Contributo per una teoria comunista dello Stato (2)
Quinto livello: capitalismo
Con quest'ordine si scopre qualcosa in più togliendo piuttosto che immettendo. Vale per gli strati, vale per i modi di produzione, vale per qualche particolare all'interno del modo di produzione. Per esempio: giunti allo strato feudale, abbiamo una contaminazione da anticipi di capitalismo, se li togliamo rimane un feudalesimo con residui di antichità classica, se togliamo anche questi abbiamo un feudalesimo che è esistito soltanto come modello: utile solo se sappiamo che è un modello astratto (riduzionista).
Lo scenario è dunque il seguente: viviamo nell'epoca del capitalismo sovrasviluppato, pieno di acciacchi ma ancora vivo, anzi, diventato un morto vivente, uno zombi. Stiamo cercando di dare una spiegazione alla nascita dello Stato, al suo successo e alla sua evoluzione da principio amministrativo a strumento del dominio di classe. Basandoci sul testo Dottrina dei modi di produzione, abbiamo verificato l'invarianza storica presente in tutte le forme sociali che si sono succedute nei millenni: il lavoro umano consiste nel 1) prelevare dalla natura, 2) trasformare, 3) ammassare, 4) distribuire, 5) consumare. Tutti gli esseri viventi sono coinvolti in questo ciclo, anche se i non-umani possono recitare solo in due scenari: prelevare dalla natura e consumare ciò che si è prelevato.
La prima operazione prevista per l'inizio di uno scavo è la ricognizione di superficie. Piccoli frammenti di passato sono venuti alla luce nei millenni spinti dai lavori agricoli, dalle ristrutturazioni, dalla vegetazione, dagli animali, ecc. È incredibile quanta informazione si ricavi quasi dal niente, cioè da minuscoli cocci, pezzi di mattone, pezzi di marmo, monete, frammenti di intonaco. È importante sapere che questa informazione c'è e che, rispetto a quello che sappiamo già, a quello che presumiamo di trovare sottoterra e a quello che ci diranno eventuali sorprese, è forse più di ciò che disse l'intera città di Micene a Schliemann dopo lo scavo di fine '800. L'importante è avere un metodo d'indagine che riesca a tradurre un grande numero di dati statistici quantitativi in un numero anche piccolo ma chiaro di dati analogici qualitativi, non solo sull'oggetto osservato ma sul suo ambiente, cioè sull'ultimo strato storico, cioè sul primo che siamo costretti a scavare. Molto spesso per un esperto un coccio è come se fosse firmato, una fibbia di bronzo presuppone metallurgia, una moneta rivela merci, mercato, Stato. L'archeologia è una disciplina che ne raccoglie molte altre, dalla storia alla botanica, dall'antropologia alle tecniche dei materiali, dall'evoluzione all'economia. Oggi, quando si inizia uno scavo, non si parte dal niente.
Nel riavvolgere la pellicola in direzione del passato, cercando di individuare la forma-Stato nel suo divenire, dobbiamo interrompere la continuità e discretizzare la storia fermandoci alle svolte che punteggiano lo sviluppo dei modi di produzione. La stratigrafia intatta del nostro modello è un cumulo con il riporto, uno sull'altro, degli strati lasciati da più di quattromila anni di storia. Quello lasciato dagli ultimi abitanti della collina, nostri contemporanei, mostra i caratteri tipici del modo di produzione attuale. È il più dotato di potenza, ricchezza, conoscenza specifica, strumentazione teorica e pratica ma è anche quello che ha raggiunto meno risultati nel distribuire il prodotto sociale in relazione ai bisogni materiali della società e ad ogni singolo individuo che la compone. Faremo riferimento a questo livello perché, come abbiamo detto, riassume in sé tutti gli altri, ma terremo presente che per capire la genesi dello Stato attuale è necessario scavare togliendo tutto ciò che nasconde gli strati inferiori, cioè materiale di riempimento dovuto a demolizioni, crolli, rifacimenti, polvere portata dal vento e, non ultimo, il risultato dello scavo stesso, che per portare alla luce uno strato profondo, deve eliminare ciò che sopra si è accumulato. Torneremo al livello capitalistico lasciandolo per ultimo. Ultimo a lasciare definitivamente la scena. Ultimo ad aver bisogno di categorie che per la nostra specie sono solo "spazzatura della storia". Ultimo anche se nello scavo lo troviamo per primo, a fare da battistrada alla "società veramente umana" dopo essere riuscito a precipitarla al rango di paradigma del disumano.
Metodologia fuzzy
Sorge subito un problema: questo nostro modello sembra aver bisogno di troppi adattamenti per poter funzionare. Di quali forme sociali parliamo? Teniamo conto più delle analogie o delle differenze? Il modello di quella società è mostrato alla sua nascita o alla sua scomparsa? Le forme sociali si susseguono, ognuna aggiungendo una particolarità alla precedente, mentre muoiono quelle ormai inutili. Quella feudale francese al tempo del suo massimo sviluppo è già di segno capitalistico. Quella dei Comuni italiani ancora prima, molto prima, non è solo protocapitalista: fiera nemica degli imperatori feudali in alcuni settori è già capitalista. Evidentemente, per esclusione, dobbiamo adottare una forma feudale ripulita dalle contaminazioni di epoche precedenti e successive. Se così facciamo, però, dobbiamo essere consapevoli che dopo la "pulizia", ci rimane la forma romantica dei castelli turriti, dei baroni e dei servi, una forma feudale distante da una realtà molto articolata e complessa, una forma esistita solo in letteratura, da Robin Hood a Ettore Fieramosca. Oppure in modelli ad alta astrazione, a volte utili per capire un problema troppo complesso.
Questa forma semplificata non ha Stato anche se ha coloro che abbiamo definito re e imperatori: non ha cioè le caratteristiche salienti che abbiamo fin qui elencato per definirsi Stato. Ciò non significa affatto che in essa manchi un'autorità funzionale, come potrebbe essere la religione. Alcuni storici ritengono di poter definire "feudale" l'Antico Egitto nell'epoca che va dal 3.200 al 2.700 a.C., quando la bassa valle del Nilo non era unificata con quella alta e il territorio era suddiviso fra dinastie locali, "feudali". Criteri come questo per noi non hanno senso. Qui potremmo allora ipotizzare lo strato feudale come centro abitato dell'Impero ottomano verso il XIV secolo: non sarebbe verosimile, ma un'operazione del genere sarebbe fattibile sulla base di analogie ben osservabili. Allo stesso titolo avremmo potuto collocare i Turchi ottomani nel modo di produzione asiatico; l'imprecisione non sarebbe risultata maggiore. Certo, il feudalesimo europeo ha l'impronta ineliminabile della Chiesa, questo organismo millenario vi grandeggia, tanto che feudalesimo e Chiesa non possono essere disgiunti. Sappiamo che non si può procedere con una modellazione riduzionista se togliendo qualcosa la forma sociale diventa qualcos'altro. Se togliamo la Chiesa togliamo la filosofia medioevale, la rete delle cattedrali e delle abbazie, la trasmissione dei classici dell'antichità. Anche l'Impero ottomano non può essere disgiunto dall'Islam. Per quanto astratto, si forma un essere sociale unitario, indivisibile, un modello paradigmatico che viene fissato dalla consuetudine. Molti continuano a definire "feudale" la Russia prerivoluzionaria sulla base del rapporto fra il grande proprietario terriero e la comunità di villaggio che egli amministra. Nel secondo dopoguerra il partito stalinista italiano adotta la formula "feudale" a proposito del latifondismo meridionale. Stiracchiando le analogie non si fa diventare "feudalesimo" una società nella quale il contadino "sembra" a un servo e il padrone "sembra" a un nobile signore feudale. L'errore non si nasconde nella quantità di arbitrio che lasciamo nel modello, bensì nell'uso che ne facciamo. A noi interessa sapere, per quanto riguarda questo studio, se nello scavo del livello che precede quello capitalistico esiste lo Stato e quale tipo di influenza esso abbia sulla società.
Bisogna individuare la forma pura eliminando le parti che la rendono spuria. Nel numero 35 di questa rivista abbiamo preso in esame la situazione italiana attraverso due esempi eclatanti di signori feudali, Matilde di Canossa e Federico II di Svevia. Due potentati dell'epoca che incarnavano la figura del signore feudale ma che anticipavano – anzi erano già – altro. Non guidavano uno Stato, ma erano immersi in uno scenario statale non feudale. La rivoluzione capitalistica è pragmatica: Dante nel suo trattato sulla monarchia è decisamente a favore del potere unitario centralizzato dell'imperatore contro la Chiesa e certo ha in mente l'esempio riformatore di Federico II, il quale, pur nemico della Chiesa, aveva chiesto da imperatore di essere accolto fra i monaci cistercensi, produttori, mercanti e costruttori dei suoi castelli e fortilizi. Tutto ciò pochi anni dopo che Matilde, regina d'Italia, alleata con il Papa, aveva umiliato l'imperatore Enrico IV a Canossa.
