOLUZIONE E SI MOSTRA VANA LA RICERCA DI GARANZIE E DI GARANTI SUGLI ORGANISMI CHE ESSA SI DA' PERCHE' L'UNICA GARANZIA E' NELLA SALDATURA PROGRAMMA-TATTICA
Gli anticorpi contro le malattie individualistiche e opportunistiche del militante non stanno nella persona ma nel partito, e su questo argomento esiste una mole impressionante di materiale. Molti si chiedono però quali possono essere le garanzie per non ricadere negli errori delle passate organizzazioni. Il partito difende, con la sua attività in base al programma rivoluzionario, la linea del futuro di una classe che abolirà tutte le classi. Ma il partito difende anche sé stesso, come l'individuo difende (o dovrebbe difendere) il suo proprio corpo. Ogni partito di ogni rivoluzione sa di essere circondato da nemici. Certo, in qualche momento solo potenziali, ma in altri momenti in grado di distruggerne le manifestazioni formali. I partiti delle rivoluzioni precedenti prestavano molta attenzione alle influenze esterne e le combattevano con il ricorso a regole e strutture che sono variate nel tempo. A seconda delle situazioni tali partiti dovettero essere più o meno chiusi e i loro aderenti essere selezionati secondo regole di sicurezza, fu necessaria la clandestinità delle operazioni e il lavoro, in rapporto alle leggi contingenti, dovette essere di tipo illegale. Non è il caso di ricordare la situazione dei cristiani a Roma, degli eretici nella cristianità, dei combattenti delle rivoluzioni borghesi e nazionali nelle situazioni di assolutismo e colonialismo, dei comunisti in tutta Europa nel secolo scorso, dei bolscevichi dentro e fuori la Russia, della nostra corrente colpita da fascismo e stalinismo.
In alcune situazioni gli organismi che rappresentavano le forze rivoluzionarie si sono sviluppati alla luce del sole, radicandosi in una società che li tollerava o che addirittura finiva per utilizzarne la potenzialità di controllo sulle classi subalterne. Tali organismi svilupparono potenti apparati, vere e proprie macchine organizzative che controllavano milioni di uomini. La loro degenerazione non era, normalmente, avvertita dai loro militanti i quali, al contrario, vedevano nelle possenti manifestazioni esteriori un segno rivoluzionario favorevole. Anche quando non si giunga a quei limiti le questioni organizzative vanno trattate con un occhio severamente fisso alle Tesi di Milano, dove si dice che abusare di formalismi quando non ve ne sia necessità vitale è sempre un pericolo sospetto e stupido.
Qui non trattiamo di una o dell'altra forma organizzativa dei gruppi di militanti o del partito. Quando ci sarà uno sviluppo della lotta di classe, quando sarà necessario pensare alla guerra sociale, sorgeranno gli strumenti adatti. Il vero problema non sta nell'escogitare espedienti organizzativi. Sta nell'avere la consapevolezza che il partito, o comunque il gruppo o i gruppi di militanti rivoluzionari, sono materia dell'altro mondo rispetto a questa società. Nei vecchi partiti si intendeva la lotta politica come catalogo delle malefatte dei "nemici" e si sfruttava tale argomento agli occhi del proletariato per prendere voti. Nessuno dubita dell'efficacia di campagne di propaganda contro l'avversario, ma non è questo lo scopo dei rivoluzionari. Lo studio delle contraddizioni borghesi e dei partiti che si appoggiano al mondo borghese serve per coltivare un sano ambiente ferocemente anticapitalistico, come dettava la nostra corrente già nel 1912. Se non c'è questo lavoro si finisce per non accorgersi che il "nemico" è più interno che esterno, che esso è rappresentato dall'oscillazione tattica, dalla cattiva interpretazione del momento storico, dal dilagare della professionalità scimmiottata dalle istituzioni borghesi, insomma, si manifesta in tutto ciò che è contrario a ciò che intendiamo per militanza, anonima, senza partita doppia, senza carriere e senza gratificazioni materiali. La morte dell'organicità, alla fine, sta nella personalizzazione dei compiti e delle funzioni, esattamente come succede negli istituti borghesi.
E' un dato di fatto che nessuna organizzazione rivoluzionaria sia mai stata distrutta solo dal nemico: è una costante storica che ogni sconfitta generale si accompagna a carenze interne delle forze rivoluzionarie, degenerazioni, tradimenti teorici, incertezze sull'obiettivo da raggiungere e sulla tattica da adottare. Le rivoluzioni semplicemente non si possono fermare. Quando vengono bloccate è perché sono solo rivolte e non rivoluzioni, o sono solo tentativi che hanno già in sé il germe della sconfitta. La Rivoluzione d'Ottobre fu vittoriosa, ma il suo carattere doppio (antiautocratica e nello stesso tempo anticapitalista, borghese e nello stesso tempo proletaria) la rendeva fragile senza l'apporto della rivoluzione in Occidente. Sopravvisse la grandiosa rivoluzione capitalistica, fu sconfitta quella proletaria e comunista. Non fu sconfitta dall'esterno, giacché le forze congiunte della borghesia mondiale e della reazione bianca non ebbero nessun effetto militare nonostante l'incredibile sproporzione di forze. Fu sconfitta perché la mancata rivoluzione occidentale impedì l'autonomia del partito rivoluzionario dallo Stato russo, e ne divenne una sua appendice internazionale.
La salvaguardia delle forze del partito dipende da un atteggiamento collettivo verso il mondo esterno, che per noi è veramente esterno. Ciò vale, come abbiamo visto, sia per i singoli, sia per tutto l'organismo. Se esistesse un partito sviluppato, ciò significherebbe una netta variazione di rapporti tra le forze in campo, una situazione in movimento in cui non si potrebbe agire diversamente da come agirono i grandi partiti rivoluzionari che la storia ha presentato.
Ma non ci sono garanzie statutarie, regole scritte, discipline particolari se non quella al programma, con tutte le conseguenze che ne derivano. Nel partito non si giunge timbrando il cartellino come in fabbrica per poi ritornare a casa pensando ai fatti propri. Se ciò succede in tutti gli organismi più o meno sviluppati che si richiamano al comunismo, non c'è nulla da fare, ed è arduo in questo caso parlare di Partito, perché ciò significa che la rivoluzione non ritiene che sia il momento di avere militanti a tempo pieno e mantiene in vitro un brodo di coltura che servirà per i futuri sviluppi. Abbiamo, senza farlo apposta, dato personalità alla rivoluzione. Approfittiamone e anzi, come fa Trotzky, diamole corpo e voce (66).
Essa scruta gli individui che emergono dall'omologazione capitalistica e li conta, ne misura le potenzialità, li seleziona, li tiene in allenamento per occasioni migliori. Essa non spreca le sue energie proiettando sulla scena più comparse e registi di quanto non sia necessario. Essa conosce i suoi polli e sa che in una situazione sfavorevole, quando ogni cervello vaga per conto proprio e non è polarizzato dal fermento sociale, c'è un grande proliferare di chiacchiere, di "confronti", di "dibattiti", insomma di una montagna di merda democratica. Essa tiene sul teso filo rosso, scomodo a percorrersi, e che proprio per questo è di per sé fattore di selezione, solo il materiale strettamente necessario per mantenere viva la continuità storica, solo ciò che le basta per una selezione continua, affinché dal disordine e dal rumore indistinto di tutti questi atomi scaturiscano strutture coerenti per elaborazioni sempre più vicine alle necessità.
In questo lavorìo la rivoluzione è veramente impietosa, macina individui e gruppi, sedicenti geni e truppe d'assalto, sedimenta ed elettrizza cervelli, rovina fegati e fa lavorare a vuoto le tipografie al solo scopo di mantenere oliata la tradizione della stampa quando servirà per le masse e non solo per lo scambio fra autoproclamati dirigenti rivoluzionari.
Nel frattempo si formano e distruggono compagini umane che si elevano al di sopra dell'individuo e che, per questa loro qualità, ad esso forniscono risposte prima sul piano immediato e poi sul piano teorico. Perché il singolo deve trovare nel partito non solo l'ossigeno della teoria, ma anche un rifugio per difendersi dall'insopportabilità dei rapporti vigenti. Se siamo contro il capitalismo, che ha raggiunto i limiti della inumanità e dell'egoismo, il partito dovrà offrire il contrario, l'antidoto, e più presto potrà farlo meglio sarà. Non si tratta ovviamente di pronosticare un'accolita di buoni samaritani. Si tratta di giungere alla negazione, deterministicamente, delle categorie di questa società putrefatta. In questa ottica non si teorizzano torri eburnee né chiusure a riccio, ma si difende saldamente e caparbiamente la peculiarità di un indirizzo che è indirizzo pratico, se è vero che il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. I comunisti non nascondono i loro fini, dice il Manifesto, e quindi non si richiudono da nessuna parte, anzi, tentano in tutti i modi di estendere la loro influenza ovunque sia possibile. Se ci pensiamo bene è una contraddizione tremenda, che solo il processo rivoluzionario può risolvere: la difesa accanita della differenza rispetto all'omologazione capitalistica e la proiezione nel futuro sono in antitesi diretta con l'azione a largo raggio nel presente, dove la dottrina marxista non può per sua natura ricevere simpatie a prima vista. Eppure compito dei rivoluzionari, che rifiutano di chiudersi in torri eburnee e salotti letterari, è proprio quello di saldare la loro incompatibilità totale rispetto al presente con la consapevolezza che l'attuale omologazione degli individui non sarà eterna e che quindi si estenderà la rete dei contatti.
