37. Utopia, scienza, azione (2)
Rapporti all'incontro tra compagni e lettori. Roma, 25-27 aprile 1997
Utopia, scienza e azione
Divideremo questa relazione (1) in due parti, ognuna basata su di una citazione da Marx. Si tratta di due soli riferimenti che però riteniamo importanti per spiegare da un punto di vista molto "pratico" che cosa succede in un processo rivoluzionario. Quindi il vero tema sarà la prassi dei rivoluzionari nel processo reale della rivoluzione così come lo descrive Marx. Con ciò ovviamente ci schieriamo contro le troppe interpretazioni libere venute dopo di lui.
Siccome la rivoluzione comunista non è l'unica della storia dell'umanità, tratteremo dell'invarianza tra le rivoluzioni e nelle rivoluzioni, quest'ultima detta a volte tradizione rivoluzionaria. Parleremo perciò di tradizione, che è conservazione, nello stesso tempo in cui parleremo di rottura, che è rivoluzione.
Parte prima: dall'utopia alla scienza
Conservazione e distruzione
Tutti sanno che la Sinistra è stata accusata di fare della grande teoria ma di non aver saputo collegare questa teoria alla pratica. Di essere attendista, insomma. E siccome noi prendiamo pari pari il patrimonio della Sinistra per farlo nostro, ereditiamo del tutto naturalmente anche l'accusa senza scomporci troppo di fronte a questa stupidaggine gigante. Noi, nell'invarianza del marxismo e delle critiche ad esso ci siamo immersi consapevolmente; ed è perciò che ne trattiamo volentieri. Alcuni atteggiamenti che l'umanità assume di fronte ai suoi problemi sono costanti nella storia. Sono certo trasformati dal passare del tempo, ma sempre perfettamente riconoscibili attraverso un'osservazione materialista. Ciò perché il materialismo permette di vedere dietro agli atteggiamenti degli uomini le spinte fisiche, la struttura del comportamento. E ogni spinta fisica deriva dallo sviluppo reale della società, dallo sviluppo delle forze produttive. In questo sviluppo si trovano gli aspetti che ci interessano, quelli che tendono a rompere le vecchie forme quando esse diventano un freno intollerabile.
Prima la compagna ha citato il passo probabilmente più importante del Manifesto di Marx, là dove egli dice che i comunisti rappresentano il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Non "probabilmente", ma senza ombra di dubbio, questo passo non è stato capito dal movimento comunista in generale. Parafrasando una celebre frase, possiamo dire che alla metà dell'Ottocento Marx ha gridato così forte che tutti i suoi seguaci sono diventati sordi. Così Marx è diventato un'icona da adorare senza che, morti Engels e Lenin, nessuno sapesse più che cosa esattamente egli avesse detto. Il lavoro pratico della Sinistra è consistito nell'immane sforzo di rimettere in piedi ciò che l'opportunismo aveva distrutto. Se qualcuno pensa che ciò abbia significato una specie di abdicazione rispetto a compiti concreti, dovrebbe prima di tutto guardare alla battaglia politica combattuta dalla Sinistra in sessant'anni e poi confrontarla con ciò che hanno fatto in tutta la loro vita sia Marx che Engels che Lenin.
Se facciamo attenzione, il passo già letto di Marx non fornisce ricette particolari da applicare. Parla invece di una dinamica di cambiamento materiale sulla quale i comunisti si sintonizzano. Essi quindi non combattono una battaglia di idee, ma una battaglia reale. Studiando la questione, la Sinistra ha prodotto un testo, tra tutti gli altri, che reinquadra la questione proprio da un punto di vista dinamico, ed è il testo Proprietà e Capitale. Esso tratta della maturità delle forme capitalistiche e con ciò affronta la questione del passaggio da una vecchia forma a una nuova forma. Gli atteggiamenti che gli uomini tengono in questo passaggio sono conseguenti.
L'umanità non è rivoluzionaria perché ad un certo punto assume idee rivoluzionarie. L'umanità da un punto di vista ideale è conservatrice, ovvero tende a conservare le vecchie forme, quelle che hanno permesso di giungere a risultati cui non si vuole più rinunciare. La citazione su cui baseremo questa prima parte della riunione - e che leggeremo alla fine a mo' di conclusione - è di Marx, del 1846, ed è ripresa da una lettera che egli scrisse prima di essere costretto a rispondere all'enorme produzione scritta di Proudhon. Prima di scrivere la Miseria della filosofia, Marx scrive questa lettera ad Annenkov dove spiega in poche righe qual è il concetto fondamentale di rivoluzione, concetto che evidentemente Proudhon non aveva capito. Siccome Proudhon rappresenta uno di quegli invarianti citati poc'anzi, la cosa è per noi piuttosto interessante. Dal punto di vista della comprensione dei processi, se vogliamo affrontare la dinamica di cui abbiamo parlato, dobbiamo per forza vedere cos'è successo nella storia dei modi di produzione, perché questa è la dinamica che ci interessa. La storia viene prima della scoperta delle sue leggi da parte degli uomini, questo è banale. A parte il fatto che scoprire nella storia una dinamica basata sui periodi scanditi da un certo modo di produzione già significa sapere, conoscere. In un certo senso è a mezzo della scoperta di una legge fondamentale che si scoprono tutte le altre leggi che muovono la natura.
