La Grande Socializzazione (4)

Dal cooperativismo socialdemocratico al corporativismo fascista, dal comunismo oggettivo della fabbrica alla comunità soggettiva del padrone illuminato: la borghesia alla ricerca di un governo globale e l'emergere di un piano di vita per la specie nonostante le sue forme negate.

QUARTA PARTE

Il governo tecnico e i tecnici al governo

Il capitalismo tenta di superare le sue contraddizioni nei modi che la maturità storica e lo stadio dei rapporti di classe permettono, ed è questo tentativo che provoca mutamenti politici nella sovrastruttura.

Oltre che tecnici e umanisti vari, dalla Olivetti passarono figure di spicco della borghesia come Bruno Visentini e Aurelio Peccei. Il primo ne diventò presidente (fu poi deputato e senatore). Il secondo ne fu amministratore delegato (poi importante portavoce della borghesia preoccupata per le magagne del proprio sistema). Tali figure furono influenzate dalle teorie di Adriano Olivetti e le riverberarono all'esterno elaborando proposte di indirizzo politico e sociale volte all'ammodernamento della società intesa come sistema globale.

Visentini negli anni Ottanta elaborò la proposta di un "governo istituzionale" contro la partitocrazia imperante. Per superare il "consociativismo" (metodo di governo nel quale l'equilibrio politico è ottenuto grazie ad un sistema di alleanze e compromessi incrociati), e il pantano di trattative tra i partiti, per arrivare alla composizione di governi stabili ed efficienti, sarebbe stato necessario ritornare allo spirito che animava la Costituzione. Il dibattito sul tema partì dalle colonne del Corriere della Sera nel 1974 con due articoli firmati: "L'arte di governare" e "L'arte di governare e il difficile rapporto tra tecnici e politici". Il governo, si diceva, avrebbe dovuto essere nominato autonomamente dal Presidente della Repubblica, insediato a seguito del voto di fiducia del Parlamento, i rappresentanti eletti si sarebbero limitati a concedere la fiducia e approvare o disapprovare l'operato del governo.

La proposta fu sommersa da critiche e gli unici che si resero disponibili a discuterne furono Berlinguer e Longo del PCI. In un discorso a Varese nel febbraio 1981, Berlinguer affermava che Visentini

"non sbaglia nell'individuare una verità quando, pur partendo da punti di vista che non sono quelli della classe operaia e nostri, ma che riflettono un disagio diffuso nel mondo della produzione e in strati dell'opinione pubblica, parla come noi di impotenza e di non governo".

Non risulta che Visentini fosse un sostenitore delle tesi dei tecnocratici americani, ma nei fatti propose un modello sociale che funzionasse più su quello di un'industria che non sul mulino a chiacchiere parlamentare. In fin dei conti, auspicava la formazione di un governo di politici capaci e competenti, appartenenti ai partiti o anche fuori di essi.

Tale tesi venne ripresa e discussa nel 2011 da Eugenio Scalfari con l'articolo "Il governo tecnico e la destra storica" (Repubblica) dove, parlando del governo Monti e della sua agenda politica, ricordò:

"Nel 1980 [Visentini] sollevò il problema del governo istituzionale, non già come un'ipotesi da attuare in tempi di emergenza, ma come la soluzione permanente in linea con la Costituzione. Un governo nominato dal presidente della Repubblica e non negoziato con le segreterie dei partiti, come la cosiddetta Costituzione materiale della Prima Repubblica praticava, ma nominato dal capo dello Stato e ovviamente fiduciato dal Parlamento".

Il governo Monti, presentato come il governo dei professori, rivelò di non essere in grado di affrontare gli annosi problemi che affliggono l'Italia, come d'altronde tutti i governi che lo avevano preceduto, a cominciare dal governo "tecnico" Dini del 1995, il primo della storia repubblicana. Ma la perdita di efficienza degli stati e dei loro governi non è tanto dovuta all'insipienza dei vari personaggi che rappresentano la classe borghese quanto alla generale perdita di vitalità dell'intero sistema economico, causata dalla legge del saggio decrescente del profitto.

Come abbiamo scritto nella Lettera ai compagni "Il Diciotto Brumaio del Partito che non c'è", la borghesia italiana, per riordinare un po' la situazione avrebbe bisogno di una democrazia "snella", cioè un esecutivo non troppo intralciato da lobbies partitiche e "disfunzioni" varie.