Quarto livello: i feudali senza Stato
Nonostante questi esempi, il feudalesimo come sovrastruttura sarebbe stato ricordato con l'estetica "medioevale" dei castelli turriti; la struttura profonda sarebbe invece stata oscurata per qualche secolo, prima che, nel '900, l'interesse e la curiosità per la vera natura del periodo emergesse dalle informazioni conservate nelle biblioteche e… sottoterra: l'Impero Romano era precipitato, dopo le guerre gotiche, a forse un quinto degli abitanti, ma era ormai ritornato ai numeri precedenti, e in Europa da ogni campanile (quindi da ogni cattedrale) se ne poteva scorgere un altro, senza soluzione di continuità in una rete di insediamenti urbani. Castelli e cattedrali si vedono ancora, mentre il ciclo produttivo della tessitura industriale, la produzione di acciaio o l'introduzione della staffa e dei finimenti, il timone del carro sono meno appariscenti. Gli aratri a vomere, versoio e coltello erano simili a quelli ancora in uso adesso, ma non ci danno informazione sul rivoluzionario effetto che ebbero sull'agricoltura. L'archeologia medioevale quasi non esisteva fino a qualche decennio fa, e quindi avevamo mediamente una conoscenza distorta di quei secoli, proveniente soprattutto dalla documentazione conservata a fini religiosi.
Si può dire che non mancava tanto la conoscenza dei fatti, dei costumi, della società, quanto la comprensione dei nessi tra le varie parti. Perciò la percezione media prodotta dal Medioevo sull'osservatore era un misto fra l'oscurantismo religioso e la frammentazione del territorio fra i vari personaggi "aventi diritto"; che poi voleva dire diritto acquisito in genere con la conquista violenta e sancito da una scala gerarchica delle dipendenze dal sovrano al servo della gleba. Così la feudataria Matilde è immaginata mentre si aggira nel cupo castello di Canossa, mentre abitava in realtà in luminosi palazzi in diverse metropoli di allora, protette con i loro mercati da una rete di fortezze. Anche l'imperatore feudale Federico II risiedette in palazzi urbani, e si dedicò alla progettazione di fortezze a difesa di città, di traffici, di opifici di stato e di un'agricoltura industriale.
L'archeologia del Medioevo ha avuto il merito di scavare non solo nella terra ma anche, come conseguenza, nelle biblioteche antiche. Per cui è scaturita una conoscenza diversa, che ci permette di individuare un filo rosso che attraversa i "secoli oscuri" e li spoglia delle contaminazioni subite a causa delle forme sociali sovrapposte, quella capitalistica e quella antico-classica.
L'operazione di pulizia e restauro della forma feudale è facilitata dall'opera distruttiva delle popolazioni barbariche e dalla successiva rinascita delle tecniche e della scienza. Nel Medioevo c'è poca antichità classica non perché i barbari abbiano distrutto fisicamente le opere della civiltà greco-romana, ma perché l'hanno lasciata estinguere disinteressandosi alle sue sorti (i cristiani non distrussero soltanto il paganesimo come sovrastruttura ideologica ma polverizzarono fisicamente l'immensa opera dell'Impero facendone cava da materiale edilizio e miniera da metalli). I barbari erano portatori di un modo di produzione più antico, sul quale non poteva essere innestato quello classico. Ne conseguì una struttura originale, che non ricordava né quella classica, né quella capitalista, bensì una commistione fra forma sociale germanica e forma proto-capitalistica tardo-romana. Come se il Medioevo avesse saltato una fase per poi riempirla di contenuti completamente nuovi.
La forma germanica prevedeva in generale la proprietà collettiva della terra e una quota in proprietà della famiglia, per cui i membri della comunità in grado di lavorare diventavano auto-sufficienti in quanto avevano il controllo sui propri mezzi di produzione. Ciò è completamente diverso dalla influenza "asiatica", suggerita da alcuni, per la quale il membro della comunità non ha alcun rapporto proprietario, né come individuo, né come insieme sociale, cioè collettivo, rappresentato dalla famiglia. Le tribù che non avevano abbandonato questo tipo di rapporto, come quelle longobarde, si erano sistemate sul territorio in villaggi al di fuori delle città accontentandosi del tributo pagato dai "Romani" sconfitti.
Così la forma feudale, che si presenta spuria all'indagine archeologica, in realtà era tutt'altro che ibrida: le ondate barbariche, generatesi probabilmente in Mongolia e riversatesi in Asia spingendo a Occidente le popolazioni locali, poterono competere tutte insieme sul piano militare, ma non su quello dello Stato. La loro omogeneità consisteva nel fatto che tutte erano invarianti sul piano della barbarie ma non erano in grado di assorbire dal mondo romano l'unità politica, dividendosi in tanti regni quante erano le etnie.
Da Odoacre a Carlo Magno, e poi con la Chiesa che fuse la propria struttura con la società, in mezzo millennio maturò la svolta dell'anno Mille. L'operazione di restauro che toglie decisamente le contaminazioni, rende la forma feudale piuttosto pura e per di più originale. Sull'embrione barbarico si sviluppò la mitologia del soldato che diventa cavaliere e barone inserendosi nella gerarchia delle dipendenze, cioè del potere (vassallaggio). La Chiesa imprestò il suo braccio secolare in funzione di Stato. Si sviluppò anche e soprattutto la base produttiva che fece risorgere le città, costruire cattedrali, istituire fiere mercantili, aprire manifatture in tutta Europa. La produzione parcellare e lo stoccaggio generale per mezzo di gabelle per il barone e decime per i prelati resero duraturo il sistema a dispetto della sua instabilità.
Considerazioni lungo il cammino
Siamo partiti dalla ricognizione di superficie, sia in senso empirico che in senso metaforico, ricognizione che ci ha dato un primo schema di lavoro basato sulle "condizioni al contorno". Con il feudalesimo scompare apparentemente il consumo differito delle derrate alimentari, quindi sparisce tutta la grande infrastruttura romana per l'ammasso, la conservazione e la distribuzione del cibo. Oltre all'immane magazzino a cielo aperto di marmi, pietra e mattoni, per mille e più anni sono bruciati nei forni da calce sculture, fregi e rilievi. Scompaiono le biblioteche. Le infrastrutture cambiano decisamente: dal controllo centralizzato di Roma, si passa alla gestione locale del territorio tramite una gerarchia fissa di dipendenze. Mercanti e artigiani sostituiscono le forme precedenti gestite o dallo stato o dai ricchi privati. Dall'XI secolo nascono le prime manifatture che rimangono solo nominalmente nelle corporazioni. La rete dei traffici da allora non cessa di ampliarsi, come dimostra l'ascesa delle potenti repubbliche marinare. Il magazzino si diffonde presso i mercanti e diventa "mobile" passando da una fiera all'altra. Il sale e soprattutto le spezie permettono di conservare meglio i cibi. Le spezie hanno anche il vantaggio di rappresentare molto valore in pochissimo spazio, per cui una flotta diventa enormemente redditizia. Alla borghesia nascente non serve lo Stato, serve qualcuno che controlli la situazione in casa mentre le flotte circumnavigano il mondo ampliando ulteriormente i traffici. A questo punto non è cambiata solo la forma del governo, cioè dello Stato, è cambiato il modo di produzione.
Il quale richiede qualche considerazione in corso d'opera:
1) non è possibile avere una "teoria dello Stato" se non si ha una teoria del succedersi dei modi di produzione;
2) tale teoria poggia su di una legge generale esposta da Marx nel 1859: il motore del cambiamento è l'aumento della forza produttiva sociale;
3) tale aumento non deve essere confuso con i dati quantitativi sulla produzione/popolazione. Più che alla produttività si richiama al rendimento;
4) un modo di produzione muore quando se ne affaccia alla storia un altro di rendimento superiore;
5) nessun modo di produzione è "puro": si porta appresso caratteri di quello precedente e ne anticipa di quelli futuri;
6) scavando nel nostro modello standard di sito archeologico stiamo constatando che nel primo strato (quello odierno, sottile, capitalistico) vi sono magazzini come negli altri strati, ma sono un po' particolari, come vedremo al termine della nostra incursione archeologica;
7) siamo archeologi dei modi di produzione, quindi sappiamo che, nella storia che ci interessa, di magazzini ne troveremo ovunque e spesso di proporzioni vastissime. Ma ciò che occorre valutare con precisione è la funzione dei magazzini nelle diverse epoche o civiltà;
8) il magazzino medioevale o antico serve per accumulare e conservare, la sua funzione è quella di consentire un'amministrazione dei flussi riguardo al contenuto, è prospero quando è pieno zeppo, quando accoglie la produzione e la smista verso i soggetti che la debbono consumare.
9) Il magazzino odierno, capitalistico, teorizzato e realizzato, sia esso pubblico o privato, è una struttura che serve a mobilitare il più velocemente possibile le merci, quando è vuoto vuol dire che funziona bene, che la sua connessione con la produzione just-in-time e con la rete logistica è ben sincronizzata.
Quarto livello: i feudali senza feudo
Ritornando al nostro paradigmatico scavo, immaginiamo che il cantiere degli archeologi sia stato aperto a causa della costruzione di un gigantesco hub di Amazon. Sarà un enorme complesso di capannoni-magazzino, magari con droniporto annesso. Scavando per le fondamenta, ci si è imbattuti negli strati di un insediamento continuo che, risalendo nel tempo, va dall'epoca medioevale alla preistoria. Tolto lo strato sottile, quello della nostra epoca, ridotto dai lavori agricoli a mezzo metro di profondità, troviamo i resti del castello e della chiesa ormai visibili solo in pianta, la necropoli longobarda, le basi di capanna del villaggio con le buche dei pali della cinta difensiva, il forno comune, molta ceramica. Il castello e la chiesa dimostrano che era nato un nuovo modo di produzione ma che, data la iniziale povertà del materiale sociale di cui disponevano gli invasori, aveva sviluppato una forma di convivenza tra elementi incompatibili, "separati in casa". Situazione che peraltro durò poco, due o tre secoli, da Alboino a Desiderio. Alessandro Manzoni riteneva che i Longobardi fossero alla fine diventati Romani. In realtà i Longobardi avevano leggi orali proprie, mentre i Romani continuarono con il diritto dell'ex impero. Ciò è in contraddizione con i requisiti fin qui trattati a proposito dello Stato: fino al 700, infatti, le leggi separate per i due frammenti della società impedirono l'unificazione statale, e quando essa fu possibile non fu esteso a tutti il più avanzato diritto romano. Al contrario, fu esteso ai romani l'Editto longobardo di Rotari. Evidentemente fu un provvedimento senza conseguenze, perché l'Impero era crollato, ma alcune delle sue strutture erano ancora operanti e certamente non avrebbero potuto essere sostituite dalle leggi tipiche della forma germanica, basate sul guidrigildo e norme barbariche connesse. Lo Stato romano non c'era più e quello longobardo non c'era ancora (e non ci sarebbe stato), quindi è perlomeno problematico classificare ai fini di una teoria le categorie romano-longobarde dell'VIII secolo. Nell'alto Medioevo, se si prescinde dalle attività economiche delle abbazie, la produzione e distribuzione era limitata e locale, non v'era la necessità di ammassare quantità significative di derrate per un consumo differito.