Certamente qua e là in passato sono state fatte teorizzazioni comunistiche immediate e si sono anche fatti esperimenti di falansteri comunistici. Engels li prende in considerazione come fatti che dimostrano il bisogno di comunismo e ne dimostra la potenzialità per quanto riguarda il risparmio di energia vitale rispetto alla dispendiosa società dello sciupìo capitalistico (67). Oggi esistono fenomeni anarchici di rifiuto del tran tran capitalistico, ma si tratta di fughe esistenziali di fronte alla realtà, diete e pillole per individuali stomaci delicati.
La posizione della Sinistra nei confronti della volontà individuale di uscire dall'angoscia capitalistica è spietata. Siamo deterministi e neghiamo che possa esservi soluzione individuale ad un problema sociale. Tutte le nostre affermazioni, tutte le nostre espressioni nei confronti dell'esterno, le nostre manifestazioni, le nostre riunioni pubbliche, la nostra propaganda, il nostro proselitismo non hanno il significato della pubblicità borghese. Il militante comunista non vende un prodotto, per quanto affascinante, per quanto espressione della storia umana. I nostri rapporti col prossimo non possono assomigliare al concorso a premi, al quiz televisivo, all'intervista o a un qualcosa che possa essere assimilato all'azione o anche solo allo stile di vita della borghesia.
Non siamo noi singoli gli autori del cambiamento, è la rivoluzione che dirige, noi siamo gli strumenti della conservazione della sua espressione futura. Per questo facciamo un lavoro meditato che si basa su un metodo molto preciso, che segue determinati criteri in base a una tattica che è data storicamente e non può derivare da scelte di capi che di volta in volta possano variarla. Di qui deriva il nostro metodo di lavoro. Le nostre azioni scaturiscono dal risultato scientifico di un lavoro precedente.
Allora non c'è bisogno di un organismo formale all'interno del gruppo (o del partito) specificamente preposto ad indicare i comportamenti del singolo militante nelle differenti situazioni che potranno di volta in volta essere la fabbrica, la scuola, un'assemblea di disoccupati ecc.
L'azione coerente deve nascere dalla metodica che lega i compagni in un lavoro comune e sistematico sulle esperienze passate e sulla previsione di possibili azioni future. Solo in questo modo non vi sarà bisogno di bignamini sui comportamenti dei compagni "nelle specifiche situazioni"; solo in questo modo ognuno sarà consapevole dell'esistenza dei pericoli interni ed esterni e sarà portato a farvi fronte in modo del tutto naturale.
Paradossalmente, quando si sente il bisogno di creare un regolamento che imponga ai militanti di comportarsi in un certo modo è perché già essi non si comportano con coerenza rispetto al programma. E sarà sempre tardi. La regola statutaria viene sempre dopo che i fatti si sono manifestati con conseguenze non desiderate ed è una costante della storia umana il produrre un corpo giuridico adatto alle situazioni, dal codice di Hammurabi al diritto romano, dalla Torah alle costituzioni borghesi. Il comunismo non ha costituzione e se Lenin cedette nello scriverne una per la Russia dei soviet fu per scrivere un manifesto della rivoluzione, non un regolamento per lo Stato-partito.
Colleghiamoci ad una classica polemica tra due grandi rivoluzionari attraverso un paio di loro testi. Si tratta dello scritto di Lenin Un passo avanti, due indietro, e della replica di Rosa Luxemburg Questioni di organizzazione della socialdemocrazia russa cui Lenin risponde a sua volta (68). Nel testo di Lenin si pone un forte accento sulle questioni di disciplina e centralismo; su quello della Luxemburg una critica alla disciplina formale e un tentativo di spiegare l'esigenza di un centralismo organico. Mentre Lenin, come al solito, non si lascia intimidire da nulla e bombarda a tappeto sulle debolezze in fatto di organizzazione, la Luxemburg è preoccupata per la disciplina e il ferreo centralismo quasi militare evocato da Lenin. Ma mentre in Lenin non vi sono cedimenti teorici, nel testo della Luxemburg vi sono concessioni non tanto alla democrazia, come vogliono far credere i suoi tardi epigoni, quanto alla coscienza individuale dei militanti e all'autodisciplina che ne deriva. Formalmente c'è più democrazia nel testo di Lenin che in quello della Luxemburg: vi si parla di maggioranze e minoranze, regolamenti e minuzie organizzative. Il testo di Lenin però non può in nessun modo essere utilizzato in modo opportunistico se non falsificandolo del tutto. Il testo della Luxemburg invece può essere utilizzato dagli opportunisti così com'è, dato che contiene, tra molte osservazioni interessanti in critica alla socialdemocrazia tedesca, altre osservazioni traducibili in critica democratica contro il centralismo.
La Luxemburg anticipa lucidamente alcuni guai cui andranno incontro le strutture partitiche del tempo; sa che la tattica parlamentare portata alla perfezione "chiude già orizzonti più vasti"; sa che l'opportunismo e la teoria marxista sono incompatibili e che la loro affermazione non dipende dalla volontà delle persone ma dai processi sociali, che quindi
"gli articoli di un regolamento possono dominare la vita di piccole sette e di cenacoli privati, ma una corrente storica passa attraverso le maglie dei più sottili paragrafi" (69).
Anche la corrente rivoluzionaria è una corrente storica e, nel momento della polarizzazione sociale, ogni statuto va in frantumi, superato dagli eventi. La Luxemburg registra questo fatto:
L'incosciente precede il cosciente e la logica del processo storico oggettivo precede la logica soggettiva dei suoi protagonisti. La funzione degli organi direttivi del Partito socialista ha in larga misura un carattere conservatore: come l'esperienza ci insegna, ogni volta che il movimento operaio conquista un terreno nuovo, questi organi lo coltivano sino ai suoi estremi confini; ma lo trasformano nello stesso tempo in un bastione contro processi di maggiore ampiezza (70).
Molto ben detto, ma "l'esperienza c'insegna" che questo guaio si verifica perché i partiti della Seconda Internazionale sono partiti a funzionamento democratico. Certamente, anche Lenin si dichiara a favore del centralismo democratico e vi insiste, ma a proposito del partito la superiorità della visione di Lenin consiste nella sua dialettica. Dice: il partito ha bisogno di una organizzazione. Quest'ultima non è il partito, i suoi principii, il suo patrimonio teorico e umano. Quindi gli accessori, come lo statuto, le commissioni, i comitati locali, lo stesso congresso con le sue tesi e votazioni, non sono il partito, sono le forme della sua organizzazione. La Luxemburg, dice Lenin, ritiene sbagliato avere una propensione per un "centralismo che non tiene conto di nulla", perciò pensa
che io difenda un sistema organizzativo contro un altro. In effetti però non è così. Nel corso di tutto il libro, dalla prima all'ultima pagina, io difendo le tesi elementari di qualsiasi sistema di qualsiasi organizzazione di partito pensabile. Nel mio libro si esamina non la questione della differenza tra questo o quel sistema organizzativo, ma la questione del modo in cui un qualsiasi sistema si debba sostenere, criticare e correggere. (71)
Gli accessori, sui quali Lenin si dilunga, sono la parte contingente dovuta alla situazione russa e al travaglio del partito. Ciò che va difeso non è tanto il "dispotismo" di un comitato centrale quanto la lotta all'anarchia e all'individualismo, dato che questi ultimi si traducono in chiacchiera e democrazia. Lenin ricorda che un conto è parlare dell'organizzazione del lavoro in una fabbrica, fattore che sarà strumento anche della produzione non capitalistica, un conto è parlare del dispotismo di fabbrica, fenomeno puramente capitalistico. Qualunque impresa umana che comporti l'azione coordinata di molti uomini per raggiungere un fine è soggetta ad organizzazione centralizzata e questo tipo di centralizzazione non c'entra nulla con la coscienza dell'autodisciplina o fisime del genere: è imposta dal compito affrontato. In caso contrario semplicemente non si può portare a compimento l'impresa, anzi, non la si può neppure affrontare.
Nessuno dei tre testi è da noi utilizzabile oggi così com'è. Del resto essi non rappresentavano ricette, ma argomenti per una battaglia che si è svolta realmente, di cui erano insieme risultati e fattori. Essi sono utilizzabili insieme, integrandoli e nello stesso tempo mettendoli in contrapposizione, come esempio di non risolti problemi legati al percorso rivoluzionario. C'è poi stata la soluzione definitiva? Come in ogni problema della scienza la risposta è: no. C'è stata, con l'apporto della Sinistra comunista "italiana", l'aggiunta di un gradino nella conoscenza intorno alla natura degli strumenti a disposizione dei militanti nel corso rivoluzionario.
