Un modello dinamico di crisi (1)
Indagine sul futuro prossimo del capitalismo
Ma davvero esiste la probabilità? E cosa mai sarebbe? Io risponderei di no, che non esiste. Qualcuno mi chiese ironicamente perché mai, allora, me ne occupo. Mah! Potrei dire, viceversa e senza contraddizione, che la probabilità regna ovunque, che è, o almeno dovrebbe essere, la nostra guida nel pensare e nell'agire, e che per questo mi interessa.
Bruno de Finetti, matematico.
Albert Einstein [con la teoria della relatività] non fu l'alfiere dell'anti-determinismo, il campione della teoria filosofica dell'incertezza, e nemmeno del metodo probabilista, noto del resto ai classici e studiato nelle sue leggi fin da Laplace, il quale non si sarebbe accontentato − se avesse pizzicato di politica − di dire: è solo molto probabile che la borghesia e la sua ideologia se ne vadano al diavolo.
Amadeo Bordiga, rivoluzionario.
Affronteremo il problema della crisi capitalistica partendo dal concetto di previsione, che è in fondo il problema della scienza in generale. Su questa base analizzeremo un modello di crisi elaborato dalla nostra corrente, la Sinistra Comunista "italiana", a metà degli anni '50; modello che mostrava, con una proiezione dei dati a vent'anni (1975 circa), un punto di catastrofe, una singolarità rivoluzionaria. Fra la mole enorme di dati raccolti, si dava importanza fondamentale, anche con valenza simbolica, alla mineralizzazione della vita umana, cioè la sopraffazione del mondo biologico − di cui la nostra specie fa parte − ad opera della produzione minerale. Il metodo utilizzato allora è lo stesso che oggi ci permette di capire la struttura di una crisi che ormai da tempo anche gli economisti definiscono sistemica. Essa ha le sue radici in alcune delle controtendenze che per sua natura il Capitale mette in atto al fine di scongiurare la caduta del saggio di profitto. In particolare: aumento del grado di sfruttamento del lavoro, diminuzione del valore del salario, espansione del commercio estero, espansione del credito; tutti elementi di ciò che oggi si chiama "globalizzazione". Affermiamo quindi che la crisi "attuale" dura da trent'anni, che è una crisi cronica irreversibile e che si manifesta proprio con l'estrema mineralizzazione non solo della vita umana ma di tutta la biosfera. Questo fatto, che mezzo secolo fa sembrava ai nostri avversari fantascientifico e strumentale, è ora riconosciuto addirittura da istituti ufficiali della borghesia internazionale. Si tratta di una delle più eclatanti capitolazioni di fronte alla teoria rivoluzionaria che ha preso il nome da Marx.
Indeterminismo, certezza, previsione
Chiediamo ora "debita scusa ai pelandroni fregatissimi che vorrebbero un marxismo senza matematica e perfino senza numeretti", come diceva Bordiga, e incominciamo dall'inizio, cioè in qual modo, da che mondo è mondo, l'uomo ha cercato di costruirsi dei modelli astratti al fine di prevedere gli eventi futuri. Ci perderemmo fra le infinite discussioni degli accademici se per storia non intendessimo, appunto, la dinamica che porta al domani e la comprensione delle sue leggi. Del resto neppure la storiografia borghese si limita più a riscoprire il passato attraverso i documenti, a classificare gli eventi e ad ordinarli secondo cronologie e concatenazioni. Essa è infatti giunta al tentativo di dare un senso agli avvenimenti, entro un quadro teorico dinamico che tenga conto dell'economia, della geografia, del tempo di sviluppo e degli insiemi sociali. La differenza tra la concezione borghese e quella comunista del futuro è che la prima prevede il "progresso" tecnico e l'evoluzione politica della forma capitalistica, mentre la seconda ne prevede la fine, con l'abbattimento del potere politico e l'avvento di una società nuova basata su presupposti del tutto antitetici.
Lungo innumerevoli secoli la storia dell'uomo è stata oggetto di separazione rispetto alle cosiddette scienze della natura. Ma per la corrente rivoluzionaria che si manifesta nell'era capitalistica ogni ricerca delle leggi che regolano il comportamento della nostra specie non può essere altro che scienza della natura. E notiamo con soddisfazione come la borghesia stessa sia costretta a capitolare anche di fronte a questo assunto, scoprendo che è possibile trattare in modo matematico i fatti umani, come se già oggi fosse anticipata una disciplina del futuro, sulla base di metodologie ancora embrionali ma che qualche scienziato borghese chiama già "fisica della storia", a dispetto della tradizione delle culture separate.
Le persistenti incognite su gran parte dei fenomeni naturali hanno portato la concezione scientifica dominante a una deriva indeterministica di tipo filosofico, cioè metafisico. Se è vero che vi è l'impossibilità intrinseca di conoscere moto e posizione di una particella sub-atomica (ma questo succede in termini più banali anche a livello meccanico macroscopico, ad esempio tentando di misurare "con precisione" la velocità di un'automobile con un cronometro), da ciò non deriva che l'insieme della natura debba soggiacere a leggi d'indeterminazione. Deriva soltanto che la nostra conoscenza deve passare attraverso la preventiva delimitazione sia dei risultati che del grado di precisione voluti. Quindi si possono benissimo conoscere − entro tale quadro − la velocità di un'automobile e il comportamento di una particella. Diceva il grande fisico Richard Feynman che la fisica non è la scienza del perché ma del percome. Il perché oggi è metafisica e al momento nessuno sa se sarà sempre così. Oggi nessuno può (e forse mai nessuno potrà) rispondere alla domanda: perché i gravi "cadono" gli uni sugli altri; ma la scoperta delle leggi della gravitazione e del moto ha permesso lo sviluppo della meccanica, della fisica, della matematica e di tutto un formidabile apparato conoscitivo sull'universo e sulla nostra vita di tutti i giorni.
Venendo alla storia, l'alternativa fra indeterminismo probabilistico e determinismo meccanico nella previsione del futuro può solo fornire materiale per la discussione fra uno scienziato borghese e un prete, come dimostra il vespaio sollevato da papa Ratzinger su relativismo e certezza. Quando l'uomo si pone un problema e vuole risolverlo ha bisogno di certezze, ed esse sono assolute nel quadro di riferimento stabilito e condiviso: il contadino ha bisogno di sapere quando seminare, se sbaglia di una settimana fa lo stesso, ma non può sbagliare assolutamente stagione. In una corsa sui 100 metri dove gli scarti temporali sono di millesimi di secondo, non avrebbe senso usare una clessidra, ci vuole assolutamente un cronometro. Ogni problema ha una soluzione che offre certezze assolute quando è inquadrato in modo formalmente corretto, cioè secondo quelle convenzioni che nella vita della nostra specie sono state utilissime a "figliare fiammeggiante potere di conoscenza". Si può invocare la certezza matematica anche nello studio di fenomeni complessi che è impossibile affrontare in modo analitico, purché si tenga ben presente che in ogni sistema complesso le parti che lo formano interagiscono e quindi provocano continuamente un cambio di stato, in bilico fra il caos e un nuovo livello di ordine. Solo precisando tutto ciò possiamo mandare in soffitta tanto gli assoluti filosofici quanto il relativismo/indeterminismo volgare.
La società umana è un sistema altamente complesso e le previsioni sul suo divenire sono particolarmente ardue. Nonostante ciò, è possibile rintracciare al suo interno un gruppo di leggi che regolano il suo funzionamento, e ciò stesso, di per sé, rappresenta una possibilità di formalizzazione al fine di ricavarne certezze. Qualunque fisico ha per esempio la certezza assoluta che in una biosfera di dimensioni finite non è possibile perpetuare in eterno la produzione a crescita esponenziale. Su questa certezza possiamo innestare un calcolo per cercare di capire quando il sistema potrebbe arrivare al suo limite, con le relative ripercussioni sociali. E siccome il sistema analizzato non è solo complesso ma estremamente dinamico, dobbiamo mettere in guardia noi stessi e chi ci ascolta sul fatto che il continuo cambiamento di stato dovrebbe essere riprodotto nel modello formale e verificato sperimentalmente nella realtà.
Purtroppo non si possono fare esperimenti con la società: non la si può mettere in laboratorio, la si può soltanto simulare. E, come si sa, la simulazione non è la realtà, come la mappa non è il territorio. Sembrerebbe una situazione senza via d'uscita, ma il metodo scientifico non si ferma di certo di fronte a così poco: se la mappa non riuscirà mai a riprodurre fedelmente il territorio, tanto varrà aggirare l'ostacolo estremizzando il suo livello di astrazione, in modo da eliminare informazione superflua e quindi ingannevole. Si può così passare da una cartina dettagliata come quella delle Giovani Marmotte (villaggio di Paperopoli) a uno schema come quelli dei trasporti pubblici di una giga-metropoli, che riporta soltanto fermate e ultra-schematici collegamenti, pallini, linee e nomenclatura che solo la nostra mente può ricondurre al reale. Tuttavia autobus e metrò corrono davvero lungo quelle linee che noi simboleggiamo con strisce colorate; e si fermano davvero nei luoghi che rappresentiamo come pallini. Con la super astrazione del modello/mappa della metropolitana possiamo prevedere con estrema esattezza dove arriveranno i treni reali in centinaia di fermate.
