Contributo per una teoria comunista dello Stato (3)
Secondo livello. Forma urbana. Dal baratto al mercato
Abbiamo visto che la società mesopotamica (in senso lato "Grande Mesopotamia") ha maturato l'esigenza di costruire città a partire dall'aggregazione di poche case fino alla realizzazione di enormi centri abitativi, come ad esempio Uruk dei Sumeri. Questi centri dovevano approvvigionarsi e, se al culmine del loro sviluppo avevano già esplorato tutte le forme di scambio e dei mezzi di pagamento, dal dono al baratto, dal credito al mercato, dai derivati all'usura, per arrivare a quel punto erano dovuti passare attraverso forme comunistiche, nelle quali il prodotto sociale veniva raccolto, immagazzinato, contabilizzato e distribuito in base a quanto era stato prodotto e a quanto sarebbe stato distribuito.
Nel nostro ipotetico cantiere archeologico, aperto con lo scopo dichiarato di cercare l'origine dello Stato nei reperti della vita materiale e non nelle idee stratificate su di essi, siamo arrivati al punto in cui, fra il V e il IV millennio a.C., la funzione collettiva del controllo e dell'amministrazione del prodotto sociale funziona così bene che la società, fiduciosa, si consegna ad essa.
Inizia il periodo del massimo risultato raggiunto attraverso la contabilità in quantità fisiche per tipo di prodotto che, ancor prima della scrittura, permette alla società di conoscere benissimo sé stessa e di pianificare, sulla base dei dati raccolti nei magazzini, la propria esistenza. È anche il periodo in cui la società raggiunge la massima efficienza in termini di rendimento o, se vogliamo usare il criterio termodinamico, il minimo di entropia, il minimo scarto fra l'energia contenuta nel prodotto sociale e quella dissipata per ottenerlo. È una società ancora comunistica, nonostante mostri una struttura ben organizzata che, vista dalla nostra epoca, sembra statale.
Che cosa ha prodotto quel processo di decomunistizzazione che avrebbe visto nascere la proprietà privata, le classi e poi lo Stato?
Affinché nasca la proprietà in un ambiente che non l'ha mai conosciuta occorre che a un certo punto qualcuno si renda conto dei vantaggi che ciò comporterebbe per sé. Solo in un secondo tempo potrebbe passare ad una appropriazione, evidentemente violenta, dato che gli altri membri della società non sarebbero d'accordo. Questo è un ragionamento alla Dühring, una "robinsonata", dice Engels. Robinson-Stato sottomette Venerdì-cittadino perché ha il coltello. Che cosa fa il proprietario della società neolitica per avere il coltello?
I membri della società che in nome di questa amministrano la "ricchezza comune" (l'intero prodotto passa dai magazzini, non solo il cibo; e comunque la prima proprietà sarebbe la terra) non possono di punto in bianco appropriarsi del magazzino o di una sua parte o dei campi; ma hanno un potere effettivo, anche se all'inizio non lo avvertono neppure perché non hanno termini di confronto. Nel V millennio questo potere avrà avuto un carattere religioso o politico, dipendente dalla funzione entro la comunità. Il coordinamento delle attività per il vantaggio comune di per sé non comporta mire sovversive, anche perché il residuo tribalismo porterebbe a uccidere chi tradisse la comunità. Più che cercare una casistica sulle possibili vie di contaminazione del comunismo originario, è utile individuare quali possono essere i gruppi potenzialmente in grado di farsi portatori del nuovo assetto sociale. Ma forse prima di tutto occorrerebbe scoprire quale potrebbe essere la ragione materiale che ha portato i membri di una società ad accettare di buon grado un cambiamento che peggiorava le loro condizioni. E questo in tutte le società di quel tipo, anche a distanza di tempo e di spazio. Non sono possibili molte strade: quelle società erano giunte, per la loro epoca, al massimo livello; erano prospere e ben organizzate; non conoscevano ancora la schiavitù; avevano però un problema: proprio perché funzionavano bene, erano autoregolanti, omeostatiche. Erano sensibili alle perturbazioni. Quando queste si verificarono, i responsabili della vita sociale si… responsabilizzarono. Nel II millennio a.C. esplose la crisi che portò alla scomparsa di alcune civiltà tra il Mediterraneo e la Mezzaluna Fertile. Ci sono segni di saccheggio e di incendio nei palazzi del potere di allora ed è facile immaginare che una società millenaria basata sui magazzini sia assai vulnerabile a un attacco alle sue strutture. Se il processo di formazione della proprietà, delle classi e dello Stato fosse stato già in corso, una crisi generalizzata l'avrebbe accelerato.