FILO ROSSO, BUSSOLA SENZA TEMPO
DOVE CI ADDENTRIAMO UN PO' NELLA STORIA PER DIRE CHE OCCORRE SENSO DELLA MISURA QUANDO SI PARLA DI PARTITO E CHE BISOGNA RIMANERE FEDELI A UN PROGRAMMA INOSSIDABILE DI FRONTE AGLI ALTI E BASSI DELLA MISERABILE CONTINGENZA
Scrivere sui militanti della rivoluzione ha più senso nei momenti difficili come quello presente che non quando la rivoluzione spinge masse intere verso i suoi obiettivi. In Lezioni delle controrivoluzioni leggiamo infatti:
"Il marxismo non è la dottrina delle rivoluzioni, ma quella delle controrivoluzioni: tutti sanno dirigersi quando si afferma la vittoria, ma pochi sanno farlo quando giunge, si complica e persiste la disfatta".
Non è semplice riuscire a definire che cosa sia il militante della rivoluzione comunista, come egli possa aderire al programma storico della rivoluzione e come possa aderire all'organismo politico che questo programma realizza attraverso la direzione della lotta proletaria fino all'obiettivo finale.
Così come non è semplice chiarire la dinamica che porta alla formazione e allo sviluppo di questo organismo politico, che porta quindi anche alle forme che esso può assumere attraverso le determinazioni che ne fanno un prodotto prima che un fattore di storia.
E' indubbio che la controrivoluzione, databile almeno a partire dall'inizio degli anni '20, perdura tuttora, confondendosi nella normalità di una situazione sociale apparentemente stabile. L'assenza di una qualsiasi prassi rivoluzionaria rende persino difficile dare un senso all'esistenza stessa dei militanti comunisti.
Nell'Europa d'oggi, al di fuori dell'ordinaria politica delle strutture borghesi, comprese quelle che un tempo Lenin chiamava opportuniste ma che ora non si distinguono più per nulla dal resto, troviamo posizioni diverse, a volte contrapposte, quasi sempre dannose. Per semplificare, vi sono alcuni che, in nome di una presunta ortodossìa, lottano contro i rischi di inquinamento, chiudendosi in organismi formali (partiti) e uscendo da essi come si uscirebbe da un fortilizio isolato o, come direbbe biblicamente la Sinistra, da una Torre d'avorio, per "fare attività sindacale" o qualcos'altro. La purezza e la sensibilità che li ha condotti a "creare" partiti formali al di fuori di qualsiasi determinazione storica non è però sufficiente a far sì che questi partiti siano anche strumenti utili nel binomio teoria/prassi, e l'attività verso "le masse" rimane un'appendice che serve sì e no a darsi lustro in senso attivistico.
Vi sono altri che, invece, ritengono il marxismo un richiamo ideale cui riferirsi, piuttosto che un patrimonio teorico scaturito da lotte reali, piuttosto quindi che un'esperienza storica utilizzabile per chi ne ha sentito il richiamo.
In effetti l'esperienza storica è un elemento positivo della maturità del movimento operaio ed è costituita dalle sconfitte, anche le più disastrose, non meno che dalle vittorie. Nei periodi sfavorevoli il movimento in generale non spezza il filo della continuità, ma esso è meno evidente tra gli avvenimenti politici che rappresentano la superficie del processo storico. La lunghezza di tali periodi è in rapporto alla gravità della controrivoluzione e della degenerazione della dottrina da parte dell'opportunismo. Non si tratta quindi di affidarsi ad un semplice richiamo ideale, ma di sentirsi parte della corrente che ha rappresentato l'esperienza storica coerente.
La rivoluzione non giudicherà gruppi o partiti per ciò che dicono o pensano di essere, ma per la loro storia, per le loro azioni e per il modo in cui pongono le questioni fondamentali anche nei confronti di tutto ciò che li circonda. Quando la rivoluzione inizierà a utilizzare gli strumenti che le servono, renderà evidente il filo rosso che oggi è così difficile scorgere e i fatti reali avranno il sopravvento sulle etichette.
Occorre sottolineare con forza questa prospettiva per sgombrare il campo dalle velleità dei facitori di rivoluzioni e di partiti. Abbiamo imparato dal marxismo e dalla storia delle Sinistra che non si fanno rivoluzioni e partiti ma si dirigono rivoluzioni e partiti. Questa è una realtà che si dovette ribadire fin dal '21 contro un'Internazionale che incominciava a oscillare sulle questioni tattiche cercando di forzare la storia su binari impraticabili. Non è il partito buono che fa la buona tattica, ma è viceversa la buona tattica che forma il partito buono. Come l'organismo biologico si forma attraverso ciò che mangia e ciò che fa, così l'organismo rivoluzionario si forma attraverso ciò che di teorico assimila e ciò che svolge nella prassi, migliorando il suo sistema organico di muscoli, ossa, nervi e materia grigia, fino a coinvolgere altri organismi in un organismo più vasto, quello sociale.
Il risultato che ci interessa nell'ambito del discorso che stiamo facendo è il passaggio qualitativo che avviene quando il metabolismo sociale descritto si indirizza verso un obiettivo. E' allora che si vede quali sono gli strumenti reali della rivoluzione, quali sono stati i precedenti e quali saranno gli sviluppi futuri. Ciò che chiamiamo continuità non è certo un'astratta affermazione, ma un percorso tangibile, una coerenza che si dimostra tutti i giorni, anche se sarà totalmente palese solo quando si scriverà la storia guardandosi indietro. Lenin a Zurigo si dannava perché la Rivoluzione sembrava irraggiungibile. Non era solo una questione di treno, che fu gentilmente risolta dal ministro della guerra tedesco, il fatto è che l'onnipotente partito bolscevico, nucleo d'acciaio eccetera eccetera è stato descritto dopo come entità che ha fatto la rivoluzione, specialmente da Stalin e compagnia. Il partito bolscevico ebbe la possibilità di dirigere la rivoluzione perché nel suo insieme fu coerente nelle sua azione con il patrimonio che aveva accettato come base per la sua esistenza. Trotzky dimostra nel suo 1917 che la rivoluzione in corso poteva benissimo non essere diretta se si fosse dato ascolto alla maggioranza del Comitato Centrale in quel momento.
E' quindi da un intreccio coerente fra patrimonio accettato e prassi quotidiana che scaturisce la potenzialità dell'organismo, suscettibile perciò di giungere a risultati più alti e trasmetterli. Il livello di elaborazione teorica dipende dal corretto atteggiamento pratico, così come questo è influenzato a sua volta dall'aderenza al programma. Il superamento positivo della palude politica nella quale i pochi militanti rivoluzionari sono costretti a muoversi, avverrà quando l'intreccio descritto, che forma il programma genetico di ogni movimento più grande, si intreccerà a sua volta con un cambiamento materiale nell'ambiente, cioè nella società che produce e si riproduce.
Ogni militante rivoluzionario non può che aderire ad una scuola di pensiero e azione venuta prima di lui, che ha radici in rivoluzioni passate e si proietta in quelle future. Noi cerchiamo di militare in continuità con la scuola di pensiero e di azione marxista. Ma non ci basta. Il marxismo non è morto con Lenin. La battaglia che si scatenò con l'arretramento della rivoluzione mondiale ha prodotto dei frutti cui noi possiamo attingere perché prima di quel momento si era prodotta una corrente che fu l'unica ad essere in sintonia totale con la rivoluzione bolscevica. Per descrivere la continuità a volte si usa l'immagine della staffetta che passa il testimone. E' una buona immagine, perché evidenzia in modo immediato un dato di fatto: per poter passare il testimone bisogna che vi sia un tratto di percorso in comune. Questa immagine viene usata anche per illustrare il trapasso fra generazioni ed è più efficace ancora. Ci siamo ripromessi di raccogliere la tradizione della Sinistra Comunista sia perché abbiamo percorso un tratto in comune con essa, sia perché abbiamo vissuto un cambio di staffetta fra generazioni cercando di imparare dalle lezioni del passato. Ma ciò non basta, perché anche un Trotzky, ben più grande di quanto possiamo esserlo noi, ha passato il testimone a gruppi possono rivendicarne la continuità attraverso la sua esperienza, i suoi scritti e i suoi allievi, e ciò non ha impedito al trotzkismo di ricadere nelle categorie della società borghese.
Una tradizione molto antica è quella di fare il pane senza lievito, togliendo un pezzo di impasto già lievitato naturalmente dal precedente e aggiungendolo al successivo. La si ritrovava in tutto il mondo, almeno quello che consuma pane. L'atto simbolizza la continuità in un alimento base, un po' come se si mangiasse sempre lo stesso pane nel tempo per essere sempre gli stessi. E' una magia di continuità, frequente nel simbolismo della scienza primordiale, forse ricordata dalla comunione dei primi cristiani. Bruciamo carburante rivoluzionario e dobbiamo produrne altro, diverso eppure sempre lo stesso, se vogliamo che la continuità esista. I sacerdoti erano esentati dalla continuità del pane, forse perché erano già in presa diretta con quella del cielo: per loro il pane lievitato era tabù. Ma è ancora un esempio limitato.
