35. Il feticcio dei mercati (5)
Ovvero il mercato dei feticci
D'ACCORDO: CERCHIAMO DI ESSERE CONCRETI
LA QUESTIONE COSIDDETTA ECOLOGICA. UNA LETTERA SULLA NECESSITÀ DI ASTRAZIONE PER CAPIRE I PROBLEMI CONCRETI E NON FINIRE NEL CONCRETISMO, NELLA IMPROVVISAZIONE E NEL DILETTANTISMO.
Cari compagni,
sull'onda di una serie di discussioni avvenute fra compagni di lavoro all'interno del Petrolchimico di Porto Marghera sul tema degli "investimenti anti-inquinamento", credo possano essere utili le seguenti considerazioni:
1) La realizzazione di "investimenti anti-inquinamento", all'interno di un modo di produzione e di circolazione interamente dominato dal capitale (non lo si dimentichi nemmeno per un istante), è possibile qualora il capitale complessivo indirizzi una parte di sé stesso D alla produzione di merci M atte alla depurazione o alla prevenzione di fattori inquinanti. Classico processo, dunque, che viene messo in moto alla sola condizione che esso si completi in D' (D+plusvalore). Al capitale non interessa se il plusvalore è ottenuto uccidendo uomini oppure "resuscitando" gli stessi per poi poterli riuccidere. In fondo, i disastri ambientali sono sempre stati una manna per questo modo di produzione, perché, in tal modo, al capitale è concesso di intervenire per riparare gli effetti di tali disastri da esso stesso provocati, riproponendo le condizioni per nuovi disastri futuri, in una serie ciclica dove all'omicidio dei vivi si alterna e si sovrappone costantemente l'omicidio dei morti (67). Se la manutenzione dell'ambiente costa, poniamo, un milione a chilometro quadro e l'intervento ricostruttivo dopo una catastrofe costa, poniamo, un miliardo, è ovvio che al capitale conviene la catastrofe, mica può aspettare a investire un milione per volta in mille anni!
L"'Investimento anti-inquinamento" non ha dunque niente di umano all'interno di questa società.
E qui potremmo collocare la fatidica domanda: siamo dunque indifferenti a respirare, ad es., vapori di CVM (cloruro di vinile monomero)? Oppure, dobbiamo rimanere indifferenti al fatto che le nostre case vengano distrutte in seguito ad un bombardamento aereo in una possibile guerra? È sicuro che, come non vogliamo respirare vapori di CVM, così pretendiamo di avere una casa. Ed il capitale? È chiaro che esso è "generoso", in quanto si colloca al di sopra dell'angusta visione individuale: esso vuole ricostruire le case di tutti (ed ancora di più) senza porsi il problema di "chi pagherà" queste case. Esso pone una sola condizione: che la messa in moto di capitale D produca tante case M e che da questa produzione esca una quantità di plusvalore tale che il ciclo si completi in D - M - D'. Lo stesso discorso vale per il CVM, per un'alluvione del Po, per "salvare Venezia", ecc. ecc..
2) Ho ripiegato su formule astratte, fuggendo la "concretezza" dei problemi reali?
Càpita, il più delle volte, che per affrontare i problemi in modo reale, occorra parlarne in modo astratto, perché non altrimenti definibili.
Se facciamo l'esempio del CV22 del Petrolchimico, osserviamo che ogni operatore conosce bene il processo che dalla distillazione porta il DCE (dicloroetano) al cracking (68) per ottenere CVM (cloruro di vinile monomero); conosce pure bene il simbolo DCE che indica 100% di dicloroetano, come sa benissimo che mai uscirà dalla distillazione DCE al 100%: le analisi di laboratorio parleranno di purezza al 99,65%, 99,38%, 99,72%, ecc., con un continuo movimento ondulatorio causato dalle generali condizioni del processo di distillazione. Ora, se per avviare il cracking il nostro operatore dovesse conoscere concretamente cosa esce in quel preciso momento dall'impianto... il cracking non partirebbe mai. Per avviare fattivamente questa fase del processo, occorre essere concretamente astratti: occorre, cioè, operare un'astrazione eliminando concettualmente il campo delle impurità (0,35%, 0,62%, 0,28%, ecc.), in altre parole occorre impadronirsi di quella compressione linguistica (DCE) che racchiude, nelle sue tre lettere, la breve storia di tutte le sue componenti chimiche, fisiche e umane.