Marx ha 19 anni quando scrive al padre di aver fatto questa prima scoperta. Egli definisce già - siamo nel 1837 - quale sarà il suo percorso e dice: mi sono ammalato di filosofia, nel senso che ho dovuto chiamare proprio il medico e farmi mandare in campagna; dopo l'indigestione sono guarito - egli usa ancora questo linguaggio un po' poetico dei giovani - ho visto la luce e mi sono accorto che tutte le questioni ideali, cioè quelle che riguardano la testa degli uomini, sono trattabili secondo i metodi della scienza della natura. Ho preso gli dèi dal cielo e li ho scaraventati nel centro della Terra. Di lì in poi Marx non fa altro che sviluppare questo concetto.
Nell'affrontare le tesi di Proudhon nella lettera ad Annenkov, Marx continua il suo combattimento contro le idee che frullano nella testa degli uomini ed assume un atteggiamento assolutamente concreto, estraneo cioè ad un mero sondaggio di opinioni. Sono tutte storie, dice; in effetti l'umanità intesa come somma di individui intende conservare - attenzione, verbo conservare - i risultati raggiunti. Ma è proprio per conservare le sue conquiste che essa è costretta a rompere le vecchie forme che hanno permesso tali conquiste. Questo è il passo che riteniamo assolutamente fondamentale. La dimostrazione pratica del fatto che la potenza delle idee non è il motore del mondo va fatta dal punto di vista di che cos'è successo nella storia e di ciò che può succedere domani sulla base dei cambiamenti in corso. Quelli in corso nel processo materiale, non quelli che l'individuo pensante vorrebbe.
Utopia, scienza e azione è un capitolo del testo Proprietà e capitale, l'ultimo. Chiudendo l'indagine sul maturare storico e irreversibile delle forme di proprietà, esso giunge alla difesa della necessità di osservare il processo nel suo insieme. È qui che viene introdotto il concetto della dinamica che supera la statica fotografica. Non abbiamo nessuna remora ad affermare che chi non riesce a fare quest'operazione si autoesclude dal marxismo e anche dalla scienza in generale. Per quanto ci riguarda, la dinamica del divenire capitalistico è quella che dobbiamo osservare attraverso i risultati raggiunti, quelli cui l'umanità non vorrà rinunciare tanto facilmente. Quando nasce il capitalismo? Quando vi è sufficiente capitale per innescare la produzione di plusvalore tramite il lavoro salariato. Quali sono le sue prime manifestazioni evidenti? La nascita di due classi distinte e antagoniste: i detentori di capitale e i salariati. Tutte le altre manifestazioni di proprietà e di sfruttamento, pur essendo degli invarianti storici delle società classiste, non rientrano nell'ambito del capitalismo se non subiscono questa trasformazione: il rapporto tra classi antagoniste attraverso l'esistenza di plusvalore. È da questo punto che nasce l'utopia. Ma è anche da questo punto che l'utopia, nello stesso tempo, incomincia a trasformarsi in scienza legandosi alla realtà. Neppure l'utopia è esente dalle determinazioni storiche, perciò non è mai uguale a sé stessa, riproducendo nelle sue manifestazioni lo sviluppo reale delle forze produttive.
Gli uomini, nella loro tendenza alla conservazione dei risultati raggiunti, non avvertono affatto l'avvento della forma capitalistica, ma non per questo non la vivono. Vale a dire che non riescono a dare sistemazione teorica all'esperienza, ma ne registrano i risultati in qualche forma. Tale forma è quella che fu chiamata Utopia dal nome dell'isola felice immaginata da Tommaso Moro.
Incominciamo quindi da lui la cinematografia che ci porterà fino ai giorni nostri per definire il legame tra la scienza e la prassi rivoluzionaria.
L'utopia di Tommaso Moro
Tommaso Moro scrive la sua Utopia nel 1516. Non si tratta di un libro di fantasia ma di una denuncia della società inglese dell'epoca. Il narratore parla di questo strano paese scoperto, non a caso, durante la spedizione di Amerigo Vespucci. La scoperta delle Americhe e la sferzata rivoluzionaria che questo comporta sull'intera società ha quindi i suoi effetti. Nel denunciare la società inglese il narratore dice che le pecore si stanno mangiando gli uomini; cioè che il capitalismo nascente porta i grandi agrari a investire sulla proprietà e quindi a recintare i terreni comuni. Di qui l'espropriazione e l'immiserimento dei contadini, di qui il vagabondaggio, di qui la manodopera libera per lo sfruttamento capitalistico, di qui, infine, le leggi di Enrico VIII sul vagabondaggio, le case di lavoro coatto e le prime esigenze di un vasto mercato estero. Ovviamente l'autore non può dare sistemazione teorica a tutto questo, ma una cosa fa dire al narratore verso la fine del primo libro: la causa di tutti i mali è il rapporto di proprietà. Quindi nel secondo libro viene descritta una società esente dalla proprietà e dal denaro.
Il testo è da gustare sia nella parte critica che in quella "utopistica". Non si possono separare. Nell'isola di Utopia vige una specie di comunismo e, in base a quello che abbiamo appena detto, ogni lettore marxista capisce bene che tale tipo di società non è il prodotto di un processo reale ma di un'aspirazione ideale dell'autore. Il processo reale non è ancora neppure capitalismo che già produce una sua critica. Quindi il comunismo non sta in Utopia, ma nella critica al nascente capitalismo. Perfetto, siamo in linea con Marx: il comunismo non è una società ideale ma il processo che distrugge quella presente. Il capitalismo non è ancora nato che già innesca il suo stesso processo di distruzione. Tommaso Moro critica la chiusura rivoluzionaria dei pascoli, quindi vorrebbe conservarne la libertà d'accesso comune tipica del feudalesimo. Il suo tentativo di conservare un risultato in presenza di uno sviluppo dirompente lo porta a sfondare i limiti della contraddizione: la sua Utopia pre-scientifica è un ibrido tra comunismo e feudalesimo.