Il discorso-programma di Matteo Renzi al meeting della Leopolda del 2014 sembrava volersi muovere in questa direzione: ridistribuzione del reddito da realizzare con provvedimenti utili alla ricostituzione di una fascia media di consumatori, accorpamento di tutti gli ammortizzatori sociali in una legge che regolamentasse un unico provvedimento sul "salario ai disoccupati", eliminazione delle 43 tipologie di lavoro precario introdotte dalla legge Biagi, eliminazione dei contratti di lavoro a scadenza fissa e loro sostituzione con la contrattazione aziendale, contratto di lavoro unico per tutte le categorie.

Se tali punti fossero stati realizzati, o meglio realizzabili, l'Italietta capitalistica, uno dei paesi con il debito pubblico più elevato al mondo e alle prese con un'economia in recessione, avrebbe goduto di una boccata d'ossigeno.

Una novità, se così la vogliamo chiamare, nel decrepito panorama politico italiano è stato il sito Rousseau, nato, a detta dei suoi promotori, per bypassare i meccanismi della democrazia rappresentativa classica e promuovere la partecipazione diretta dei cittadini nella scrittura di leggi e nella scelta delle liste elettorali: un tentativo di salvare la democrazia attraverso uno strumento quale la Rete, ritenuto indispensabile per proiettarla nel futuro. In un'intervista di qualche anno fa al quotidiano La Verità, Davide Casaleggio dichiarava che, data la velocità dei cambiamenti tecnologici, "il superamento della democrazia rappresentativa è inevitabile".

Ciò non implica necessariamente l'abolizione dell'istituto parlamentare: "Il Parlamento ci sarebbe e ci sarebbe con il suo primitivo e più alto compito: garantire che il volere dei cittadini venga tradotto in atti concreti e coerenti." Ma, continuava Casaleggio, "tra qualche lustro è possibile che non sia più necessario nemmeno in questa forma."

Interessante ammissione. Sta diventando sempre più evidente che il Parlamento è un istituto preistorico: almeno dal tempo di Marx ed Engels sappiamo che esso dovrà finire, insieme alla democrazia rappresentativa, tra i ferrivecchi della storia. La società può farne benissimo a meno, e non è necessario che passi troppo tempo per avere una potente verifica. Le fabbriche, ad esempio, funzionano benissimo senza la democrazia, le elezioni e i dibattiti: si stabilisce un obbiettivo e si predispongono i mezzi necessari (forza-lavoro, macchine, semilavorati, ecc.) per raggiungerlo. Due miliardi di salariati nel mondo passano buona parte della loro vita inseriti in un processo di produzione e quindi sono storicamente i più adatti ad estendere il piano all'insieme della società, rompendo gli angusti limiti aziendali e nazionali (che servono solo alle borghesie).

Globalizzazione e tecnocrazia

Buona parte degli antieuropeisti sostengono che l'Unione Europea ha un difetto nel manico, essendo stata costituita non attraverso uno spontaneo movimento federalista dal basso ma a seguito di un processo politico che avrebbe dato il potere a non meglio precisati centri tecnocratici, producendo una netta separazione tra élite e popolo, e quindi una divaricazione che si sarebbe amplificata negli ultimi anni producendo quei fenomeni di euroscetticismo cavalcati da partiti populisti che tanto successo hanno ottenuto in Italia, e anche altrove, nelle ultime tornate elettorali. Secondo la visione populista oggi in voga i centri del potere politico si sarebbero spostati dalle istituzioni democratiche nazionali a quelle sovranazionali non elette da alcuno, perciò ostaggio di oligarchie tecno-burocratiche indifferenti al "bene comune" e interessate unicamente all'andamento dei parametri di confronto fra le economie (lo spread fra i rendimenti dei titoli di stato dei vari paesi).

In effetti, agli occhi dei suoi critici, la Banca Centrale Europea e l'Unione Europea sono diventate le istituzioni che impongono agli stati membri i vincoli di stabilità che si traducono in misure economiche di austerità per i cittadini, colpendo maggiormente le fasce più povere della popolazione. Sarà anche vero, come sostengono i "sovranisti" di destra e di sinistra, che ubbidendo alla Troika (UE, BCE, FMI) e ai suoi referenti nazionali si è entrati in una fase post-democratica, ma dal processo di globalizzazione in corso, basato su una fitta rete di interdipendenze economiche, politiche e tecnologiche, che oltrepassano la giurisdizione dei singoli paesi, non si può certo tornare indietro. È la struttura materiale del capitalismo ad essere transnazionale.