I Longobardi avevano finito per convivere con i Romani mantenendo le proprie leggi, non contaminate da quelle più potenti derivate da un modo di produzione superiore. I Romani avevano conservato le loro ma avevano perso il potere di usarle in modo generalizzato. Quando fu imposto il diritto longobardo era già troppo tardi, i Franchi avrebbero risolto il problema di lì a poco per via militare.
L'occupazione longobarda non rappresentò dunque la nascita di un proto-Stato sotto il dominio degli invasori. Da un punto di vista formale, per entrambe le parti non c'era né unità territoriale, né un popolo con unicità di linguaggio e di tradizione, né un potere centralizzato che facesse valere la forza in modo condiviso. La resistenza al cambiamento dei due modi di produzione messi a confronto impedì la formazione di una nazione barbarica, mentre in tutta Europa con modalità e tempi diversi si formarono regni barbarici, come quello di Odoacre, dei Franchi, dei Vandali, dei Visigoti, dei Burgundi, dei Britanni. Ma neanche questi riuscirono a darsi le proprietà di uno stato. Le leggi locali furono più influenti di quelle imperiali, l'assestamento territoriale delle tribù in regni precari e, più tardi, l'eccessiva vastità dell'Impero Carolingio ostacolarono certamente la formazione statale ovunque, e un collante nazionale non riuscì ad emergere. O meglio, la Chiesa fu il solo terreno fertile per la diffusione di un'invarianza attiva in tutta Europa. Il Medioevo feudale non conobbe la forma di Stato se non tardi, quando di feudale non restava quasi nulla (chi definirebbe feudale la Francia di Colbert?). La Chiesa, già passata attraverso il modo di produzione antico-classico che aveva universalizzato sé stesso, ricevette impulso per una ulteriore polarizzazione universalizzante: con un'unica organizzazione, un unico canone, un'unica lingua, un'unica divinità, un'unica determinazione per annientare il paganesimo e le chiese concorrenti, la Chiesa si fece Stato globale.
La Chiesa come Stato? Al posto dello Stato? Surrogato di Stato?
Quarto livello: nel nome di un dio
Sono interrogativi legittimi. Se ci mettiamo nei panni della borghesia, abbiamo a disposizione una montagna di materiale di ogni genere: la borghesia ci tiene al suo Stato e ha prodotto su di esso studi approfonditi. Per una coerente definizione borghese di Stato adottiamo i criteri di Norberto Bobbio già citati, quelli più complessi, che tengono conto delle varie discipline che se ne occupano: filosofia, scienza politica, sociologia, economia, ordinamento giuridico.
Con il Codice di Hammurabi e con le Dodici Tavole (XVIII - VI secolo a.C.) abbiamo le prime testimonianze di diritto scritto. Altrove, o in tempi diversi, la legge era rappresentata da consigli di anziani riuniti in appositi spazi. Ad Atene non esistevano magistrati di professione, ogni cittadino, superata un'età stabilita, poteva essere scelto come giudice o giurato. A Roma, il collegio sacerdotale dei pontefici era in epoca repubblicana un organismo esclusivamente patrizio e solo più tardi, si suppone dietro spinta plebea, fu varata una composizione meno classista. Babilonia, Atene o Roma sono realtà del tutto diverse e quindi riflettono una diversa codificazione del diritto. In ogni caso, anche il diritto rappresenta un collante sociale/nazionale.
Oggi abbiamo sotto agli occhi lo Stato all'ultimo gradino della sua evoluzione, e quindi un modello che contiene tutti i gradini precedenti. Possiamo agevolmente procedere con il nostro scavo archeologico e liberare ciò che ci interessa dagli strati accumulati. Così come fa il detective di un romanzo poliziesco. Non stiamo facendo una ricerca su terreno ignoto sul quale non sappiamo ancora che cosa si troverà. Stiamo cercando una verifica: si può dire che nel feudalesimo c'era lo Stato?
Nel feudalesimo i potenziali depositari delle facoltà di uno Stato sono soltanto due: l'Impero e la Chiesa. Entrambi sono eredi delle condizioni precedenti: regni barbarici e religione orientale romanizzata. Per quanto i Carolingi fossero convinti di rappresentare una continuità con l'Impero Romano, erano pur sempre eredi non troppo lontani degli invasori barbari. I fasti marmorei di Aquisgrana erano immersi in un mondo di baroni-guerrieri arroccati in castelli di legno e pietra. Le indubbie innovazioni tecnologiche convivevano con sopravvivenze antiche (i cavalieri romani non conoscevano la staffa in uso presso i popoli delle steppe, quelli Longobardi e Carolingi l'usarono sistematicamente solo dopo i loro scontri con gli Avari che l'adottavano). Per fare uno Stato non bastano le armi, occorre che si formi una nazione, e questa deve avere delle basi fondanti. Se non le ha deve copiarle.
Da Attila in poi, i regni barbarici tentarono di copiare dall'impero al tramonto, ma quando si trattò di sostituirlo preferirono rinunciare ritornando alle proprie tradizioni. L'Impero Carolingio tentò di rappresentare una continuità, ma di fatto si disgregò e scomparve senza riuscirci. Gli indizi ci consigliano di mettere insieme gli elementi che avrebbero potuto rappresentare una base per la costituzione di uno Stato in continuità/rottura con l'Impero Romano. Proviamo. I punti in corsivo sono dedotti dallo schema di Bobbio.
Filosofia . L'Impero non era attrezzato per questo tipo di conoscenza, soprattutto quando l'indirizzo della ricerca era sul potere non basato sulla spada. L'Impero uscito dall'ordinamento barbarico post-romano era sotto la tutela di potenti guerrieri che si dovevano dividere il territorio solo perché non potevano ammazzarsi a vicenda (non avevano la forza sufficiente per sopraffare il nemico, quindi non erano così potenti, quindi non erano troppo adatti a rappresentare uno Stato). Nelle grandi abbazie con le superstiti biblioteche la Chiesa aveva il necessario per costruire la propria leggenda anche con argomenti fondanti per quanto riguarda la conoscenza ereditata dalla società antica, opportunamente riveduta e corretta. Gli ex barbari tentarono una continuità filosofica, ma non potevano competere con i cristiani che da secoli si confrontavano con le conoscenze dell'epoca sincretizzando quelle "greche" con quelle "romane". Solo le università, dall'XI secolo, furono isole di relativa indipendenza.
Politica . L'Impero all'epoca di Carlo Magno era costituito da vaste terre assegnate a potentati locali che rappresentavano l'imperatore sul territorio. Non esistendo più una struttura centralizzata, il centralismo personale dei baroni in loco non poteva sostituire quello imperiale e meno ancora confrontarsi con quello ecclesiastico, molto presto esteso a livello europeo. Di che classe dominante era strumento lo Stato feudale (ammesso che ci fosse)? Qual era il suo peso specifico?
Società . Quella prefigurata dalla Chiesa è sintetizzata dai sette sacramenti. Essi non sono soltanto la sanzione dell'appartenenza, ma qualcosa di più, inerente alla teleologia medievale: sono l'essenza della Divinità proiettata sull'individuo attraverso la partecipazione alla comunità che vive per mezzo dei suoi rappresentanti. I sacramenti non hanno valore se non c'è una diocesi e quindi un vescovo ("supervisore", erede degli apostoli). Diventare cristiani cattolici non era come prendere la tessera di un partito, "partecipazione" voleva dire "venire a far parte di". Longobardi e Franchi, a differenza di quasi tutti gli altri gruppi barbarici convertiti all'arianesimo, quando si spostarono a Sud erano ancora in buona parte pagani. La Chiesa, tramite Teodolinda, cristiana regina dei Longobardi, ottenne la conversione delle ultime tribù, sfruttando le predicazioni di San Colombano e soprattutto il matrimonio con il potente Agilulfo, da lei ottenuto secondo la tradizione che voleva il potere trasmesso per via femminile. Il regno dei due sovrani barbari convertiti fu contrassegnato dalla prosperità e dalle donazioni alla Chiesa. Anche i Franchi si convertirono e anche Carlo Magno concesse terre e abbazie. La società che la Chiesa andava configurando era una potente comunità, universale, quindi soprattutto potente in un mondo diviso.