Nell'isola felice esistono molte delle categorie presenti nella società feudale con qualcosa in più che è dovuto al sovrapporsi della critica al capitalismo con una concezione ideale della società. Nell'isola di Utopia non c'è più la proprietà, ma c'è la famiglia, c'è la guerra, ci sono addirittura gli schiavi che nell'Inghilterra del '500 già erano spariti da un pezzo, mentre il loro mercato fioriva ancora in altre aree ad opera di veneziani e portoghesi. Insomma, in Utopia viene riprodotto tutto ciò che l'autore poteva vedere nella società della sua epoca, meno i mali che da tutto ciò scaturivano. Ai nostri occhi non appare dunque il comunismo bensì la società del '500 cui vengono tolti i difetti con un'operazione del tutto mentale. Non vi è un superamento di forma, tutto si limita ad una operazione di creazione ideale di un modello. Ma esso rimane avulso dal processo storico reale.
Ci guardiamo bene dal criticare Tommaso Moro per questo, anche se la grandezza della sua costruzione è coerente con il suo conflitto nei confronti del re. Egli non capì le necessità esplosive della forma sociale nascente, entrò in contraddizione politica con essa e dal re fu decapitato, mentre la vecchia forma lo fece santo della Chiesa.
Non possiamo pretendere da Tommaso Moro una sistemazione teorica del suo modello comunistico. Egli non poteva spingersi ad una critica radicale di una società che solo allora stava nascendo e che quindi non aveva ancora espresso tutte le sue potenzialità. Non si poteva saltare un'epoca, la rivoluzione borghese era ancora distante due secoli e mezzo. Solo quando si intravedono le potenzialità della prossima forma si può dare un giudizio su quella in cui si vive. Perciò anche il valore del modello ideale può essere indagato a fondo soltanto a posteriori. Marx insiste su questo punto. Per capire effettivamente la realtà di un certo tipo di forma sociale non è sufficiente partire da quella stessa realtà, bisogna spingersi alla forma superiore. Ma questo non si può fare se la forma superiore non produce già manifestazioni materiali visibili. Per Marx il comunismo produceva già ai suoi tempi manifestazioni visibili. Il nostro campo d'indagine dovrebbe essere quindi più maturo di quello di allora, il nostro compito facilitato.
Comunismo è per esempio la socializzazione della produzione. Nel capitalismo dei tempi di Marx ciò era visibile. Lenin la chiama capitalismo di transizione. Noi su ciò dobbiamo pur dire qualcosa, se rispetto a Lenin sono passati altri settant'anni e più. Tommaso Moro non poteva essere il precursore del comunismo, come molti amano immaginare, ma il precursore del capitalismo attraverso la critica dei suoi primi misfatti. La grandezza di Utopia non consiste nella sua parvenza di comunismo, ma nella difesa di conquiste di una società ormai morente, per mantenere le quali non si poteva che rompere la forma che frenava lo slancio ulteriore delle forze produttive. Leggiamo un esempio di ciò in una descrizione diretta:
"Se la popolazione cresce più del normale in tutta l'isola allora si scelgono cittadini di ogni età per mandarli a formare una colonia retta con le stesse leggi nel continente più vicino, dovunque gli indigeni abbiano terra in sovrabbondanza e non la coltivino. [Mettono a disposizione le loro leggi e tecniche per il vantaggio di tutti]. Ricacciano invece oltre i confini che essi stessi si assegnano, coloro che non accettano di vivere secondo le loro leggi e, se resistono, fanno loro la guerra. Ritengono infatti giustissima causa di guerra il fatto che un popolo possegga una terra e non se serva, anzi la lasci sterile e inutilizzata senza permetterne l'uso e il possesso ad altri che, per diritto di natura, ne potrebbero trarre di che vivere" (2).
È una concezione grandiosa per l'Europa feudale dell'epoca. La grande Elisabetta non era ancora nata, la flotta inglese non dominava ancora i mari, il colonialismo inglese sarebbe venuto dopo un paio di secoli. Questa è la vera anticipazione di Tommaso Moro, perché egli sa identificare nella società feudale tutte le categorie nascenti che saranno proprie del futuro capitalismo; le sviluppa e le trasporta in un mondo senza i vincoli della vecchia società: la proprietà esiste ma è impersonale; la famiglia c'è ma il suo posto nella scala dei valori sociali viene retrocesso; la guerra si fa, ma non più a favore delle dinastie bensì per la salvaguardia di un modo di produzione ritenuto perfetto; anche se i prigionieri vengono ancora fatti schiavi, gli irriducibili vengono messi al servizio della comunità; infine coloro che sprecano il dono di Dio, la terra, sono costretti ad accettare determinate leggi perché non è ammesso lo spreco di un bene che deve essere comune, di tutta l'umanità. E questa è una vera anticipazione della giustificazione coloniale borghese: chi arriva a quelle altezze di civiltà ha il diritto sacrosanto di imporre la sua legge a chi spreca le risorse della natura.