Quando il nostro vecchio operatore ordinerà di inserire quella certa valvola di alimentazione, operazione che negli schemi del processo significa chiedere alla distillazione di produrre DCE "puro", il pivellino potrebbe dirgli saccentemente: "dobbiamo essere concreti: non esiste DCE puro". Il nostro operatore, che conosciamo bene, risponderà deciso: "vai ad inserire quella regolatrice e non rompere i coglioni!".
Per chi ha lavorato per anni alla conduzione di un tale impianto, diventa naturale operare queste necessarie schematizzazioni. Per anni chi ha vissuto nel processo e nelle compressioni linguistiche DCE, CVM ecc. vede immediatamente un insieme di colonne di distillazione, serbatoi, grovigli di tubi, regolatrici, ribollitori, condensatori, pompe, il tutto con le sue "appendici umane" (per il capitale). Egli sa attribuire funzioni e nomi precisi a tutto ciò. Ad esempio, per noi la compressione linguistica OXI-DCE-CVM non è una cosa astratta, ma la rappresentazione precisa di un reale impianto di produzione (identificato con una sigla senza significato per gli altri) che può abbracciare con un solo sguardo, cogliendo, nello stesso tempo, il succedersi del vari momenti della sua vita produttiva insieme con quelli dei proletari che l'hanno servito. E gli viene talmente naturale parlare in modo concretamente astratto di questo impianto che non riflette mai sul come ne parla.
3) Anche la formuletta D - M - D' è un'astrazione necessaria a condensare la vita reale che ci circonda. Però, a differenza dell'impianto di cui parlavo, ci è impossibile abbracciare col nostro quotidiano sguardo l'insieme e la complessità non pura di questa vita reale. Ed allora ci rimangono solo due strade: a) buttare via la nostra formula perché astratta e non corrispondente - con la sua purezza - alla non pura vita reale, insomma: diventare concreti; b) far astrazione dalle impurità, dagli elementi non portanti della vita reale per legare in un insieme dinamico i suoi elementi essenziali, portanti.
Per quanto mi riguarda, non ho dubbi sulla volontà di seguire la seconda strada: inizialmente sedermi sulla Luna e da lì osservare - spazialmente e storicamente - la vita reale che si svolge sulla terra; tracciare uno schema d'insieme (es. D - M - D') all'interno del quale sia possibile collocare correttamente la complessità del fenomeni più o meno locali e temporali: dalla geometria frattale della piuma di un'oca, alla malattia del Papa, dalla Padania di Bossi agli investimenti anti-inquinamento, dalla guerra di tutti contro l'Iraq all'incendio di Los Angeles, ecc. ecc..
4) Sono stato ancora troppo generico, troppo fumoso?
Parliamo allora di come si potrebbe disinquinare "concretamente" questa cloaca che è l'alto-Adriatico (limitarsi a parlare di disinquinamento della laguna di Venezia non è demagogia, ma semplice stupidità), dimenticando per un momento che l'Adriatico è legato al Mediterraneo e avviando un ipotetico piano per l'installazione di enormi depuratori a valle dei principali fattori d'inquinamento sui grandi fiumi: Tagliamento, Piave, Brenta, Adige e Po. Si tratterebbe indubbiamente di un'opera colossale, che richiederebbe il coordinamento di tutto ciò che succede a monte dei depuratori in tutta l'area idrogeologica padana ecc. Vi sarebbero inoltre notevoli ripercussioni sull'attività produttiva in genere, con sviluppo della siderurgia, dei materiali elettrici, della chimica, dei trasporti, ecc. e relativo sviluppo delle emissioni inquinanti specifiche di queste nuove attività, che dovrebbe essere tenuto presente nel progetto di depurazione, il quale dovrebbe contemplare il potenziamento futuro dei depuratori, la rinnovata ripercussione a monte (rinnovato sviluppo industriale, rinnovato sviluppo dell'inquinamento, ecc.)... in un circolo vizioso che porterebbe lo stato M (merci) nella padania allo stato M + 1) con immediata ripercussione sull'equivalente stato dell'Adriatico, anch'esso piroettato a M + 1 (merda + 1) (69).