Ci vuole qualcosa di più, un esempio che dia un'idea più chiara, come quello del Filo Rosso, tanto per arrivare dove si voleva. Il sartiame delle navi di Sua Maestà Britannica, sembra dai tempi di Elisabetta I, era intrecciato con canapa proveniente da tutto il mondo in fabbriche dislocate ovunque. Il mercantilismo non era uno scherzo per l'Inghilterra, prototipo di tutti gli imperialismi moderni. Se canapa e fabbriche erano sparse per il mondo, in tutte le sàrtie, per tutta la lunghezza correva invece un filo rosso che veniva fabbricato in una sola manifattura reale a Londra. La produzione di quel filo non si interrompeva mai.
Si sa che la marina inglese va matta per i simboli, anche i più stupidi, ma questo dev'essere piaciuto a qualche militante rimasto sconosciuto e ce lo teniamo. Il filo rosso è uno, sempre lo stesso per tutte le sàrtie, mentre le staffette e le pagnotte possono essere tante e diverse.
Che cosa ha permesso alla Sinistra, come a Lenin, di rispondere correttamente alle importanti situazioni storiche specifiche in cui si trovarono a lottare? Nient'altro che l'assimilazione del patrimonio precedente, un lavoro coerente su di esso e l'elaborazione sugli invarianti e le trasformazioni, che non sono affatto in contrapposizione ma uniti (72).
Ecco spiegato il motivo per cui la Sinistra "italiana" ha potuto, al momento giusto, fornire concretamente la spiegazione e nello stesso tempo la prospettiva di sviluppo di fenomeni che altri non capivano o, peggio, non avvertivano neppure. Fu così quando essa combatté contro la degenerazione della politica del PSI nel 1912, quando si organizzò in frazione all’interno del vecchio partito aderendo in tutto alle tesi bolsceviche, quando costituì coerentemente il Partito Comunista nel 1921, quando criticò le oscillazioni tattiche della III Internazionale e diede una spiegazione storica del fascismo, quando fece un bilancio marxista della struttura economica e sociale dell'URSS. Quando, infine, stabilì che, in piena controrivoluzione staliniana, la conservazione del patrimonio marxista e quello suo proprio per consegnarlo indenne alle nuove generazioni era lavoro pratico, non differente da quello che si poteva fare nelle fabbriche e nelle sezioni locali.
Oggi possiamo farci forti di questa storia, attraverso la quale neanche il durissimo Trotzky, l'unico alleato vero che poteva avere la Sinistra, è riuscito a passare indenne (73). La salvaguardia dell'immenso patrimonio teorico dalla devastazione che accompagnò la controrivoluzione staliniana nonché la sua "restaurazione" non è finita e non finirà mai, perché il marxismo è scienza, e quindi procederà con l'umanità verso la conoscenza del mondo attraverso continue elaborazioni e aggiunte in un processo che non avrà fine. I militanti rivoluzionari devono sapere che quello che ha svolto la Sinistra non è un compito transitorio. L'aveva svolto Lenin e lo si dovrà svolgere ancora. I militanti comunisti avranno ancora molto lavoro per combattere gli effetti della controrivoluzione staliniana per due motivi. Primo, questa è stata così virulenta perché, come tutti gli opportunismi, si è sviluppata all'interno del movimento operaio, ha coinvolto la sua quasi totalità compresi i suoi organi dirigenti (anzi, questi per primi) in tutto il mondo e non ha potuto trovare antidoti nello sviluppo materiale dei fatti, cioè della rivoluzione in Occidente. Secondo, lo stalinismo è figlio, come tutti gli immediatismi e le utopie (costruire il comunismo, costruire il socialismo in un paese solo), del capostipite Proudhon, il quale, come fece notare Marx, era il cantore e il rappresentante delle mezze classi e di tutti coloro che vagheggiano un capitalismo senza i guai e le contraddizioni che questo comporta. Perciò, fino alla fine del capitalismo ci troveremo ogni volta a fare i conti con qualche forma di proudhonismo, "risorgente e tenace", come disse la Sinistra, fenomeno inscindibile dal fatto che, quando il proletariato non è classe per sé, è classe per la borghesia. Non potendo però comportarsi nei fatti come la borghesia, esso assume in questo caso il modo di pensare di quella fascia sociale intermedia e amorfa che il militante comunista, poiché l'avrà sempre tra i piedi, deve conoscere in tutte le sue manifestazioni, specie quelle che influiscono sull'organizzazione in cui milita.
Perciò, ritornando alle osservazioni con cui eravamo partiti, cioè al processo di formazione e di sviluppo del partito, forma organizzata e organica dell'azione rivoluzionaria, il militante combatterà tutte le tendenze che vedono la rivoluzione e il percorso per giungervi come prodotto della volontà. Né la rivoluzione, né le condizioni economiche e sociali che la preparano, né il partito che la dirigerà possono essere frutto del desiderio di uomini che, in tutta buona fede, vorrebbero veder realizzato un modello che hanno in testa. La Sinistra ha insistito su questo punto in tutta la sua storia e abbiamo la verifica sperimentale che la ricerca del successo a tutti i costi, tramite espedienti volti a trasformare la realtà secondo ciò che vogliono capi e comitati direttivi, ha portato al fallimento e al rinnegamento delle basi marxiste:
Abbiamo tante volte gridato agli assetati del palpabile scontato successo politico di congiuntura, che siamo rivoluzionari non perché ci bisogni vivere e vedere, contemporanei, la rivoluzione, ma perché la viviamo e vediamo oggi come "evento", per i vari paesi, per i "campi" e le "aree" di evoluzione sociale in cui si classifica dal marxismo la terra abitata, già suscettibile di scientifica dimostrazione. Le sicure coordinate della rivoluzione comunista sono scritte, come soluzioni valide delle leggi dimostrate nello spazio-tempo della Storia. (74)
ATTIVISMO, FALSA RISORSA DEL "PRINCIPIISMO"
DOVE SI DIMOSTRA CHE LA GENUFLESSIONE DI FRONTE ALLE SACRE SCRITTURE E AI SANTINI COMUNISTI E' L'ALTRA FACCIA DEL PECCATO ORIGINALE ATTIVISTA E NON SALVA L'ANIMA DEL PECCATORE MA LO MANDA ALL'INFERNO CON PROUDHON
La dottrina marxista è un tutto organico, "un quadro originale, già perfetto, come cento volte ripetemmo, oltre un secolo prima di oggi". Ciò nonostante
Lavoriamo a frammenti e non stiamo costruendo una enciclopedia comunista; altrimenti non può essere, se condizione della nostra opera è lo schieramento della società nemica e la defezione decennale delle forze nel nostro campo (...) Se non si poté stereotipare l’enciclopedia quando eravamo troppo forti, non si può pretendere di farlo quando si è troppo deboli; le tavole in cui i testi sono fusi nel metallo si riducono a lembi e a brani, la cui sostanza è rigida e potente, ma i contorni sono a volte incompleti e discontinui. La rivoluzione di generazioni avvenire salderà insieme i pezzi, che i nostri sforzi limitati ma non timorosi, collegano. (75)
Abbiamo, in questi due spezzoni di testo, la definizione della militanza rivoluzionaria. Da una parte abbiamo il corpo dottrinario che nasce dal processo materiale come un tutto unico valido per l'intero percorso rivoluzionario; dall'altra abbiamo lo sforzo non timoroso di collegare le varie parti in un grande semilavorato che un giorno l'umanità porterà a compimento, ovvero salderà in una potente struttura, frammenti che per ora possiamo solo mettere in relazione fra loro, sfrondando la materia dalla spazzatura borghese e opportunistica. Come è affermato in Proprietà e Capitale, la militanza rivoluzionaria consiste allora nel riuscire a conservare nel presente la linea del futuro di classe; quindi la fondamentale attività, che si condensa nel termine "lavoro di partito", è la trasmissione delle lezioni feconde che emergono dal passato alle generazioni presenti e future.
Le nostre tesi insistono molto sul concetto di trasmissione, non a caso. Il programma, per noi, non è mai stato sinonimo di piattaforma politica, di banale rivendicazionismo rivoluzionario, di risultato finale avulso dal percorso politico necessario per la sua realizzazione. Dialetticamente, il programma è proiezione politica e sociale del futuro nel presente. Il concetto di trasmissione ci serve per capire che non esiste separazione tra "preparazione rivoluzionaria" e "rivoluzione", tra tattica e programma.
Contrapponendosi alle oscillazioni della Internazionale, la Sinistra difese la relazione "circolare" che parte dal programma e, attraverso la tattica, ritorna al programma. La rivoluzione può e deve essere prevista non solo nel suo esito finale ma anche nel suo percorso. Allora, conservazione del passato e prefigurazione del futuro non sono elementi antitetici ma si completano l'un l'altro nell'azione presente del partito rivoluzionario. Il quale, quindi, non può essere soltanto veicolo di propaganda di immutabili principii ma anche strumento adeguato nella pratica lotta per raggiungere un fine. Stante il permanere della formazione sociale in cui i principii si sono formati e hanno trovato la loro verifica, essi non possono essere messi in discussione, ma non possono neanche essere trattati come leggi immanenti, che procedono dalla testa degli uomini o da qualche surrogato dottrinale della divinità e dunque trattati come cose a sé, slegate dalla materiale vita degli uomini. L’elemento sovrastrutturale, sia esso apparato politico e ideologico della classe dominante, sia esso organo della classe dominata - nel nostro caso il proletariato - assume un peso materiale decisivo nell'influenzare gli avvenimenti, in quanto può dare soluzione oppure continuazione all’antitesi tra la forza produttiva sociale e i rapporti di produzione; antitesi che, nella fase più acuta, si fa lotta per il potere. Il partito comunista, prodotto della storia del conflitto fra borghesia e proletariato, si trasforma in fattore di storia e dirige lo stesso proletariato permettendogli di essere classe protagonista della trasformazione sociale; rappresenta i suoi interessi fissandoli in un programma; sintetizza e unifica le spinte fisiologiche e organizzative immediate che provengono da questa classe.