Se al tempo della Grande Crisi del '29 ci furono, come abbiamo visto, massicci interventi degli stati nell'economia nazionale, con la crisi globale del 2008 sono scesi in campo i grandi organismi internazionali come la BCE e il FMI, gli unici in grado, almeno in teoria, di intervenire su cause che hanno una tale ampiezza da non poter essere affrontate dagli esecutivi nazionali, per di più in ordine sparso.

Il punto non sarebbe quindi scegliere tra democrazia e tecnocrazia, due facce della stessa capitalistica medaglia, ma cogliere la dinamica in corso che, in maniera tortuosa e contradditoria, procede verso un governo unico mondiale. Quest'ultimo, irrealizzabile all'interno di una forma sociale basata sulla guerra di tutti contro tutti, sarà perfettamente attuabile in una fase postcapitalistica in cui, dal governo degli uomini, si sia passati all'amministrazione delle cose.

In un governo tecnocratico molti vedono il pericolo di un dispotismo, di un allontanamento dalla "libertà". Se poi questo governo fosse realizzato alla scala mondiale sarebbe ancora peggio. Ma il punto essenziale non è la forma bensì la forza: a chi dovrebbe rispondere questo governo? Alle necessità di valorizzazione del Capitale oppure ai bisogni di specie?

Una volta liberato dal dominio alienante del valore (la produzione per la produzione), il ciclo produzione/consumo/amministrazione diventa un fatto metabolico dell'intero organismo sociale che si alimenta trasformando, tramite il lavoro umano (non più merce forza-lavoro), la materia esistente in natura e si risolve in uno scambio che tende all'equilibrio. A quel punto non esisterebbe più una divisione sociale del lavoro ma solo una divisione di tipo tecnico. Del resto, gli uomini sono diversi uno dall'altro e tendono a utilizzare le loro capacità nei campi in cui ottengono migliori risultati. Le differenze sono di per sé un vantaggio per la specie dato che gli individui comunicano, si scambiano informazioni e competenze accrescendo il proprio bagaglio conoscitivo e quello collettivo.

Il capitalismo è riuscito a darsi degli organismi di coordinamento sovranazionale come l'FMI, l'ONU, l'OMS, il WTO, la FAO, ma il problema è che questi organismi sono influenzati dalle borghesie nazionali (da quelle più potenti), in lotta per ricavarsi il loro spazio vitale a scapito delle altre. Non sono quindi dei ministeri di un governo mondiale, ma una simulazione di essi.

Con la globalizzazione, con la trasformazione della comunicazione da analogica in digitale, le autostrade informatiche, la trasformazione degli "atomi in bit" e la nascita di organismi finanziari internazionali, la necessità di fare il salto ad un esecutivo tecnico mondiale si fa sentire sempre più, ma non c'è borghesia al mondo che voglia cedere la propria sovranità nazionale. C'è quindi una contraddizione esplosiva tra le spinte centripete verso la chiusura nazionale e le spinte centrifughe verso l'apertura al mercato mondiale, contraddizione che ha provocato ad esempio la guerra dei dazi commerciali tra Usa e Cina, e la Brexit, l'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea.

La borghesia, nonostante sia limitata nelle sue analisi e nei suoi comportamenti dai suoi interessi di classe, ha avuto degli interessanti sprazzi di lucidità. Ricordiamo l'opera di J. Kennet Galbraith che, nel saggio Il nuovo stato industriale (1967), affronta la questione della tecnocrazia ai tempi dei monopoli industriali e delle grandi aziende globali, individuando l'esistenza di una "tecnostruttura" che sta prendendo il sopravvento nelle nostre società: le corporation (grandi imprese multinazionali) sono aziende che per la loro natura, per il volume di merci prodotte, per il numero di operai impiegati, per il tipo di pianificazione richiesta, necessitano per la loro direzione di un team di tecnici competenti in più discipline. Questa "tecnostruttura" si è autonomizzata dal resto della società e risponde solo a sé stessa.