Sforziamoci di essere ottimisti per un momento e, facendo affidamento sull'unica forza sociale e politica (il proletariato con la sua dittatura) che potrebbe mettere in atto un reale piano di disinquinamento delle acque, della terra e dell'aria, immaginiamo che a quanto detto sopra si aggiunga un vasto programma di costruzione di depuratori per ogni singola fase produttiva. Questo rappresenterebbe comunque un enorme investimento, anche se in questo caso non a base di capitale (non c'è capitale nella dittatura del proletariato) bensì di energia sociale, forza produttiva misurabile quantitativamente in concreto sviluppo ulteriore della siderurgia, dei materiali elettrici, della chimica, dei trasporti, della... mineralizzazione della vita organica. Se si intendesse per dittatura proletaria una cosa del genere, che "ovviamente" non conoscerebbe l'inquinamento finale, non si potrebbe certo parlare di sviluppo del capitale nel senso comune del termine, ma certamente ci troveremmo di fronte a una specie di sviluppo "proletario" della produzione per la produzione.
Evidentemente, c'è qualcosa che non quadra. Poste così le cose, l'intera Pianura Padana diventerebbe un'enorme fabbrica e il complesso padano-adriatico si avvierebbe inevitabilmente dalla situazione M + 1 a quella M + 2 (nelle due accezioni, merce e merda). Meglio lasciar fare al capitale, che con i suoi ciclici salassi (crisi), almeno si limiterebbe a passare da M + 1 a M + 1,5.
5) Si ripropone, a questo punto, l'ingenua (a suo tempo, qualcuno avrebbe scritto: fessa, quando non falsa) domanda: ma allora non proponiamo niente "in concreto"? È sicuro che diamo delle risposte "in concreto". Anzi, ad essere precisi, noi - che siamo della generazione della lana e del bombaso (cotone in fiocchi) e non del Terital - siamo in grado di darle perché le possiamo copiare. Queste risposte sono state già date nei primi anni '50 da quel piccolo movimento che pubblicava Programma Comunista: movimento che, grazie al proprio "schematismo dottrinario" ed "astrattismo" (sempre esplicitamente rivendicati!) rispetto alle particolarità della vita reale, riusciva a condensare in poche ma chiare formulazioni non solo le risposte che di volta in volta abbisognavano, ma anche la chiave di lettura per le domande, senza la quale nessuna risposta sarebbe stata possibile.
In piena coerenza col manifesto di Marx-Engels (la società attuale possiede troppa ricchezza, troppa industria e troppo commercio) viene implicitamente esclusa, per il movimento comunista, ogni possibilità che un qualsiasi piano di "investimenti anti-inquinamento" possa risolvere il problema generale. E questo perché tale problema consiste non nell'investimento, ma nel
"disinvestimento dei capitali, ossia destinazione di una parte assai minore del prodotto a beni strumentali e non di consumo" (70).
Utile per comprendere il carattere di classe dell'investimento di capitale, è il "Filo" Far investire gli ignudi, del 1950 (ora raccolto nel volumetto Imprese economiche di Pantalone).
Sforziamoci - in quanto classe - di entrare nell'ottica che la circolazione dev'essere circolazione di bisogni umani e non di merci e vedremo subito, tanto per fare un esempio, la concreta possibilità di un ridimensionamento (disinvestimento) del "problema" trasporti perché ci sarà chiara l'antitesi fra mezzo di trasporto sociale e mezzo individuale, tra ferrovia e trasporto su gomma, fra terra libera e terra cementarmatificata da una rete stradale assurda. Parlando di bisogni umani vediamo che è possibile ridurre al minimo l'industria cementiera e che lo stesso disinvestimento sia possibile nell'industria delle automobili (comincia, così, a disinquinarsi l'aria delle città, senza bisogno di particolari investimenti). La stessa industria metallurgica comincia a ridimensionarsi: meno vetture individuali significa minor utilizzo di materiali ferrosi e, di pari passo, meno materiali plastici (industria chimica), meno scarichi nelle acque, nella terra e nell'aria. Ci ammaleremmo di meno, con una conseguente drastica riduzione della produzione di medicinali, se non sempre dannosi, spesso assolutamente inutili. Insomma, con un'organizzazione economica e sociale mirante ai reali bisogni umani, lentamente non vi sarebbe più bisogno delle grandi concentrazioni industriali (funzionali al capitale) e, dunque, comincerebbero a ridimensionarsi le grandi concentrazioni urbane (le odierne megalopoli). Ecc., ecc., ecc...
