37. Utopia, scienza, azione (1)
Rapporti all'incontro tra compagni e lettori. Roma, 25-27 aprile 1997
Dal 25 al 27 aprile, come annunciato sulla Lettera ai compagni n. 35, si è tenuta a Roma una riunione di lavoro con una giornata dedicata all'incontro con i nostri lettori.
Una presentazione generale sulla natura della nostra attività precedeva altre relazioni concatenate sull'impossibilità di scindere teoria e pratica rivoluzionaria. Incentrata sul passo iniziale del capitolo Proletari e comunisti del Manifesto di Marx, la presentazione voleva dimostrare come occorra evitare la prassi nefasta e purtroppo generalizzata che si basa sempre sul tentativo di invertire con la propria volontà le determinazioni che sono causa della situazione presente.
Una seconda relazione, che partiva dalla dimostrazione di come neanche le utopie classiche potevano sfuggire alle determinazioni materiali dovute all'epoca in cui furono prodotte, svolgeva, intorno a due sole importanti citazioni da Marx, la tesi antivelleitaria e materialista che il militante della rivoluzione comunista non suscita ma fa parte del movimento reale del comunismo. Di qui la conseguente azione in armonia con il partito storico e con l'immenso patrimonio di esperienza accumulato nello scontro storico fra le classi. Sempre con l'intento di dimostrare che l'aderenza al programma comunista è lavoro pratico, l'unico che può definirsi in sintonia con la corretta prassi marxista, si proseguiva poi nel pomeriggio con due esempi sulla cosiddetta analisi delle situazioni.
Con il primo, che possiamo considerare come contributo alle classiche riunioni della Sinistra sul corso del capitalismo, si tracciava la dinamica delle aree geostoriche attorno cui si polarizza l'attività del capitale mondiale. Tale studio costituisce un primo inquadramento di un più vasto lavoro destinato a definire lo "stato di salute" e le linee di sviluppo delle contraddizioni economiche, sociali e militari dell'imperialismo mondiale.
Con l'altro si affrontava invece un problema che sta assillando la borghesia e che viene comunemente richiamato con la frase "fine del lavoro". Trattandosi della sintesi di alcune riunioni tenute all'inizio di quest'anno, sono state riassunte alcune parti, mentre rinviamo ad un lavoro successivo l'utilizzo più esteso degli esempi numerici e della documentazione. Il rapporto partiva da un'indagine intorno alle categorie marxiste legate all'aumento della produttività (che è sinonimo di aumento della forza produttiva sociale del lavoro) per giungere all'evidenza della maturità-necessità del comunismo.
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LAVORO PRATICO
Questa riunione è stata indetta per i lettori che seguono il lavoro dei Quaderni Internazionalisti. Riteniamo quindi più utile fare una panoramica generale sulle caratteristiche del nostro lavoro, che non elencare quello che è stato fatto nel corso di questi anni.
La prima cosa da sottolineare in questo senso è che i Quaderni Internazionalisti rifiutano la prassi che caratterizza la maggior parte dei gruppi politici. Qual è la prassi cui ci riferiamo? La prassi secondo la quale la volontà si sostituisce a quelle che sono le condizioni che mancano. Facciamo degli esempi: il partito si disintegra? E allora si teorizza immediatamente che si deve creare un partito nuovo. Manca l'omogeneità tra compagni? E allora i compagni decidono a tavolino che bisogna creare questa omogeneità. Questo è esattamente l'inverso di come dovrebbero essere affrontate le cose da un punto di vista deterministico. Legati a questo problema, ci sono vari fattori. Il primo è che cosa vuol dire fondare un partito, essere un partito, oppure che cosa vuol dire lavorare con metodo di partito quando il partito stesso non c'è. Inoltre, il rapporto tra ripetizione ed elaborazione; questo è uno dei temi centrali della Sinistra Comunista. Quando si parla di continuità, si parla anche, indissolubilmente, di continuazione. La ripetizione, in sé, la fanno anche i pappagalli; non è qualcosa che contraddistingue il lavoro di un organo politico; l'elaborazione ex novo è un tratto corrente di tutti gli opportunisti, di quelli che un giorno si svegliano e decidono che hanno fatto qualche pensata geniale rispetto alla rivoluzione e al suo percorso. Entrambi, evidentemente, non sono idonei, non sono adeguati a quelli che sono i compiti che la rivoluzione pone. Affrontando questo discorso, andiamo direttamente alle Tesi di Napoli. In queste Tesi si afferma in modo preciso, inequivocabile che se nel mondo fisico non c'è niente di fermo, di immutabile, figuriamoci nel campo sociale, nel campo della rivoluzione. In sintonia con quanto affermato nelle Tesi di Napoli, Bordiga coglie, nella serie di 136 articoli chiamata "Sul Filo del Tempo" la dinamica storica che lega tutti gli accadimenti; spiegare il presente attraverso il passato e il futuro. Su questo concetto di dinamica storica torneremo più volte perché è l'unica maniera corretta di affrontare la analisi del capitalismo e di tutti i procedimenti scientifici in genere.