A proposito di civiltà leggiamo un altro passo. Non solo a Utopia esistono le categorie capitalistiche, ma quando l'autore immagina un qualcosa di veramente nuovo e importante vi idealizza un bellissimo ospedale dove i malati possano essere felicemente curati:
"Le maggiori attenzioni sono riservate ai malati che sono curati in ospedali pubblici. Ne hanno quattro per città, un po' fuori dalle mura, così grandi da poter essere paragonati a piccole città a loro volta; in primo luogo perché per quanto sia grande il numero degli ammalati, vi sia sempre abbondanza di posto per tutti e in secondo luogo perché coloro che sono affetti da malattie contagiose possano essere isolati dagli altri" (3).
È evidente per noi che una vera rivoluzione consiste nell'eliminare la malattia e non nel curare masse di persone che si ammalano. Ora, uno degli indici economici di civiltà prodotti dai bollettini borghesi è il numero dei posti letto. Mentre possiamo scusare Tommaso Moro che immagina per la sua epoca piccole città luminose e salubri per gli ammalati, non possiamo ammettere lo stesso parametro per la nostra società futura. Nel paese più civile del mondo, gli Stati Uniti, c'è il più grande numero di posti letto rispetto agli abitanti. Per noi questo è un indice di decadenza sociale, di malattia asservita al profitto (come diavolo potrebbe guadagnare l'immenso apparato chimico-farmaceutico-medico se non ci fossero ammalati?) e non certo di avanzata sociale. Nella società futura ci saranno pochi ammalati e quindi pochi posti-ospedale.
Agli inizi del '500 il capitalismo si poteva anticipare perché era presente e operante, il comunismo no. Tommaso Moro è sul filo del partito storico perché ha dato il massimo. Verranno altri che non saranno all'altezza e Marx li tratterà da avversari.
Ma non anticipiamo. Tutto ciò è molto interessante, tuttavia non ci porta ancora sul terreno utile per capire il percorso che dall'utopia ci porta alla scienza del comunismo. Ci vogliono almeno due utopie affinché sia possibile vedere la differenza, e ci vogliono più utopie nel tempo per distinguere una dinamica qualsiasi.
Tommaso Campanella e le basi della proprietà
Se le utopie fossero tutte uguali cadrebbe il discorso che stiamo facendo. Lasciamo allora l'Inghilterra e veniamo in Italia. A prima vista, nonostante sia passato quasi un secolo, non c'è molta differenza tra la Città del Sole di Tommaso Campanella e l'Utopia di Moro. Anche Campanella proietta nella sua società ideale tutte le categorie presenti in quella in cui vive eliminandone i difetti. Ma a differenza di Moro egli collega l'esistenza della proprietà all'esistenza di un fattore materiale ben preciso. Siamo nel 1602 in Italia, un paese alquanto diverso dall'Inghilterra. Quest'ultima è più avanzata come potenza: nel volgere di pochi anni diventerà una potenza marittima mondiale e quindi sarà in grado di determinare uno sviluppo del capitalismo come sistema, nel senso che il commercio marittimo rappresenterà effettivamente una spinta verso un futuro reale, concreto, uno sviluppo anche per gli altri paesi. L'Italia è quella che con la scoperta delle Americhe perde questo vantaggio e ciò influisce sul suo assetto nazionale, ma in quell'epoca Napoli è molto più grande di Londra e nel suo porto passa ancora un tonnellaggio superiore (4). Tuttavia, essendo l'Italia zona di passaggio per tutte le razze e per tutte le potenze con i loro eserciti, è anche zona di incubazione per tutti gli esperimenti sociali. Qui è nato il rinascimento e Machiavelli, qui è nato il capitalismo, qui esso raggiunge per primo la fase fascista, qui il comunismo ha avuto una sua puntualizzazione molto precisa tra la degenerazione della Seconda Internazionale, la nascita della Terza e la degenerazione anche di quest'ultima. Ci permettiamo di pensare che Tommaso Campanella, coetaneo di Galileo (ne scrive un'apologia), non esprima per caso un'utopia diversa da quella di Tommaso Moro. Qual è la base fondamentale su cui s'imposta la vita nella Città del Sole? Mentre in Moro la famiglia è ancora il nucleo della società, con il potere del marito sulla moglie e di entrambi sui figli, in Campanella ciò scompare. La famiglia semplicemente non esiste e i figli sono dell'intera società. È già un indice di buon materialismo affermare che l'origine di tutti i guai della civiltà risale al fatto che la famiglia è il supporto della proprietà privata. Ci troviamo già oltre alla semplice rappresentazione di una realtà generalizzata. Non è comunismo neanche questo, ma c'è già l'individuazione di un punto per noi fondamentale, lo stesso che Engels svilupperà in ben altro contesto. Ma leggiamo:
"Tutta la proprietà nasce da far casa appartata e figli e moglie propria, onde nasce l'amor proprio - egoismo - ché per sublimare a ricchezze o a dignità il figlio o lasciarlo erede, ognuno diviene rapace pubblico se non ha timore essendo potente, o avaro, insidioso e ipocrita se è impotente. Quando si perde l'amor proprio resta il commune solo" (5).