Nel saggio La nascita dello Stato nel Vicino Oriente, Marcella Frangipane, archeologa, sostiene che lo Stato nasce dal superamento della posizione sociale dei capi dovuta al lignaggio entro la tribù e dall'avvento dell'amministrazione, passaggio in cui l'adozione del sistema contabile basato sulle cretule assume un'importanza fondamentale. A sostegno di questa tesi, enuncia alcune proprietà che dovrebbe avere lo Stato, lasciandola aperta, cioè non caratterizzata da forme o tendenze particolari, come a sottolineare il fatto che si può parlare di Stato anche senza legarsi al tempo:
1) la divisione della società in classi;
2) la costituzione di un governo centrale affidato ad una élite che gestisce il potere attraverso una serie di dipendenti specialisti di governo;
3) il monopolio della forza come principale meccanismo di integrazione politica;
4) la diffusione della specializzazione in tutti i settori della vita lavorativa;
5) la nascita di società civili, ovvero non più organizzate in base ai legami di parentela, ma piuttosto fondate sulla residenza.
Il capitolo in cui compare lo schema citato è così intitolato:
"Alcuni aspetti del dibattito teorico sullo Stato Arcaico in antropologia".
Ci sarebbero dunque diversi stadi nella formazione dello Stato, che passerebbe così da una forma arcaica a una sviluppata. Ciò sembra in contraddizione rispetto al contesto, che è simile a quello anti-evolutivo di Max Weber. Sarebbe come dire: questo è lo Stato, prima non c'era; dal millennio tale, c'è. Oppure: questo è lo Stato, tutto il resto non lo è. Da questo punto di vista avremmo sostituito "Stato arcaico" con "proto-Stato". Il primo è già uno Stato, il secondo non lo è ancora.
L'archeologa è da molti anni responsabile di un cantiere in Turchia, lo scavo di una cittadella del IV millennio a.C. con templi, case di abitazione, forni, magazzini (Asrlantepe). Il sito era abitato da una comunità organizzata secondo uno schema centralistico che prevedeva la produzione, lo stoccaggio e la distribuzione dei prodotti. Il tipo di organizzazione, collegato con i dati della Mesopotamia e terre limitrofe, ha suggerito che ci si trovasse di fronte a una transizione di fase, cioè un passaggio da un modo di produzione all'altro o, meglio, da un livello all'altro di un modo di produzione. Nelle tracce lasciate da questa società, secondo i responsabili dello scavo, sono molto evidenti le prove che gli addetti all'amministrazione erano moltissimi perché molto era immagazzinato. Non era ancora giunta la scrittura e il sistema contabile usato era quello delle cretule, pezzi di argilla fresca impressi con un sigillo e spezzati quando il contenitore veniva aperto.
I magazzini, le ciotole fabbricate in massa per i pasti di chi lavorava nei grandi edifici e il sistema contabile hanno permesso di stabilire che ad Arslantepe era visibile una società protostorica fotografata nel momento di transizione alla società antica. Sulle cretule sono state contate 150 impronte di sigilli diversi, segno che l'attività distributiva era piuttosto intensa, ma segno anche del potere accentrato in un solo luogo, circostanza che, abbiamo visto, può corrispondere alle esigenze del copione storico ma non a quelle della sicurezza e del rigore amministrativo. In fondo se una società produce quello che serve a riprodursi e anche un po' di più (surplus), non c'è bisogno di registrare con estrema cura i movimenti dei materiali in entrata e uscita dai magazzini. Se non esiste la proprietà (senza aggettivi) non ha senso accantonare il prodotto secondo segni di riconoscimento che vogliono dire "è mio, o tuo. In una comunità il comportamento dei singoli si sincronizza sempre con quello generale, il contrario è un'eccezione.
Una contraddittoria forma urbana
Nella Mesopotamia siriana, a Ebla, città del IV-III millennio a.C., quindi coeva di Arslantepe, confluiscono forze organizzate che offrono il loro contributo alla prosperità generale. Prosperità, ma senza le esagerazioni che capita di leggere. Dalla contabilità registrata nel "Palazzo" risulta che gli eblaiti avevano prodotto o scambiato in un anno un paio di tonnellate d'argento, 250 chilogrammi di oro, centocinquantamila ovini, novemila bovini, 25.000 tonnellate di granaglie, stoffe, oggetti dell'industria locale, rame, lapislazzuli e altri minerali.