Economia . La ricchezza della Chiesa non ha bisogno di essere descritta, ognuno comprende che cosa significhi rappresentare allo stesso tempo il potere temporale e quello spirituale per secoli. Ma la parte più interessante non è quella contro cui si scagliarono praticamente tutte le eresie, cioè l'accumulo di oro nei forzieri, la simonia, l'accumulo di terre e feudi. Parlare di economia a proposito della Chiesa significa parlare di comunismo professato nelle varie regole e di capitalismo nato dall'applicazione di queste regole. Due rivoluzioni in una, dato che il capitalismo nascente e, di conseguenza, la sua dottrina stavano per cambiare il mondo.
I Cistercensi, una secessione dalla immensa e potente abbazia di Cluny, sono l'esempio più stupefacente: dato che la loro regola vietava lo sfruttamento del lavoro servile, cioè non pagato, incominciarono a remunerarlo e si ritrovarono, senza conoscere il fenomeno della riproduzione allargata del capitale, con un surplus di denaro. Lo utilizzarono per i nuovi complessi che stavano figliando dalle quattro abbazie madri e ne costruirono 754. Purtroppo, il complesso abbaziale era diventato un simbolo di tutto ciò che la Rivoluzione Francese aborriva ed essa vi si scagliò contro con particolare violenza, devastando e saccheggiando. I mobili, le suppellettili, i paramenti e i metalli preziosi furono in parte razziati, in parte venduti dal nuovo Stato. La più grande biblioteca dell'epoca fu incendiata e il permesso di usare le rovine come cava di pietra semilavorata fu revocato solo nel 1813.
Gli storici dell'economia fanno notare che durante l'Impero Romano erano maturate tutte le condizioni per la nascita del capitalismo: la grande proprietà agraria, l'uso di manodopera salariata, la banca e gli strumenti finanziari, la speculazione, la produzione per l'esportazione e così via. Ma tutte queste anticipazioni non furono risolutive. La società emergente non riuscì a sconfiggere quella morente e anzi, la costrinse a mimetizzarsi. In società basate su di un programma di sviluppo o pianificate, i tre poteri tipici dello Stato, legislativo, esecutivo, giudiziario, sono nel programma, e così accadde effettivamente nei paesi che tra le due Guerre Mondiali adottarono forme di socializzazione spinta.
Ordinamento giuridico . Fu quello ereditato dai Romani, ma fu presto sostituito da scritture locali e soprattutto da raccolte di sentenze che facevano giurisprudenza. Mancando un centralismo funzionale, veniva a mancare la materia prima per una politica nazionale. Lo stesso fenomeno si osserva compiendo l'analisi della società antico-schiavistica, specialmente Roma. Quest'ultima, giunta all'apice della sua potenza, mostra uno Stato centralizzato, potente, giuridicamente affermato con un Diritto già fissato (con scrittura) da sette secoli e con la leggendaria tradizione militare delle sue (quasi) imbattibili legioni.
Ma ad un certo grado di sviluppo, per la società in transizione diventa necessaria la divisione chiara dei tre poteri che distinguono lo Stato. Il potere legislativo, ideologico (conoscenza) per elaborare il dominio di classe; il potere esecutivo, economico (ricchezza) da salvaguardare con l'applicazione delle leggi; il potere giudiziario, politico (forza) per far rispettare l'ordine che emana dalle leggi.
Non c'è teoria dello Stato che non contempli la questione del potere e chi ha il potere, non dialoga, lo usa.
Terzo livello: la società antico-classica
L'Impero Romano era una forma sociale complessa che richiede definizioni semplici. La sua struttura della conoscenza era di tipo pragmatico, costruiva macchine mirabili ma era poco interessata ai principi che ne permettevano il funzionamento, la costruzione e l'uso. Tuttavia, nel linguaggio che andava strutturandosi sulla spinta verso un nuovo modo di produzione le parole si facevano complicate. Il volgare era parlato con differenze notevoli da un luogo all'altro e il latino era ormai cambiato e comunque usato solo in ambito ecclesiastico, che voleva dire anche scientifico, filosofico e giuridico. Per la prima volta da che vi fu civiltà, la conoscenza venne considerata un elemento negativo. Anzi, visto che prima essa non era considerata né positiva, né negativa, cioè restava un fatto privato, ora divenne oggetto di valutazione politica. La Chiesa decise di tener per sé la memoria storica e la conoscenza teoretica lasciando al popolo dei fedeli la conoscenza empirica e la fede. Ciò ebbe delle conseguenze sicure, che non riusciremo mai a quantificare, ma fu uno dei passaggi che permisero alla Chiesa di diventare molto più che non uno Stato. Molto più di quell'organismo, tutto sommato primitivo, descritto dai suoi detrattori lungo i secoli: un organismo creduto poco dotato per salvaguardare sé stesso, indifferente di fronte al cambiamento e quindi non attrezzato per affrontare il futuro. Questa sottovalutazione fu un errore commesso ad esempio da Federico II il quale, forte del suo slancio riformatore che stava sconvolgendo l'economia ereditata dai Normanni, non colse l'importanza delle tre scomuniche ricevute dal papa e non trovò mai la forza sufficiente per attaccare la Chiesa e fare dell'Italia meridionale un territorio unico, per non dire uno Stato. Unificò la Sicilia sotto un unico potere, ma non riuscì a estendere il progetto. La Chiesa fu libera di allearsi con la feudalità, anche al di fuori dell'Italia e divenne un organismo funzionale a qualsiasi regime la contingenza proponesse (ad es. la saldatura antistorica con i Comuni). Senza essere Stato, la Chiesa ebbe più potere di uno Stato, e lo manifestò o direttamente con la sua presenza e attività politica, o indirettamente garantendo al potere del momento l'appoggio per la sua perpetuazione. Da questo punto di vista non è mai esistito un confronto politico fra Stato e Chiesa, c'è stata solo una scelta di campo della Chiesa per la salvaguardia delle sue prerogative, cioè della sua esistenza. Essendo un organismo a-nazionale, ebbe la facoltà di ritirarsi o insediarsi a seconda della contingente convenienza. Se ne accorsero i contadini del Sud quando tornarono i feudali francesi. Non che Federico fosse tenero con i suoi nemici, ma ne aveva evitato i massacri; a differenza dei francesi che dovettero essere severamente richiamati dal Papa stesso, loro alleato, proprio su questo tema. Federico avrebbe affidato a Pier della Vigna il compito di riscrivere il nuovo diritto imperiale in latino classico e avrebbe ordinato un piano economico avveniristico basato su masserie e manifatture imperiali, mentre gli Angioini si sarebbero fatti cacciare dalla Sicilia dalla rivolta popolare.
Terzo livello: Caritas cristiana e diaconie
La Chiesa medioevale è in stretta continuità con quella antico-classica. Se si considera il lavoro passato cristallizzato nelle opere realizzate dalla Chiesa da Costantino in poi, ci rendiamo conto, seppur con qualche difficoltà, che la religione cristiana fu una potente sovrastruttura che produsse effetti grandiosi. Questo valse per molte religioni, compresa quella pagana, ma la rete cristiana non poteva fare a meno di raccogliere l'influenza del fatto di essere stata depositaria del potere temporale concesso da un impero ancora nel pieno della sua potenza. Le "religioni di Stato" sono molte, ma di religioni che "si sono fatte Stato" forse c'è solo quella cristiana cattolica romana.
Ricercare le cause del successo di questa setta ebraica è praticamente inutile, dato che la risposta dei cristiani è sempre la stessa e non è basata su fatti ma su un unico documento: Gli Atti degli Apostoli. Lo scritto è attribuito in parte a Luca ma è probabile che sia un assemblaggio di più frammenti scritti dopo il 30 d.C. In esso è posta in evidenza la comunione dei beni, ereditata dagli Esseni e dagli Zeloti che la praticavano molto prima che fosse adottata dai cristiani. Negli Atti, un certo Anania e sua moglie, Saffira, essendosi sottratti alla distribuzione dei beni, muoiono "e un grande timore si diffuse in tutta la Chiesa e in quanti venivano a sapere queste cose". Se fosse stato un versetto dell'Antico Testamento i due non sarebbero morti senza che l'assassino fosse nominato, Yahveh "Dio degli eserciti" non mandava a dire.
Le cause del rapido affermarsi del cristianesimo sono controverse: altre religioni a Roma erano più seguite e importanti, ad esempio il culto di Mitra. Probabilmente venne ad influire la condizione della matrona romana, cui era proibita ogni attività pubblica tranne l'occuparsi dei poveri. Il cristianesimo, quindi, avrebbe trovato i suoi adepti prima fra i ceti medio-alti e poi, data la pratica dell'assistenza, tra quelli bassi, con crescita ad andamento esponenziale. In alcune case urbane gli archeologi avrebbero individuato con certezza i locali in cui si riunivano i primi cristiani e le case, con locali molto ampi, non erano quelle dei poveri. Sulla rapida espansione dei cristiani influì anche la realizzazione di ospedali per pellegrini che essi edificarono lungo le strade di grande comunicazione.
La caritas cristiana, quindi, ha connotati diversi a seconda di come se ne parla, essendo descrivibile come sinonimo di filantropia ma anche e soprattutto come risposta al bisogno altrui, bisogno in senso universale. Questa era una novità in campo religioso, dato che il paganesimo e le altre religioni erano invece individualiste. La Chiesa tiene a precisare che la filantropia insita nel concetto di caritas non ha nulla a che fare con l'elemosina, e il fatto che i termini compaiano come sinonimi in frasi che ricordano la carestia, sottolinea come i beni da distribuire accumulati dai fedeli in appositi ambienti avessero carattere annonario.