Condizioni iniziali e al contorno
Il problema della previsione è un rompicapo antico. Dagli arùspici agli elaboratori elettronici il passo sembra grande, ma in diversi casi la previsione ha la stessa efficacia. Perciò occorre condividere con il lettore qualche elemento preliminare. Nella meccanica classica valgono alcuni principii elementari sintetizzati da Laplace all'apice della rivoluzione illuministica: conosciute le condizioni iniziali di un sistema, saranno conosciute tutte le sue variazioni nel tempo secondo leggi ferreamente deterministiche; l'unico limite è la conoscenza effettiva di queste condizioni, ma una mente infinita potrebbe calcolare l'evoluzione dell'intero universo a partire da un momento dato; dove non giunge tale mente, alle povere capacità umane sopperisce l'osservazione statistica. I frettolosi critici del "meccanicismo" di Laplace dovrebbero ricordare questi particolari: non ci si può sbarazzare dei gradini rivoluzionari nella scala della conoscenza.
L'espediente della mente infinita serve a sottolineare il fatto che all'uomo normale è negata non solo la conoscenza di come evolve l'universo a partire da condizioni a un momento dato, ma anche la conoscenza precisa di tali condizioni. Di qui la difficoltà della previsione nel campo dei fenomeni appena un po' complessi, problema studiato ad esempio da Poincaré e altri un secolo dopo Laplace, punti di passaggio per le successive teorie della relatività, dei quanti, del caos, della complessità.
La previsione con metodo scientifico si differenzia dalla predizione astrologica, dalla profezia e dall'utopia in quanto giunge a dedurre uno stato ignoto del sistema esaminato a partire da uno stato noto sulla base di regolarità (invarianti) constatate nel tempo. Ad esempio, in un sistema dominato da movimenti del tutto arbitrari e caotici nessuna previsione sarebbe possibile senza l'individuazione di un qualche ordine e di una qualche invarianza. Oggi sappiamo che anche i sistemi caotici presentano fenomeni di ordine emergente, per cui si parla ormai tranquillamente di caos deterministico. Regolarità e invarianza dei fenomeni significano presenza di leggi sottostanti. Individuate le leggi, è possibile realizzare dei modelli astratti e con questi "ritornare alla complessità del concreto" (Marx) per una verifica. Tutto ciò fa parte del bagaglio scientifico comune all'insieme dell'umanità: la concezione scientifica corrente potrà cambiare solo con il cambiamento della forma sociale dopo l'abbattimento del potere borghese e la conseguente estinzione dell'ideologia oggi dominante.
Queste micro-tesine servono ad introdurre una importante questione: nonostante una concezione scientifica al momento condivisa fra le forze borghesi e quelle rivoluzionarie (non esiste né esisterà una "scienza proletaria"), vi è una notevole differenza di risultati sia nell'individuazione delle leggi del sistema (stato noto), sia, conseguentemente, nel trarre conclusioni sul suo futuro (stato ignoto). La differenza non è di tipo teoretico, ma ideologico per i borghesi e politico per i rivoluzionari, esattamente come succedeva fra gli inquisitori e Galileo. E siccome punto di partenza del sistema e sua evoluzione futura non possono essere di due tipi contemporaneamente, uno dei due deve risultare necessariamente sbagliato.
Si dice che classi, denaro, ricchezza, povertà e sfruttamento sono sempre esistiti e quindi sempre esisteranno. Falso: l'homo faber ha almeno due milioni di anni e le sue società di classe non arrivano a cinquemila. Denaro, ricchezza e povertà meno di tremila. Le società classiste coprono al massimo il 2,5 per mille della storia umana. Le condizioni iniziali del sistema sono comunistiche al 997,5 per mille, le società di classe rappresentano una perturbazione di poco conto nelle condizioni al contorno. L'ultima, la più insignificante di tutte, pretende addirittura di avere il monopolio ideologico per l'intero periodo, interpretando secondo la propria metafisica sia i due milioni di anni passati che i milioni di anni futuri.
Entro la insignificante fase classista e proprietaria, vi sono degli invarianti che passano da un'epoca all'altra, nel tempo, secondo interessanti trasformazioni. Il denaro, ad esempio, passa da oggetto materiale per lo scambio ad un livello di poco superiore al baratto, a segno di valore del tutto smaterializzato con vita autonoma in quanto Capitale. Così la famiglia: da gruppo allargato che produce e si riproduce come fondamento dell'intera società, ad inutile atomo sociale, semplice tramite di consumo e di proprietà. Oppure il lavoro: da attività integrata nella vita dell'essere umano comune, ad attività alienata, finalizzata al solo scopo di vivificare il Capitale. Oppure ancora lo Stato, l'istituzione più giovane di tutte: da strumento al servizio della collettività per coordinarne l'azione, a strumento di oppressione della stessa, in mano ad una sola classe.
Le condizioni iniziali del sistema (note), che stando agli invarianti sono valide per tutto il periodo delle società divise in classi, presentano quindi, già a livello precapitalistico, delle trasformazioni che ci permettono di individuare una dinamica ulteriore, proiettabile nel futuro per la previsione di risultati evolutivi o catastrofici (ignoti). Ma, come dice Engels, lo studio dell'uomo ci fa capire meglio l'evoluzione degli ominidi: giunti alla fase capitalistica matura, noi possediamo molta più informazione sull'intero sistema, perché nel frattempo, in questi cinquemila anni, esso ha studiato sé stesso, si è fortemente strutturato ed ha infine assunto caratteri impensabili nelle sue fasi precedenti. Ad esempio alcuni suoi organismi, come quelli che formano lo Stato, governi compresi, non rispondono più a uomini o gruppi più o meno potenti, ma ad automatismi imposti dal sistema stesso. Un governo d'oggi è più simile a un termostato che a un centro di potere attraverso il quale si manifesta la volontà di una classe. Di fronte alla potenza anonima del mercato governi e banche centrali non fanno che rincorrere le conseguenze provocate dai movimenti di un Capitale ormai completamente autonomo, che non fa più riferimento ai singoli proprietari di quote ormai irrintracciabili nella massa di denaro in movimento su scala globale. Questo è un segno di raggiunto limite del sistema capitalistico nel suo insieme: non è più governabile, è fuori controllo. Su di esso incombe la catastrofe.
Un modello di previsione del 1956
Come abbiamo visto più sopra, ogni espediente per descrivere la realtà che non sia la semplice ostensione (mostrare quella cosa) è un modello. Se però indicando un sasso dico anche: "quello è un sasso" ho già introdotto una modellizzazione della realtà. Se non aggiungo altro, significa che sto facendo astrazione da ulteriori particolari e taglio fuori dal modello tutte le generalizzazioni della parola "sasso", come i ciottoli, la ghiaia e i massi. Ovviamente se indico tutti questi ultimi chiamandoli "sassi", introduco proprio la generalizzazione che prima era esclusa. In ogni modello è quindi inevitabile una dose di soggettività, superabile solo con la condivisione dei segni necessari per realizzare il modello stesso. Questa premessa è importante, perché un modello sociale realizzato da un rivoluzionario sarà completamente diverso da un modello realizzato da un conservatore, anche se l'oggetto della modellizzazione è lo stesso. Teoricamente ciò non dovrebbe succedere per il sasso, e invece sappiamo fin troppo bene che si formano correnti interpretative anche su elementi della realtà apparentemente neutri. Ergo: denunciamo subito che in questa nostra indagine sul futuro del capitalismo non saremo neutrali. Non lo potremmo essere neppure volendo, e il perché sarà chiaro fra poco.
A partire dal settembre del 1956, per circa due anni, la nostra corrente si dedicò, tra le altre cose, a una minuziosa analisi dell'economia con particolare riguardo ai dati della produzione industriale dei principali paesi − e del mondo − per dimostrare i limiti del capitalismo sulla base delle leggi scoperte da Marx. Realizzò quindi un modello − supportato da una mole impressionante di dati sistemati in tabelle e tradotti in grafici − il quale offrì la verifica sperimentale degli assunti presenti nella teoria: la variazione nel tempo dei valori della produzione industriale mostrava una diminuzione costante degli incrementi relativi (quasi tutto il materiale è raccolto nel volume Il corso del capitalismo mondiale citato nella bibliografia). E siccome l'andamento della produzione industriale equivale sempre al saggio di profitto, cioè plusvalore/(capitale costante + capitale variabile), era anche dimostrata sperimentalmente la marxiana "legge della caduta tendenziale del saggio di profitto". Per i maggiori paesi era lecito prevedere una crisi globale che avrebbe reso superfluo l'aggettivo "tendenziale":
È molto evidente che non siamo alla vigilia della Terza Guerra Mondiale né della grande crisi di interguerra, che potrà svilupparsi solo fra alcuni anni, quando la parola d'ordine della emulazione e della pace sarà arrivata a svelare il suo contenuto economico: mercato unico mondiale. La crisi allora non risparmierà nessuno Stato. Una sola vittoria è oggi pensabile per la classe lavoratrice, quella dottrinale. Il compito di un secondo tempo è la vittoria di organizzazione. Solo una terza fase storica potrà vedere rimessa sul tappeto della storia la questione del potere. In queste tre tappe il termometro è la rottura di equilibrio a carico − prima e sopra tutto − degli USA e non dell'URSS (Corso, pag. 147).