Paolo Matthiae, responsabile dello scavo, raccomanda prudenza sulle cifre, ma è indubbio che anche con aggiustamenti vistosi, si tratterebbe comunque di una ricchezza che non ha riscontro in altre realtà analoghe.
I dati a nostra disposizione non sono utilizzabili a causa delle grandi variazioni soggettive dovute al baratto, alle stagioni e agli effettivi bisogni dei contraenti. Sbaglieremmo di meno se facessimo delle stime invece di adoperare cifre arbitrarie dedotte da "valori" che non hanno alcun rapporto con il tempo di lavoro o altri criteri utilizzabili oggi.
Dal punto di vista tecnico una società come quella eblaita non poteva avere una grande produzione metallurgica, dato che era sorta su di un territorio già allora povero di minerali, per la maggior parte alluvionale, senza alberi da legna per fondere i metalli (per l'argento occorrono almeno 1.000 gradi), come del resto in quasi tutta la Mesopotamia. Quindi l'argento, il rame e l'oro che compaiono sui libri contabili sono con tutta evidenza delle compensazioni di mercato basate sui metalli adoperati virtualmente come denaro ma non come metallo. Come successe ovunque ci sia stato un passaggio al denaro come equivalente generale del valore, una fase intermedia ha comportato ad esempio lo scambio di lana con orzo (fisicamente avvenuto) conteggiato al prezzo dell'argento (non fisicamente scambiato).
Data questa situazione dello scambio e della esistenza di colonie commerciali, fra gli archeologi che hanno scavato a Ebla sono nate delle divergenze sulla traduzione delle tavolette, specie dove si parla di scambio in quanto mercato. È chiaro che se si parte dal presupposto che Ebla sia un "impero commerciale", esso si deve appoggiare sulla concreta esistenza di un mercato, se non di denaro-capitale. Sennonché la struttura sociale di detto impero sembra lontanissima dai caratteri mercantili presenti in tutti i casi storici conosciuti, tanto che si è addirittura parlato di scoperte archeologiche in grado di richiedere la riscrittura dell'intera storia della Mesopotamia.
Ciò ha a che fare con una teoria sulla nascita dello Stato.
Ebla aveva un sovrano ma non una dinastia regnante. Dalle tavolette di quello che gli scopritori hanno subito definito "archivio di Stato" non risulta alcuna epigrafe firmata da "capi" che ci illumini sul tipo di organizzazione sociale esistente. Risulta soltanto che il "re" era scelto da numerosi personaggi definiti "governatori", e che non era il "capo" di questo gruppo, né della città e tantomeno del cosiddetto impero, ma un primus inter pares i cui compiti non sono ancora chiariti. Tra l'altro egli riceveva l'incarico per sette anni, dopo i quali doveva lasciare. Questa sovranità a scadenza compare nelle tavolette d'archivio con il conteggio inverso degli anni di regno: il primo anno del regno di un certo re era il settimo dalla scadenza del suo mandato. Tutti i re erano stati prima governatori. Re, regina e governatori "pagavano le tasse" come ogni altro cittadino, cioè davano il loro contributo allo stoccaggio del prodotto sociale. Il re era chiamato "governatore della tesoreria", ma nessun tesoriere era re, come per evitare un conflitto di interessi. Rispetto al tradizionale schema del potere in ambito mesopotamico c'è una differenza notevolissima, pensiamo al contemporaneo Sargon di Akkad, personificatore del potere e creatore della propria leggenda.
Ebla non era un chiefdom, un territorio governato da un condottiero o da un re-sacerdote, e per di più la gerarchia del potere non aveva un carattere marcatamente patriarcale, dato che era la regina a trasmettere la regalità con la supervisione della regina-madre.
Non era una democrazia, perché non richiedeva ai cittadini un consenso maggioritario, anche se è stato trovato uno spazio pubblico cui è stato dato il nome di sala delle assemblee.
Non era un'oligarchia, perché faceva riferimento a una rete di centinaia di fiduciari addetti alla distribuzione del prodotto.
Non era una città-Stato al centro di un vasto impero commerciale, retto da una monarchia costituzionale di tipo democratico né qualcosa di simile. E per essere precisi non era nemmeno uno Stato come sostengono i responsabili dello scavo applicando gli schemi correnti.