È ovvio che la ricchezza può andare solo in direzione della povertà, come nei vasi comunicanti il pieno verso il vuoto; quindi, gli Atti degli Apostoli, parlando di comunione dei beni, intendevano necessariamente spostamento di parte della ricchezza dai ricchi verso i poveri. Questo statuto sulla comunione dei beni era diverso da quello, non specifico del cristianesimo, della carità come elemosina nobilitata attraverso un altro nome. La società romana antica vi ricorreva per ovviare alla sperequazione distributiva della ricchezza. Non è possibile calcolare l'incidenza della distribuzione reale in proporzione alla ricchezza complessiva. Certamente era minima, dato l'ammontare di quest'ultima. Comunque, tale impegno delle matrone e delle famiglie ricche esisteva, come a Roma esisteva l'assistenza pubblica che evidentemente non bastava.
Gregorio Magno, nel VI secolo, centralizzò nella cancelleria papale di Roma tutto il sistema contabile ecclesiastico dell'Impero. La Chiesa era l'unico organismo capace di amministrare con un solo uffizio le entrate e le uscite per il clero, per squadre di manutenzione delle migliaia di edifici ecclesiastici e, prima di tutto, per l'assistenza ai poveri. Nonostante ciò, l'amministrazione bizantina, dovette assumersi, verso la fine del VI secolo, il compito di nutrire la quasi totalità della popolazione di Roma (un milione di abitanti), colpita da frequenti carenze di cibo. Per porre riparo alla fame dell'antica capitale furono create le diaconie, grandi edifici attrezzati per l'assistenza pubblica, dedicati alla memoria del diacono di Roma Lorenzo (martire nel 258 durante la persecuzione di Valeriano). A Lorenzo, responsabile della cura dei poveri, era stato intimato di consegnare alle autorità le risorse della Chiesa ad essi destinate. Egli si presentò a mani vuote, dopo aver distribuito tutti i beni. Di qui il martirio. Dalle diaconie del VI secolo nacquero una ventina di chiese edificate in ricordo di Lorenzo e in nome della comunione dei beni (Atti). Come ricorda Benedetto XVI nella sua enciclica Deus caritas est, Giuliano l'Apostata intimò ai sacerdoti della religione pagana da lui restaurata di imitare il modello caritatevole dei cristiani. (n. 24 di n+1).
Terzo livello: i magazzini dell'Impero
Siamo nella transizione al Medioevo e già vediamo qualcosa che ci interessa particolarmente: una grande catena di diaconie per salvaguardare la società che stava divorando sé stessa. Un centro unico di gestione di quella che non è più un'emergenza ma una condizione endemica, sorta non dal nulla bensì maturata con forme intermedie.
Se non ci fossero differenze grandi e piccole, non dovremmo più scavare, dato che con scavi nuovi non aggiungeremmo conoscenza a quella che possediamo già. Partiamo dal presupposto di avere ormai una conoscenza pressoché completa dell'antichità classica. Ci sono la famiglia patriarcale, la proprietà, la divisione tecnica e sociale del lavoro, le classi, lo sfruttamento di una classe sull'altra, il territorio con la sua popolazione disciplinata secondo norme giuridiche scritte. Ci sono l'esercito e la polizia. C'è una religione ufficiale che dissemina ovunque migliaia di templi zeppi di statue delle divinità. Ci sono religioni di ricambio. C'è quindi necessariamente lo Stato.
Roma è il paradigma dell'antichità classica, avendo assorbito il mondo greco. Ci sono differenze profonde, ma non sono influenti su ciò che abbiamo da dire qui. La monarchia e la repubblica ereditano dalla forma passata qualche brandello di comunismo originario, più nei miti di fondazione che in realtà. L'impero anticipa qualche tratto più consistente delle forme future.
Perciò, arrivando allo strato antico-classico, se troviamo segni di installazioni portuali o edifici particolari agli incroci delle grandi strade consolari, sappiamo che nelle vicinanze devono esserci dei grandi magazzini. E infatti li troviamo. Essi svolgono in parte la stessa funzione svolta nella forma sociale precedente. È ovvio che le differenze contano più delle analogie, un impero come quello di Roma produceva sicuramente un enorme traffico di merci che bisognava ovviamente conservare, amministrare, mobilitare. E per "servire" quella ventina di milioni di Romani che abitavano l'Impero, sparsi nelle campagne o concentrati in grandi città, i magazzini dovevano essere grandi, molto grandi, immensi. E lo erano. Si chiamavanohorrea, termine che in origine era usato solo per granaio, e se ne ha notizia dal II secolo a.C. in epoca repubblicana. Erano zone commerciali, dove lo Stato conviveva con bottegai e capitalisti privati, ma sarebbero diventati altro verso la fine dell'impero.
I più vasti, erano all'interno delle grandi città, nei crocevia delle strade consolari come la Via Emilia (Emporium e Porticus Aemilia), o nei sistemi portuali come quelli di Pisa o di Ravenna, quest'ultimo fra i più grandi del mondo antico. L'importanza economica dei magazzini era anche dovuta al fatto che essi mobilitavano i capitali e le varie risorse di un ambiente "indotto" per la gestione degli animali da tiro, dei carriaggi, delle navi da carico, del denaro i cui movimenti erano documentati da proto-banche.
Il grande magazzino romano nasce come elemento integratore di un'economia semplice, cioè come volano della quantità di merci richiesta dal mercato alla fonte, cioè alla produzione agraria. Con l'impero diventa il perno attorno a cui gira un'economia complessa che non può più lasciare alla spontaneità della circolazione le quantità di prodotto da immettere sul mercato. Le legioni, la burocrazia, le flotte, non possono essere alimentate secondo ciò che capita sui mercati. Lo stoccaggio diventa un elemento strategico della vita normale dell'impero. Dall'inizio del V secolo l'immensa rete dei magazzini inizia ad avere una funzione ammortizzatrice: il mantenimento di una parte della plebe si fa sempre più gravoso: di fatto la popolazione della capitale vive senza produrre ma riceve ugualmente una quota della produzione altrui.
Per quanto aberrante nei fatti secondo i criteri correnti, si verifica un fenomeno assimilabile a un'influenza comunistica evidente: come nell'epoca della Roma tribale, si distribuisce il prodotto sociale indipendentemente dal "merito" di ognuno. Solo che qui non si parla di un impero che nasce ma di un impero che muore.
L'intervento dello Stato per alleviare la miseria era già normale in Roma repubblicana, ma nel tardo impero diventò poco per volta un onere insostenibile: 200.000 plebei avevano accesso a questa elargizione, regolata da una apposita lex frumentaria. Roma giunse a importare 3,5 milioni di quintali di frumento, dei quali la metà solo dall'Egitto, il resto dalle province dell'Impero. I magazzini, specie granari, diventarono indispensabili per intervenire nell'ondata inflazionistica partita sotto Diocleziano. Per mantenere un calmiere sui prezzi, infatti, occorse a più riprese prendere dei provvedimenti, uno dei quali fu la vendita del grano a prezzo calmierato.
Nei magazzini di altre epoche e di altri modi di produzione troviamo sempre gli stessi moduli: grandi spazi ventilati, rampe di accesso, piani di carico/scarico, contabilità in entrata e uscita. Anche quando i magazzini sono fortificati, non perdono le loro caratteristiche. La figura n. 7 mostra un esempio lontanissimo da Roma in altra epoca.
Ukahidir è un enorme edificio-fortezza costruito in mezzo al deserto dagli Abbasidi nel 775 nel centro dell'attuale Iraq. Difendeva un crocevia importante delle carovaniere dirette verso la Persia. Ha una zona militare, una residenziale e una mercantile per le carovane in entrata e uscita con le loro merci. Data l'ampiezza dei locali quasi certamente serviva sia come posto di transito sia da deposito merci. Le carovaniere nei deserti non erano luoghi sicuri ed è probabile che le merci venissero stoccate in luoghi fortemente presidiati.
Alle sue frontiere lo stesso Impero Romano aveva problemi di fortificazione. Man mano che si espandeva, gli horrea si moltiplicavano seguendo le aree che di volta in volta erano considerate "granaio di Roma", prima la grande Pianura Padana, poi la Sicilia, poi ancora l'Africa, specie l'Egitto, infine le pianure danubiane. Un flusso ininterrotto di materiali dello Stato e di merci si muoveva sulle grandi strade consolari seguendo quello del grano, e gli horrea erano un complemento importante della rete imperiale del potere. Essi affiancavano le strutture pubbliche e private sorte sui crocevia più importanti, mansiones (stazioni di posta), tabernae (vitto e alloggio), castra (accampamenti militari permanenti). Nella sola Roma in epoca tardo-imperiale se ne contavano circa 300 di ogni dimensione e tipo, alcuni giganteschi. Si diceva che sotto Settimio Severo la capitale potesse immagazzinare derrate per sette anni. La cifra è sicuramente esagerata, anche immaginando un assedio che riduca la dieta giornaliera a pochissime calorie; ma, sapendo anche quanto poteva assorbire in termini di energia sociale l'esercito romano, dà una buona idea di quali ordini di grandezza fossero in gioco. In epoca imperiale l'esercito romano arrivò a 380.000 effettivi più la guarnigione di Roma e altri distaccamenti, navali, di cavalleria, corpi speciali. Il legionario incominciava a usare le armi da bambino ed era arruolato per un periodo che andava dai 16 ai 24 anni.