All'epoca non si parlava ancora di globalizzazione, ma il fenomeno era previsto, così com'era previsto il diminuire dei suddetti incrementi relativi della produzione industriale ovvero del saggio di profitto. Allora era la Russia ad affacciarsi al mondo con gli alti tassi iniziali di sviluppo, oggi è la Cina. Tale risultato era anche in linea con una legge di natura, cioè con la diminuzione degli incrementi relativi nella crescita degli esseri viventi, studiata da una disciplina specifica, l'auxologia. Legge verificabile anche in alcuni casi di crescita quantitativa di materia inanimata quando vi sia apporto di materiale in quantità costante, come nel caso del volume d'acqua in un recipiente sotto un rubinetto aperto o del volume di un oggetto sottoposto a galvanoplastica (un apporto di 10 su un volume iniziale di 100 rappresenta una crescita del 10%; un ulteriore apporto di 10 costante rappresenta 10/110 = 9,09%). In generale, la moderna teoria dei sistemi evidenzia la validità della legge per la dinamica di molti fenomeni, il cui diagramma di crescita presenta una curva a forma di "S" appiattita: una crescita rapida di tipo esponenziale nel primo tratto, un punto di flesso (cambiamento di tendenza), e una seconda parte ad andamento asintotico verso l'equilibrio (o la morte se il sistema vive di crescita). Tale curva risulta anche dalle applicazioni della Teoria Generale dei Sistemi, dovuta a Ludwig von Bertalanffy (1940), teoria che, anche se non è mai nominata nei lavori in questione, è da essi perlomeno riflessa con notevole analogia. Un'altra analogia la troviamo con la struttura "frattale" dei cicli, scoperta da Mandelbrot negli anni '60 e matematicamente sistemata negli anni '70: ogni ciclo, lungo o breve, presenta sempre la caratteristica curva ad "S". Ad ogni livello del sistema emergono caratteri di autosomiglianza.
Sempre in quei lavori, ai dati sulla produzione industriale/caduta del saggio di profitto erano affiancati quelli della "mineralizzazione sociale", numeri ai quali veniva attribuito "un linguaggio ben significativo" per quanto riguardava non solo lo sviluppo del sistema ma soprattutto il possibile atteggiamento del proletariato. Dal 1850 alla Grande Crisi del 1929 la produzione di materie prime minerali e di manufatti industriali era aumentata in valore dello stesso ordine di grandezza, 34 volte la prima e 21 volte la seconda. Il divario era perfettamente spiegato dalla crescita della rendita fondiaria in confronto alla diminuzione di valore della produzione industriale dovuta all'aumento della produttività. Ma nello stesso periodo la produzione di materie prime di origine agricola, nonostante anche qui vigesse la legge della rendita, era cresciuta soltanto di 6,4 volte, cioè cinque volte di meno della produzione mineraria. A dimostrazione della senilità del capitalismo, dal 1929 al 1956 la produzione totale era aumentata solo di 2,4 volte, un valore inferiore in termini di incremento annuo, rispetto a periodi precedenti: 4,5% annuo dal 1850 al 1929, 3,2% dal 1929 al 1956.
La dinamica storica era chiara: agli albori del capitalismo industriale, nella fase manifatturiera d'inizio '800, la produzione industriale era circa il 10% di quella agraria; nel 1870 il 16%, nel 1906 il 39%, nel 1913 il 46%, nel 1929 il 53%, nel 1956 il 62%. Alla data del modello si pensava evidentemente a un rapporto meno disumano di quello poi effettivamente riscontrato negli anni nostri (2007: 2.500%!). Nel mondo, l'agricoltura rimaneva prevalente e la maggior parte dei paesi faticavano assai ad uscire dalla condizione di sottosviluppo determinata dall'oppressione coloniale. Dedotto l'incremento della popolazione, la crescita pro capite della produzione industriale in un secolo era stata dell'1,5%, mentre la produzione alimentare era cresciuta solo dello 0,5%, cioè tre volte di meno. E questo mentre, pur cadendo il saggio, la massa dei profitti era salita enormemente. Conclusione: lo sviluppo del capitalismo affama la massa della popolazione umana, sottraendole cibo a favore delle macchine. Era la famosa "forbice" fra produzione industriale e produzione alimentare già antevista da Marx e presa in considerazione da tutti i suoi allievi conseguenti. Ogni proiezione nel futuro non poteva che dare un verdetto di morte per un sistema siffatto. L'incognita era solo il tempo.
Se dunque il modello dava risposte così precise sugli eventi, poteva permetterci di trattare in maniera altrettanto precisa il futuro del sistema per quanto riguardava i tempi? Quando si sarebbero incontrate le curve della produzione agricola e della produzione minerale? Perché era chiaro, con i dati a disposizione, che l'aumento dello 0,5% di produzione agricola pro capite non avrebbe retto alla prova di una guerra, di una recessione o, peggio ancora, del semplice andamento storico calante. E il trend portava a una data intorno al 1975, "anno che da molte nostre speranze vedrà la forma capitalistica già morta" (Corso, pag. 117). Naturalmente si metteva in guardia il lettore sul fatto che si trattava di un'ipotesi sugli sviluppi possibili e che sarebbe stato necessario basarsi su maggiori dati quantitativi per uscire dalle deduzioni essenzialmente qualitative, per esempio mettendo a confronto la serie dei dati sull'acciaio con la serie di quelli su pane, zucchero, cotone, ecc. onde trarne curve effettive, "per individuare l'incontro della mineralità della vita col limite della sua follia, in quanto la vita è dell'organismo, la morte del freddo metallo" (Corso, pag. 117).
Si sa, proprio intorno al 1975 vi fu una crisi gravissima nel sistema capitalistico, esplosa in occasione dell'aumento vertiginoso dei prezzi delle materie prime di importanza strategica, soprattutto del petrolio (non più l'acciaio) e delle grandi derrate agricole. L'aumento dei prezzi non fu naturalmente la causa prima della crisi, ma di fatto esso avvenne in una situazione in cui il saggio di profitto era già basso, per cui non c'era margine per devolvere una parte del valore alla rendita. In quegli anni cambiò addirittura l'assetto del capitalismo mondiale, ma non vi fu la prevista catastrofe economica, né la guerra e tantomeno l'assalto rivoluzionario del proletariato. Uno stuolo di critici improvvisati si mise ad ululare, con il senno di poi, che il modello era "sbagliato", che il difetto stava nel manico, che c'era cioè un errore teorico di fondo. Costoro volevano criticare una proposizione scientifica senza sapere nulla di scienza. È bene troncare subito su questo argomento: da che esiste scienza tutti sanno (o dovrebbero sapere!) che per quanto riguarda i sistemi più o meno complessi non è l'esito della previsione a dare carattere di scientificità alla stessa bensì il metodo con cui è formulata. Anche se la previsione mancata ha sempre compromesso ovviamente il previsore "agli occhi del popolo", l'insuccesso non è condizione sufficiente per buttar via la conoscenza che sta alla base del metodo predittivo escogitato e utilizzato. La frase che abbiamo appena scritto e messo in corsivo mostra che, se le condizioni iniziali prese in considerazione erano corrette, nel frattempo erano però cambiate le condizioni al contorno. E non è difficile immaginare che di fronte a una situazione dinamica anche il modello dev'essere "dinamizzato" con l'apporto di informazione sempre aggiornata, in modo da produrre una retroazione sui risultati del modello stesso. La data del 1975 era compatibile in linea di massima solo con i dati iniziali. D'altra parte la nostra corrente era disposta "ad ammettere che una tale data non si può ricavare da nessuna equazione ed è soltanto il risultato di induzioni probabilistiche" (Struttura economica e sociale della Russia d'oggi, pag. 224). Ulteriori induzioni avrebbero potuto far cambiare la previsione. La scientificità del metodo per indagare su ciò che al 1956 era incognito non può essere messa in discussione dall'avverarsi o meno di quelle ipotesi sul possibile.