La tentazione di interpretare in modo anticonformista la struttura sociale di Ebla, nascosta dalle convenzioni, è forte. Ma limitiamoci a ciò che ci trasmettono gli esperti cercando di non proiettare sulla società antica il loro pensiero influenzato dall'oggi. Il modello eblaita è certamente strano, ma ci sembra che gli studiosi che se ne sono occupati non lo trovino abbastanza strano. Sono in polemica tra di loro e non si accorgono che dietro alle loro stesse scoperte c'è tutto un altro mondo. Letteralmente. Non solo il re non è un monarca ed è a scadenza, non solo fa parte di una specie di partito di cui è il capo ma alla pari, non solo non ha voce in capitolo sulla tesoreria della quale però deve essere stato membro, non solo è spersonalizzato in quanto nei documenti firma con la formula "per la città di Ebla", non solo è il garante della rete distributiva delle merci sul mercato di mezza Grande Mesopotamia, ma forse non è neanche il re, o meglio il sovrano.
Perché egli viene "intronizzato", come dicono gli studiosi, dalla regina-moglie assistita dalla regina madre con una cerimonia di investitura che è un riassunto dell'universo di Ebla. Siamo ben lontani da un impero commerciale: qui siamo di fronte a qualcosa che, come dice Giovanni Pettinato, ci obbligherà a riscrivere la storia del Vicino Oriente. E, di conseguenza, del mondo, diciamo noi. La differenza è che noi facciamo parte di una corrente che, avendo una teoria a proposito, non ha fatto una scoperta ma ha trovato una conferma.
Secondo livello. La contraddizione svelata
Secondo gli studiosi, a Ebla la regina madre aveva a disposizione terre dello Stato amministrate da funzionari statali. La "madre eccelsa del sovrano" pagava le tasse, presumibilmente anche sul surplus derivante dalle suddette terre. Ora, per noi che abbiamo in mente lo schema dinastico classico, la regina madre ha un posto nella genealogia perché, appunto, il re fa parte di una dinastia e sua madre è un ascendente diretto. Ma in una sovranità non dinastica, perché dare questa vitale importanza alla genitrice di un funzionario primo fra pari che sta al potere a scadenza fissa? Dice Pettinato in modo piuttosto impegnativo:
"Ebla ci costringe a rivedere tutte le nostre conoscenze acquisite in merito all'origine e sviluppo delle civiltà, essa ci rivela che noi sappiamo ben poco o addirittura nulla sulle società antiche".
Se fosse così, bisognerebbe andare fino in fondo: e infatti, con un misto di riluttanza e curiosità, Pettinato insiste con la sua interpretazione e accusa i suoi colleghi di leggere cose antiche con occhio moderno. Ebla è socialmente più giovane delle altre città sue contemporanee, dobbiamo "leggerla" con il vocabolario del tardo neolitico, con le vere gerarchie interne dello Stato eblaita, quelle fossili ("ossificate", dice Engels) che ricordano lo stadio precedente pieno, anche se non esiste più. Tutto va a posto se leggiamo "capi tribù" al posto di governanti con il loro amministratore delegato primo fra pari, con la first lady in missione di rappresentanza e con la loro presidentessa anziana. Ma Pettinato si ferma qui, e invece di reintrodurre la distribuzione del prodotto lascia il mercato con le sue colonie eblaite. Invece di reintrodurre una sopravvivenza di comunismo originario lascia l'impero commerciale. Vede nominati gli anziani, ma ha in mente quelli della boulé omerica, che hanno potere consultivo più che esecutivo e non li inquadra nel suo stesso schema. Vede una gran quantità di funzionari dello "Stato" dislocati sul territorio e pensa a una serie di colonie commerciali. Proviamo a leggere gli stessi dati con il nostro vocabolario per vedere cosa succede.