6) Come vedete, non ho mai usato la parola comunismo: ho cercato di affrontare il problema "concreto" nella sua concretezza. Sicuramente ci si potrebbe dilungare e questo permetterebbe esempi migliori, precisazioni ulteriori, sulle quali ora non mi soffermo. La cosa fondamentale da capire, comunque, è che problemi di questo tipo li possiamo affrontare "concretamente" solo se abbiamo la capacità di porli all'interno di uno schema generale, quindi astratto, che riproduce la società non come la vede ognuno di noi, ma in modo che ci sia permessa una sua lettura complessiva, depurata dal "rumore" (disturbo, disordine), come dicono gli informatici; una volta trovato l'ordine con cui analizzare i fenomeni, abbiamo anche la chiave di lettura dello stesso rumore, o particolarità specifica, se si preferisce.
Mai nessun ecologista e nessun immediatista potrà fare in maniera coerente questo tipo di lavoro, perché per farlo bisogna proiettarsi fuori dal tran tran capitalistico, rifiutarne le categorie ideologiche, riconoscere che tutti gli strumenti immediati messi a disposizione da questa società classista, sono utili ad essa e basta. L'ecologia, che per noi sarà terreno fondamentale di ricerca e applicazione di energia sociale, è invece oggi terreno prediletto per la chiacchiera a ruota libera di borghesi teneri e nobili démodés. Essi muovono anche truppe di basso rango, ma solo perché non è possibile compartimentare l'aria e l'acqua e anche loro respirano e bevono schifezze, mentre magari gli vien tolto il paesaggio che si godevano dall'attico.
Siete troppo astratti, ci si dice, siamo concreti, l'ecologia è un problema reale, affrontiamolo anche noi, non come i borghesi ma da rivoluzionari, cioè chiamando con noi alla lotta il proletariato, "sensibilizzando" l'opinione degli operai e via concretando.
Così, senza una visione generale di ciò che significa oggi "ecologia" finiremmo per fare qualcosa di veramente concreto, come guidare squadre di proletari a pulire (gratis) il paesaggio pieno di monnezza che tanto disturba l'occhio estetico del borghese, anzi, del nobile, visto che i massimi patrocinatori dei vari WWF sono i Duchi di Edimburgo, i Bernardi d'Olanda, le donne Giulie Marie Mozzoni Crespi e via dicendo. Senza astrazione si finisce per definire "concreto" solo ciò che serve a tamponare i guai della società borghese. Noi non vogliamo essere i puntellatori del capitalismo, emuli dei VIP cui guardano con languore i D'Alema e i Bertinotti.
La stessa cosa vale per l'operaistica formula "difesa del posto di lavoro". E chi il posto di lavoro non ce l'ha? Dobbiamo chiedere investimenti produttivi di qualche tipo? Posti di lavoro ce ne sono anche troppi, perché sappiamo che, se fosse lasciato libero campo allo sviluppo delle forze produttive, molti posti di lavoro che oggi rappresentano una specie di ammortizzatore sociale sarebbero spazzati via. I posti di lavoro non ci sono perché c'è troppa ricchezza, troppa industria, troppo commercio (Marx!), non possiamo "chiedere" che ce ne sia ancora di più per aumentare i posti di lavoro: è una contraddizione insuperabile. Il posto di lavoro non è solo un'entità spaziale, ma insieme temporale (il posto di lavoro per un tempo di 8 ore). Questa unificazione dello spazio e del tempo in un'unica dimensione spazio-tempo, potrebbe sembrare uno di quei giochini che adopero ogni tanto per affrontare problemi stuzzichevoli, perché penso che invece di angosciarci coi problemi, possiamo anche adoperarli per rilassarci un po'; comunque, se questi giochini non hanno mai la pretesa di avere soluzioni estremamente rigorose, concedetemi almeno l'attenuante che sono meno scemi di quanto possa sembrare a prima vista. Se dunque "difesa del posto di lavoro" = "luogo in cui svolgiamo la nostra attività per un tempo di 8 ore", ne consegue che noi (questo "noi" è puramente esemplificativo) difendiamo non solo il nostro spazio fisico di lavoro, ma anche il nostro tempo di lavoro (8 ore). Fra noi e chi il lavoro non ce l'ha non vi potrà essere unità di intenti e tantomeno di lotta.