Durante la guerra fredda (che cominciò subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale e fu "fredda" solo di nome), negli Stati Uniti era stata avviata una campagna ideologica contro la pianificazione russa, ma i servizi dell'amministrazione federale e statale statunitense costituivano, secondo Galbraith, tra il 20 e il 25% dell'intera attività economica! Da questo punto di vista, era più pianificata l'economia americana che non quella sovietica; e quella parte dell'economia Usa che non era controllata direttamente dallo stato lo era da grandi corporation con una loro pianificazione interna. La proposta che Galbraith formula ne Il nuovo stato industriale, e per cui venne accusato da ambienti della destra americana di essere un comunista (a torto, perché in realtà si trattava di neo-keynesismo), era la seguente: siccome le grandi aziende sono dirette da un'élite di tecnici subordinati alla logica mercantile, bisogna "rovesciare la prassi" attraverso una presa di coscienza generale (e qui ritorna il solito volontarismo borghese) in modo da orientare la produzione verso l'interesse generale e non verso il profitto. La "tecnostruttura", ovvero l'insieme dei tecnici e delle procedure che fanno funzionare i grandi organismi produttivi, dovrebbe quindi passare sotto il controllo pubblico attraverso la costituzione di monopoli di stato.

Il Club di Roma

Rimanendo negli anni Sessanta del secolo scorso, concludiamo questa carrellata di proposte che maturano nel campo avversario parlando dell'opera di Aurelio Peccei. Partigiano di Giustizia e Libertà, passa a lavorare come dirigente dalla Fiat alla Olivetti nel 1964. Gira il mondo: con la Fiat va a lavorare in Cina, apre fabbriche in Argentina; impara molte lingue, è un tecnico, un dirigente d'industria, uno dei fondatori dell'Alitalia.

Alla Olivetti viene eletto amministratore delegato, e ricopre un ruolo importante all'interno di organizzazioni non-governative per lo sviluppo dei paesi del Terzo Mondo. Spinto da queste esperienze, costituirà l'associazione non governativa "Club di Roma". Nel libro auto-biografico La qualità umana (1976), parlerà del periodo in cui esso si forma, delle prime riunioni internazionali (la prima è finanziata dal gruppo Fiat), del collegamento con il MIT, della nascita del modello Mondo3 (una simulazione dinamica dell'evoluzione del sistema-mondo) e dello studio I limiti dello sviluppo.

Nell'idea del suo fondatore, il Club di Roma non doveva superare il centinaio di membri per evitare di diventare un carrozzone inutile. Questo organismo si fondava su un non-statuto e doveva basarsi più sui contenuti (scientifici) che sulle forme (organizzative). Era internazionale e cercava di tenere lontani i politici, inutili chiacchieroni, per dotarsi della collaborazione di tecnici provenienti dal mondo scientifico, economico e industriale. Voleva essere un think tank, un centro di elaborazione di idee che irradiava verso il resto del mondo proposte e indicazioni in merito a una riforma radicale ("rivoluzione umanista") del sistema-mondo. Nel saggio La qualità umana, Peccei afferma:

"Il presente ordine – o, piuttosto disordine – politico non è al passo, né a livello nazionale né a quello internazionale, con le esigenze di una società sempre più tecnologica, sempre più integrata, e sempre più globale."

L'umanità non si trova più di fronte a singoli problemi (inquinamento, disoccupazione, crescita della popolazione, ecc.), ma ad una problematica mondiale. Non sono questioni che si possono risolvere una per volta, separatamente: essendo tutte interconnesse ci vuole un organismo mondiale che affronti il tutto con una logica sistemica. Il Club di Roma entra in contatto con Jay Forrester e il gruppo che al MIT studia la dinamica dei sistemi, facendo largo uso di strumenti matematici ed elettronici. I dati disponibili vengono immessi nei computer e posti in relazione fra loro per ricavare grafici e proiezioni sul futuro del sistema.

Il rapporto su I limiti dello sviluppo ha una risonanza mondiale e viene tradotto in pochi anni in quasi tutte le lingue del mondo. Il Club di Roma viene corteggiato da politici e da presidenti, si organizzano convegni e conferenze internazionali, ma nessuno sembra rendersi conto che dei limiti fisici esistono veramente e che una volta superati non si può tornare indietro. Nell'ipotesi che l'attuale linea di crescita continui inalterata, l'umanità è destinata a raggiungere i limiti naturali della crescita, e il risultato più probabile è un improvviso e incontrollabile declino della società. Nella prefazione al rapporto, Peccei ribadisce che il mondo

"è sempre più dominato da interdipendenze che ne fanno un sistema globale integrato dove l'uomo, la tecnologia e la Natura si condizionano reciprocamente mediante rapporti sempre più vincolanti." (I limiti dello sviluppo).