Il partito non è "parte del proletariato", come pretendevano le tesi della Terza Internazionale, bensì organo della rivoluzione proletaria; non è detto che sia costituito di soli proletari, ma non può esistere senza il proletariato, soprattutto senza la sua determinazione materiale a lottare contro la borghesia. E' in questa relazione che il partito può coinvolgere gli individui, non importa se proletari o meno, ed elevarli alla funzione di militanti operativi della rivoluzione, cosa che, senza la relazione storica di ogni parte (forza produttiva sociale, classe borghese, proletariato, individui, sovrastrutture, ecc.) col tutto, sarebbe inconcepibile.
L’organo del proletariato non si impone tramite uno sforzo di volontà, non sorge di colpo da una fulminea rivelazione o da una chiarificatrice interpretazione dei sacri testi. Si forma, si sviluppa e assolve alla sua funzione attraverso una selezione dura e materiale, catastrofica e brutale, nella misura in cui esiste una maturità sociale che permetta una coscienza e un'azione collettiva unitaria alle cosiddette masse. Al proletariato in prima fila, ma anche ai transfughi di altre classi che sentono il bisogno di lottare nel senso dell'interesse generale e finale del proletariato e quindi dell'umanità intera. Sottovalutare questo processo grandioso, potentemente tratteggiato per esempio nelle Tesi di Roma, e scimmiottarne le parole senza adeguarsi al contenuto è quanto di più lontano possa esservi dalla militanza rivoluzionaria.
Il processo rivoluzionario procede per salti: una serie di passaggi che rappresentano ognuno un elemento decisivo che dev'essere mantenuto e superato; non vi è e non potrà esservi un’unica, subitanea trasformazione che modifichi i precedenti scenari. La comprensione di questi passaggi è l’arte dell'insurrezione cui fa riferimento Lenin; da non confondere, come spesso si è fatto, con l'arte del colpo di stato, blanquista o meno; anche Rosa Luxemburg aveva equivocato, ribellandosi alle cristalline argomentazioni di Lenin dal punto di vista di una "democrazia proletaria". E' proprio questo procedere a salti che rende possibile alla rivoluzione di lasciarsi indietro via via gli orpelli del passato per raggiungere nuovi risultati, di criticare sé stessa, di superarsi dialetticamente durante lo stesso svolgimento dei fatti, come osservò già Marx a proposito sia del '48 che della Comune di Parigi.
E' militante della rivoluzione chi contribuisce alla distruzione dello stato di cose presente, a qualsiasi classe egli appartenga, ma la rivoluzione ha bisogno di militanti organizzati, centralizzati, disciplinati. Il partito non nasce senza militanti e d'altra parte questi non sono militanti veri e propri se non svolgono attività di partito. La nostra corrente ha precisato la questione uscendo dall'apparente circolo vizioso, annotando la relazione tra partito storico e partito formale. Il programma della classe proletaria, invariante nella sostanza, è l’essenza stessa del partito storico, inteso come movimento di fatti reali che tende all’abbattimento del capitalismo. Tale programma e la sua completezza sono legati al livello di sviluppo raggiunto dalle forze produttive e dai rapporti sociali di produzione. Il partito storico, per Marx e per la Sinistra, è il movimento materiale che nei fatti porta alla polarizzazione in vista di un obiettivo. Per meglio dire, è il "deposito", l’insieme delle esperienze teoriche e pratiche del movimento comunista. E’ qualcosa di più di una "biblioteca" o anche della dottrina: se venissero distrutti tutti i libri e ogni traccia di memoria, il marxismo si rifonderebbe a partire dalle condizioni oggettive esistenti. Il rapporto tra partito storico e partito formale è dato, ancora una volta, dai fatti materiali. Da più di settant’anni, viviamo in una fase dominata dalla controrivoluzione ma, dialetticamente, se c’è controrivoluzione, c'è rivoluzione. Marx, nel 1860, rifiuta di riconoscere come partito la vecchia Lega dei Comunisti morta e sepolta e, nello stesso tempo, constata lo sviluppo del partito anche se non ha ancora una sua espressione formale; solo quattro anni dopo sarà fondata la Prima Internazionale, cosa che Marx non aveva certo programmato. Anche la sconfitta sanguinosa della Comune di Parigi comportò lo spezzarsi di quel primo abbozzo di partito formale che andava già ben oltre la primitiva "associazione di lavoratori", ma le determinazioni materiali dei rapporti fra le classi dovevano avere il sopravvento e dar luogo, quando si fossero presentate di nuovo le condizioni, a un nuovo riavvicinamento fra il partito storico e il partito formale:
Dopo la caduta della Comune di Parigi, era naturale che le organizzazioni della classe operaia in Francia fossero momentaneamente spezzate; ma oggi esse riprendono di nuovo a svilupparsi (...) L’Internazionale non ha superato il suo primo periodo d’incubazione che per entrare in una fase di sviluppo superiore, nella quale le sue tendenze originali sono già in parte realizzate. Nel corso di questo crescente sviluppo, dovrà ancora subire altre metamorfosi prima che si possa scrivere l’ultimo capitolo della sua storia. (76)
Il partito formale, organo indispensabile e strumento del proletariato per la sua azione rivoluzionaria soggettiva, è l'incarnazione del partito storico in fisici organismi fatti di militanti e strutture concrete, che sorgono sulla base della situazione esistente. Se oggi l'organismo formale (soggetto) non esiste è perché le condizioni (oggetto) non lo permettono. Molti però fanno confusione su questo punto: separare con una barriera i fattori oggettivo e soggettivo non ha senso; per comunicare dobbiamo usare delle convenzioni linguistiche, descrivere la realtà tramite processi di astrazione come nelle scienze, ma in pratica oggettivo e soggettivo sono interagenti, ognuno ha effetti sull'altro, perciò non a caso definiamo il partito come prodotto e fattore di storia. In un testo della nostra corrente si legge:
La giusta prassi marxista afferma che la coscienza del singolo e anche della massa segue l'azione, e che l'azione segue la spinta dell'interesse economico. Solo nel partito di classe la coscienza e, in date fasi, la decisione di azione precede lo scontro di classe. Ma tale possibilità è inseparabile organicamente dal gioco molecolare delle spinte iniziali fisiche ed economiche. (77)
In dati momenti dello scontro tra la classi avviene la polarizzazione degli interessi sia proletari che borghesi e tra le classi avviene una separazione netta mentre le azioni portano allo scontro. E' in questo processo che si forma e si sviluppa l'organismo formale del proletariato. E' un incontro tra condizioni oggettive e soggettive, tra una classe che spontaneamente "si leva alla lotta" e la prospettiva scientifica del suo divenire attraverso una direzione cosciente. Il denominatore comune di molte deviazioni prodottesi nella storia del movimento operaio, Sinistra compresa, è la cattiva comprensione della profonda differenza che esiste tra l'attivismo e l'attività, ossia tra "il fare" volontaristico e la prassi rivoluzionaria stabilita dal leniniano "piano sistematico d'azione", non da scegliere fra tanti disponibili, ma dato dal grado di maturazione effettiva esistente in grandi epoche storiche e interi continenti, non dal momento contingente locale.
Senza una conoscenza teorica approfondita del grado di maturità delle forze produttive e del movimento economico che porta le classi a scontrarsi, non vi può essere direzione cosciente delle forze rivoluzionarie e non vi può essere quindi tattica coerente. I movimenti o partiti che prescindono da queste basi fondamentali si negano per ciò stesso ogni possibilità di una visione futura del movimento reale e non possono che rappresentare un esistenzialismo tendente ad occuparsi solo dell'immediato presente. Essi sono e saranno portati a interpretare il movimento attraverso ciò che questo esprimerà su sé stesso e perciò sarà loro negata ogni funzione direttiva, dato che il loro atteggiamento li porrà alla coda e non alla testa delle forze in moto.
Quindi nelle diverse situazioni storiche ai militanti del partito non è permessa la fuga verso espedienti politici: è invece tassativa la consegna di essere coerenti con le reali possibilità di azione, le quali si possono palesare attraverso le più svariate manifestazioni degli uomini. Ma non sono da valutare soltanto queste: occorre valutarle in rapporto con le ragioni materiali del loro scatenarsi. A questo proposito vanno ricordati a titolo di esempio il magistrale scritto di Trotzky sul 1917 russo e il commento che la nostra corrente ne fece nel 1924 (78). L'argomento è la questione dell'insurrezione e la differente valutazione della maturità dello scontro, del potenziale rivoluzionario e delle forze in campo data da Lenin e da Zinoviev-Kamenev, terreno di verifica formidabile del binomio teoria-prassi.