Tuttavia il modello si dimostrò più resistente dei cambiamenti delle condizioni al contorno tanto che, anche se la previsione non si avverò in pieno, il mondo capitalistico entrò nella crisi irreversibile che stiamo ancora vivendo. Che cos'era successo di così eclatante da cambiare addirittura l'assetto del capitalismo mondiale e far sì che la previsione "sbagliasse" così clamorosamente, se non sulla crisi, certo su guerra e rivoluzione? Si erano verificati fondamentalmente quattro eventi: 1) il dollaro, divenuto mediatore monetario del Capitale mondiale si era autonomizzato rispetto agli Stati Uniti (xenodollaro), e questi iniziavano quella stagione di rastrellamento di rendita da capitale in tutto il mondo che dura tuttora; 2) era esplosa la crisi petrolifera, e la decuplicazione del prezzo del petrolio aveva permesso una raccolta immane e capillare di capitale da rendita (petrodollari), riciclato dai paesi produttori nel settore finanziario; fenomeno che aveva provocato l'aumento smisurato della liquidità nel sistema creditizio, cui le grandi banche e industrie multinazionali avevano potuto accedere in modo centralizzato ricevendone una sferzata di energia; 3) era terminato il ciclo coloniale e una gran parte dei paesi del mondo aveva potuto accedere all'accumulazione originaria beneficiando dell'eccedenza mondiale di capitale finanziario, con gran fermento nel settore dei mezzi di produzione, da sempre motore dell'economia capitalistica. 4) si era generalizzato a livello mondiale l'uso delle sementi ibride ad alto rendimento, dei moderni mezzi per la produzione agricola e dei fertilizzanti chimici, con conseguente scomparsa della biodiversità alimentare e aumento spettacolare della produzione agricola di massa (la produzione di cereali triplicò dal 1950 al 1990) a scapito del minuto contadiname espropriato e gettato nelle baraccopoli urbane.
Questo ciclo di auto-salvaguardia del Capitale aveva consentito di rafforzare quella che Lenin considerava la bestia nera della rivoluzione nell'epoca dell'imperialismo: la corruzione del proletariato.
Con il declino ormai definitivo dell'Inghilterra e l'assoluta ininfluenza dell'URSS sull'economia mondiale, gli Stati Uniti diventarono unica potenza egemone, slegarono il dollaro dalla propria economia rendendolo di fatto inconvertibile e obbligarono il resto del mondo ad usarlo come unica moneta di scambio internazionale e di riserva. Tramite la rendita, il controllo dei flussi finanziari e l'azione delle maggiori multinazionali, incominciava da parte americana un gigantesco prelievo di plusvalore altrui ai quattro angoli del mondo, prelievo non contrastato dai principali paesi imperialisti in quanto ritenuto (giustamente) benefico per alimentare quella che allora era pur sempre l'unica "locomotiva per l'economia del mondo".
Previsione, possibilità, probabilità
Oggi non abbiamo quasi nulla da aggiungere al modello di previsione utilizzato dai compagni degli anni '50. Per di più abbiamo i computer e l'accesso a miliardi di dati (fin troppi) attraverso Internet. Non c'è quindi da fare altro che continuare la serie storica fino ai giorni nostri e trarne le conclusioni proiettandola nei prossimi anni. Ovviamente bisogna tener conto che nel frattempo s'è sviluppata la tecnica in ogni campo, che la popolazione mondiale è raddoppiata, che sono comparsi sulla scena paesi come il Giappone, la Corea, la Cina, l'India, il Brasile, che nei loro confronti la quota del valore prodotto dai vecchi paesi a capitalismo maturo sta arretrando e che, infine, i salariati nel mondo sono cresciuti a un miliardo e trecento milioni, senza contare i disoccupati e i sottoccupati (il 30% della forza-lavoro disponibile, cioè quasi un miliardo).
Prima di affrontare i dati occorre però passare attraverso l'approfondimento della nostra affermazione di poco fa, quando abbiamo detto che sarebbe stato chiaro il perché non possiamo essere neutrali. Chiunque faccia una previsione deve basarsi sul metodo induttivo, cioè sulla conoscenza dei dati che hanno preceduto e determinato la situazione attuale, che a sua volta porta a quella futura. Naturalmente sul metodo induttivo s'innesta sempre quello deduttivo, cioè un'elaborazione dei dati a fini teoretici, di conoscenza (i procedimenti matematici sono indiscussi in questo senso). Ma per indagare sul futuro spesso non esiste altro che l'induzione su ciò che è disponibile realmente. Un esempio che riportano tutti i manuali è quello della proposizione "tutti i cigni sono bianchi"… finché non si scoprono i cigni neri in Australia. Ora, per sapere quando avverrà una eclisse di Sole o di Luna la conoscenza precedente ci basta per raggiungere una precisione predittiva notevolissima anche a distanza di decenni, mentre non è sufficiente per sapere se a distanza di tre giorni pioverà o ci sarà il sole in un certo luogo. Questo classico confronto fra un sistema "newtoniano" e uno "caotico" ci obbliga ad introdurre dei correttivi al concetto di previsione, a parlare ad esempio di possibilità e probabilità. Se un evento fosse ritenuto impossibile sarebbe inutile ogni previsione. Se fosse ritenuto solo probabile avremmo un certo grado di aleatorietà nella previsione. D'altra parte il lettore avrà notato che la formulazione è: "ritenere impossibile o probabile"; l'osservatore "ritiene" di sapere qualcosa a priori. Si introduce un elemento soggettivo che di per sé escluderebbe il carattere scientifico dell'indagine.
Qui le cose si possono complicare fino a precipitare nella filosofia. Gramsci ad esempio sosteneva che la volontà influenza la previsione, e ciò è senz'altro vero ogni volta che individui o gruppi si mettono a progettare il proprio futuro; ma ciò è del tutto idealistico al di fuori di un quadro che ponga l'individuo come parte di un tutto, ininfluente sulle sorti dell'universo circostante (non si tratta di giocare con il paradosso dell'uovo e della gallina: per noi non sono i Napoleoni che fanno la storia, bensì è la storia materiale che ne produce fin troppi, con contorno di santi, profeti e demoni del male). Quindi, per non scadere nella filosofia, tagliamo corto con un'affermazione apodittica: noi in quanto rivoluzionari riteniamo a priori che il sistema capitalistico sia transitorio, che esso sarà abbattuto come gli altri diversi sistemi che l'hanno preceduto e che sarà sostituito da un altro caratterizzato dal fatto di esserne la negazione in tutte le sue categorie sociali. L'operazione è lecita perché 1) è basata su leggi dello sviluppo umano dimostrabili empiricamente; 2) tali leggi producono una forza in grado di "rovesciare la prassi" e partecipare al verificarsi del cambiamento che questa stessa forza aveva previsto.
Ovviamente un'operazione analoga è lecita anche per il borghese. Egli, in quanto borghese, ritiene che il sistema capitalistico sia in eterna evoluzione (progresso), che non esistano classi ma fasce di reddito entro le quali una sana concorrenza dispone gli uomini, che questi possano afferrare delle opportunità per salire di livello e che possano "governare", cioè intraprendere azioni per controllare il Capitale in modo che la crescita e lo sviluppo siano assicurati tramite la riforma continua dei meccanismi economici e politici. Un'osservazione induttiva alla scala di tre secoli gli dà ragione: nessuna forza ha mai scalzato il capitalismo e al momento non ne se ne manifesta alcuna in grado di farlo a orizzonte visibile e ragionevole.
Il bello viene quando noi adoperiamo i dati forniti dal borghese per dimostrare il contrario di quanto egli dimostra sulla base degli stessi dati. Siccome non esistono né una scienza né una storia "proletarie", noi e il borghese attingiamo dalla stessa conoscenza. È la conoscenza disponibile che ci dimostra come i sistemi evolvano, come le società si alternino, come sia matematicamente impossibile una crescita infinita in un mondo finito, come sia impossibile continuare a bruciare in un giorno ciò che la Terra ha accumulato in cento milioni di anni. O come, semplicemente, sia impossibile che tre miliardi di cinesi e indiani possano raggiungere un giorno il livello di vita del miliardo di occidentali e usare l'automobile, leggere il giornale allo stesso ritmo: non ci sono né acciaio, né petrolio, né alberi da cellulosa sufficienti sul pianeta perché si possa giungere a ciò. Quindi anche il borghese è costretto ad ammettere che "qualcosa deve cambiare". Ma noi possiamo andare più a fondo con la critica, scaricando bordate d'artiglieria là dove la sua ideologia s'immerge nel portafoglio, per il quale deve fare i conti e scrivere bilanci a fine d'anno usando un metodo condiviso da tutti i suoi simili: egli deve calcolare il PIL, il Prodotto Interno Lordo registrando il "valore aggiunto", per di più omologandolo alla somma dei redditi, nient'altro che il Wert totale di Marx, il plusvalore più il salario. Applica integralmente il succo del Capitale di Marx nello stesso tempo in cui nega la legge del valore!