La Sinistra Comunista è stata, senza ombra di dubbio, quella che ha sistematizzato il percorso che ha portato alla degenerazione della III Internazionale, che ha fornito un apparato teorico gigantesco per spiegare quanto è avvenuto. In questo senso, si può affermare che la Sinistra Comunista è andata ben oltre i risultati raggiunti dal secondo congresso che, comunque, secondo noi, rimane il punto più alto fino ad ora espresso nel corso del movimento comunista. Perché la Sinistra italiana e non quella tedesca o, più in generale, il "fronte" che si oppose al processo degenerativo? Dobbiamo, innanzi tutto, esaminare che tipo di caratteristiche ha l'Italia. È il più antico paese capitalistico, laboratorio di esperimenti che hanno avuto qui terreno fertile per andare, poi, ad impiantarsi definitivamente là dove la situazione lo permetteva. Non è un caso che in Italia si è affermato, per la prima volta, il fascismo e dove è nata la Sinistra Comunista; il fascismo da parte borghese, la Sinistra Comunista da parte proletaria.
Dicevamo: perché la Sinistra italiana e non altre? La rivoluzione russa aveva un carattere doppio e quindi facilmente mistificabile. Era una rivoluzione democratica e nello stesso tempo proletaria, si poteva far confusione di linguaggio, di tattica, ecc.. La rivoluzione tedesca aveva già in sé i germi della propria negazione. Parlava di realizzazione della democrazia al posto del superamento di questa; parlava di spontaneità delle masse al posto del partito centralizzato come organo della rivoluzione; affermava i consigli decentrati al posto di sostenere con vigore lo stato proletario. In questo panorama, la Sinistra Comunista è quella che, invece, nasce in perfetta continuità con l'esperienza storica che, a partire dalla Comune di Parigi, si afferma non solo come esperienza di una rivoluzione che sta maturando in Europa ma come sintesi teorica e politica degli errori che porteranno alla degenerazione della III Internazionale.
Questa degenerazione è nello stesso tempo controrivoluzione, ma quest'ultima è, dialetticamente, l'altra faccia della rivoluzione. La controrivoluzione esiste contro qualcosa che ugualmente esiste. Il concetto di partito storico è questo: la rivoluzione esiste sempre e comunque, proprio perché c'è il movimento reale che va progressivamente, seppur non linearmente ma con salti, verso forme superiori. Il partito storico, nel senso usato da Marx, esiste sempre nella misura in cui esiste questo movimento reale, ma sicuramente i militanti sono gli strumenti fisici della rivoluzione. Marx diceva che in certe situazioni il partito storico può trovarsi solo in una biblioteca ma sono gli uomini che tolgono dalla biblioteca questi libri e li usano, sono gli uomini che si fanno strumenti fisici della rivoluzione. E su questo, anzi, anche su questo, Bordiga ha dato delle risposte precise. Nel 1950 risponde alla lettera di un compagno spiegandogli come intendesse "militare". Gli dice che il suo problema non è tanto quello di militare, cosa che fa da sempre, ma è quello di non "generalare" su di una truppa che non ha neanche il senso della gavetta e che la rivoluzione verrà - egli continua - quando ai militanti passerà la mania dei padreterni, quando smetteranno di pensare che hanno comprato il biglietto per la rivoluzione. Il vero militante è colui che si fa usare dalla rivoluzione, che cioè ne diventa uno strumento. È colui che ne capisce il meccanismo per cui non pensa di far parte di un raggruppamento di persone capace di far avanzare le cose con l'azione, ma capisce che sarà idoneo alle esigenze imposte dalla rivoluzione immergendosi in essa e assecondandone le esigenze. Almeno fino a che non vi sia una forza politica centralizzata e carica dell'autorità fornita da fatti materiali in grado di far valere la volontà politica del proletariato come classe. Questo concetto, estremamente importante, non solo non è capito da molti ma abbiamo visto che una prassi esattamente contraria a ciò che stiamo dicendo è la norma.