Mentre nella Londra agreste del '500 Moro si preoccupava delle pecore che mangiavano gli uomini, nella sovraffollata e urbanissima Napoli del '600 Campanella si preoccupa degli uomini che mangiano gli uomini. La sua società "comunistica" deriva dall'eliminazione innanzitutto delle cause che generano la miseria in un ambiente urbano sviluppato, dove comandano il re e la banca, dove l'industria produce ricchezza ma non la distribuisce, dove le briciole di questa ricchezza rompono l'equilibrio "ecologico" della popolazione, la quale finisce per crescere smisuratamente in una condizione miserabile. Ecco perché si può già pensare all'eliminazione della famiglia e della proprietà privata. È ovvio che, come Moro, anche Campanella non potesse ancora affrontare il nesso economico, materiale, la legge che opera dietro il rapporto produzione-ricchezza-popolazione. Anche nell'Italia dell'inizio XVII secolo il capitalismo non era ancora sviluppato al punto di permettere una teoria della sua critica, vale a dire che non poteva ancora proiettare degli uomini verso un sistema superiore in modo che da quel più alto punto di vista potessero giudicare quello che stava succedendo. Ma il fatto che Campanella registri il nesso famiglia-proprietà è notevolissimo. Non ci troviamo semplicemente di fronte all'eliminazione di un difetto sociale sgradito, bensì di fronte all'individuazione delle sue cause e alla descrizione dell'unica conseguenza che ne può derivare. Certamente nessun comunista oggi penserebbe che la famiglia sia la causa della proprietà privata. Ma ciò perché oggi il capitalismo è talmente maturo che la presenza potenziale della nuova forma permette di rovesciare la questione: non è la proprietà privata che esiste per l'esistenza della famiglia, ma è la famiglia che sopravvive perché esiste la proprietà privata. Noi non abbiamo più bisogno di eliminare la famiglia per eliminare la proprietà privata, Campanella sì. Per noi la famiglia, senza la proprietà si estinguerà, come lo Stato, come l'ultima classe della storia. Campanella era ancora costretto a creare un modello ideale in cui eliminare un ostacolo reale. Per il resto sostiene ancora, come Moro, che gli abitanti della sua città comunistica fanno la guerra per "ferire il nimico ribello della ragione, che non merita d'esser uomo". E lo soggiogano, cioè mettono il suo avere in comune e gli impongono i loro ordinamenti sbrigandosi "in un solo giorno" nel demolire le sue difese e nell'uccidere i capi, affinché non si perda tempo e si incominci a dedicarsi "al suo bene". Questo significa integrare l'ex nemico, sfruttare in ogni angolo la terra, pianificare centralmente la produzione (che ovviamente ricorda ancora il sistema delle arti e mestieri) secondo i bisogni di tutti. Nel sistema dei Solari c'è ancora la moneta, anche se solo per gli scambi esterni e ci sono ancora gli schiavi.
Francesco Bacone e la produttività sociale
Intanto la storia va avanti mentre noi operiamo sempre con la cinepresa. Torniamo in Inghilterra: se volete la data precisa è il 1624, ma l'epoca è quella dell'esplosione marittima, avvenuta anche con l'aiuto dei grandi corsari "istituzionali" Drake e Raleigh. Il Rinascimento si sposta nell'isola, l'illuminismo non è ancora all'orizzonte, ma il pensiero scientifico influenza la filosofia (e la produzione). In questa situazione un altro utopista, Francesco Bacone, scrive un'altra utopia. Beh, veramente Bacone non era precisamente un utopista, come del resto gli altri personaggi citati. Marx dice di lui:
"Il vero progenitore del materialismo inglese e di tutta la scienza sperimentale moderna è Bacone. La scienza della natura costituisce per lui la vera scienza e la fisica sensibile la parte principale della scienza della natura [...] In Bacone, in quanto suo primo creatore, il materialismo racchiude in sé, in un modo ancora ingenuo, i germi di uno sviluppo onnilaterale. La materia, nel suo splendore poeticamente sensibile, sorride a tutto l'uomo"(6).
Mentre Galileo a quell'epoca è isolato dalla Controriforma, Bacone è libero di far circolare i suoi risultati, e la sua opera è perciò conosciuta in tutta Europa. Nella Nuova Atlantide (questo è il titolo dell'utopia baconiana) ci troviamo come sempre di fronte a proiezioni di società conosciute a cui si eliminano difetti e contraddizioni; non c'è vero salto di qualità, perché siamo sempre in presenza di aspetti del comunismo fantastico tipico dei modelli ideali. Da questo punto di vista le caratteristiche principali di Utopia, della Città del Sole e della Nuova Atlantide di Bacone sono praticamente le stesse, ma c'è una dozzina di pagine che dal nostro punto di vista rappresenta un formidabile evento. Si tratta di un catalogo dei risultati scientifici raggiunti da quella civiltà. A un certo punto il viaggiatore viene accompagnato in una struttura che dal nostro punto di vista, cioè per noi che abbiamo già raggiunto certi risultati per mezzo del marxismo, è certamente il Partito di quella società. Si tratta della Casa di Salomone, dove si raccolgono gli scienziati detentori della conoscenza. Conoscenza di specie, mai esoterica, dominio di pochi, segreta o soggetto di meraviglia. Perché la legge della Nuova Atlantide impone che la scienza sia divulgata e siano puniti coloro che trattano il fatto scientifico, anche il più strabiliante, come fenomeno di magia o da baraccone. Perché non dev'esserci meraviglia in un fenomeno della natura, è una cosa che bisogna studiare e adoperare per il bene di tutti. Qui c'è una rottura non solo con la prassi dell'epoca ma anche con quella attuale. Lo scopo principale dell'istituzione scientifica di Atlantide, di questa struttura sociale di specie, è quello di divulgare il massimo possibile la conoscenza in tutti i campi, liberarla dai vincoli dell'individuo. Coloro che ne fanno oggetto di patrimonio specifico vengono perseguiti.