Abbiamo già constatato, a proposito di Arslantepe, che l'amministrazione prima della scrittura e prima dell'evoluzione verso lo Stato, coinvolgeva un numero elevato di persone, 150 solo fra i detentori di sigillo. A Ebla si scriveva una lingua semitica con caratteri sumeri. Ebla e Arslantepe sono due civiltà coeve, ma la seconda non conosce ancora la scrittura e la prima ha accorciato i tempi accogliendone una già pronta. Ebla, rispetto ad Arslantepe, è più vicina allo Stato, ma non tanto quanto sembra, anche se ha adottato frammenti di realtà più evolute. L'immensa ricchezza del cosiddetto impero commerciale derivava forse da un effetto virtuale; il semi-baratto registrato con i valori che di lì a qualche secolo sarebbero stati monetari, tradotto in argento dava cifre strepitose. Tutta quella ricchezza doveva essere incamerata, registrata e utilizzata, infatti l'"Impero di Ebla" si diede gli strumenti per farlo. Pettinato censisce 800 centri abitati traendo la cifra dagli elenchi presenti sulle tavolette. Paolo Matthiae, sulla base degli approvvigionamenti a tutta l'area controllata, propone la cifra di 250.000 per gli abitanti complessivi e 30.000 per quelli della capitale. Quest'ultima doveva raggruppare un potente insieme di funzionari, fiduciari, consiglieri, artigiani, militari, ecc., 5.000 persone, se si sommano i numeri massimi forniti dalle tavolette dell'archivio: 20 cuochi, 30 musici, 60 addetti agli animali da tiro, 260 falegnami, 500 fabbri, ecc.
I documenti riportano le assegnazioni di cibo e beni per tutte queste persone, fra le quali sono elencati anche i "sovrani", gli appartenenti alla "corte" e i "governatori" con i loro "dipendenti". I traduttori annotano la differenza fra gli elenchi eblaiti e quelli standard di tutte le altre realtà "statali" della Grande Mesopotamia: a Ebla i destinatari delle assegnazioni non sono identificati come uomini, donne, giovani, anziani, rango, mestiere, esperienza. Essi percepiscono razioni mensili che si differenziano per l'appartenenza a diversi gruppi. In realtà sembra che ci fossero differenze al di là delle spettanze teoriche, ad esempio alle donne non veniva consegnata la birra, e membri di alcuni insiemi differenziati percepivano razioni maggiori di altri. Ad esempio, funzionari e lavoratori soggetti a "sorveglianza" erano pagati meno di quelli che nelle tavolette sono indicati come "servi". Potrebbero essere differenze come quelle in vigore in Egitto, dove i costruttori di templi e necropoli ricevevano una razione calorica superiore alla media.
In ultima analisi la civiltà di Ebla utilizzava tutti gli strumenti che a metà del III millennio a.C. erano tipici della transizione di fase tra comunismo originario e società di classe ma conservava l'impronta della società precedente. Era giovane, quindi copiava e applicava con facilità scrittura e strutture di governo, ma non poteva fare a meno di conservare nella memoria il ricordo del passato.
Uno dei più importanti documenti che l'antichità ci abbia tramandato, registra con dovizia di particolari la situazione che precede il passaggio alla nuova forma sociale, in questo caso un mezzo passaggio perché una parte dell'antico impianto di produzione e distribuzione sarebbe rimasto. La parte registrata come memoria storica è andata ad alimentare un completo esempio di mitopoiesi. Il nostro scavo è giunto allo strato di confine.
Indietro nel tempo
Nel viaggio all'indietro nel tempo, dai magazzini Amazon di cui abbiamo all'inizio ipotizzato la costruzione a quelli di Roma, dalle diaconie romane ai granai neolitici, abbiamo raggiunto la prova che le società di transizione sono quelle che più si avvicinano al rendimento massimo per la loro struttura.
La ricchezza di Ebla non può essere calcolata con i nostri criteri. Nella contabilità risulta che l'orzo, usato come cibo e come denaro, "valeva" molto argento e registrando lo stoccaggio di orzo con il "prezzo" dell'argento risultava che era transitata una grande quantità di metallo. Con il "prezzo" dell'oro il fenomeno sarebbe stato ancora più evidente: vi sono transazioni oro-argento registrate 4 a 1. La città non era ricca come sembra neppure in veste di "impero commerciale" che esportava soprattutto granaglie. Ai confini tra baratto e denaro, semmai era riuscita a non essere un impero nonostante fosse esuberante in produzione ed efficienza. Le civiltà sue coetanee (o forme sociali) erano in cammino verso lo Stato, probabilmente Ebla le aveva già sorpassate ma non si vedevano ancora gli effetti: il penultimo re, Ebrium, aveva rotto con il passato interrompendo la tradizione della sovranità non dinastica a scadenza e aveva nominato suo figlio Ibbi-Sipish come successore iniziando il conteggio dal primo anno di regno. Ebla dinastica durò 17 anni, poi qualcosa successe perché la cittadella dei palazzi governativi fu distrutta e incendiata. È grazie a quel fuoco che abbiamo l'archivio "reale" di terracotta ed è grazie ad esso che è chiaramente documentata la dissoluzione della forma comunistica originaria.