Le forze armate sono senz'altro una delle prove che siamo in presenza di uno Stato. Sono peraltro molto costose, il che vuol dire molto dissipative rispetto ai costi generali come quelli della burocrazia in rapporto all'efficienza. Gli accampamenti militari divennero guarnigioni fisse e da essi, o dall'intorno di essi sorsero villaggi e città. Fu una scelta obbligata: i legionari erano tanti e non li si poteva alimentare tutti partendo da Roma. Le derrate bisognava produrle sul posto e di conseguenza nuovi mercati sostituirono i vecchi magazzini, con grande soddisfazione dei soldati che adesso potevano almeno godere di una dieta più varia, quindi ammalarsi di meno e, all'occorrenza, comprarsi una moglie in loco secondo il rito germanico.
Secondo livello: protostoria
Continuiamo la nostra discesa nelle trincee dello scavo archeologico. Sotto allo strato antico-classico troviamo le culture protostoriche urbane sviluppate. Ad esempio,d quelle del IV millennio a.C. come Uruk, Ubaid, Ebla, Creta, Egitto. Ma prima fissiamo i punti per non perdere il filo.
Abbiamo detto che il livello capitalistico è l'ultimo raggiunto dall'insieme dei sistemi di classe. Abbiamo detto che esso è n +1 rispetto ai sistemi che lo precedono (n). Abbiamo anche detto che procedendo a ritroso nel tempo avremmo tolto le contaminazioni ai modi di produzione per avvicinarli il più possibile alla forma pura. Procediamo:
1) il capitalismo lo lasciamo per ultimo perché seguendo il metodo adottato dovremo metterci nel livello superiore;
2) Il feudalesimo l'abbiamo sottoposto a ripulitura da contaminazioni ereditate dalla forma antica e imposte dalla forma futura. Dalla forma antica viene ereditata l'oppressione di classe, dato che la servitù feudale è erede della schiavitù. Portata dai Germani e da altre stirpi, le cui tribù erano federate contro Roma, la forma feudale attecchisce poco in Italia. Un'eredità dalla forma antica è anche l'universalità, la stessa lingua per tutta la Chiesa, la disciplina organizzativa che diventa anche dottrinale. Il feudalesimo però è la più contraddittoria forma sociale per il verificarsi, al suo interno, di un dualismo tra vecchio e nuovo: il capitalismo si sviluppa completamente nell'involucro feudale molto prima che avvenga la rivoluzione ad abbattere quest'ultimo.
3) Abbiamo visto che le differenze fra le teorie dello Stato scaturiscono da due atteggiamenti diversi. Pur intersecandosi, queste teorie hanno due soli punti di riferimento: la prima, sulla sponda borghese, è una ricerca antropologica e paleontologica "oggettiva", che si fonda cioè, per la maggior parte dei ricercatori, sull'osservazione della storia man mano che essa si impadronisce di nuove scoperte e traccia un suo percorso alla ricerca; la seconda si fonda sulle scoperte materiali in grado di sconvolgere il mondo, come l'apertura delle rotte atlantiche. È il caso paradigmatico delle due scansioni temporali che sono state chiamate "rivoluzione" da Gordon Childe, quella neolitica e quella urbana. Sono, queste, senza dubbio, le due rivoluzioni più grandi e importanti che hanno preparato gli scenari per la nascita dello Stato. La prima rivoluzione ha permesso il consumo differito della produzione alimentare. Il cibo non veniva più raccolto o cacciato e consumato sul momento o comunque in tempi brevi, ma poteva essere conservato per un tempo variabile a seconda dell'andamento delle condizioni. Il cibo a consumo differito fu la vera base materiale che permise la sedentarizzazione e il miglioramento delle tecniche di coltura, selezione artificiale, ibridazione. Dal punto di vista strettamente materialistico il consumo differito è più importante della produzione di un surplus, condizione, quest'ultima, che tutti pongono giustamente alla base delle due rivoluzioni di Childe. Se infatti non si sa come conservare il cibo, o come contabilizzare la produzione/distribuzione di beni, la gestione del surplus e la sua stessa produzione sono impossibili, o perlomeno problematiche, alla scala generalizzata.
Facciamo un esempio. La civiltà di Caral, in Perù, databile alla prima metà del III millennio a.C., era una società composta almeno in parte da cacciatori-pescatori-raccoglitori che non conoscevano ancora la ceramica, quindi poco attrezzati per lo stoccaggio del cibo. Nonostante ciò, hanno lasciato uno straordinario sito archeologico che comprende grandi strutture piramidali a gradini, estese elaborazioni del territorio con muretti a secco e costruzioni minori, forse abitazioni (figura 8).
È evidente che per costruire un sito del genere occorre un progetto cui deve seguire una pianificazione, una linea di comando in modo che le attività siano sincronizzate, eccetera, come in tutti i cantieri "pubblici"; e ciò presuppone uno sforzo collettivo premeditato che a lungo andare conduce alla fissazione sociale dei caratteri statali. Caral, però, era ancora troppo giovane per poter dar vita non diciamo a uno Stato, ma neanche a un proto-Stato. Per costruire quel tipo di edifici del resto non occorre uno Stato, è sufficiente un minimo di organizzazione che permetta ai costruttori di avere abbastanza tempo a disposizione, quindi di delegare ad altri l'approvvigionamento, lo stoccaggio e la distribuzione. Ciò è evidentemente successo e dimostra che è possibile una divisione del lavoro fra chi procura il cibo e chi, impegnato ad esempio a erigere piramidi, deve comunque nutrirsi. Ma se non si produce, quantifica, conserva, amministra, prevede e distribuisce il cibo, non c'è la necessità di un organismo specifico, quindi non si avvia il processo di formazione dello Stato. È vero che non è indispensabile alcuno Stato per costruire piramidi, ma se le si vogliono costruire occorre spingere l'organizzazione sociale ad usare gli strumenti adatti, gli stessi strumenti che si tramuteranno in Stato. Gli abitanti di Caral conoscevano il mais ma non erano ancora arrivati alla ceramica per stoccarlo, quindi avevano ancora magazzini neolitici di fango essiccato. Forse potevano conservare cibo solo per brevi periodi.
Se si incontrano difficoltà nel classificare società semplici come quella di Caral, immaginiamo le difficoltà che si presenterebbero nel caso gli archeologi fossero spostati dalla nostra epoca a quella dell'archeologia nascente, e si trovassero di fronte a una civiltà complessa come quella egizia, dove la grande organizzazione e progettazione alimenterebbe ancora di più l'idea della presenza dello Stato: uno Stato che sarebbe ritenuto in avanzato grado di sviluppo, mentre invece è ancora più embrionale che a Caral. Eppure, quella è l'archeologia che sta ancora dettando legge nelle accademie, che sta alla base delle conoscenze… pardon, delle credenze sulle società antiche.
Queste società che giungono tardi a ciò che potrebbe facilmente essere scambiato per "Stato" sono invece l'indice di quanto abbia resistito l'umanità all'adozione di forza dis-umana che si è presentata alla storia sotto le subdole spoglie di una efficiente organizzazione della vita sociale ed è diventata una malattia apparentemente inestirpabile.
Rivoluzione neolitica e rivoluzione urbana hanno modificato l'uomo facendogli fare un salto enorme verso la capacità di "modificare il proprio destino", come dicevano una volta. Di "rovesciare la prassi", come diciamo oggi. C'è a questo proposito una rivoluzione interna a quella urbana che chiameremmo "amministrativa", una rivoluzione due e mezzo, che ci permettiamo di aggiungere rispetto alle due ricordate da Childe, e che ha un'importanza enorme nella storia della nostra specie. La rivoluzione neolitica, se non si introducono elementi ideologici, non ha più segreti, il passaggio all'agricoltura ha comportato, come abbiamo visto, la produzione di un surplus che, in qualsiasi modo venga considerato, significa aumento della divisione sociale del lavoro e possibilità materiale per qualcuno di abbandonare l'approvvigionamento di cibo e dedicarsi ad altre attività. Questa semplice variazione della complessiva attività sociale ebbe implicazioni enormi, le quali comportarono prima il formarsi di gruppi sociali differenziati per compiti, poi la comparsa dei detentori di proprietà, infine classi con il proprio Stato in difesa di precisi interessi.
La prima, grande rivoluzione iniziò senza che gli uomini ne avessero coscienza e finì con la nascita di una coscienza falsata, tesa a difendere il cammino verso lo Stato, quest'ultimo interpretato come una favorevole occasione organizzativa.
La seconda grande rivoluzione iniziò nell'ambito della prima quando, grazie ad essa, la popolazione aumentò e fu necessaria una distribuzione dei beni differita nel tempo. Si rese così disponibile una scorta in caso di carestie, guerra, incendi, ecc. Il consumo differito comporta, a differenza di quello immediato, una registrazione in entrata e in uscita per garantire un'equa raccolta e assegnazione. Tale registrazione è possibile anche prima dell'invenzione della scrittura, essendo sufficiente un sigillo che attesti i movimenti in entrata e in uscita. Per la nascita e la generalizzazione di un proto-Stato in ambiente urbano occorsero cinque millenni. Per acquisire una contabilità occorsero pochi secoli. Si parla di Stato moderno da nemmeno 400 anni. Si annota che ha il fiato corto a causa della sua malattia senile da 50 anni. Tutte le proiezioni lo danno per morto.