Molto bello, ma fin qui non ci sarebbe ancora niente di veramente straordinario. D'accordo, è già un bel passo avanti rispetto alle utopie precedenti, dove si fa ancora ricorso al meraviglioso e allo straordinario per stupire il lettore viene sempre seminata, ma ci troviamo di fronte ad una famiglia tradizionale, alla proprietà, al denaro. Ci sono le merci e i mercanti, ci sono le guerre.
La cosa più interessante nell'utopia di Bacone è che tutto ruota intorno alla scienza, e i riferimenti alla struttura sociale sono o inesistenti o appena accennati, a volte in modo indiretto. Non si parla di come sia organizzata l'economia, ma è chiarissimo che tutte le descrizioni inerenti l'agricoltura, la tecnica e lo sfruttamento delle risorse e delle conoscenze, portano ad un "ambiente felice" per mancanza di bisogno, per abbondanza dovuta alla enorme forza produttiva sociale. Tutta la ricchezza prodotta da questa società è evidentemente frutto della sua organizzazione scientifica e centralizzata, dove ci sono persino gli addetti a coordinare le conoscenze affinché la specializzazione non provochi guasti. In ultima analisi il bisogno è superato non più attraverso la buona volontà o le regole sociali ma attraverso la potenza materiale della produzione socializzata. Quindi, il catalogo baconiano delle conoscenze di Nuova Atlantide è l'anticipazione della forza della scienza, ovvero la previsione di ciò che essa potrebbe fare se fosse applicata alla produzione e se questa produzione fosse socializzata.
Questo non c'era né in Campanella né in Moro. Per la prima volta in un testo utopistico-filosofico, la scienza della produzione è individuata come motore di una società libera dal bisogno e quindi da particolari assilli. Questo fatto induce l'autore a non preoccuparsi eccessivamente degli aspetti che invece preoccuparono gli utopisti precedenti; perciò la sopravvivenza di denaro, merce o proprietà è assolutamente secondaria nella Nuova Atlantide. Tant'è vero che le molecole sociali non sono più indifferenziate, ma organicamente inserite in funzioni diverse con caratteristiche diverse, e partecipano al tutto con caratteristiche di armonia, per cui l'individualità, non più negata né esaltata ma messa al servizio della specie, diventa una forza collettiva.
Moro, Campanella e Bacone non scrivevano e non agivano per rovesciare la società dell'epoca. Le loro azioni erano volte piuttosto a conservarla e migliorarla. Tommaso Moro non viene condannato a morte perché scrive l'Utopia, ma perché rifiuta lo scisma con la Chiesa. Campanella, che è perseguitato per un tentativo di rivolta antispagnola e anticlericale, può scrivere la Città del Sole e tutte le proprie opere proprio perché è in prigione. È significativo che nessuno dei grandi utopisti citati parli della società futura ma si limiti ad immaginare una società presente in luoghi di fantasia. Non era ancora l'epoca per una concezione del cambiamento in termini di aumento della forza sociale. Per questo noi non possiamo assumere un atteggiamento di sufficienza nei loro confronti. Guai a chi dicesse: toh, bel comunismo, qui ci sono gli schiavi, là c'è la moneta, là ancora c'è la famiglia e per di più patriarcale.
Evidentemente il comunismo non va individuato nel modello ma nella dinamica che produce modelli diversi a seconda della base materiale su cui vengono costruiti. In tale dinamica per esempio compare lo schiavo perché non si sa che fare del nemico che non si assoggetta all'ordine superiore. La costruzione idealistica non prevede la complessità sociale, tant'è vero che non ha sfumature, è sempre molto netta, il nemico è il nemico, o si integra o sparisce, morto o schiavo. Campanella per esempio immagina che gli abitanti della Città del Sole conquistino una città, spieghino le loro leggi e poi, se i conquistati sono irriducibili e non capiscono il vantaggio della nuova situazione, la città va distrutta, i capi vanno annientati, gli abitanti vanno sottomessi a queste leggi. Perché staranno meglio loro, non perché c'è volontà di conquista. La Città del Sole è autosufficiente in un sistema chiuso, non ha bisogno di espansione. Un modello mentale non ha bisogno di una dinamica di lotta per giungere alla sua realizzazione. Basterebbe che tutti gli uomini fossero d'accordo. Ma se non sono d'accordo? Basta ucciderli, è molto semplice. Oppure renderli schiavi, i quali poi verranno liberati, perché tutti gli abitanti della società felice sono naturalmente buoni e seguono la via della giustizia.
Charles Fourier e l'anticipazione delle possibilità
Ora facciamo un salto nella storia e arriviamo a cose più vicine a noi. Vediamo che cosa succede invece in utopie, che solo a fatica possiamo chiamare ancora così, maturate in epoca di capitalismo. Quelle del secolo scorso sono praticamente quelle analizzate da Engels nell'Antidühring. Un "utopista" come Fourier non immagina più una Città del Sole, un'isola di Utopia o una Nuova Atlantide a lui contemporanea. Egli, al contrario, svela che contemporaneo è il livello raggiunto dalle forze produttive e la conseguente società dei "Civilizzati", mentre il futuro prevede la liberazione dal caos e "l'ingresso immediato nell'epoca dell'armonia universale". Ciò che dovrebbe permettere questo passaggio è la comprensione generalizzata della sua Teoria dei quattro movimenti: quello Sociale, quello Animale, quello Organico e quello Materiale. Notiamo di sfuggita che l'utopia è ancora presente nell'ordine d'importanza in cui vengono posti tali Movimenti. La nostra cinepresa non potrebbe mai filmarli in quell'ordine ma all'inverso. Nella storia il primo fotogramma riprenderebbe la materia e l'ultimo, provvisorio, sarebbe uno zoom sulla società così com'è.