Non si tratta dunque di difendere un posto di lavoro condannato per sempre, bensì di rivendicare la possibilità di una vita decente per entrambi, come facevano gli operai analfabeti degli anni '20 (salario garantito in base alle necessità delle diverse famiglie) e come non fanno (non riescono neppure a pensarlo) gli operai acculturati del duemila. Poi bisogna anche rivendicare una drastica riduzione dell'orario di lavoro, per esempio da 8 a 4 ore giornaliere. Se questo potrebbe sembrare una richiesta di "scambio" fra orario e posti di lavoro, il significato diventa inequivocabile una volta che unifichiamo le due richieste, perché ogni rivoluzionario
"difende la situazione futura di un ridotto tempo di lavoro a fini utili alla vita, e lavora in funzione di quel risultato dell'avvenire, facendo leva su tutti gli sviluppi reali. Quella conquista, che sembra miseramente espressa in ore e ridotta a un conteggio materiale, rappresenta una gigantesca vittoria, la massima possibile, rispetto alla necessità che tutti ci schiavizza e trascina" (71).
Scusate la citazione ma era troppo bella per farne a meno: ecco come si pone la nostra "questione sindacale", anche per altri tipi di rivendicazione. Dunque non possiamo chiedere la "difesa del posto di lavoro": non vedevamo l'ora che le macchine potessero prendere il nostro posto e lavorare per noi! Ci sono in giro sindacalisti che preferiscono far scendere i minatori a crepare in miniere improduttive in nome della "difesa del posto di lavoro", piuttosto di chiudere quelle tombe per sempre. I vecchi padri che citavo prima hanno stabilito che questo è omicidio.
Le rivendicazioni che se ne fregano di rientrare nella logica di risolvere i problemi ai capitalisti (e sono le uniche ad essere interessanti per noi) hanno il vantaggio di unificare positivamente occupati e disoccupati, di abituare il proletariato allo scontro con l'avversario, a non cadere nel tranello del solito "siamo tutti sulla stessa barca" ecc.
Tutto ciò è irrealistico, utopistico ed astratto? È vero che non abbiamo la forza, per ora e chissà per quanto tempo, di intraprendere una simile strada, ma non esistono altre strade se non quella di obbedire supinamente agli interessi del Capitale! Una rivendicazione che sia fondata unicamente sugli "investimenti anti-nocività ed anti-inquinamento" perché in quel momento la situazione ti mette fra i piedi quello specifico problema (tralasciando l'altro milione di problemi simili) può essere certamente una strada, una "realistica linea di difesa", come dicono sindacalisti e immediatisti, ma solo per quegli operai che, chiusi nel ghetto della loro fabbrica, dimenticano di far parte di una classe ben definita e di agire in una società che vive esclusivamente sul lavoro salariato. Si trattasse di un tubo che perde gas venefico, il problema sarebbe facile da risolvere, ma qui siamo di fronte al funzionamento di una società intera e a quello bisogna rispondere. In fondo gli operai che si occupano soltanto del loro orticello fanno come quei macchinisti che, volendo salvare i motori e il loro posto di lavoro, si chiudono nella sala macchine della nave che sta per essere affondata dalla tempesta e spalmano di grasso i boccaporti perché nulla penetri.
7) Eccoci arrivati all'ultimo punto, a quello che all'inizio ho chiamato il nocciolo del problema. Nel tentare di porre domande a noi stessi e di trovare le risposte, abbiamo spesso sentito l'invito a studiare Marx. Le sue opere emanano una specie di luminosità diafana che ormai ci arriva da uno spazio lontano circa 150 anni luce. Ma nel suo percorso storico, questa luce incontra quei campi gravitazionali che sono le rivoluzioni e soprattutto le controrivoluzioni e che ne deviano il percorso in direzioni determinate, al punto che noi oggi, 1996, rischiamo di non saper collocare esattamente la sua fonte. Come una stella nel cielo: mai si trova dove la vediamo.