Secondo il modello Mondo3 non ci si deve chiedere se avverrà la catastrofe ma quando, nel caso non vengano prese delle misure per evitarla. Nel 1972 il Club di Roma calcola che sia ancora possibile fissare dei limiti e decidere di fermare lo sviluppo al momento voluto purché ci sia la volontà, una presa di coscienza globale, purché i governi collaborino spinti dall'opinione pubblica, ecc. Il modello prendeva in considerazione cinque parametri fondamentali: popolazione, risorse minerali, risorse alimentari, produzione industriale, inquinamento; era asettico e apolitico, ma molto chiaro nel mettere in luce un andamento nel tempo. Anche le proiezioni della nostra corrente, fatte negli anni Cinquanta con i dati che forniva la borghesia ("Il corso del capitalismo mondiale", 1956-58), davano per la metà degli anni Settanta il verificarsi di una singolarità storica, per cui il capitale non sarebbe più riuscito a valorizzarsi, schiacciato dal peso della rendita.

Per Peccei la specie umana non si può salvare se non superando l'idea preistorica della sovranità nazionale e delle frontiere. E per affrontare la problematica mondiale ci vuole un governo unico composto da persone competenti che agisca in un'ottica generale, non a vantaggio di particolari gruppi umani ma della specie. La necessità di pianificazione mondiale, nonostante le spinte contrarie dei capitali individuali e nazionali, è una tendenza storica irreversibile ("Rispunta la programmazione", n+1, n. 10).

Nel 1992 è stato pubblicato un aggiornamento del Rapporto: Beyond the Limits (oltre i limiti). Gli stessi autori dello studio del 1972, Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows e Jorgen Randers, riformulando le loro equazioni e ripercorrendo le curve di Mondo3, arrivarono alla conclusione che i limiti della "capacità di carico" del pianeta erano stati superati. Nel 2013 è uscito il documentario Last call - Ultima chiamata, scritto e diretto da Enrico Cerasuolo, che ripercorre le tappe di questo studio, fino all'ultimissimo aggiornamento Limits to Growth: The 30-Year Update (I nuovi limiti dello sviluppo) che ricalcola e conferma i risultati dei precedenti rapporti.

Governo 2.0

Il senso di questo studio, come abbiamo accennato all'inizio, è dimostrare che la società futura agisce su quella presente. L'uomo, la cui natura s'è fatta industria, a differenza degli animali progetta parte della propria vita, soprattutto, almeno per ora, nel campo della produzione di merci e dei mezzi di produzione. Se il pensiero è un risultato dell'organizzazione della materia, come sostenevano i rivoluzionari borghesi d'Holbach, Diderot, d'Alembert, come sosteneva Giacomo Leopardi, o come sosteneva Marx, tanto per utilizzare i nomi illustri come espediente mnemonico, allora il pensiero-progetto è determinato da un fine da raggiungere, perciò è la materia futura – ribadiamo – a muovere la materia presente.

Nel corso del presente lavoro, più che di comunisti, abbiamo parlato di idee, teorie e scuole della classe avversaria, che hanno registrato, in maniera più o meno consapevole, la tendenza del capitalismo a negare sé stesso e cercano un modo di porre rimedio alla disgregazione del sistema borghese, propugnando chi una corporativizzazione della società, chi un assetto tecnico a livello governativo, chi un sistema basato sull'equilibrio tra produzione e consumo, chi una razionalizzazione dell'economia.

La necessità di pianificare i flussi produttivi è un tratto distintivo della nostra epoca, emerge con sempre maggiore forza dal profondo della società sulla spinta della socializzazione della produzione e dello sviluppo tecnologico. La società futura incalza, ed è alla ricerca degli strumenti adatti per imporsi.

La concezione che finì con l'affermarsi nel Secondo dopoguerra nelle (post)democrazie parlamentari occidentali, basata sull'utopistica idea di responsabilità sociale dell'impresa, auspicava uno Stato sociale, che avrebbe dovuto garantire una ridistribuzione della ricchezza e una piena occupazione, misure ritenute indispensabili per tenere sotto controllo un proletariato che, seppur imbottito di ideologia demo-resistenziale, spesso e volentieri scendeva in lotta.