Dunque previsione non neutrale, dicevamo. Se previsione significa anche possibilità e probabilità che un evento accada, con l'affermazione che precede solleviamo un problema di logica. Immaginiamo un grande speculatore internazionale che intenda investire una somma notevole sul ribasso della Sterlina. È evidente che se la somma di cui dispone è sufficiente, il suo stesso investimento contribuirà al ribasso della valuta su cui specula. Abbiamo un esempio di azione del futuro sul presente (il caso è reale, il personaggio è George Soros, l'anno è il 1992, la teoria sorosiana della "riflessività" è mutuata dal filosofo Popper). Non tutti gli scienziati e i filosofi accettano il concetto di azione del futuro sul presente, ma l'esempio è estendibile e l'autopoiesi (autorealizzazione) dei fenomeni è un dato di fatto. Lo storico americano Adam Ulam racconta, con intento spregiativo, come nel 1903 intorno a Lenin si raccogliesse un insignificante gruppuscolo di "seguaci", neppure tutti d'accordo fra loro. È vero, ma sarebbe veramente il tripudio del volontarismo se pensassimo che questi pazzi fossero gli artefici della rivoluzione d'Ottobre. Essi però si erano trovati in sintonia con il "movimento reale" della società e avevano potuto così costituire un partito con qualche aggancio tra gli operai. Avevano previsto moti sociali e nel loro programma c'era addirittura la presa del potere. È un fatto che, con il favore dell'esplosione sociale, essi contribuirono alla realizzazione della loro stessa previsione: con la rivoluzione del 1905 il partito accrebbe la propria influenza, con quella del 1917 si presentò come unico fattore di storia e prese quasi automaticamente il potere.
Naturalmente anche i borghesi possono contribuire all'avverarsi delle proprie previsioni. Di fronte alla rivoluzione che avanzava, sulla base della loro ideologia di conservazione furono costretti ad attivare in tutto il mondo politiche di controrivoluzione e di controllo del fatto economico e sociale (fascismo, keynesismo). Ebbero un "successo" che, terrorizzati com'erano, neppure si aspettavano. Bloccarono lo sviluppo rivoluzionario e alla fine si sbarazzarono di chi aveva fatto il lavoro sporco per loro, continuandone però la politica di controllo. Ma i borghesi, come tutti, devono fare i conti con leggi di natura. Il sistema capitalistico si muove in base a leggi, di fronte alle quali poco possono l'ideologia e gli sbirri, anche se ovviamente entrambi aiutano. Ad esempio non si può votare in parlamento sulla verità o falsità del secondo principio della termodinamica: il capitalismo è dissipativo, spreca una quantità immane di energia, ed è quindi destinato a "spegnersi". Molto prima che ciò succeda esploderanno forze sociali nuove adatte al cambiamento, forze che, anzi, sono già entro la società borghese così com'è (Grundrisse, pag. 91). Vale anche il contrario: Lenin non negava la possibilità teorica di un superimperialismo; negava che ci si potesse arrivare, perché molto prima sarebbe saltata la società intera.
La probabilità non esiste
Questa autorealizzazione della rivoluzione mette a dura prova il determinismo meccanicistico, la "causalità" filosofica a priori. Su questo punto è bene fare attenzione, perché i relativisti indeterministi accusano di determinismo meccanicista anche il marxismo. Non siamo responsabili delle sciocchezze altrui, diciamo solo che la dialettica è lo studio delle relazioni, cioè delle cause interagenti: una causa che determina una retroazione su sé stessa non fa affatto saltare l'autentico edificio deterministico, impone soltanto che si stia attenti alle trappole aprioristiche. L'autopoiesi della rivoluzione tramite il partito non è altro che il già ricordato "rovesciamento della prassi", individuato dalla nostra corrente fin dagli anni '20 e precisato in schemi teorici nel 1951. Non è un'invenzione isolata dovuta agli sconfitti dalla controrivoluzione borghese (soprattutto per mezzo della sua variante stalinista), ma un prodotto del cervello sociale che tutto affascia (Cfr. Einstein e alcuni schemi…, n+1 n. 4, pag. 30). Le stesse determinazioni sociali che produssero una peculiare "Sinistra comunista" in Italia, produssero anche correnti scientifiche di straordinario livello, tra le quali, in reazione alla corrente internazionale "formalista", quella matematica "intuizionista". Ebbene, alcuni degli enunciati di questa corrente scientifica hanno lo stesso tenore di quelli che troviamo negli scritti della nostra corrente rivoluzionaria (anche se i riferimenti specifici sono assai rari).
Nel caso di fenomeni complessi l'intuizione basata su conoscenza pregressa, di tipo istintivo o analitico poco importa, ha potenza superiore rispetto al "calcolo delle probabilità". Siamo sicuri che detto calcolo darebbe il comunismo "poco probabile", anzi, quasi impossibile; e chiunque su di esso si basasse per la sua previsione avrebbe matematicamente "ragione". Ma se la natura funzionasse secondo il calcolo delle probabilità, non succederebbe quasi nulla, e specialmente noi, organismi vivi e pensanti, non saremmo qui. Una città, una rete ferroviaria o anche solo una tazzina da caffè sono realizzazioni che la natura considera estremamente improbabili, eppure ci sono. Filosoficamente e religiosamente gli uomini hanno tentato di dare risposte a ciò, ma in questa sede ci limiteremo a qualche numero per dimostrare che la rivoluzione… rivoluziona anche il mondo del probabile. Nel 1998 vi furono tre pesanti crolli a Wall Street nel solo mese di agosto. Gli addetti ai lavori dissero che, dato il periodo di vacanza, insieme ad altri parametri, la probabilità che questo evento si producesse era di 1 su 500 miliardi. Il fatto è che anche nell'anno precedente, quello che diede l'avvio alla "crisi asiatica", vi fu un crollo in Asia con ripercussioni a Wall Street considerate probabili a 1 su 50 miliardi (caduta del 7.7% in un solo giorno per cause esogene). E anche pochi anni dopo, nel 2002, vi furono tre pesanti cadute in soli sette giorni, probabilità 1 su 4.000 miliardi. Ma il record era stato toccato nel 1987: una caduta di Wall Street del 29,2% in un solo giorno, con cadute a raffica nei giorni successivi. Probabilità 1 su 1030, una probabilità che non ha neppure senso provare a descrivere. Di queste cose "impossibili" ne succedono tutti i momenti. Per quanto sia difficile prevederle, si è sicuri che succederanno: probabilità 100%. Noi abbiamo una fede incrollabile in questo tipo di probabilità.
In uno scritto del 1912 (Idealismo socialista), un esponente della gioventù socialista italiana affermò che il rivoluzionario ha fede nella rivoluzione: non come il cattolico ha fede in Cristo, bensì come il matematico ha fede nei risultati delle sue ricerche. Si tratta di una fede un po' particolare, quella che abbiamo chiamato una combinazione di passione ed algebra. La fede dello scienziato, come dice Einstein, è impulso intuitivo che esplode su un substrato di conoscenza acquisita e condivisa. La nuova scoperta è un salto, ma esso è reso possibile dalla mentalità scientifica, la quale a sua volta s'è formata tramite studio, riflessione, esperimento e riproduzione empirica. Ogni passo in avanti della conoscenza non scaturisce mai dalla enunciazione di principii o verità a priori da parte di un qualche filosofo.
L'atto del prevedere è "soggettivo" nel senso che abbiamo visto: il progettista prevede con sicurezza il risultato del suo lavoro e Marx annota che qui sta la differenza fra la migliore ape e il peggior architetto. In quanto soggettivo, l'atto del prevedere ha un arco di applicazioni molto vasto, che va dal cercare d'indovinare senza saper nulla sulle possibili variabili che influenzano il risultato (un lancio di dadi) alla realistica certezza per un evento estremamente probabile (un progetto a buon fine). Nel corso dello studio per il modello citato, è detto chiaramente che la matematica serve unicamente da supporto analitico a quella che è una convinzione, seppur dovuta a solide ragioni. La causalità (determinismo) non è un'ideologia, è uno strumento pratico d'indagine che ha rivoluzionato la scienza; e se nuove scoperte ne impongono una definizione più precisa, non per questo dobbiamo sentirci in obbligo di correre in difesa della "vecchia" concezione o di sponsorizzare aprioristicamente la "nuova". È perlomeno dal tempo degli antichi Greci che l'uomo è combattuto fra la concezione continua del mondo e quella atomista. Il principio di causalità è stato "vero" per intere epoche e gli scienziati l'avrebbero utilizzato in modo pragmatico anche senza inutili assolutizzazioni; lo stesso vale per i fenomeni al momento trattabili solo con il metodo statistico come la meccanica dei quanti.
Quando si parla di probabilità si deve sempre intendere che essa non esiste in natura ma è un risultato delle convenzioni umane. Così, quando per un fenomeno possibile si prevede una certa percentuale di esiti probabili, si entra in un mondo completamente soggettivo. Se in un sacchetto della tombola vi sono 90 gettoni numerati, dal punto di vista delle leggi fisiche la cosa si ferma lì. È l'azione dell'estrarre uno dei gettoni che ci fa affermare qualcosa sulla probabilità di 1 a 90 nel beccare il numero che abbiamo pensato. Ma non potremmo applicare il concetto di probabilità alla previsione di un'eclisse: lì davvero esistono leggi di natura soggiacenti, anche se Poincaré aveva dimostrato che è solo una questione di tempo, perché a lunga scadenza già in un sistema planetario a soli tre corpi le reciproche influenze gravitazionali rendono il sistema imprevedibile.