Le considerazioni sull'attività militante nelle situazioni storicamente sfavorevoli come quella odierna sono ampiamente svolte nelle nostre Tesi (79), ma è bene ribadire alcuni elementi. Il marxismo è una scienza, e come tale non tratta la materia sociale differentemente da come le altre scienze trattano la loro materia. Ciò rimanda alla questione del metodo. In fisica, per esempio, la teoria è connessa alla sperimentazione. Essendo però in campo sociale la sperimentazione impossibile, per avere risultati certi occorre individuare una serie di osservabili (fattori economici, elementi nel quadro dei rapporti tra stati, ecc.). In pratica si devono isolare, dall’insieme caotico dei fattori, gli elementi fondamentali, cioè ricercare gli invarianti storici, osservare gli avvenimenti nella loro dinamica, raccordarli in una visione organica sulla base della dottrina consolidata, anticipare le tendenze materiali, conoscere gli obiettivi da raggiungere e gli strumenti per giungervi. Un lavoro prevalentemente di ricerca sul campo, intorno al quale si forma una scuola, una corrente politica.
Il bagaglio teorico a disposizione dei militanti è la base, il patrimonio che sintetizza la memoria storica con l’esperienza e la critica, che rappresenta quindi la possibilità di proseguire il percorso compiuto e giungere a più potenti strumenti critici, alla possibilità di verifica pratica nei momenti in cui ciò sia concesso dai fatti.
Tale patrimonio, la cui ultima espressione in ordine di tempo è l'elaborazione e l'esperienza della Sinistra, è stato ed è ancora rivendicato da molti, tanto da configurare una generica corrente marxista. E' ovvio che per noi occorre entrare nel fitto di questo bosco non solo col bordighiano lanciafiamme ma con qualche più potente arma disintegratrice.
In questo bosco un po' paludoso sguazzano, vivacchiano, patiscono o lavorano personaggi, gruppi e partiti di ogni risma. L'andirivieni è patologico e provoca un ricambio spasmodico, ma non sono esclusi esempi di tenacia. Molti hanno dimenticato i riferimenti originari o non glie ne importa più nulla. Alcuni si intestardiscono a voler rappresentare una continuità con qualcosa o qualcuno: il comunismo, il consigliarismo, l'anarco-sindacalismo, oppure Marx, Lenin, Mao, Trotzky, Bordiga e altro ancora. La continuità ideale, la rimembranza o la trasformazione in icone inoffensive è altra cosa, è bene sottolinearlo, dalla continuazione effettiva rispetto alle premesse. La continuazione effettiva del lavoro di una corrente, chiamiamola marxista per comodità d'espressione, non può essere esclusiva ripetizione di ricordi o di tesi ma deve essere una effettiva continuazione dello stesso lavoro sulla base di invarianti che debbono essere ben individuati, necessita di osservazioni sul campo effettuate con il bagaglio precedente, necessita insomma di analisi secondo un programma preciso. Programma in questo caso non è sinonimo banale di sequenza operativa ma è enunciazione preventiva del risultato che si vuole raggiungere. Per esistere e vivere, chi si prefigge un tale programma ha bisogno di operare con leggi, parametri, "modelli", così come il cervello ha bisogno continuo di stimoli per poter operare relazioni, in fondo per poter banalmente pensare.
Ora, c'è un mucchio di gente che di propositi ne sforna, ma senza la minima relazione con il passato e il futuro, per questo sono propositi e non programmi. Questa brava gente, molto creativa, vuole arricchire il marxismo con dati nuovi ricavati, è naturale, da situazioni nuove perché il buon Marx gli sa di vecchia barba ottocentesca. Oltre che creativa questa gente è anche molto attiva, anzi, visto che in fondo trova da fare le solite cose, è molto attivista, cioè vorrebbe fare ma non può.
Complementare all'attivismo di costoro non poteva non esistere quella che potremmo chiamare la falsa risorsa del principiismo (80). E' un fenomeno ben conosciuto dalla Sinistra da quando ogni fenomeno politico dà luogo al suo omologo, che si chiama generalmente con lo stesso nome ma con il prefisso anti. Fu con questo tipo di analisi che la Sinistra previde che il fascismo avrebbe dato luogo al suo peggior prodotto: l'antifascismo. Ovvio che l'eclettismo innovativo rimane preponderante, ma anche il principiismo non scherza. Funziona così: si prende una proposizione marxista irrinunciabile che, per comodità, i rivoluzionari hanno chiamato "principio"; la si riveste di significato immanente, di idea data a priori; infine la si fa valere come il Verbo di Dio, preferibilmente contro coloro che sono considerati eretici e punibili, come minimo, con l'anatema. Chi agisce a questo modo non capirà mai che il marxismo non ha principii così come non ha morale o altre categorie prese a prestito dalla presente società. Trotzky parla de La loro morale e la nostra in un celebre libretto (81), ma neanche un bambino penserebbe che con ciò si conceda ai comunisti di avere una morale. Chi può giurare che Lenin non abbia mai parlato non solo di democrazia e di principii ma anche di morale? Noi non concediamo nulla ai principii e alla morale, termini che contengono in sé un significato di immanenza, siamo soltanto obbligati ad usare una lingua che non ha ancora risciacquato i panni nella rivoluzione.
A riprova dell'assunto tipico nostro che il ceppo originario di tutti gli "ismi" devianti sta nell'antenato unico Proudhon, non solo chiunque può osservare l'esistenza complementare dell'eclettismo creativo-attivista e del principiismo di maniera, ma anche della loro unione sotto la stessa bandiera. Risulta così che attivismo e principiismo non siano due cose distinte ma le due facce di una stessa medaglia. I più accaniti formal-partitisti di un'epoca che ha visto autodistruggersi fior di partiti formali, sono anche i maggiori sostenitori (altrettanto formali) dei sacri principii. Ebbene, è proprio da quella parte che si osserva il peggior attivismo di maniera. Lasciateci esclamare con il nostro testo: proudhonismo risorgente e tenace! (82).
Discutiamo spesso e anche piuttosto vivacemente tra noi, ma non amiamo scendere in lizza per partecipare ai tornei di batracomiomachia che ogni tanto appaiono sulla stampa internazionalista proprio perché non siamo particolarmente indignati che qualcuno dica cose che secondo noi sono fesserie. Lo troviamo normale, lo deduciamo dai nostri testi. Si tratta dell'effetto di una controrivoluzione di settant'anni e di fronte ad esso la debolezza teorica e pratica non è esorcizzabile; la si prende come un dato di fatto e si cerca di non cascarci con il solo mezzo disponibile: l'assimilazione dei bilanci della storia e l'azione conseguente. Oggi non esiste un’attività di partito che possa influenzare gli avvenimenti, neppure da parte dei grandi partiti borghesi. Il classico "rovesciamento della prassi è ancora ben lontano. Oggi la classificazione degli strumenti teorici, la ricerca anche nel mondo borghese di quegli elementi che ci confermano le capitolazioni della borghesia di fronte al marxismo, l'assimilazione non libresca dei risultati delle battaglie passate, il riverbero di tutto ciò su nuovi militanti, sulle nuove generazioni, ecco un lavoro pratico, un'attività, quella che corrisponde ai compiti dei militanti comunisti in una situazione ancora sfavorevole, peraltro destinata ad esserlo ancora per molto tempo. Il farsi e disfarsi dei gruppi, dei partiti, le defezioni, tutto l'agitarsi (così poco visibile alle "masse") degli individui lanciati in battaglie spesso poco edificanti, tutto ciò non è nuovo nel movimento comunista e può anzi essere utile per la selezione delle forze future. Scriveva Bordiga nel 1950:
E’ naturalmente comprensibile a tutti che il materialismo marxista appena nato non trovò e registrò di colpo tutte le leggi scientifiche sociali, né le codificò, nemmeno nelle opere monumentali come il Capitale, in testi che per i seguaci e i militanti del movimento si pongano come definitivi. La ricerca e la elaborazione continuarono e continuano: non potettero non dar luogo a divergenze e contrasti, che se non si chiamarono Concilii, scismi, eresie, si chiamarono Congressi, revisioni, scissioni politiche. Ma ciò non toglie che il movimento nel suo insieme non può vivere e vincere senza il filone dorsale della dottrina, grezzo se si vuole in qualche parte, che attraverso la lotta deve essere portato intatto nel suo tronco vitale fino alla vittoria. (83)
Non si tratta neppure di vedere chi riuscirà a portare intatto il filone dorsale della dottrina, perché non lo può decidere nessuno, perché nessuno è oggi spinto da forze in grado di permettere un vero sviluppo della teoria marxista previsto dalla dottrina e anticipato dalle nostre tesi specifiche. Lo sviluppo di una teoria non vuol dire trasformazione di una cosa in un’altra (caratteristica propria del mutamento) ma passi avanti nella ricerca, elaborazione dell'esistente, così come Galileo, processato dagli aristotelici, dichiarava di essere il miglior allievo di Aristotele proprio perché non si fermava di fronte ai risultati da lui raggiunti.