La documentazione di cui parliamo è contenuta in tavolette che registrano una complessa cerimonia a proposito di quella che sembra l'investitura del sovrano, o il suo matrimonio con la regina, o la propiziazione degli dèi per l'inizio di un ciclo di vita, o la richiesta di protezione agli antenati oggetto di un culto dei morti. Siccome in questa cerimonia è previsto che si utilizzino diversi materiali, questi sono registrati in uscita dai magazzini della città, così abbiamo un doppio riscontro, quello della prescrizione descritta nel testo e quella contabile fornita dal magazzino.
Fin qui niente di strano: le ipotesi che abbiamo appena trascritto sul significato della cerimonia sono quelle avanzate dagli archeologi e dai traduttori. Noi stessi le abbiamo in un primo tempo adottate: di fronte a un testo tradotto letteralmente e quindi leggibile con grande difficoltà e approssimazione, gli abbiamo dato credito. Ma si capiva che qualcosa non funzionava, specialmente per quanto riguarda l'elenco degli oggetti e degli animali. Troppo dettagliato, troppo incongruente, troppo complesso per essere soltanto una cerimonia di investitura o simili. Ma soprattutto era sospetto il fatto che i traduttori, pur avendo accettato in blocco una sola pista, fossero in disaccordo sul significato dei vocaboli. Com'era possibile giungere a una conclusione univoca sul documento integrale se sulle sue singole parti e sul vocabolario usato vi erano divergenze fondamentali? Com'è possibile affermare che bisogna riscrivere la storia del mondo a causa delle nuove scoperte dovute ai testi eblaiti e poi interpretare quella che sembra una cosmogonia come uno sposalizio, anche se simbolico, che si ripete tutti gli anni? Lasciamo la parola alle tavolette. Siamo nel 2500 a.C., gli Egizi hanno appena terminato le grandi piramidi; nella Valle dell'Indo fiorisce una perfetta civiltà urbana senza proprietà e denaro; in Perù stanno costruendo dei monumentali siti cerimoniali; ad Arslantepe lo sviluppo dello Stato procede lasciando prove irrefutabili; in tutto il mondo si mostrano gli effetti della rivoluzione neolitica che sta diventando rivoluzione urbana. Leggiamo la traduzione originale (quattro pagine di questa rivista).
La regina, con più persone al seguito, compie un viaggio di tre settimane portando con sé un ricco insieme di prodotti che verranno lasciati nelle varie tappe del viaggio presso il tempio locale. Questi prodotti sono raggruppati in lotti (non si sa secondo quale criterio), ognuno con qualche variante. Durante il viaggio nel paese, la regina incontra il sovrano e giace con lui; entrambi si recano nel mausoleo dei genitori; ottengono la benedizione della regina madre e terminano il viaggio con molti riferimenti a simbologie che oggi non siamo più in grado di leggere e interpretare. Ma ci sembra un documento troppo importante per non tentarne una lettura controcorrente.
La nostra ipotesi non è "autorevole" ma forse proprio per questo potrebbe essere più verosimile. Siamo d'accordo con Pettinato almeno su di una cosa: la storia antica è ancora influenzata dall'archeologia e dalla storiografia ottocentesca e romantica, bisognerebbe riscriverla. Fortunatamente l'archeologia dell'ultimo mezzo secolo ha fatto un salto di qualità. Oggi si maneggiano molto meglio i dati e se ne rilevano di più con mezzi più sofisticati. Il maggior nemico rimane però l'ideologia dominante, come abbiamo visto. L'interpretazione del testo in questione, detto "della trasmissione del potere", è sicuramente viziata, e non era meglio la versione dello sposalizio fra i futuri re e regina.
Pettinato, che trovò la chiave per tradurre la lingua eblaita fu criticato per aver tentato di rompere il sistema di credenze che incrostava l'archeologia. Materiale originale reperito da fonti primarie sulla rete non aggiunge variazioni significative, anche se gli studiosi che hanno apportato modifiche non si discostano significativamente dalle prime versioni dello stesso Pettinato e dei suoi ex colleghi archeologi, epigrafisti, storici. Secondo noi, invece, la processione/viaggio è la recita di una rappresentazione dell'antico modello distributivo, con una minuziosa elencazione simbolica di prodotti che provengono dai magazzini comuni.