Bisogna avere il senso della misura, e rendersi conto di cosa siamo in questo momento e quindi non aver paura di dire che noi (il movimento comunista nella sua generalità) esprimiamo quasi lo zero assoluto di fronte ai compiti che la situazione richiederebbe. Quello che diciamo non significa abbandono alla rassegnazione o all'attesa; vuol dire, lo ribadiamo ancora una volta, tentare di essere il più adeguati possibile.
Abbiamo più volte criticato la concezione di partito secondo la quale, partendo da un embrione organizzato, si sviluppa l'organizzazione formale fino a diventare un corpo adulto. Quanto detto ricalca la concezione biologica dell'essere vivente che nasce e si sviluppa secondo un codice che è impresso nella sua natura genetica. La nostra concezione del partito è diversa. Innanzi tutto, la formazione e lo sviluppo di un organismo sociale sono molto più complessi: essi risultano da un'interazione costante che questo organismo ha con l'ambiente che lo circonda. Nell'articolo Attivismo Bordiga sottolinea che il partito e la rivoluzione, concettualmente intesi, non possono mai essere separati. Perché? Si dice chiaramente: non c'è situazione rivoluzionaria se non c'è partito rivoluzionario, non si può definire rivoluzionaria una situazione se manca il partito. Ci sono "teorie" che sentiamo riecheggiare ogni giorno, che sostengono: le condizioni oggettive sono mature, manca, invece, il partito, c'è un ritardo nella lotta di classe. Evidentemente, queste "teorie" non seguono la dialettica ma l'applicazione di una logica pedestre. Questa è una concezione gradualista e meccanicista che non si accorda con una visione globale del divenire storico. Noi riteniamo (e sia detto ancora una volta: non c'è niente di originale in quanto affermiamo, leggiamo la realtà secondo la teoria scientifica che ci guida, il marxismo) che la storia si svolga diversamente, e i rapporti sociali sono difficilmente inquadrabile in uno schema dato. Secondo uno schema generale, sappiamo che c'è un accumulo di contraddizioni continue che si esprimono in una soluzione discontinua, quindi in contrasti sociali improvvisi e, al limite, secondo l'alternativa classica: o rivoluzione o guerra.
Abbiamo detto all'inizio: noi lavoriamo con metodo di partito senza essere un partito. Sembra una formula un po' astrusa, in realtà è sostanzialmente semplice comprendere che cosa cerca di sintetizzare. Vuol dire che noi facciamo il nostro lavoro senza montarci la testa. O almeno tentiamo. Il rischio di cadere nel personalismo individuale o di gruppo, è un pericolo sempre in agguato, fenomeno generalizzato in epoca di capitalismo putrescente. Contro di esso, oltre alla dottrina che ha sempre contemplato, da Marx in poi, una dura lotta contro i "battilocchi", serve una buona dose di buon senso collettivo. Cerchiamo di fare il nostro lavoro al meglio e possiamo sapere se e quanto ci riusciamo, insomma ad avere il polso della situazione, quanto più i nostri lettori, tutti i compagni, ci seguono con i loro stimoli e le loro critiche. Cerchiamo di fare il nostro lavoro consci dei limiti sia nostri che imposti dalla situazione, nella convinzione di tutto quello che abbiamo detto in precedenza.
Sicuramente, non facciamo come fanno altri, che pensano e si comportano "come se". Come se fossero un partito vero, come se avessero legami con le masse, ecc.. Questo tipo di atteggiamento danneggia non solo chi lo assume nell'immediato ma - ed è quello che ci sta più a cuore - le possibilità di espressione futura del movimento comunista.