La scienza marxista non indica solo le necessità della storia, le quali pure s’impongono ai singoli e alle classi, ma segnala le leggi obiettive per cui tali necessità possono e debbono, a un certo svolto della storia, tradursi in azione cosciente, nel rovesciamento della prassi, quando il proletariato, attraverso il suo organo politico, impone un indirizzo agli avvenimenti. Occorre che questa scienza trovi terreno fertile, si sviluppi con forza attraverso l'intelligenza collettiva di uomini legati organicamente da uno stesso programma, in una compagine organizzata che li unisca con un solo sentire, pensare, operare.
Il partito della rivoluzione nasce e vive nella difesa strenua della teoria che, punto di approdo di tutta la precedente conoscenza, resta invariata per tutta la fase che comprende la dominazione borghese e la dittatura del proletariato fino all'estinzione dello Stato, quando si estinguerà anche il partito stesso,
a meno che non si intenda come partito un organo che non lotta contro altri partiti, ma che svolge la difesa della specie umana contro i pericoli della natura fisica e dei suoi processi evolutivi e probabilmente anche catastrofici. (84)
ALLA RIVOLUZIONE NON SERVONO IDEE MA FORZA
DOVE SI CONCLUDE CHE LA DEBOLEZZA NON SI TRAMUTERA' IN FORZA PER I SOLI DESIDERI DEGLI UOMINI DI BUONA VOLONTA', MA PERCHE' IL MOVIMENTO MATERIALE SI SALDERA' AL PROGRAMMA E ALL'ORGANIZZAZIONE CENTRALIZZATA DEL PARTITO
Alcuni anni dopo la pubblicazione del Che fare? Lenin precisa di fronte ai critici che l'opuscolo non voleva essere un manuale per plasmare classe e partito alla volontà di un gruppo particolare di capi, bensì uno strumento di battaglia contro chi non capiva che la rivoluzione ha bisogno non solo di una vasta attività economico-sindacale ma di un programma politico e di una organizzazione centralizzata. Il motto "andare verso le masse" non ha senso marxista perché saranno le "masse" ad andare verso il partito ed esigere di esserne guidate. Oggi andare verso le masse significherebbe qualcosa come andare a sedersi davanti al televisore. Quel che Lenin spiega è lo straordinario successo ottenuto da quel partito, e quello solo, che ha saputo lavorare con la classe operaia senza accodarsi ad essa, dandosi un'organizzazione centralizzata, disciplinata, antidilettantesca, professionale e fermamente contraria alle improvvisazioni e al lavoro estemporaneo. Un partito che nello stesso tempo era chiuso e aperto, totalitario come il piano di produzione di un'officina, ma in grado di essere sensibile alla generosa spontaneità del proletariato, di coglierne gli aspetti utili alla rivoluzione come di stroncarne quelli negativi.
Condizione fondamentale di questo successo è stato, naturalmente, il fatto che la classe operaia, il cui fior fiore ha creato la socialdemocrazia, si distingue, grazie a cause economiche oggettive, da tutte le classi della società capitalistica per la sua maggiore attitudine all'organizzazione. Senza questa condizione l'organizzazione dei rivoluzionari di professione sarebbe stata un giocattolo, un'avventura, una vacua insegna, e l'opuscolo Che fare? sottolinea ripetutamente che solo quando esiste una "classe rivoluzionaria e che spontaneamente si leva alla lotta" ha un senso l'organizzazione che esso propugna. Ma la capacità, oggettivamente massima, del proletariato a riunirsi in classe viene realizzata da persone vive, viene realizzata non altrimenti che in determinate forme di organizzazione. (85)
Tra l'appartenenza al proletariato, il partecipare alle sue lotte ed anche avere coscienza della propria forza come classe, e la conoscenza razionale delle leggi che regolano il modo di produzione capitalistico non c’è relazione diretta (86). La condizione materiale che il proletario vive può portarlo sia ad adeguarsi temporneamente a questa società che a sentirsi istintivamente parte di una classe precisa e ad organizzarsi per la difesa o la soddisfazione di interessi immediati. La base oggettiva da cui può svilupparsi un processo di consapevolezza è anche la stessa che può condurre alla passività interclassista.
Affinché si formi nell'individuo (che può essere un proletario ma anche chiunque subisca l'influenza del mondo capitalistico in contraddizione) una coscienza razionale dell'essere sociale, ovviamente non è sufficiente l'apporto dei fatti materiali della vita quotidiana del singolo, ma occorrono fattori materiali storici. Tali fattori possono essere rappresentati da un importante movimento sociale, ma anche da ciò che è stato storicamente registrato nell'esperienza passata della classe, ciò che si può definire la linea di classe rappresentata dal partito.
Se è vero che il partito storico non muore mai, essendo le sue determinazioni legate ad un ben preciso modo di produzione e a ben precisi rapporti di classe, è anche vero che la sua esistenza è garantita dalla fisica trasmissione delle esperienze passate, dei brandelli di conoscenza che rimangono nella memoria sociale. A meno di non ipotizzare una catastrofe che cancelli completamente ogni memoria, ma in questo caso assisteremmo alla riformazione ex novo, a partire dalle contraddizioni del capitalismo, della teoria rivoluzionaria; ipotesi che potrebbe comportare il rinvio anche per lunghi decenni della rivoluzione, ma non la eviterebbe.
Sono esistiti ed esistono in tutto il mondo migliaia di gruppi, partiti, sindacati, istituzioni, bande armate, fondazioni, missioni ecc. dediti allo studio, alla propaganda, alla ricerca e all'azione possibile sulla base di assunti marxisti. Normalmente, secondo un giudizio degli uni sugli altri, nessuno di questi organismi si colloca nella "giusta" linea marxista e ciò è ovvio, altrimenti sarebbero uniti. Chi è all'esterno delle battaglie di classe trova assurdo questo sparpagliamento e invece esso è naturale. Anche le differenze "ideologiche", le sfumature bizantine e i rispettivi campi d'azione possono sembrare assurdamente suddivisi, ma l'incoerenza sia organizzativa che ideologica è frutto della mancata rivoluzione, non ne è certo la causa. Quindi le cose stanno necessariamente così.
Del resto la coerenza e l'incoerenza hanno confini sfumati: abbiamo conosciuto dei cristiani che digerivano con serenità dosi di materialismo storico e dialettico ben più massicce di quanto fa la stragrande maggioranza dei "compagni". Esistono sette mistiche basate su un'assenza di proprietà e su una vita comunitaria pratica che sono più coerenti di tante teorizzazioni delle gemeinwesen comuniste idealizzate e per nulla praticate.
Esiste dunque un bisogno reale di comunismo che non riesce ancora a manifestarsi attraverso una organica e centralizzata attività rivoluzionaria, situazione già conosciuta nel corso della storia. Ogni uomo che si muova in vista di un fine produttivo o sociale (che poi è lo stesso) è costretto a lavorare in modo organizzato, quindi l'organizzazione è una necessità, non un principio mistico; ciò che ad un certo punto diventa una necessità particolare, e quindi può essere assimilato ad un principio irrinunciabile, è il centralismo organico così come si è configurato nell'esperienza del movimento rivoluzionario specialmente dopo la disfatta della Terza Internazionale.
Molti, muovendo da questo necessario presupposto, costituiscono gruppi-partito a partire da un minimo di aggregazione su tesi storiche o su nuove tesi elaborate sulla falsariga di quelle, e adottano modelli organizzativi formali del passato, ai quali, per cause di forza maggiore, non possono essere fedeli. Infatti sono modelli che presupponevano un legame con la classe operaia, una situazione del tutto diversa da quella odierna, ma soprattutto facevano parte di un corso storico irreversibile. Il centralismo democratico, per esempio, non sarà mai più alla base dell'organizzazione rivoluzionaria comunista. D'altra parte vengono anche teorizzate forme di aggregazione antipartito, mentre esperienze passate ne hanno dimostrato non solo l'inefficienza di fondo ma anche la portata disfattista.