Comunque la società di Fourier non si può già quasi più definire un modello da raggiungere, ma una critica distruttiva di quella attuale dei "Civilizzati".
"Ero molto lontano dal pensare a ricerche sui Destini; condividevo l'opinione generale che li considera impenetrabili, e che relega alle visioni degli astrologhi e dei maghi qualsiasi ragionamento su tale tema; lo studio che mi ha avviato a queste ricerche non verteva che su problemi industriali o politici [...] Mi sono applicato a cercare il bene soltanto in questioni che non avessero alcun rapporto con l'amministrazione e con il sacerdozio, e che si basassero soltanto su provvedimenti industriali e domestici, compatibili con ogni sorta di governo senza aver bisogno del loro intervento" (7).
Alla base del mondo di Fourier, con i suoi falansteri, che sono stati intesi come proposte di utopie (e qualcuno ha anche provato a realizzarli), sta una teoria che serve come supporto alla critica della società presente:
"Io che non ho avuto alcun partito da sostenere, ho potuto adottare il Dubbio assoluto, e applicarlo prima di tutto alla Civiltà e ai suoi pregiudizi più inveterati" (8).
Fourier crea un sistema attraverso il quale riesce a fare una critica ferocissima della società attuale, dal mondo della filosofia a quello della produzione, dai rapporti tra le persone all'istituzione della famiglia. Nel suo modello non esistono più le categorie della società che ha sotto gli occhi. Non abbiamo più una società riscritta uguale ma con l'avvertenza di evitarne le contraddizioni. Chi ha visto in Fourier un suggeritore di modelli da realizzare - e, come abbiamo detto, qualcuno l'ha tentato, ha sbagliato tutto. Anche Fourier, prima di Marx, aveva gridato tanto forte che i suoi seguaci erano diventati sordi. Infatti sono andati a costituire dei falansteri senza capire che il loro padre era prima distruttore che costruttore. Fourier grida contro la società capitalistica. Oh certo, grida ancora contro l'ingiustizia, il pregiudizio e il luogo comune, ma usa una satira così feroce che non c'è più dubbio sul fatto che ormai siamo alla distruzione di catene, non più alla costruzione di utopie. Come Saint-Simon sognava di raccogliere il governo del mondo sotto il segno di Newton, così Fourier proclama la separazione totale della Filosofia, che chiama Scienza Incerta, dalla Scienza Fissa. I filosofi sono i peggiori propagatori del pregiudizio anche se si affannano per combatterlo, mentre la scienza dell'industria è la soluzione. La scienza sarà la soluzione e ogni abitante di Armonia potrà contare sull'abbondanza a buon mercato piuttosto che sulla ristrettezza a caro prezzo (9).
Le "folli" disquisizioni di Fourier sull'amore, sui bambini, sulla gastronomia e sul modo di produzione sono state variamente interpretate. Era pazzo? Prendeva in giro il lettore? O criticava una società di cui non sopportava più il peso? Marx apprezzava la sua poesia della satira, Engels si dilunga di più combattendo contro Dühring, che lo aveva disprezzato, e lo definisce un grande satirico sulle miserie della tanto osannata civiltà. Entrambi, quindi, non lo sottovalutano affatto. Se anche noi non vogliamo sottovalutarlo, dobbiamo convenire che Fourier è il primo che si preoccupa di un piano centrale di produzione e distribuzione teso a garantire la qualità e la differenziazione secondo il gusto dell'utilizzatore (10). Detto in altri termini egli è il primo che, in forma poetica, descrive dettagliatamente un piano di riproduzione di specie; è il primo che confuta direttamente il luogo comune secondo cui il comunismo equivale a una vita appiattita fra indistinte molecole umane. Fourier trasmette la gioia della produzione ma soprattutto la gioia del fine di quella produzione, cioè il soddisfacimento di bisogni umani. Diventa assolutamente secondaria la sopravvivenza della compra-vendita dei prodotti, come risulta del tutto accessoria una certa graduazione sociale all'interno di Armonia. Basta leggere capitoli come Gli inganni dei Meloni sventati, ovvero i prodigi della Gastronomia Composita Seriale oppure Le transazioni armoniche, ovvero il Trionfo dei Polli coriacei, problema di gastronomia bi-composita, per capire che l'umanità rappresentata dal francese medio dell'epoca può fare a meno della zuppa regolamentare di cipolla o cavolo innaffiate con l'altrettanto regolamentare vino acido a basso prezzo del Midi. Basta liberarsi dalla Civiltà per eliminare automaticamente la degradazione e il grigiore, la vacuità e la tristezza. Se in Armonia esistono gradazioni di reddito, esse sono annullate dal fine di tutta l'attività: il godimento individuale e sociale di valori d'uso. I valori di scambio sono con ciò stesso eliminati: se il comunismo non è nella penna dello scrittore, emerge con forza da ciò che egli nega.
Per Fourier non occorre tanto cambiare l'Uomo quanto la Civiltà, e le sue descrizioni illustrano uno sfavillante regno del possibile, non un'idea. Liberate il mondo dalla Civiltà e potrete permettervi di essere folli nell'abbondanza e non asceti del piatto unico caro agli antichi Spartani, comunisti da miseria.