Secondo livello: la forma urbana e i suoi moduli
La seconda rivoluzione, quella urbana, esplode con l'aumento della popolazione e della produzione, quando si rende necessaria un'amministrazione dei movimenti materiali. Il gruppo umano si è ingrandito e ogni famiglia non abita più in una capanna rotonda con spazio interno unico e il focolare in centro. Casa che insieme ad altre, distinte, forma un villaggio. Adesso la casa è rettangolare, a pianta ripetitiva, quasi un modulo standard (la forma è suggerita dall'aggregazione, altrimenti andrebbe sprecato troppo spazio) con diverse stanze dedicate a usi differenti: una dispensa dove raccogliere il prodotto agricolo da consumare entro un ciclo solare, un ripostiglio dove custodire gli attrezzi, una sala con focolare dove la famiglia vive. Uno spazio per il culto dei morti (o altro culto). Tanto per avere un'idea, una quarantina di metri quadri in media attraverso i millenni. Al tempo che precedette la rivoluzione neolitica, quello dello spazio circolare, non c'era un luogo dove conservare il cibo perché esso veniva consumato subito, appena procurato, oppure trattato per una breve conservazione, appeso ai rami della capanna, poniamo carne affumicata, cibo essiccato, frutti poco deperibili. L'avvento dell'agricoltura, dell'allevamento, della progressiva sedentarizzazione e della disponibilità di granaglie facilmente conservabili entro grandi giare ceramiche, comportò la radicale modifica prima dell'abitazione, poi della sua disposizione entro un gruppo di più case aggregate.
"Il sistema di parentela hawaiano ci rimanda ad una forma di famiglia ancora più primitiva che deve essere esistita, perché, in caso contrario, non avrebbe potuto sorgere il corrispondente sistema di parentela. E, aggiunge Marx, lo stesso vale per i sistemi politici, giuridici, religiosi, filosofici, in generale. Mentre per la famiglia la vita continua, il sistema di parentela si ossifica, e mentre questo continua a sussistere in forza dell'abitudine, la famiglia lo supera progredendo."
Come dice Engels citando Morgan (e Marx suggerisce di estendere l'osservazione ai sistemi sovrastrutturali), vi sono schemi che si tramandano invarianti nel tempo mentre le condizioni che li hanno generati evolvono verso forme superiori. Ciò succede senza dubbio a tutte le determinazioni che portano allo Stato. I primi cristiani erano riuniti in gruppi che praticavano la comunione di beni ma, con l'evoluzione delle condizioni in cui agivano, questo residuo comunistico ereditato dalle antiche sette ebraiche fu accantonato, pur sopravvivendo nelle varie "regole" che scandivano la vita dei monasteri. Più semplicemente, i toponimi si conservano a volte per millenni mentre la realtà cui si riferiscono è sparita in pochi anni ("strada del mulino" dove oggi c'è magari una start up che si occupa di intelligenza artificiale).
"Queste case, che sono anche tendenzialmente più grandi, configurano un nuovo tipo di utilizzazione degli spazi e forse una diversa composizione del nucleo familiare che le occupava. Si potrebbe forse ipotizzare che queste strutture, sempre molto compatte e dai contorni regolari che definiscono nuclei nettamente distinti, in qualche modo costituiscano la premessa alla casa tripartita, che caratterizzerà le comunità mesopotamiche nei millenni successivi."
Non si sa esattamente il motivo e quando, ma ad un certo punto la conformazione della casa, nell'area da cui prende le mosse il nostro modello, assunse la particolare forma tripartita, ed essa si fissò come un canone costruttivo, per millenni. Anche se probabilmente nessuno ricordava più perché fosse ritenuta utile o importante, essa si protrasse nel tempo. La forma in sé non è essenziale per lo sviluppo di una civiltà, ma se attraversa inalterata un tempo così lungo, fino a far dimenticare il perché dell'origine, ciò significa che aveva un'utilità sostanziale talmente radicata che si era fissata, rispettata, tramandata e riprodotta. Anche perché la pianta tripartita passò al tempio, e qualcuno afferma anche al tempio paleocristiano (nartece, navate e abside).
Vedremo comparire questo modulo nei contesti più diversi, dal villaggio di modeste dimensioni alla proto-metropoli, dalla casa unifamiliare al tempio, ma sempre in una tripartizione: casa-magazzino-tempio. La casa tripartita è il simbolo sopravvissuto dei tempi antichi, quando si viveva nello spazio grande centrale, si immagazzinava nello spazio minore e ci si dedicava al culto nello spazio rimanente. Anche i morti seguivano questo percorso, sepolti con vari tipi di rito sotto al pavimento di casa.
È possibile una connessione tra le società strutturate in grandi nuclei familiari delle pianure alluvionali e quelle del Neolitico Preceramico siro-anatolico. Qualche elemento costruttivo funzionale deve aver dato una spinta alla diffusione di villaggi strutturalmente simili a quelli meridionali (case standardizzate formanti nuclei nettamente separati; insediamenti pianificati, stoccaggio essenzialmente domestico). Compaiono modifiche in blocco delle tipologie architettoniche in determinati momenti della storia dei siti, e l'aspetto ideologico/religioso diventa più evidente. Nel VII e VI millennio i siti meridionali si differenziano e i granai collettivi assumono più importanza, staccandosi dalle abitazioni delle famiglie.
Nella figura 9 abbiamo raccolto in senso orario: 1) Tipologie varie a pianta tripartita. 2) Differenziazione iniziale fra classi. Le due costruzioni scure sono una casa d'abitazione differenziata per volume e finiture, e un edificio collettivo, probabilmente un tempio. In quest'ultimo sono state trovate numerose sepolture di bambini e molte cretule, segno di un'attività di stoccaggio e di distribuzione collegata a qualche culto. 3) Persistenza del modulo tripartito nel raggruppamento di una comunità anche se si è dimenticata la funzione.
Secondo livello: forma urbana e stoccaggio collettivo
La figura 11 mostra lo scavo di un villaggio neolitico a un grado di sviluppo intermedio fra le prime aggregazioni di famiglia più o meno allargata e le prime forme urbane. Non c'è ancora il magazzino comune, ma la distribuzione di cretule e sigilli, trovati in raggruppamenti all'interno delle singole abitazioni, mostra l'esistenza di un interscambio tra famiglie. Tale interscambio sarà facilmente superato raggruppando le singole operazioni di scambio in un'area appositamente costruita per rispondere allo scopo, gestita da fiduciari della comunità e da questa controllata. Dal magazzino specializzato come granaio di famiglia al magazzino universale come centro di stoccaggio e distribuzione di prodotti diversi il salto è breve, ma carico di conseguenze: si fanno sempre più deboli i legami tra il produttore e i mezzi di produzione. Successivamente allo stadio di figura 9, compariranno aree dedicate alla produzione artigiana ottenuta con strumenti di "proprietà" collettiva, il cui prodotto diversificato, con l'introduzione della scrittura, verrà meticolosamente catalogato e distribuito.
È chiaro che le due forme di stoccaggio delle derrate (ma in alcune economie i magazzini raccolgono e distribuiscono anche prodotti dell'industria), diffuso come una rete di piccoli centri operativi o centralizzato come quello di opere urbane gigantesche, pongono un problema: quali sono le determinazioni che producono una soluzione piuttosto che l'altra? Un problema analogo nasce con la forma che assume la società alla vigilia dello Stato, quando dal ceppo unico del comunismo originario nascono due tendenze entrambe comunistiche: quella di tipo orizzontale, più antica, che può essere rappresentata da una griglia nei cui nodi sta una famiglia o un villaggio; oppure quella organizzata verticalmente con una snella gerarchia a piramide al cui vertice sta un organo di comando che non entra in contraddizione con la base. Due forme che sono state definite "egualitarie" ma che non vanno interpretate secondo formule evocanti la presenza o meno di democrazia.
La complessità del problema non riguarda solo i due aspetti ricordati in quanto tali ma la loro dinamica, dato che comunque, quando c'è stato bisogno di organizzare la vita sociale, fosse in Mesopotamia o in America, quando non è intervenuta un'estinzione ha preso forma lo Stato.
Era quindi inevitabile che alle ricerche sociologiche di varie tendenze si affiancasse lo studio della formazione dello Stato attraverso la teoria dei sistemi. Non ci soffermeremo su questo aspetto, ma lo dobbiamo ricordare perché proprio teorie come quella dei sistemi, o dei giochi, o delle catastrofi o di qualsiasi aspetto che abbia la minima funzione di trattare la materia sociale attraverso procedure strappate all'influenza deleteria del "pensiero", cioè dell'ideologia, è un colpo all'omologazione indotta dal sistema capitalistico e dalla classe che lo rappresenta.
L'insieme delle istituzioni politiche dello Stato e il sistema dello Stato in quanto tale entrano in rapporto secondo uno schema domanda/risposta. Lo Stato produce in genere le domande con il suo normale funzionamento e le istituzioni politiche forniscono le risposte. La società sarebbe come un sistema input-output che produce ad ogni domanda una risposta, cioè un feedback, che può essere positivo, e allora il sistema accelera, o negativo, e allora il sistema frena (uno stimolo all'economia o un termostato).
Con un feedback continuo il sistema domande/risposte si polarizza, cioè tende a omeostatizzarsi, trovare un equilibrio, cosa che può essere negativa o positiva: stimolare ad esempio la crescita economica o deprimerla, intenzionalmente o meno. La teoria dei sistemi risponde alla domanda: come armonizzare un sistema sociale senza bruciarlo o mummificarlo? Applicata all'epoca della formazione degli stati, si sa: l'agricoltura ha rappresentato un sistema a retrazione positiva, da un chicco di farro ne sbocciavano dieci con il lavoro dell'uomo, del sole e di qualche dio. Vedremo che cosa ciò significhi applicando gli stessi criteri alla prossima transizione di fase.