L'archeologo traduttore parla di rituale per la morte della regina o per la trasmissione del potere al re, altri pongono l'accento sul culto dei re defunti, altri ancora privilegiano la versione di un fastoso cerimoniale regale con esibizione di derrate, gioielli, prodotti dell'industria e metalli importati. Tutti comunque ruotano intorno a qualcosa che succede in relazione al re e alla regina. Se il rituale fosse registrato su tavolette per una sola cerimonia, non ci sarebbe stato il bisogno di duplicare i documenti, mentre sembra di capire che oltre a un testo centrale con la cerimonia ci sono dei testi paralleli per fare uscire dai magazzini i beni elencati nel testo centrale.
Leggendo il testo originale tradotto da Pettinato a noi sembra che questa omologazione sul significato della cerimonia, accompagnata da una differenziazione così netta sui particolari sia sospetta. E così l'interpretazione. È troppo simile a quella di una processione pagano-cristiana di qualche città del Sud Italia. Ma a Ebla il materiale per la processione non torna al punto di partenza, viene con tutta evidenza lasciato alle varie tappe. Lo sposalizio della regina, o l'intronizzazione del re tramite la consorte, o entrambe le cose, non richiedono il dono di una quantità così elevata di beni. Oppure lo richiedono, e allora siamo alla ripetizione di un mito rappresentato dal vivo, una simulazione di ciò che era avvenuto in passato. Da tenere presente che il percorso a tappe è contraddistinto da un rito di fertilità.
Uno degli studiosi che da più di trent'anni seguono l'interpretazione di queste tavolette che sembrano moltiplicarsi man mano procede la traduzione, scrive di matrimonio e intronizzazione insieme, cosa che a noi non sembra. Ma ci fermiamo qui, ci basta sapere che con preconcetti diversi le letture risultano diverse. E, l'abbiamo detto, abbiamo un forte preconcetto quando si parla di comunismo, originario o no.
La transizione in pratica
La ricerca intorno all'avvento di una società non più basata sui rapporti famigliari si impernia sul potere e sulla sua origine. La difficoltà di fissare punti di riferimento materiali per la nascita del potere è oggettiva, reale, perché non esiste linguaggio che possa descrivere compiutamente la mancanza di qualcosa. Se qualcuno affermasse che il potere nasce dalla possibilità di contabilizzare i beni prodotti, ammassati e distribuiti, sarebbe subito preso in considerazione perché è vero: se una componente della società controllasse l'alimentazione controllerebbe la società intera. È ciò che disse Kissinger all'apice della potenza americana: se controlliamo il petrolio, controlliamo i paesi, se controlliamo il cibo, controlliamo gli uomini.
Ma come può una società già arrivata ad amministrare mirabilmente sé stessa, consegnare il potere a una sua parte e accettare di essere dominata? Tutti gli studi e le ricerche concordano su di un punto: la produzione che rende possibile il controllo sul surplus renderebbe anche possibile l'ordinato svolgersi delle attività amministrative, senza alcuna sopraffazione di una classe sull'altra, senza alcuna appropriazione indebita del prodotto sociale o di una sua parte. Altrimenti lo Stato nascente non sarebbe in grado di giungere al controllo capillare dell'economia e alla sottomissione di popolazioni.
Non c'è stata nessuna sopraffazione per imporre lo Stato alla società umana, non si può imporre una cosa che non c'è ancora e non la si può inventare allo scopo di imporla. Se pensiamo invece al proto-Stato come all'organo amministrativo tipico di una società senza classi che nel corso della storia co-evolve fino alla massima efficienza, possiamo immaginare possibile una sua degenerazione da strumento distributivo a mezzo di accaparramento del prodotto. Come nota Frangipane, al culmine delle civiltà "egualitarie", si nota una proliferazione abnorme di addetti alla gestione del prodotto e della sua distribuzione, abbiamo visto almeno 150 titolari di sigilli ad Arslantepe su una popolazione di alcune centinaia di abitanti.
Nella figura 19 è rappresentato un esempio di struttura di transizione. Nonostante l'aspetto arcaico, rappresentava una sintesi della formazione dello Stato: al suo interno furono trovati locali adibiti a magazzino con migliaia di cretule, alcuni locali in cui veniva consumato il pasto di lavoranti (in ciotole standard, trovate capovolte a mucchi); alcuni locali che evocano attività di culto e di manifestazione del potere.