La propaganda, il proselitismo, non sono attività missionarie e il nostro verbo non è una religione per iniziati. Il marxismo è una teoria scientifica dei processi storici, non ammette che ci si confronti a esso con particolari "posizioni" che poi sono sempre opinioni. Il nostro lavoro non è un lavoro per una "causa". Non pensiamo al comunismo come a un traguardo ideale da raggiungere. L'ideale lo lasciamo agli anarchici e agli utopisti. Il comunismo non è un obiettivo che deve essere raggiunto, è un movimento reale che porta al superamento dello stato di cose presente. A proposito di questa frase che viene spesso usata come uno slogan pubblicitario nell'orgia di banalizzazioni a proposito del comunismo, vogliamo leggere poche frasi del paragrafo "Proletari e comunisti" del Manifesto del 1848.
"Che relazione passa tra i comunisti e i proletari in generale? I comunisti non costituiscono un partito particolare di fronte agli altri partiti operai. Essi non hanno interessi distinti dagli interessi del proletariato nel suo insieme. Non erigono princìpi particolari, sui quali vogliono modellare il movimento proletario. I comunisti si distinguono dagli altri partiti proletari solamente per il fatto che da un lato, nelle varie lotte nazionali dei proletari, essi mettono in rilievo e fanno valere quegli interessi comuni dell'intiero proletariato che sono indipendenti dalla nazionalità; d'altro lato per il fatto che, nei vari stadi di sviluppo che la lotta tra proletariato e borghesia va attraversando, rappresentano sempre l'interesse del movimento complessivo [...] Le posizioni teoriche dei comunisti non poggiano affatto sopra idee, sopra princìpi che siano stati inventati o scoperti da questo o quel rinnovatore del mondo. Esse sono soltanto espressioni generali dei rapporti effettivi di una lotta di classe che già esiste, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi".
I comunisti si inseriscono in un movimento che già esiste, che è indipendente dalla nostra volontà, che ha un divenire storico che noi possiamo comprendere fino in fondo se, appunto, vediamo tutta la serie di fatti che vanno dal passato al futuro. Facciamo un esempio: nel 1985, venne pubblicato il nostro primo Quaderno intitolato La crisi storica del capitalismo senile. Nella prefazione si voleva essenzialmente affrontare una questione di metodo. La questione del partito non veniva enunciata come una riaffermazione dell'esigenza dell'organizzazione (esigenza che tutti hanno, ci mancherebbe che così non fosse!) ma veniva affrontato dal punto di vista della dinamica storica. Questa dinamica vede progressivamente (termine da intendere non come gradualismo bensì come una serie di soluzioni discontinue che procedono per salti) le prime associazioni operaie, la Lega dei comunisti, il concetto di partito storico nell'accezione e nella sintesi che ne dà Marx, la Prima, la Seconda, la Terza Internazionale, fino ad arrivare al partito unico mondiale e al centralismo organico propugnato dalla Sinistra Comunista. Ma, attenzione, il centralismo organico non è il nuovo idolo organizzativo, non è una ricetta, qualcosa che abbiamo nel libro di cucina per cui dobbiamo solo pesare la quantità necessaria di ingredienti per avere un gustoso piatto. Il centralismo organico va inteso come un risultato di un processo materiale che fa cambiare le forme verso esigenze organizzative superiori. Ritorna, lo vediamo, il concetto di adeguatezza, di idoneità degli strumenti per le necessità della rivoluzione. Questa visione del centralismo organico è stabilita con esattezza sia in Partito e classe del 1921 sia in Tracciato di impostazione.
Nell'introduzione del Quaderno citato, sempre a proposito di affrontare le questioni situandole in una dinamica storica, c'è il famoso esempio, che molti di noi già conosceranno, della fotografia e della cinematografia, che Bordiga usa in Proprietà e capitale. La fotografia coglie un aspetto in un dato momento ma non può, ovviamente, cogliere la sequenza dell'avvenimento; la cinematografia raccoglie progressivamente le immagini nell'interazione reciproca. La dinamica del capitalismo inteso come modo di produzione che ha una freccia nel tempo, un suo nascere, un suo sviluppo, una sua crisi di sopravvivenza, esprime la sua transitorietà, ecc., implica che si studi non solo il meccanismo di accumulazione e i guai che esso provoca, ma anche il tentativo della classe borghese di far fronte a questo tipo di guai. Strettamente legato a questo tentativo, va analizzato il ruolo dell'opportunismo, soprattutto in Occidente, la difficoltà per il proletariato di scrollarsi di dosso questa tutela, il fenomeno dell'aristocrazia operaia, affrontato da Lenin ne L'Imperialismo, che ha radici profonde. Non si può capire la società moderna se non si indaga sulla natura di queste radici.