Nella figura 12, che rappresenta uno strato più recente del sito al centro di figura 9, si può osservare come la pianta delle case abbia mantenuto a fatica lo schema tripartito, che diventa quasi irriconoscibile. I due edifici in grigio scuro rispecchiano verosimilmente la fase di passaggio in cui si prepara la sovrapposizione fra potere temporale e potere spirituale, cioè il passaggio dall'assetto comunistico ad altro assetto, ad esempio quello che vede coincidere la figura del "re" con quella del "sacerdote". I due edifici sono più grandi della media e meglio rifiniti, particolari che comprovano differenza di collocazione gerarchica. In un contesto che prevedesse un "re-sacedote" con coadiuvanti, tali personaggi potrebbero risiedere nell'edificio a Sud ed esplicare le loro funzioni nell'altro, che potremmo chiamare "tempio". Tre sole cretule ritrovate in tutto questo strato, messe a confronto con quelle trovate nello strato precedente, mostrano la cessazione locale dell'ammasso e distribuzione dei prodotti dovuto all'incremento della produzione e del relativo deposito in più capaci nuovi magazzini, situati altrove, per una comunità più vasta. Stoccaggio, religione e Stato avanzano insieme.
Lo Stato per nascere ha impiegato molto tempo. Stiamo analizzando un periodo che dura 5 millenni, e il modello semplificato per adesso tiene. È chiaro che assume importanza, in tale contesto, il periodo intermedio, nel quale si sovrappongono tempi, stili, storia, produzione e distribuzione. È il periodo in cui le due rivoluzioni di Childe si incontrano e sovrappongono, dando vita, alla fine del ciclo intermedio, alle basi per lo Stato. La scelta di questo periodo e l'area da cui prendiamo i caratteri salienti per la storia dello Stato, non è casuale ma obbligata. Sembra che ci si possa basare ad esempio sull'Egitto, che dal Protodinastico alla dominazione greca dei Tolomei percorre lo stesso arco storico in ordine di tempo; ma si tratta di un esempio fuorviante, troppo specifico. In effetti la forma sociale egiziana, nonostante l'apparenza (gerarchia, centralizzazione, territorio, controllo interno, diritto), resistette per 3.000 anni a qualsiasi innovazione. Nemmeno la dominazione greco-romana, al culmine della decadenza egizia riuscì a innescare i fattori che portano allo Stato. L'invasore greco si fece anch'egli difensore della complessa cosmologia egizia. Tutte le civiltà antiche avevano una concezione circolare del tempo. Lo Stato ha invece bisogno di inserirsi saldamente nel divenire e dissolversi delle forme. Esso è eterno solo per coloro a cui serve, per tutti gli altri è un fenomeno transitorio.
Nella figura 13 è raffigurata la pianta di un villaggio costituito da poche case indipendenti e da altre, più piccole, aggregate. Si nota la tripartizione, che in questo caso è racchiusa in una forma a T con più stanze, tipica per famiglie allargate. A differenza delle piante di villaggi più antichi, le stanze aumentano di numero e si riducono in qualche caso a corridoi di superficie limitata, alcuni utilizzati per le scale di legno che conducevano al tetto o ad un piano superiore. La casa a due piani, con aree comuni, è un evidente passaggio alla forma urbana che qui abbiamo come anticipazione, dato che siamo alla fine del V millenno a.C. Per sopportare il peso del piano superiore, i muri di mattoni crudi aumentano di spessore e compaiono dei contrafforti. I mattoni sono adesso prodotti in serie con degli stampi. Non si sa se il piano superiore fosse ottenuto semplicemente raddoppiando l'altezza dei muri, con il relativo raddoppio della pianta, o se fosse adattato a nuovi usi, ad esempio magazzini più asciutti e ventilati. Che il raddoppio fosse funzionale al cambiamento di utilizzo degli spazi è certo, perché l'aumento della popolazione, e perciò della produzione, avrebbe richiesto una cubatura maggiore da riservare alle granaglie, che si conservano meglio in spazi sopraelevati. Ad avvalorare l'ipotesi dei nuovi spazi per i magazzini vi è la constatazione che ad un certo punto iniziano a comparire nelle case di questo periodo fori nei muri del piano terra, nei quali appoggiava una travatura a sostegno di un pavimento sopraelevato di circa un metro. Queste scelte, a scapito del grande magazzino centralizzato, mostrano l'assetto arcaico della comunità.
Contemporaneamente alla comparsa dei nuovi magazzini, viene scavata una trincea e, con la terra rimossa, costruito un muro di cinta intorno all'abitato. Siccome il fosso non è un canale d'irrigazione e il muro non è adatto alla difesa, si pensa che potrebbe trattarsi di un'opera simbolica, inerente alla religione, a protezione dei raccolti immagazzinati.
Secondo livello. Forma urbana e minimo di entropia
Nella figura 14 è rappresentato uno dei più antichi edifici che gli archeologi attribuiscono alla funzione di tempio in area urbana. A dire il vero non tutti sono d'accordo con questa attribuzione, noi compresi. La pianta mostra evidenti riferimenti al modulo tripartito delle abitazioni più antiche e, se è vero che non mostra segni di attività domestica, non ne mostra neppure di attività pubblica.
Due città si contendono il primato della rivoluzione urbana: Uruk ed Eridu. Entrambe possiedono le caratteristiche necessarie: il traguardo è stato conquistato in tempi lunghissimi dato che la partenza affonda le sue radici nel primo neolitico e la forma urbana compare nel tardo periodo della stessa era, come abbiamo visto. Ma quello che ci interessa di più è la verifica del peso specifico di determinazioni ipotizzate a proposito dello Stato e ora abbastanza chiare: abbandonando l'antichità classica per accedere allo scenario che abbiamo scelto come modello del secondo strato, si parte dall'alto (livello più recente dello strato n. 2), cioè dalle protocittà mesopotamiche del IV millennio e si arriva, indietro nel tempo ma avanti in profondità dello scavo, almeno all'VIII millennio a.C., con i villaggi misti di cacciatori-raccoglitori-agricoltori passando da una tappa intermedia, che è quella della rivoluzione urbana.
Lo Stato l'abbiamo visto all'opera negli strati precedenti quando abbiamo dato un'occhiata al passato (gli strati più profondi) con dei sondaggi: piccole trincee, come quelle che scavano gli archeologi, per vedere che cosa c'è al di sotto e dare un orientamento agli scavi.
Abbiamo visto sequenze del film in avanti e all'indietro e abbiamo un'idea di come proseguire. Siamo dunque alla nascita della città, nel bel mezzo della rivoluzione n. 2 di Gordon Childe. Sappiamo già che è di qui che nascerà lo Stato, oggetto della nostra ricerca. L'abbiamo visto all'opera in tutta la sua potenza e abbiamo letto le cose che insigni studiosi, filosofi di fama e ardenti rivoluzionari hanno scritto a tale proposito. Nello scavo stratigrafico era ben presente fino a qualche centimetro fa; nell'istante in cui abbiamo messo piede nella rivoluzione urbana è scomparso. E a maggior ragione è assente nelle trincee d'assaggio scavate in precedenza. Vien da pensare che lo Stato scaturisca da qualche parte improvvisamente, senza farsi annunciare. Come se non avesse padri e madri. Una cosa metafisica, che non ha sostanza concreta. Noi, per arrivare fin qui abbiamo delimitato un campo, quello che, procedendo indietro nel tempo, va dallo Stato al non Stato. E abbiamo adottato questo strano modo di procedere (strano per uno storico munito di calendario, non per un archeologo munito di piccone) per un motivo preciso: anche la nostra rivoluzione va dallo Stato al non Stato, dal capitalismo al non capitalismo, cioè al comunismo, in quel gioco di simmetrie millenarie che è il succedersi dei modi di produzione.
Siamo dei testardi materialisti che, dal punto di vista storico, vogliono toccare con mano le determinazioni che stanno alla base della comparsa dello Stato. Dobbiamo partire dal tipo di informazione che abbbiamo raccolto fin qui e fermarci per un momento a Eridu, Uruk, Tebe o Harappa, lo strato in cui siamo appena arrivati. C'è come un'osmosi tra livelli cui sono giunte le costruzioni e le funzioni che svolgono. Perciò abbiamo l'esigenza di mantenere fisso il risultato raggiunto e di spingerci oltre.
Le popolazioni si sono aggregate e i loro prodotti sono stati man mano standardizzati. Anche i locali in cui la produzione è conservata si sono standardizzati: ora abbiamo delle vaste basi costruite in mattoni crudi che sostengono un pavimento rialzato sotto al quale è ammassata parte della produzione. Il pavimento sopraelevato, ottenuto appoggiando un cannicciato sui rialzi, garantisce la ventilazione e soprattutto rappresenta il modulo per riprodurre a diverse scale il modello invariante. Insomma, constatato che parte del raccolto e dell'allevamento subisce una lavorazione che garantisce la conservabilità per lunghi periodi, diventa normale dedicare parte del tempo disponibile a produrre esclusivamente il cibo trattabile. L'enorme portata di questa innovazione ebbe il suo maggior effetto sulle navi e sugli eserciti, che tesero a diventare autonomi per quanto riguarda gli approvvigionamenti.
Harappa e Mohenjo Daro, due metropoli del tardo neolitico nella Valle dell'Indo, avevano granai altrettanto monumentali. La civiltà vallinda era probabilmente in procinto di sviluppare la scrittura, come testimonierebbe la gran quantità di sigilli ritrovati, recanti figure ricorrenti, tra il pittogramma e il geroglifico, ma non sappiamo come esattamente li usassero. È molto probabile che, data la tecnica resa universale dalla sua semplicità ed efficienza, funzionassero come in Mesopotamia. Tra l'altro, c'era sicuramente un interscambio fra la Valle dell'Indo, la Mesopotamia e l'Egitto nel III-II millennio a.C., testimoniato da reperti archeologici.