Comunque a noi non servono previsioni a un miliardo di anni per la rivoluzione mondiale. Noi uomini, rivoluzionari o meno, complichiamo enormemente le cose perché non possiamo evitare di perturbare l'universo circostante, di guardare dentro al sacchetto della tombola per cercare il numero che vogliamo, e persino di cambiare le regole della tombola. L'elemento soggettivo è inscindibile dal processo rivoluzionario: esso non scaturisce dalla somma aritmetica di tutte le volontà dei singoli individui ma da una sintesi storica che rappresenti una volontà collettiva o, se vogliamo, da una media statistica delle volontà.
Per evitare equivoci probabilistici diciamo subito che per noi l'elemento soggettivo, il depositario della volontà e quindi della potenza e conoscenza necessarie per influire sugli eventi è un elemento sovrapersonale, precisamente il partito rivoluzionario, un cervello collettivo che si concretizza in un organismo politico di tipo nuovo, che sappia basare la propria azione sulle leggi del cambiamento sociale. Il passo di Struttura, che abbiamo citato parzialmente nel capitoletto "Un modello di previsione al 1956" e in cui si afferma che non si è fatto ricorso al metodo analitico ma all'induzione probabilistica, incomincia con il rifiuto delle teorie probabilistiche assolutizzate a principio filosofico. Le nuove teorie (principalmente la teoria cinetica dei gas, la teoria statistica dell'entropia e la meccanica dei quanti) non vanno fatte ripiombare nell'apriorismo; esse hanno semplicemente contribuito a liberare la scienza da alcuni apriorismi, per cui la scienza stessa, per ora tramite ben pochi dei suoi rappresentanti borghesi, si è avvicinata al mondo reale, alla sensibilità dell'uomo, al suo essere capace, biologicamente, di fare soltanto previsioni possibilistiche, congetturali, addirittura istintuali che solo in seguito vengono razionalizzate. Confrontiamo con alcuni passi della Sinistra Comunista "italiana":
I gruppi umani sono partiti da tentativi di sapere il futuro prima di avere edificati sistemi di conoscenza di passati eventi. Il primo sistema è la tradizione ereditaria di nozioni che riguardano come premunirsi da inconvenienti, pericoli, cataclismi; la registrazione anche embrionale di fatti e dati contemporanei e trascorsi viene dopo. La cronaca nacque dopo la prammatica. Lo stesso istinto degli animali, che si riduce ad una prima forma di conoscenza quantitativamente bassa, regola il comportamento su eventi futuri da evitare o facilitare: uno studioso della materia ne dà questa bella definizione: "l'istinto è la conoscenza ereditaria di un piano specifico di vita". Ognuno che forma e possiede piani, lavora su dati del futuro. Volando attraverso tutto il ciclo, il comunismo è la "conoscenza di un piano di vita per la specie" (Proprietà e Capitale, cap. XVII).
La differenza non va fatta dunque fra l'arte e la scienza, fra l'intuizione e l'intelligenza. È con l'intuizione che l'umanità ha sempre avanzato perché l'intelligenza è conservatrice e l'intuizione è rivoluzionaria. L'intelligenza, la scienza, la conoscenza hanno origine nel movimento avanzante. Nella parte decisiva della sua dinamica la conoscenza prende le sue mosse sotto forma di una intuizione, di una conoscenza affettiva, non dimostrativa; verrà dopo l'intelligenza coi suoi calcoli, le sue contabilità, le sue dimostrazioni, le sue prove. Ma la novità, la nuova conquista, la nuova conoscenza non ha bisogno di prove, ha bisogno di fede! non ha bisogno di dubbio, ha bisogno di lotta! non ha bisogno di ragione, ha bisogno di forza! il suo contenuto non si chiama Arte o Scienza, si chiama Rivoluzione! (Dal mito originario alla scienza unificata del domani, in n+1 nn. 15-16, pag. 68).
Per la nostra corrente, dunque, la conoscenza va rapportata, armonizzata, con il nostro essere biologico, in modo che possa esistere, non solo in concetto, un "piano di vita per la specie". Ma come si concilia ciò con l'esigenza della previsione scientifica, quella che, come abbiamo visto, utilizza la matematica per non prendere troppe cantonate? Facciamolo dire a un grande matematico (ed epistemologo illuminista, quindi "avversario"):
[La matematica] sarebbe una creatura magari perfetta ma praticamente sterile se dovesse limitarsi alle sue funzioni proprie, e servire quindi non ad altro che ordinare, elencare ed esporre in diverse forme il già noto. Una scienza perfettamente e puramente logica non potrebbe occuparsi della previsione, che pure ne è il principale scopo, e sarebbe discutibile per essa anche la possibilità psicologica di coordinare le osservazioni in modo significativo e opportuno, dato che tale giudizio di opportunità è basato essenzialmente sulla presunta o provata utilità per una previsione. La scienza, infatti, ha come scopo principale quello della previsione: la constatazione "storica" che un certo fatto è accaduto e si è svolto in un dato modo, non interessa affatto allo scienziato; diventa invece un elemento capace di appassionarlo se egli realizza la possibilità di costruirvi delle regolarità, di dedurne delle leggi, e cioè dei criteri utili per una possibile previsione (Bruno de Finetti, L'invenzione della verità pag. 113).
Quando negli anni '50-'60 diventò di moda l'econometria, cioè il tentativo di applicare la logica all'economia al fine di realizzare modelli matematici da cui trarre informazioni sul futuro, la nostra corrente ironizzò su questi "metodi da robot" opponendovi la futura scienza umana liberata dalle pastoie delle passate concezioni (Tesi di Napoli, 1965). Più tardi, negli anni '70, un economista, Siro Lombardini, scherzando ma non troppo, rivendicò la superiorità di quella che chiamò "nasometria", in quanto il cervello umano, elaborando le concezioni e le conoscenze memorizzate con l'esperienza, risultava più efficace dei modelli matematici e dei computer. Del resto era già noto che le forme di divinazione antica si basavano proprio sulla capacità biologica di elaborazione del cervello, che è in grado di operare collegamenti e catene relazionali complesse anche a partire da pochi fatti noti.
Riproporre un modello previsionale rivoluzionario oggi
Un modello di previsione che sia coerente con quanto elaborato dalla nostra corrente deve quindi basarsi su dati reali (statistici) della "storia" passata del sistema in esame e, nello stesso tempo, elaborarli tramite il miglior computer che ci sia, il cervello sociale umano, per mettere in moto quella combinazione di intuizione e progetto di cui abbiamo parlato. Per cervello sociale intendiamo un ente collettivo in cui, olisticamente, "il tutto rappresenti più della mera somma delle parti" e sia perciò capace di lavorare su dati storici mediante conoscenza e memoria altrettanto storiche.
Dicevamo poco fa che i sistemi complessi sono autocostruttivi (o autodistruttivi), sono cioè caratterizzati da retroazioni in grado di auto-produrre modifiche alla loro dinamica. Interpretiamo ora la figura 1 (ricavata dal volume Oltre i limiti dello sviluppo) nell'ottica della teoria rivoluzionaria.
Nel primo riquadro (A) abbiamo un modello a crescita continua di tipo autocostruttivo, cioè a retroazione positiva: una parte del valore prodotto rientra nel ciclo produttivo; è la riproduzione allargata del Capitale; l'andamento è esponenziale, e il sistema è al sicuro da crisi catastrofiche perché crescono in modo parimenti esponenziale anche i limiti fisici, cioè le risorse e la possibilità dell'ambiente di rispondere all'infinito alle richieste della crescita (capacità di carico). Questo è il modello teorico della borghesia, al quale fa riferimento l'economia politica.
Nel secondo riquadro (B) abbiamo il modello "auxologico" cui accennavamo all'inizio, lo stesso preso in esame dalla nostra corrente nel 1956: si suppone fissa la capacità di carico del sistema e si annota induttivamente, sulla serie di dati del passato, la legge degli incrementi decrescenti nel tempo. Il sistema è ancora a retroazione positiva, ma passa dalla crescita esponenziale a quella asintotica attraverso un punto di flesso. La previsione è realizzata sulla proiezione della curva nel futuro. L'andamento asintotico mostra una crisi nella produzione di plusvalore (caduta tendenziale del saggio di profitto) che il Capitale non può sopportare (il suo assioma è D-D' cioè crescita ininterrotta). Dall'induzione si passa alla deduzione: la crisi estrema del Capitale necessita del tentativo di rivitalizzare il ciclo, e l'alternativa diventa: guerra o rivoluzione. Se togliamo la prospettiva rivoluzionaria e la deduzione conseguente sulla morte del sistema, rimane la curva a "S", quindi un illusorio procedere riformista verso quello che viene interpretato come equilibrio fra capitalismo, limiti fisici e società. È l'ideologia che una volta si chiamava opportunista e che oggi permea tutto il movimento che si crede di sinistra. Esponenti di questa reazione neo-vandeana sono ad esempio i "partigiani della decrescita" seguaci di Serge Latouche.