In natura non esiste il vuoto, e così esso non esiste nella lotta sociale e politica, che, fino a prova contraria, fa parte della natura. Noi possiamo comprendere il valore delle opere di Marx e di Engels non tanto perché qualche editore periodicamente le pubblica, quanto perché dei militanti comunisti (pochi o tanti non importa), passati attraverso le esperienze storiche della lotta di classe, hanno potuto riempire questo vuoto di 150 anni, mostrandoci il punto esatto in cui le opere di Marx ed Engels vanno collocate: insegnandoci, cioè, a capire il grado di deviazione della luce causata dai sopraddetti campi gravitazionali.
La metto sull'esotico-avventuroso citando un proverbio dei Tuareg. Dice il vecchio: quando ti sembra di non farcela ad uscire dal deserto, mira la stella del Nord: non è sicuro che tu ti possa salvare, ma forse ti salverai. Se invece non miri alla stella, girerai solo in tondo e non ti rimarrà che morire.
Per quanto mi riguarda punto sulla "stella" (o lente, o filtro, o sonda) di nome Amadeo Bordiga. Non ne faccio un culto grande-uomista, prendo questo nome come una compressione linguistica o, se preferite, un algoritmo che sintetizza una storia di sessant'anni. Con questa lente, o filtro, o sonda, sono convinto di avere la possibilità di eliminare tutto il rumore dal segnale genuino (chiamiamolo filo rosso) e seguire il percorso formale lungo la continuità degli invarianti che unisce l'oggi al Manifesto del 1848, passando per l'Ottobre 1917. E viceversa. Mi riuscirà o meno a certe condizioni: che io sia veramente convinto di quel che dico, che io sappia dove voglio arrivare, che io faccia per lo meno lo sforzo di leggere i testi significativi tra quanto è stato pubblicato e, soprattutto, che io sia già stato portato a tutto ciò da spinte materiali, senza le quali andrei a "spendere", come giustamente si dice, il mio cosiddetto tempo libero altrove.
Nell'odierna mercificazione imperante, potrei "puntare" su una stella qualsiasi senza ricavarne particolari rimproveri, né particolari elogi. Per lo stesso motivo, potrei prendere qualsiasi posizione su qualsiasi argomento, sarei un'opinione fra le tante, vittima beata dell'imbonimento generale. Ma, se invece di riferirmi ad un generico movimento della classe operaia, faccio lo sforzo di collocarmi sul cammino della rivoluzione comunista, sarà importante non quale specifico giudizio io possa dare su questa o quella specifica situazione, bensì la possibilità e la volontà (per quanto non da me determinata) di collocare il mio percorso e la mia azione lungo questa o quella esperienza storica.
Per chiudere, in breve: in questo fine millennio, sempre più impregnato di fascismo in veste democratica, per un "autentico" rivoluzionario non è discriminante il giudizio che egli potrebbe fornire sugli "investimenti" disinquinanti o meno in una specifica industria. In questa situazione per lui è fondamentale chiedersi: mi schiero totalmente con la Sinistra Comunista che è giunta a continuare il lavoro di Marx, di Engels e di Lenin fino al supermaturo capitalismo degli anni '60 oppure mi schiero con generici "marxismi" che, al massimo arrivano ad assimilare i problemi più arretrati posti dalla rivoluzione russa (quelli legati, per intenderci, alla rivoluzione borghese democratica, disintegrati da Lenin e adottati da Stalin e Mao)?
La risposta a questa domanda risolve immediatamente il "problema" sugli "Investimenti antinquinamento", come ogni intervento di tipo sindacale o politico. Sperando di non essere stato troppo prolisso, troppo brusco e troppo poco chiaro, vi saluto augurandomi un'ulteriore, non troppo lontana, conversazione.
Febbraio 1997
Note
(67) È anche il titolo di un articolo contenuto nel libro Drammi gialli e sinistri della moderna decadenza sociale edito dai Quad. Int.
(68) Processo di separazione ad alta temperatura delle molecole degli idrocarburi per ottenerne derivati.
(69) Circoli viziosi di questo genere sono presi in considerazione nell'ormai storico rapporto Meadows sui Limiti dello sviluppo (ed. EST Mondadori), ma già Marx ne individuò un esempio nel sistema di macchine a vapore che inquinava l'acqua nello stesso momento in cui questa gli serviva pura.
(70) Da Il programma rivoluzionario immediato, Riunione di Forlì, del 28 dicembre 1952. Ora in Per l'organica sistemazione dei principii comunisti, Ed. Quad. Int.
(71) Per l'organica... cit. Riunione di Genova, aprile 1953.
Fine