Ora che la pianificazione di segno capitalistico ha fatto il suo tempo (dopo la forma fascista non può che esserci quella comunista per tutti i motivi che abbiamo detto), si apre un nuovo ciclo in cui il piano di produzione si realizzerà su scala globale distruggendo le barriere aziendali e nazionali. Se non è la borghesia, classe nazionale e proprietaria, sarà un'altra classe che si farà carico di questa necessità, di un piano di vita per la specie umana, superando la proprietà. Ciò è previsto dal Manifesto del 48', nel capitolo "Proletari e comunisti", dove si afferma che i militanti della rivoluzione, nei vari stadi di sviluppo della lotta tra proletariato e borghesia, rappresentano sempre l'interesse del movimento complessivo. I comunisti sono l'avanguardia del proletariato perché conoscono le condizioni, l'andamento e i risultati generali del divenire storico, e si muovono di conseguenza.

Ecco come Engels descrive il passaggio dal dominio borghese a quello proletario fino all'estinzione stessa delle classi e dello Stato, sostituito da un'amministrazione "tecnica":

"Il primo atto in virtù del quale lo Stato realmente costituisce la rappresentanza dell'intera società e la presa del possesso dei mezzi di produzione nel nome della società, diviene al tempo stesso l'ultimo atto indipendente come Stato. L'interferenza dello Stato nelle relazioni sociali diviene, materia dopo materia, superfluo e pertanto soccombe; il governo delle persone viene sostituito dall'amministrazione delle cose, e dalla regolazione dei processi di produzione. Lo Stato non viene abolito. Esso cessa di esistere." (L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza, 1880)

Per l'amministrazione delle cose e la regolazione dei processi di produzione, la matematica, i modelli e gli schemi sono fondamentali, e nella prima nota del testo della nostra corrente "Elementi dell'economia marxista" (1946), si afferma che per fare scienza è necessario schematizzare la realtà sociale, trattando "le entità su cui si indaga con misure numeriche e relazioni matematiche tra le loro misure", in modo da rendere "le nozioni e le relazioni e il loro possesso e maneggio meno individuali, più impersonali e valevoli collettivamente".

Da allora, dal tempo degli "Elementi", il compito per i comunisti è facilitato visti i mezzi tecnologici oggi a disposizione. Già con il Project Cybersyn, sviluppato dall'informatico canadese Stafford Beer in Cile nei primi anni '70, su interessamento della Corporazione per il Miglioramento della Produzione (CORFO), si voleva approntare un sistema cibernetico per il controllo in tempo reale della produzione industriale del paese. Cybersyn, nell'intento del suo progettista, doveva essere un sistema vitale di coordinamento della produzione che copiava il sistema nervoso dell'essere umano.

Di esso si parla nell'articolo di Nick Dyer-Witheford, studioso di scienze dell'informazione e dei media, "Red plenty platforms", che prende spunto dal romanzo Red Plenty di Francis Spufford, in cui si offre un resoconto romanzato del fallito tentativo, da parte dei cibernetici sovietici degli anni Sessanta, di istituire un sistema completamente computerizzato di programmazione economica. L'articolo descrive la capacità umana di progettazione sociale, al tempo delle reti, dei data-center e dei cloud computing, che rendono l'abbondanza rossa ("a ciascuno secondo i suoi bisogni") non più un sogno, ma qualcosa di realizzabile qui e ora, liberando la tecnologia dalla morsa del capitalismo.

Computer, Internet, Big data, il mondo è sempre più interconnesso e, nella produzione, gli uomini sono sostituiti dai robot, dagli algoritmi e dall'intelligenza artificiale. Tutto questo renderebbe possibile quello che in "Red Plenty Platforms", viene chiamato "comunismo cibernetico", un metabolismo umano regolato da sensori e attuatori sparsi ovunque. Per Dyer-Witheford, la società futura farà ampio

"uso dei più avanzati super-computer per calcolare algoritmicamente tempo di lavoro e richiesta di risorse, a livello globale, regionale e locale, per molteplici possibili percorsi di sviluppo umano; […] aggiornamento alla velocità della luce e revisione costante dei piani selezionati tramite flussi di dati di grandi dimensioni provenienti dalle fonti di produzione e di consumo, il passaggio di un crescente numero di beni e servizi nel regno della libertà o meglio della produzione diretta come valori d'uso, una volta che l'automazione, il copy-left, i beni comuni prodotti con il peer-to-peer ed altre forme di microreplicazione prendono piede; l'informatizzazione di tutto il processo tramite parametri fissati dalle simulazioni, dai sensori e dai sistemi satellitari per misurare e monitorare l'interscambio metabolico della specie con l'ambiente planetario." ("Red Plenty Platforms")