Terzo riquadro (C). Il modello di cinquant'anni fa, come già accennato, al suo livello di astrazione non teneva conto delle interazioni continue fra la crescita, i limiti fisici generali (era contemplata solo la forbice fra produzione industriale e agricola) e le politiche finalizzate ad ammortizzare gli effetti delle crisi. Un modello di quel genere, com'era ammesso anche dai compagni di allora, avrebbe dovuto essere ridisegnato di continuo, tenendo conto passo passo delle variazioni. Oggi la simulazione al computer ci permette di introdurre le retroazioni e di prevederne gli effetti. Al massimo livello di astrazione, il terzo riquadro visualizza l'effetto reciproco fra crescita e capacità di carico quando vi sia un intervento nell'economia (fascismo, keynesismo, stalinismo) in grado di minimizzare gli effetti delle spinte spontanee dovute al mercato selvaggio. Il sistema si autoregola con retroazioni negative analoghe a quelle del termostato, ma così facendo tende all'equilibrio (omeostasi) e ripiomba nella crisi di valorizzazione. Nel nostro studio su un modello di simulazione della miseria crescente (n+1 n. 20), abbiamo dimostrato che questo andamento controllato verso l'equilibrio è "entropico", cioè porta alla perdita di energia, alla morte del sistema. Oltre tutto, gli interventi sull'economia e sui limiti fisici sono sempre in ritardo rispetto al manifestarsi di stati critici, e i loro effetti sono ancora più ritardati, per cui il sistema rischia uno stato di fibrillazione, di "ordine instabile ai margini del caos" come si dice nelle teorie della complessità.
L'ultimo riquadro (D) visualizza un modello di economia che è la sintesi dei primi tre: la borghesia basa il mantenimento del proprio potere su un quadro di riferimento di tipo A, dove i limiti fisici sono solo oggetto di chiacchiere all'ONU, ai G8, ai World Social Forum o ad altri consessi parassiti, e ogni spinta dell'economia politica continua ad essere testardamente verso la crescita esponenziale. La realtà però procede, in contraddizione con l'ideologia e la prassi della crescita, verso aggiustamenti di tipo B e C, come dimostra in modo cristallino l'attuale crisi cosiddetta "dei mutui", che da un anno e mezzo fa impazzire gli economisti e i governi. Il risultato è che i limiti fisici sono superati dall'inerzia del sistema, i ritardi si accumulano, sia per quanto riguarda i segnali dell'economia politica, sia per quanto riguarda le risposte del sistema e dell'ambiente. I limiti fisici subiscono di conseguenza un'ulteriore degradazione fino a che il sistema va fuori controllo e precipita verso la catastrofe.
Fra poco analizzeremo il diagramma a più curve sovrapposte prodotto da un modello realizzato da alcuni esponenti della stessa borghesia, modello che tiene conto degli schemi B, C, D, utilizzati per confutare l'ipotesi di crescita continua e illimitata dello schema A, quello che l'economia politica utilizza come unico riferimento. Ma adesso che abbiamo familiarizzato con i quattro schemi (o modelli ad alto livello di astrazione) vediamo quali diagrammi si producono con i dati dell'economia reale, a cominciare dall'andamento nel tempo dei dati di un paese-tipo, gli Stati Uniti. Li confronteremo poi con quelli della produzione industriale dei maggiori paesi (ricordiamo che l'andamento della produzione industriale è analogo a quello del saggio medio di profitto). Per questi paesi abbiamo una gran quantità di dati, se pur spesso frammentari e non del tutto comparabili, raccolti nell'arco di mezzo secolo (cfr. Il corso del capitalismo mondiale) e riguardanti l'intero ciclo dal 1860 agli anni '80 del secolo scorso. Per la produzione industriale abbiamo continuato la serie cercando di riempire le lacune; qui la visualizzeremo solo dal 1914 al 2008, periodo più che sufficiente allo scopo che ci prefiggiamo. Per gli anni dal 1980 a oggi i dati sono tutti di fonte ufficiale, principalmente OCSE. A sottolineare la continuità di un lavoro collettivo nel tempo, metodo, criteri e dati sono qui integrati continuando i precedenti lavori. Per gli approfondimenti sui lavori del passato, oltre al citato Corso, raccomandiamo specificamente al lettore: Scienza economica marxista come programma rivoluzionario; La crisi storica del capitalismo senile; Dinamica dei processi storici – Teoria dell'accumulazione. Incominciamo ad introdurre il nostro modello facendo parlare dati e grafici.
Nella figura 2, che ricaviamo, aggiornando i dati, dal nostro volume Dinamica dei processi storici del 1992, è percettibile, a partire dalla metà degli anni '70, un punto di flesso, ovvero il cambiamento della tendenza storica della produzione industriale. Molto evidente la struttura "frattale" dei dati: vi è autosomiglianza fra i singoli periodi e l'intero ciclo, secondo la legge di Mandelbrot. Con l'aggiornamento dei dati dal 1990 ad oggi l'andamento asintotico della curva a "S" risulta assai pronunciato.
Per ragioni di compatibilità, l'integrazione degli incrementi relativi anno per anno, ricavati dal diagramma di figura 5, con i dati che utilizzammo nel 1992 rapportati all'indice 1913=100 è solo indicativa. Per una valutazione esatta diamo separatamente la tabella dei dati aggiornati dal 1990 al 2008 con relativo grafico (figura 2 bis), dal quale è ugualmente possibile rilevare l'andamento discendente:
Incrementi relativi della produzione industriale USA dal 1990 al 2008. Fonte: OCSE, CIA Factbook | ||||||||||||||||||
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1990 | 1991 | 1992 | 1993 | 1994 | 1995 | 1996 | 1997 | 1998 | 1999 | 2000 | 2001 | 2002 | 2003 | 2004 | 2005 | 2006 | 2007 | 2008 |
1,7 | − 2,7 | 0,8 | 3,4 | 5,4 | 4,9 | 4,5 | 6 | 3 | 2,5 | 2 | 4,5 | − 3 | − 0,4 | − 0,3 | 4,4 | 3,2 | 4 | (0,5) |
La figura 3, sempre ricavata dal volume citato, mostra in modo molto evidente non solo l'andamento asintotico a "S", ma una marcata diminuzione del numero di operai d'industria. Il punto di flesso è situato intorno agli anni '50, il calo assoluto inizia negli anni '80. Questa curva è particolarmente significativa perché indica, insieme al flesso, all'andamento asintotico e alla magnifica struttura frattale fra gli anni '20 e '30, gli effetti dell'aumento di produttività mentre nello stesso tempo aumenta regolarmente la popolazione. Questo andamento è un classico rivelatore della legge della caduta del saggio di profitto. L'aggiornamento agli anni successivi non è stato possibile per l'incompatibilità delle serie (le attuali tabelle storiche offrono il dato integrato di manifattura, miniere, trasporti e artigianato), ma anche in questo caso l'andamento è confermato da cifre isolate rinvenute in sedi diverse: di fronte al picco massimo del 1980 indicato nella figura 3, 20 milioni di salariati d'industria, abbiamo 17,4 milioni nel 2000, 16,2 nel 2005 e 15,9 nel 2007.
Nelle statistiche americane non compare ovviamente l'enorme massa di illegal workers, di cui si sa soltanto che sono circa il 10% degli immigrati clandestini (12 milioni secondo il governo, 20 milioni secondo un'inchiesta bancaria pubblicata da USA Today). Siccome solo nella zona di Los Angeles e nel sud della California il numero dei lavoratori in nero è stato stimato intorno al mezzo milione, è plausibile la cifra totale di 2 milioni (10% di 20 milioni). Anche le cifre sull'immigrazione e sui lavoratori clandestini sono molto significative perché sono un sintomo fondamentale della caduta del saggio di profitto. Una delle più potenti controtendenze alla legge della caduta è infatti il ricorso al lavoro in ambiente di bassa composizione organica del capitale. Nel settore delle costruzioni si ha il numero più alto di clandestini, il 15% della forza lavoro. A ciò si deve aggiungere la delocalizzazione di interi settori della produzione, per quanto riguarda gli USA specie in Messico e in Cina.
La figura 4 (ancora dal volume citato) mostra il classico, incredibile impennarsi della curva dei prezzi delle materie prime. Avevamo utilizzato i prezzi non depurati dall'inflazione in quanto, significativamente, è il loro stesso andamento a contribuirvi, mentre il valore dei prodotti dell'industria manifatturiera tende storicamente a scendere. Il grafico in questo caso non mostra alcun segno di struttura frattale perché la legge della rendita non permette recuperi nei cicli minori del sistema, se non molto parziali ed effimeri: il vulcanico esprimersi della produzione, teoricamente infinito, trova un limite nella finitezza fisica delle risorse della Terra, per di più pesantemente ipotecate dall'esistenza della proprietà.