Ora, mentre neghiamo che il "confronto" e il "dibattito", le forme di aggregazione tra organizzazioni, il proselitismo indiscriminato teso a "indottrinare" i militanti una volta inquadrati nei ranghi, portino a qualche risultato, affermiamo nello stesso tempo che l'organizzazione rivoluzionaria si formerà e si svilupperà utilizzando materiale esistente e non certo creando in provetta uomini nuovi. Nessuno più di noi fa affidamento sulle nuove generazioni e il nostro ottimismo ci spinge ad essere sicuri che esse contribuiranno a spazzare via gli incanutiti attori della batracomiomachia attuale. Ma anche le nuove leve non si prepareranno esclusivamente in biblioteca: saranno portate a scontrarsi con l'insopportabilità dell'esistenza in un mondo capitalistico sempre più degenere e quindi sarà superata l'attuale estrema debolezza derivante da una situazione oggettiva che alimenta l'incomprensione del movimento reale passato. Questo movimento ha affrontato e risolto teoreticamente battaglie che rimangono come esperienza indelebile e
ciò dà [ad esso] la possibilità, non diremo il diritto, [...] di intendere meglio di ogni altro per quale strada il partito vero, attivo, e quindi formale, possa rimanere in tutta aderenza ai caratteri del partito storico rivoluzionario che in linea potenziale esiste almeno dal 1847, mentre in linea di prassi si è affermato a grandi squarci storici attraverso la serie tragica delle sconfitte della rivoluzione. (87)
La definizione di partito contenuta nelle Tesi della Sinistra e in altri suoi scritti, non è quindi un modello da raggiungere come quelli degli utopisti, ma il risultato di battaglie, di vittorie e di sconfitte. Infatti, se non vogliamo parlare dell'oggi che ci vede direttamente impegnati nell'applicazione di tali tesi, l'esempio si può fare ricorrendo alla storia parallela e per certi aspetti simile della Sinistra "italiana" e del bolscevismo negli anni precedenti la Prima Guerra Mondiale. Anche se in Italia non c'era la situazione dei circoli e in Russia non c'era nulla di simile al vecchio Partito Socialista, anche se qui si lottava contro una degenerazione mentre là si lottava contro un infantilismo da crescita, le forme opportunistiche erano identiche e le soluzioni contro di esse anche. Non per nulla la Sinistra rifiutò di definire il bolscevismo come fenomeno specificamente asiatico (era nato in Europa) e lo chiamò "pianta di ogni clima" per sottolinearne l'internazionalismo valido ovunque. E' ovvio quindi, almeno per noi, che non si può prescindere dai risultati raggiunti dal bolscevismo e dalla Sinistra. Solo che il bolscevismo ha fatto il suo percorso e la corrente cui ci rifacciamo fisicamente non c'è più.
Al di là della retorica banale di chi coglie bandiere cadute nel fango o abbandonate al nemico (Togliatti per quanto riguarda il recente passato, ma ogni raccoglitore di bandiere cadute in ogni epoca), occorre non tanto sapere come si possono riprodurre le condizioni di allora, cosa impossibile, quanto anticipare quali sono le possibili "trasformazioni sotto invarianti" che ci troveremo ad affrontare nell'epoca attuale. Vale a dire quali condizioni devono essere rispettate per essere fedeli alle tesi senza scimmiottare cose irripetibili e anche senza inventare cose fuori dal marxismo.
Mettersi a criticare gli "altri" perché non sono diversi da quel che sono sarebbe puerile, anche se è uno sport piuttosto in voga. Quel che ci interessa è individuare quale strada la rivoluzione prenderà per cambiare la situazione attuale, perché vorremmo essere lì quando succede e non da un'altra parte. Individuata tale strada vorremmo anche possibilmente percorrerla, ma non siamo di quelli che, come dice Bordiga, credono di aver comperato il biglietto del futuro spettacolo e pretendono il diritto di assistervi dal posto prenotato. Dipenderà da noi solo in minimissima parte l'esserci o no.
Il fatto che tendiamo a costituire una rete di collegamenti, a far circolare il risultato del lavoro collettivo, a darci una organizzazione centralizzata, a tener viva una scuola politica in funzione del partito, tutto questo non significa che vogliamo fondare un partito. Alla rivoluzione e al suo partito non servono ideali e nemmeno idee, dato che il programma è già definito, il percorso anche e gli strumenti sono già stati descritti. Alla rivoluzione serve forza ed energia, elementi che possono solo derivare dal movimento di classe. Ogni velleità "costruttiva" deve fare i conti con questa realtà, continuamente ribadita dalla nostra corrente.
Lenin poneva il giornale al centro dei problemi organizzativi del partito e anche come ossatura intorno alla quale il partito si rafforzava. Come abbiamo già detto nella nostra Lettera n. 31 Demoni pericolosi, oggi si può parlare della stessa ossatura anche senza che vi sia un partito neppure lontanamente paragonabile a quello cui poteva far riferimento Lenin. Giustamente ogni gruppo e ogni partito ha un giornale, una rivista o almeno un foglio informativo, specialmente oggi che i problemi di stampa sono infinitamente più semplici di quelli che dovevano risolvere i bolscevichi. La rivoluzione non si può inventare, e forse un giornale rivoluzionario neppure, ma la stampa di un periodico che raccolga il lavoro dei compagni è il minimo che si possa fare per mantenere collegamenti e far circolare il lavoro, "riverberarlo", secondo l'espressione usata nelle Tesi di Napoli, e riceverne di ritorno ulteriori risultati.
Allora oggi un organo di stampa che rispondesse alle caratteristiche descritte da Lenin e dalla Sinistra non potrebbe essere un organo di partito nel senso fortemente attivo di legame tra militanti e "masse", di organizzatore politico, di organo di battaglia. Quando si dice che il partito e il suo giornale sono organi di battaglia è ovvio che si usa oggi un eufemismo lessicale, mutuato dall'abitudine di ripetere cose lette a proposito di periodi rivoluzionari. Oggi non c'è nessuna battaglia in corso, se non quella della salvaguardia di un patrimonio storico, e non esiste la più pallida traccia di possibilità di innesco delle polveri. Perciò l'organo di stampa per ora è costretto ad assolvere il compito per nulla secondario di raccogliere il lavoro e trasformarlo in ulteriore materiale di lavoro sul quale si allarghino numericamente anche i ranghi dei militanti rivoluzionari. Un organo aperto alla massima diffusione e ai contributi, ma chiusissimo di fronte all'impostazione programmatica; i cui lettori e collaboratori assumano il linguaggio unico di tutte le vere scuole politiche, l'atteggiamento unico di fronte ai problemi e al modo di lavorare; il cui ambito di circolazione rappresenti un ambiente ferocemente anticapitalistico in cui si muovano compagni che la piantino di teorizzare ad ogni campanile qualche tipo di specificità.
Agosto 1996
Note
(66) Cfr. Letteratura e rivoluzione
(67) Cfr. F. Engels, Descrizione delle colonie comunistiche sorte negli ultimi tempi e ancora esistenti, Ed. Riuniti, Opere complete vol. IV pag. 531.
(68) Cfr. Lenin, Un passo avanti, due indietro, Opere complete, ed. Riuniti, vol. 7; nello stesso volume anche la replica di Lenin alla Luxemburg citata più avanti. R. Luxemburg, Questioni di organizzazione ecc., pubblicato col titolo Centralismo o democrazia? Ediz. Azione comune, 1962.
(69) Questioni ecc. cit. pag. 38.
(70) Ivi, pag. 28.
(71) Un passo avanti ecc. Replica a R. Luxemburg, cit. pag. 460.
(72) Cfr. La passione e l'algebra, Quad. Int. capitolo Tre formule per l'invarianza.
(73) Fra la Sinistra e Trotzky vi furono divergenze importanti sulla questione del fronte unico e sulle questioni di tattica in generale, proprio le questioni che porteranno alla degenerazione dell'Internazionale e alla eliminazione di tutta la vecchia guardia bolscevica, compreso lo stesso Trotzky. Cfr. l'articolo "La quistione Trotzky", in La Sinistra comunista e il Comitato d'Intesa, ed. Quad. Int.
(74) A. Bordiga, Relatività e determinismo.
(75) A. Bordiga, "Costruzione generale del rude lavoro del nostro movimento", in Il Programma comunista n. 8 del 1960.
(76) K. Marx: A proposito della storia dell'associazione internazionale dei lavoratori scritta da M. Howell, 1878.
(77) Riunione di Roma dell'1 aprile 1951, punto 3. Ora in Per l'organica sistemazione dei principii comunisti ed. Quad. Int.
(78) Cfr. L. Trotzky, Lezioni dell'Ottobre, opuscolo del Pc. Int. (Programma) 1971 e A. Bordiga, "La quistione Trotzky"; in La Sinistra comunista e il Comitato d'Intesa, ed. Quad. Int.
(79) Particolarmente in Considerazioni sull'organica attività del partito quando la situazione generale è storicamente sfavorevole, nel testo In difesa della continuità del programma comunista, disponibile presso Quad. Int.
(80) Gioco di parole creato parafrasando un titolo della riunione di Milano del 7 settembre 1952, Falsa risorsa dell'attivismo, ora in Per l'organica sistemazione dei principii comunisti, ed. Quad. Int.
(81) Ediz. De Donato.
(82) Cfr. Tracciato d'impostazione e I fondamenti del comunismo rivoluzionario, ed. Quad. Int. L'esclamazione citata è in un sottotitolo del secondo testo. Vedere anche Considerazioni sull'organica attività del partito quando la situazione è storicamente sfavorevole al punto 14 e Tesi di Milano al punto 6 nel volume In difesa della continuità del programma comunista, disponibile presso Quad. Int.
(83) A. Bordiga, Chiesa e fede, individuo e ragione, classe e teoria, in Battaglia Comunista n. 17 del 6-20 settembre 1950; ora nel libro dallo stesso titolo ed. Quad. Int.
(84) Tesi di Napoli, punto 11. Ora nel testo In difesa della continuità del programma comunista, Disponibile presso Quad. Int.
(85) Lenin, prefazione a Dodici anni, Editori Riuniti, Opere Complete vol. 13 pag. 84.
(86) Cfr. per esempio Raddrizzare le gambe ai cani, controtesi e tesi "filosofiche", in Per l'organica... cit.
(87) Considerazioni... cit. punto 14.
Fine