Aziende come Walmart, dispongono di sensori che acquisiscono informazioni ad ogni livello, dal comportamento dei consumatori nei negozi alle giacenze sugli scaffali, dal percorso lungo la rete logistica a quello che porta a casa del consumatore. La potenza di calcolo necessaria al controllo dell'intero sistema aziendale è seconda solo a quella del Pentagono ("Marcati sintomi di società futura", n. 34, n+1).

Il passaggio dal governo cibernetico dell'azienda a quello del governo di un paese o del mondo è solo un problema di scala e qualche borghese ha già scritto delle cose interessanti in merito. L'Istituto Bruno Leoni, un centro di ricerche e studi liberista, ha pubblicato sul suo sito l'articolo "La rete ha già iniziato a uccidere la democrazia" in cui si approfondisce il tema della sostituzione della democrazia parlamentare con meccanismi quali la blockchain, gli smart contract e le Dao (Organizzazioni autonome decentralizzate). Vengono in mente le teorie di Tim O'Reilly, esponente della galassia right-libertarian americana, che vede nello sviluppo di queste tecnologie la possibilità di scardinare i sistemi di governo attuali, superando la stessa forma statale. Nella sua proposta Government as a Platform, O'Reilly propone un modello di società governata da algoritmi, in cui intelligenza artificiale e biologica collaborino nella gestione di complesse comunità autopoietiche. Obiettivo del Governo 2.0 è quello di costruire, a differenza delle istituzioni di oggi, architetture semplici che permettano non tanto l'accesso ai dati raccolti dal governo, ma una coevoluzione di cittadini e piattaforma Internet grazie all'uso e all'analisi dei dati da entrambe le parti.

Insomma, quel che O'Reilly descrive è una mente collettiva, un cervello sociale, un meccanismo cibernetico che raccoglie dati dalla società modificandosi in base ad essi. La struttura delle comunicazioni, che lo stesso Marx prese in esame, ha raggiunto un livello integratissimo. Lo affermavamo sul numero zero di questa rivista, nel 2000. Oggi son passati vent'anni e questi processi sono talmente evidenti che sarebbe stupido negarli, tanto che anche i borghesi, tendenzialmente portati a occuparsi solo del profitto, sono costretti a tenerne conto. Quello che a noi interessa sottolineare, oggi come allora, è che la società di domani saprà utilizzare questa forza al meglio e il risultato sarà così potente da potersi paragonare a quello raggiunto dall'umanità con il passaggio dalla raccolta in natura alla produzione cosciente di cibo e manufatti.

Un piano di vita per la specie

Come scritto nel filo del tempo "La batracomiomachia", la legge del valore vieta al capitalismo la "organizzazione in vista di uno scopo" dell'intera comunità umana, in quanto il fine di ogni azienda come di ogni Stato è prevalere sul proprio vicino. Ciò è tanto più valido nell'epoca della pianificazione a breve termine e dell'uso massiccio di strumenti finanziari sofisticati, nel cui mondo quel che conta è il profitto immediato, non importa come raggiunto. Questo modo di agire e di pensare non contempla lo studio del futuro e, di conseguenza, è disarmato di fronte alle ricorrenti e devastanti crisi (che tra l'altro già al suo tempo Engels considerava tendenti alla trasformazione da acute in croniche).

Per tirare le somme, affermiamo che la programmazione capitalistica era già morta prima ancora di nascere, uccisa dalla contraddizione fra l'esigenza centralizzatrice del Capitale e l'anarchia del mercato. Problema grosso per la società borghese quello dell'irresponsabilità del sistema verso sé stesso, tema che viene affrontato con una certa preoccupazione da Luciano Gallino nel saggio L'impresa irresponsabile e da Silvano Andriani in L'ascesa della finanza, in cui è descritta la degenerazione dell'economia di mercato a causa del crescere vorticoso della finanza. En passant: secondo il Sole 24 Ore il valore dei derivati in circolazione a livello mondiale nel 2018 sfiora la sbalorditiva cifra di 2,2 milioni di miliardi di euro, 33 volte il PIL mondiale.