Non è una questione puramente epistemologica. La conoscenza dei fenomeni implica che il soggetto conoscente astragga dalle troppe complicazioni che una società molto complessa gli getta tra i piedi. La scienza marxista è onnicomprensiva ma sa discernere tra gli "invarianti" fondamentali e il "rumore bianco", cioè l'accavallarsi caotico dei sottoprodotti dell'accumulazione.
Ogni studio sul corso del capitalismo mondiale non deve quindi partire da una visione statica degli avvenimenti, lo abbiamo già detto, ma da una visione globale che implica anche il maturare dei rapporti di classe. Evidentemente, in questo percorso c'è il rischio di mettere troppa carne al fuoco e quindi di fare confusione. Il modo per tentare di evitare ciò è quello di partire dalla base del nostro sistema di riferimento, la legge del valore, e di lì, per approssimazioni successive (a un livello sempre più basso di astrazione) giungere a quella che si chiama cronaca minuta ma che in effetti è lo specchio di profonde contraddizioni.
Nella Lettera ai compagni intitolata Il 18 brumaio del partito che non c'è, si affronta la politica italiana nel quadro della crisi capitalistica e dei provvedimenti che la borghesia è costretta a prendere. Non esiste possibilità di scelta, c'è un percorso che è già tracciato: la prima guerra mondiale ha prodotto il keynesismo, il 1929 l'ha fatto applicare, la seconda guerra mondiale ha eliminato gli aspetti poco estetici del fascismo, il dopoguerra l'ha sancito in un nuovo fascismo più o meno democratico.
C'è, dunque, il bisogno della borghesia di svincolare l'esecutivo da tutti i dettami e i codicilli parlamentari. Tra l'altro, l'esigenza non è nuova. È dal secolo scorso che la borghesia tenta di sganciare l'esecutivo dal "chiacchiericcio" parlamentare e Marx non solo non si indignò o fece piagnucolii sulla democrazia minacciata (che oggi vanno di gran moda, soprattutto a sinistra) ma lo accolse con il famoso grido: ben scavato vecchia talpa!
Non esiste curva discendente del capitalismo. La sua dinamica è in continua ascesa ed è proprio questa la sua contraddizione mortale. Non c'è nessuna possibilità di frenare lo sviluppo delle forze produttive perché ogni capitalista se ne frega se ammodernando la fabbrica si abbassa il saggio di profitto generale: lui ha il problema di guadagnare e quindi aumentare la scala della sua produzione.
L'ascesa delle forze produttive ha un immediato riflesso sui rapporti di classe. L'apparato liberal-democratico deve lasciare il posto alle più moderne forme di fascismo proprio perché al di sopra dei capitalisti singoli il sistema nel suo insieme non tollera più l'iniziativa individuale generalizzata. La forza lavoro deve essere disciplinata in questo quadro e i sindacati devono essere il tramite del consenso sociale e della regolamentazione della compravendita di questa forza lavoro. Questa è l'esigenza della borghesia da più di un secolo e Marx affronta lo stesso problema nel suo 18 brumaio di Luigi Bonaparte.
La maturazione del capitalismo non conosce soste, i rapporti di classe, invece, in un certo senso, devono maturare. Si parla spesso dell'apatia delle masse. Questa è senz'altro il frutto della passività cui sono state abituate per decenni, ma probabilmente esprime anche il rifiuto della pratica parlamentare.
Bisogna capire che effetto ha sulle cose di oggi il movimento in corso che porterà alla scomparsa del capitalismo. La rivoluzione non avrà compiti "costruttivi" ma "distruttivi". Non si tratta di inventare, costruire una società nuova, si tratta di liberare le forze produttive dalle catene in cui sono imbrigliate. Le basi, gli elementi su cui il nuovo modo di produzione, la nuova organizzazione sociale si fonda, sono già presenti in quella presente. Ed è su queste basi che si fonda la nostra prassi in quanto comunisti: dimenticandole non c'è fondamento scientifico del lavoro, non c'è materiale per il programma comunista che, se andiamo a ben vedere, è sinonimo di progetto.