La figura 5 completa l'andamento fino ai giorni nostri. I due grafici non sono integrabili a causa della diversa scala e soprattutto per la differenza dei "panieri" di materie prime che contengono. È comunque ben visibile lo stesso picco tra il 1972 e il 1981. La relativa stabilità della curva prima di tale periodo, addirittura dal 1860, e l'impennarsi successivo, dimostrano il cambiamento epocale dovuto alla crescita esponenziale della produzione che entra in contraddizione con la finitezza delle risorse. Di qui l'esplosione della rendita e quindi del capitale fittizio dovuto al drenaggio di plusvalore e alla sua conversione in credito bancario, il quale, a sua volta, in mancanza di valorizzazione nella sfera produttiva, genera massa monetaria "speculativa". Si tratta di un processo storico irreversibile. L'enorme drenaggio dovuto alla rendita va a gonfiare il capitale finanziario già esistente, soverchiante rispetto a quello industriale. La sua valorizzazione nei settori produttivi si fa ancora più problematica, e nella frenetica ricerca di un profitto o di un interesse, tutto viene reso vendibile; e diventa fittizio non solo il capitale ma anche il lavoro umano in "servizi" che sembrano produttivi di valore ma che in realtà lo ripartiscono soltanto nella società. Di qui l'inflazione, che superò il 20% in seguito alla crisi "petrolifera". Quando di fronte a questo meccanismo non c'è inflazione, e addirittura scende il prezzo delle materie prime (vedi il crollo del 2008), ciò significa che tutto il sistema è malato a partire dalla fondamentale produzione di plusvalore e che la crisi "finanziaria" è solo la febbre, non la malattia.
Che il sistema è malato lo si vede dalla figura 6 la quale, con la 7 e la 8 ricavate dalle stesse tabelle storiche, è la più interessante fra tutte quelle presenti in questo studio. Essa evidenzia la progressiva sincronizzazione delle maggiori economie, ovvero lo storico andamento asintotico degli incrementi relativi della produzione industriale. Questo diagramma è di importanza fondamentale perché rivela una contraddizione insanabile del sistema: l'impossibilità per i maggiori paesi di produrre, esportare merci, esportare capitali ed espandersi tutti insieme nel mondo globalizzato. I dati cinesi, riportati solo per gli ultimi anni, mostrano un'economia per il momento fuori dal coro. Quelli indiani sarebbero analoghi a quelli cinesi. La cosiddetta globalizzazione è nello stesso tempo una via di salvezza e un pericolo mortale per il capitalismo: un Capitale che prende sempre più le distanze dalle sue basi, cioè dalla proprietà e dalla nazionalità, diventa incontrollabile. E questo fenomeno non può che acuirsi. Nella divisione internazionale del lavoro molte tipologie di merci vengono abbandonate dalle industrie dei vecchi paesi capitalisti e la produzione si sposta nei paesi emergenti, i quali dispongono sia di forza-lavoro a basso costo, sia delle più recenti tecnologie, sia di nuovi e agguerriti apparati finanziari. Di conseguenza, in brevissimo tempo, i maggiori cinque o sei paesi di fresco capitalismo potrebbero rappresentare da soli l'intera produzione industriale del mondo. Già oggi avrebbero un potenziale produttivo in grado di soddisfare l'intera domanda di beni di consumo, anche durevoli. E stanno intaccando anche il settore primario dei mezzi di produzione.
Ma la produzione industriale coincide grosso modo con la produzione di plusvalore (lavoro produttivo) e quindi l'accumulazione mondiale tende a polarizzarsi, a far sì che i vecchi paesi capitalisti, produttori di servizi ormai per l'80% del PIL, debbano essere tributari di valore verso i nuovi paesi industriali. (Questo spiega ad esempio la situazione degli Stati Uniti nei confronti della Cina). Inoltre tutti i paesi industriali, vecchi e nuovi, devono versare un enorme tributo in valore alla rendita (petrolio e altre materie prime), la quale si trasforma immediatamente in capitale finanziario, aggravando la tendenza all'autonomizzazione del Capitale mondiale.
L'ingrandimento (fig. 7) di un tratto del diagramma di figura 6 ci permette di veder meglio la progressiva sincronizzazione, specie per quanto riguarda la caduta del 1975-76 e il periodo immediatamente successivo. L'estrema sincronizzazione delle economie industriali al picco negativo del 1975 è quasi esclusivamente dovuta al drenaggio di valore in seguito alla decuplicazione del prezzo del petrolio. Se togliessimo il Giappone che all'epoca era l'economia più vitale, (linea più alta) la sincronizzazione sarebbe ancora più evidente.
Nella figura 8 abbiamo reso con evidenza grafica la storica perdita di energia del sistema. I dati utilizzati sono gli stessi che sono serviti per il diagramma di figura 6 ricavati dal modello anni '50 (qui aggiornati solo al 1982). Dal 1870 al 1900 per tutti i paesi è crescita, quindi la fascia di oscillazione si amplia per poi sincronizzarsi verso il basso per la crisi del 1929. La ricostruzione postbellica porta la fascia di oscillazione − ancora relativamente ampia − quasi costantemente al di sopra della linea dello zero. Poi le economie si sincronizzano e precipitano nel 1975 procedendo con oscillazioni minime come in un encefalogramma che, una volta giunta la morte clinica del soggetto, diventa inesorabilmente piatto.
Man mano che il Capitale accumula, l'economia si finanziarizza, sale la capitalizzazione di borsa, aumentano le oscillazioni dei prezzi azionari, come mostrato in figura 9. L'andamento dell'indice Dow Jones offre una chiara visualizzazione del suddetto processo: la più grande catastrofe finanziaria, quella del 1929, è quasi impercettibile nel diagramma storico. Si nota appena un po' di più quella del 1987, quando in un sol giorno Wall Street crollò di quasi un terzo del suo valore. Ma a partire dalla metà degli anni '90 si nota una ripidissima ascesa dei prezzi, giustificata con l'esplosione delle nuove tecnologie, in realtà un mero sfogo del Capitale su di un ramo della produzione che non poteva mettere in moto l'economia come invece i rami classici, i quali richiedevano investimenti in fabbriche, infrastrutture, forza-lavoro, tecnologie, metodi. Infatti lo stesso diagramma mostra la fibrillazione del 1997-2000 con il precipizio dei prezzi in misura mai riscontrata prima. Senza però le ripercussioni sulla società che si ebbero con le oscillazioni del passato, specie nella Grande Crisi del 1929.
Nella figura 10 abbiamo gli stessi dati della figura 9 ma espressi in variazioni giornaliere dei valori assoluti invece che in valori assoluti. Siccome il valore complessivo della capitalizzazione di borsa a Wall Street è cresciuto con una dinamica simile a quella della produzione industriale, le variazioni giornaliere dell'indice misurate in valore assoluto appaiono enormemente amplificate. Ad esempio: nel 1929 vi fu un crollo percentuale alto, ma la borsa capitalizzava molto meno di adesso e quindi il crollo in valore fu minore. Oggi la borsa capitalizza molto di più e quindi anche una piccola variazione percentuale risulta molto ampia se misurata in valore. Infatti le oscillazioni del 1929 sono poco visibili, mentre fra il 1987 e il 2000 sono ampie, da –700 a +500 circa.
Il diagramma di fig. 10, visualizzando anch'esso un sistema in crescita auxologica, è una immagine speculare del diagramma della produzione industriale (figura 6). In quello si visualizza un sistema che va da una dinamica elevata a una oscillazione asfittica intorno allo zero; in questo, che rappresenta la finanziarizzazione, si visualizza un sistema che va dalla calma relativa di un'economia ancora basata sui "fondamentali" alla fibrillazione parossistica di un'economia impazzita, che tenta di slegarsi, senza riuscirvi, dalla produzione di plusvalore nel ciclo industria-servizi. I due "imbuti", perfettamente simmetrici, ci mostrano una contraddizione tremenda del capitalismo, simile a quella di una coltura batterica che sta morendo: più scende il livello energetico del sistema (per i batteri una carenza nell'ambiente-cibo), più aumenta il bisogno di energia del sistema stesso, dato che ogni batterio si agita disperatamente contro ogni altro per accaparrarsi la poca energia rimasta.
Individuare con precisione quale sia la dinamica del capitalismo di ieri e di oggi è indispensabile per affrontare il suo futuro, perché, come abbiamo visto, la semplice catalogazione statica dei fatti nel tempo, dal passato al presente, o la semplice traduzione in formule matematiche, non è scienza. Non a caso alcuni epistemologi affermano che la matematica non è una scienza bensì un suo strumento. Ma ritorniamo un momento agli Stati Uniti. Se scomponiamo la loro produzione totale (salario + plusvalore) nei tre classici settori: agricoltura, industria e servizi, abbiamo il diagramma di figura 11. Esso rappresenta l'andamento tipico valido per tutti i paesi di vecchia industrializzazione presenti nel grande diagramma di fig. 6. Nella formazione del valore totale quello dovuto all'agricoltura è ormai trascurabile, mentre cresce poco quello dovuto all'industria e si impone clamorosamente quello dovuto ai servizi. Qui non siamo dunque più soltanto di fronte alla mineralizzazione della società ma a una sua crescente smaterializzazione per quanto riguarda la produzione di merci. Di fronte ai servizi, merce immateriale per eccellenza che copre ormai l'80% del valore prodotto nelle società occidentali, le altre merci quasi non contano, pur tenendo presente che nella voce "industria" è inglobata quella estrattiva, compreso il petrolio.