Gli Stati non riescono più a controllare gli scambi e la produzione in un'economia globalizzata e finanziarizzata, e i più attenti tra i borghesi lanciano segnali allarmati sul sistema Out of Control (titolo di un libro di Kevin Kelly sulla commistione fra il vivente e l'artificiale). Tra la vecchia società che muore e quella nuova che emerge rimane soltanto una sottile benché potente barriera, composta da polizie, eserciti e carceri.

La borghesia strilla sempre più forte che il comunismo è morto, che il capitalismo ha ancora un futuro e che nessuno vuole un cambiamento di tipo rivoluzionario, ma è terrorizzata dall'emergere di un movimento di massa senza rivendicazioni e senza leader che, col suo semplice esistere, genera una contro-società. E la sua paura è del tutto fondata, perché le rivolte e i disordini sociali non fanno che aumentare, in rapporto diretto alla crescita della miseria sociale e della "vita senza senso".

Se l'istinto biologico è la "conoscenza ereditaria di un piano specifico di vita" ("I fattori di razza e nazione nella teoria marxista", 1953), chiunque formi e possieda piani, sia esso un capitalista oppure un rivoluzionario, lavora su dati del futuro. Qualsiasi attività umana è impossibile senza un minimo di previsione, e questo gli imprenditori lo sanno bene quando mettono mano al portafogli per acquistare materie prime e manufatti, assumere personale o chiedere un prestito in banca per acquistare nuovi macchinari. Anche gli Stati cercano di pianificare i loro interventi in ambito nazionale e internazionale nell'ottica della conquista di nuovi sbocchi commerciali e dell'allargamento della propria area di influenza. Ma i piani dei vari stati collidono l'uno con l'altro generando l'anarchia del mercato e con ciò crisi, guerre e lotte di classe, com'è registrato nel filo del tempo "Nel vortice della mercantile anarchia" (1952):

"Tale anarchia conduce allo scompenso e alla crisi economica, e quindi al crollo del sistema mercantile. Ma altra è la pianificazione di classe che il capitalismo moderno attua per allontanare le conseguenze di tale congenita anarchia, e che è pianificazione di repressione degli antagonismi, e calcolo generale ai fini dei massimi di rendimento aziendale mercantilmente valutato, altro la nostra pianificazione del lavoro e del consumo generale, calcolo di valori d'uso in unità fisiche, e non di valori mercantili."

Conseguentemente, nell'articolo si afferma che,

"La divisione aziendale del lavoro, la specializzazione professionale, la stessa divisione sociale del lavoro, sono combattute nella visione di una organizzazione comunistica."

Facendo un rapido volo attraverso tutto il ciclo delle società proprietarie, abbiamo visto le isole chiuse di produzione allargarsi nel corso dei secoli sempre più fino ad inglobare masse enormi di operai nella grande industria capitalistica reticolare, con la conseguente necessità di organizzazione scientifica del lavoro, ma con la catastrofica prospettiva di disastri non rattoppabili in una situazione di crisi sistemica. Anche in seguito al ripetersi in scala sempre più ampia di sciagure ambientali, economiche e umanitarie, dovute all'anarchia sociale, emergerà dalla società il bisogno di un radicale cambiamento, la ricerca di un punto di riferimento, di un partito che non miri alla riforma del capitalismo, alla gestione politica dell'esistente, come tutti quelli oggi in circolazione, ma ad una prospettiva ben più ampia, al traghettamento dell'umanità a un livello n+1 (per la nostra corrente, il partito come organo di classe, anticipa nel suo funzionamento la società di domani).

Questo organismo, pur essendo composto da una minoranza, avrà la capacità di influenzare vaste masse di uomini collegandosi ad esse in "doppia direzione", come descritto dal nostro schema del rovesciamento della prassi ("Teoria e azione nella dottrina marxista", 1951).

Risulta chiaro, a questo punto, che la società futura vedrà la fine della divisione aziendale del lavoro e dell'anarchico disordine della produzione, perché dopo il crollo dell'attuale modo di produzione ci sarà un'unica e organicamente centralizzata direzione di ogni funzione dei settori del lavoro produttivo.

Il comunismo è la "conoscenza di un piano di vita per la specie." (Proprietà e Capitale, cap. XVII).

BIBLIOGRAFIA

  • - Amore Bianco Fabrizio, Il cantiere Bottai, ed. Cantagalli, 2012.
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Rivista n. 47