Robert Owen e l'azione
Owen cominciò come operaio in un cotonificio. A vent'anni era direttore di una filanda a Manchester. A trenta era comproprietario di una fabbrica tessile a New Lanark e la trasformò in un luogo di produzione modello. A cinquanta riuscì a far passare una legge per la limitazione del lavoro di donne e bambini. A sessanta presiedette il congresso di fondazione della prima unione sindacale generale del mondo. Per tutta la vita si dedicò allo sviluppo del movimento cooperativo operaio. Catalogare Owen tra gli utopisti è certamente una forzatura, ma è certo che egli fu l'ultimo ad inseguire un modello sociale basato sull'idea e sulla morale. Negli Stati Uniti fondò una comunità basata sulla produzione e sul consumo sociale (New Harmony, 1826).
La caratteristica principale dell'utopismo di Owen fu la prassi. Prima organizzò gli uomini, poi ne trasse degli insegnamenti e volle dare al tutto una veste di teoria sociale. Egli immaginò che qualcosa si poteva e si doveva fare per superare i problemi della società capitalistica. Cercò di mettere insieme delle forze reali che potessero giungere a risultati pratici. Fornì la prova, evidentemente non da solo ma con l'aiuto di elementi presenti nella società inglese dell'epoca, che la società capitalistica poteva essere superata. La sua sconfitta fu infatti dovuta esclusivamente a tre elementi: all'immaturità della situazione; alla lotta che la società borghese condusse contro di lui; all'impossibilità di legare il movimento sindacale ad un movimento politico rivoluzionario. Owen fu sempre contrario allo scontro di classe pur essendone un prodotto.
Quel che ci interessa di Owen è che egli non riesce più a costruire un modello esclusivamente mentale, mentre la critica alla società non gli permette di rimanere al livello della satira. L'Inghilterra della sua epoca esigeva l'azione, mentre nella Germania era in gestazione la teoria e in Francia la politica. Owen capisce benissimo che col plusvalore estorto agli operai si potrebbero superare i problemi dell'indigenza di tutta la popolazione. Sa che è possibile un aumento programmato della produzione agricola e industriale tramite l'utilizzo generalizzato delle macchine. Sa che produzione controllata significa abbondanza e lo sa perché lo ha provato dirigendo una fabbrica di 2.500 operai e offrendo per la prima volta alle loro famiglie un'assistenza sociale.
La potenzialità liberatoria che Bacone vedeva nella scienza e nella produzione sociale ancora a venire, per Owen era cosa che si toccava con mano, già realizzata. Occorreva soltanto risolvere il problema della distribuzione dei prodotti e dell'anarchia produttiva. Non sarebbe potuta esistere New Lanark se non fosse stato già sviluppato il lavoro sociale. E la fondazione delle Trade Unions era una conseguenza.
Da questo punto di vista la cosa più interessante non fu la realizzazione di New Lanark e di New Harmony ma il loro fallimento. Le prime espressioni della lotta di classe avevano mostrato che la realizzazione delle istanze socialistiche non poteva passare attraverso modelli. Per quanto essi fossero concreti invece che immaginari, erano pur sempre modelli e non potevano rappresentare isole di un nuovo ordine sociale in un mare capitalistico proprio mentre i movimenti proletari abbandonavano il luddismo e le primitive forme per diventare movimenti di massa, anche politici, come il cartismo. Era materialmente inevitabile, per un personaggio coerente come Owen, passare dal fallimento dell'esperienza produttiva e sociale alla lotta di classe e alla fondazione del sindacato generale.
Non ci interessa in questo momento sindacare sulla concezione di Owen che vedeva il sindacato come elemento di trasformazione graduale della società. L'importante è annotare come in ogni rivoluzione venga sconfitto l'elemento costruttivo e prenda il sopravvento quello distruttivo. Così dev'essere, anche se agli uomini piacerebbe di più assumere atteggiamenti costruttivi e quindi conservatori. Ma come avviene la distruzione rivoluzionaria che è nello stesso tempo costruzione?
Note
(1) Per motivi di spazio alcune parti di questa relazione sono riassunte rispetto all'originale, ma nel complesso essa è riprodotta integralmente.
(2) Tommaso Moro, Utopia, Libro II, Dei rapporti tra i cittadini, Ed. Demetra.
(3) Ibid.
(4) Prima della peste del 1656 che ne dimezzò la popolazione, Napoli aveva circa 400.000 abitanti ed era seconda come grandezza solo a Parigi. Londra città aveva 25.000 abitanti all'epoca di Tommaso Moro e 75.000 all'epoca in cui fu scritta La Città del Sole.
(5) Tommaso Campanella, La Città del Sole, ed. Demetra, pag. 22.
(6) K. Marx, La sacra Famiglia, Op. Compl. Editori Riuniti, vol. IV pag. 142.
(7) Charles Fourier, Teoria dei quattro movimenti, Einaudi, pag. 8 e 11.
(8) Ibid. pag. 11.
(9) Fourier dimostra in un gustoso capitolo che la serie statistica permette ad una numerosa comunità Armonica di godere a tavola di 144 qualità di formaggio nelle migliori condizioni (cioè tagliato fresco dalla forma stagionata) mentre un povero re dei Civilizzati si dovrà accontentare di tre qualità.
(10) Italo Calvino, introducendo l'opera di Fourier per Einaudi, sottolinea che "l'alleanza del meraviglioso con l'aritmetica" (titolo di un paragrafo) sottintesa nel Falansterio, ricorda un gigantesco computer, un sistema cibernetico di regolazione produzione-bisogni, un sistema di elaborazione per rendere organico il perfetto assortimento delle Serie dei prodotti.