La rivoluzione, quindi, deve eliminare tutti gli ostacoli che si frappongono al dispiegamento delle forze oggi schiacciate dalla società borghese. La rivoluzione come fatto politico non inventa niente, libera dalle catene, come dice Marx, le forze responsabili del salto qualitativo che, ripetiamo, sono già presenti. Questo è l'argomento principe della Sinistra, che si ritrova in praticamente tutti i testi. Questo fondamentale argomento non poteva ancora essere fatto proprio né dai russi in quanto ancora non erano giunti a un capitalismo dispiegato, né dai tedeschi che erano immersi in un capitalismo giovane in cui si scontravano classi ancora nel vigore della loro crescita.
Abbiamo fatto, prima, riferimento a quelle concezioni moraleggianti, rivendicheggianti del comunismo. Quali sono? Quelle teorizzazioni che parlano del "frutto indiminuito del lavoro", che gridano allo scandalo perché non c'è giustizia sociale, perché c'è lo sfruttamento, e via dicendo. A nostro avviso, queste concezioni ammazzano il marxismo come e forse peggio di quanto ha fatto lo stalinismo, paralizzano il marxismo e lo riducono a un movimento rivendicativo, sindacalisteggiante, moralistico. Il partito diventa un ammennicolo della difesa di qualcosa che avrebbe dovuto spettare per diritto. Marx, già nei Manoscritti, faceva a pezzi questa concezione giuridica della lotta di classe.
Poniamo la questione del lavoro militante, dell'organizzazione alla luce di quanto è stato appena affermato. La propaganda contro i ricchi, la rivoluzione che diventa una sorta di colpo di stato proletario, il comunismo inteso, a seconda dei momenti, come il paradiso proletario o come la nemesi del proletariato vittorioso, argomenti che, seppur usati nella propaganda del socialismo primitivo, non sono scientificamente accettabili e devono essere banditi.
Un'altra formula della Sinistra è: non si fanno i partiti e le rivoluzioni ma si dirigono i partiti e le rivoluzioni. Si agisce, cioè, su dei fenomeni che sono posti all'ordine del giorno dai fatti materiali. In questo senso, non si prepara la rivoluzione (ridotta alla stregua di un meeting) ma si orientano e si dirigono le forze in grado di abbattere il capitalismo. La rivoluzione e l'organizzazione sono risultati dell'azione di tutte le classi. I confini anagrafici tra le classi sono indefiniti e solo in alcuni momenti (la soluzione discontinua di cui parlavamo prima) si polarizzano in due blocchi con interessi assolutamente contrapposti da difendere, rendendo inevitabile lo scontro sociale. In questa situazione, una classe cerca di difendere l'ordine esistente, l'altra cerca di sovvertirlo. In questo modo, il proletariato non agisce più in difesa di un interesse particolare ma generale. La borghesia, attuando la sua rivoluzione, agì in nome di tutte le classi; il proletariato sarà l'ultima classe della storia e agirà in nome di tutta l'umanità.
Un ultimo punto prima di chiudere. Abbiamo accennato più volte all'invarianza. Dal punto di vista politico (tralasciamo in questa sede le altre proprietà scientifiche del termine), l'invarianza ci inchioda alle leggi scoperte da Marx sul funzionamento del modo di produzione capitalistico e alla loro validità fin tanto che il capitalismo esisterà. Immediatamente in conseguenza di ciò, l'invarianza è uno strumento di lotta politica contro gli aggiornatori, i negatori, i revisori. Un altro aspetto dell'invarianza è il legame che impedisce di separare la ripetizione dei concetti marxisti dalla elaborazione sugli stessi. Se si vuole fare un buon uso del materialismo, occorre saper maneggiare la stessa formula che si ripete nel calcolo - poniamo - del volume di un cubo che, pur cambiando dimensione sotto l'effetto di forze nel tempo, rimane sempre sé stesso. Ci siamo soffermati all'inizio di questo intervento sul rapporto che lega indissolubilmente, per la Sinistra, questi due elementi della prassi comunista e con questo lo chiudiamo. Si chiude metaforicamente il cerchio, dove ogni parte è indissolubilmente legata al tutto e non si può analizzare nella sua essenza se non in rapporto agli altri elementi che compongono questo tutto. L'organicità è la chiave di lettura di tutta la teoria marxista e la Sinistra ha dimostrato, nel corso della sua storia, di averla esattamente capita e applicata.