Dal contesto sembra che le ciotole grezze siano una prova della distribuzione di parte delle derrate dei magazzini per la "retribuzione" diretta in cambio di lavoro. Le lavorazioni in serie non avevano senso in una società dedita a produrre e consumare valori d'uso, a meno che non diventasse valore d'uso proprio la lavorazione in serie. È più interessante però il fatto che ad Arslantepe siano state trovate le prove di lavoro contro sostentamento; le ciotole di fattura grossolana, impilate capovolte in grandi numeri dimostrano che già c'era questo rapporto di "dipendenza" certamente derivato dal primitivo rapporto di produzione-distribuzione semplice.
L'antropologo Pierre Clastres, autore di uno sopravvalutato testo dal titolo La società contro lo Stato, imposta il suo lavoro sulla "logica del potere", cioè sul fatto che nulla giustifica la nascita e la funzione dello Stato e che quindi il potere è nulla, la sua potenza è una venerazione dell'impotenza. A parte le frasi ad effetto che sono davvero un nulla se non le si riempie di contenuto empirico, la "dimostrazione" della capacità prevaricatrice dello Stato non può basarsi sul fatto che vi sono centinaia di realtà sociali che ne fanno a meno, precisamente quelle che noi occidentali consideriamo "primitive". La dimostrazione sarebbe convincente se si fermasse al fatto che possono esistere o essere esistite società "senza" Stato, non "contro" lo Stato. Se bastasse essere "primitivi-contro" per non avere tra i piedi questo storico morbo, tutte le civiltà che si sono presentate alla storia dominate dallo Stato avrebbero potuto farne a meno rifiutando la civiltà. Il guaio è che la frase "lo Stato è nulla" fa il paio con quell'altra: "L'État c'est moi". Entrambe inciampano nella metafisica: la prima togliendo allo Stato la sua essenza materiale, la seconda attribuendo allo Stato l'oggettivazione che la prima gli ha negato.
Nelle figure 21 e 22 sono messe a confronto due aree di Mohenjo Daro. È evidente la differenza tra l'impianto stradale irregolare dei quartieri di abitazione e quello ortogonale "ordinato" delle zone pubbliche nelle due immagini successive. È ormai acquisito che la tipologia degli edifici non è assimilabile a quella di templi, palazzi del potere o di classi agiate: le differenze sono tra edifici privati e pubblici. Allo stadio delle conoscenze attuali, Mohenjo Daro e Harappa (l'altra grande città neolitica della Valle dell'Indo) sono due realtà che non hanno conosciuto le caratteristiche dello Stato pur avendo raggiunto il livello di complessità e la struttura urbana di grandi civiltà del passato. Non erano fortificate e gli scavi non hanno portato alla luce armi.
Il potere deriva dal principio di autorità, cioè dalla necessità che, di fronte a un problema da risolvere, si rispettino delle procedure suggerite dall'esperienza, dalla teoria o dalla forza, allo scopo di raggiungere il risultato nel modo migliore, secondo la formula del rendimento, data dal risultato ottenuto da una certa azione in rapporto a ciò che si è dissipato per ottenerlo. Il processo storico che conduce all'avvento dello Stato non è un "nulla", è una marcia verso un sistema a minore dissipazione cioè a rendimento più alto. Contrariamente a quanto succede oggi, l'originale ordinamento della società secondo un'amministrazione centralizzata in ambiente urbano condusse a un miglioramento di cui abbiamo traccia con l'introduzione della scrittura. In tutte le civiltà che hanno attraversato questa fase si nota un aumento della "ricchezza" non ancora misurabile in termini di valore e imputabile completamente al migliorato rendimento sociale.
C'è quindi una considerazione da fare: l'avvento dello Stato nella seconda rivoluzione di Gordon Childe, quella urbana, ha una portata innovativa paragonabile a quella della prima rivoluzione, quella neolitica. Non c'è stata nessuna sopraffazione all'origine dello Stato. Se il colpo di mano del re di Ebla, Ebrium, a favore di suo figlio, è riuscito, è perché lo Stato era già alle porte, c'erano degli interessi che maturavano e delle classi che l'aspettavano, un individuo non può cambiare la storia da solo. Tra l'altro l'usurpatore regnò per 17 anni, sino a quando qualcuno rase al suolo e bruciò il suo palazzo (non ci sono elementi per stabilire se fu incendio doloso o no).
Il migliorato rendimento sociale fu percepito dalle popolazioni non come uno svantaggio ma come una conquista. Tra l'altro, le civiltà giunte a questo stadio durarono millenni, senza variazioni di rilievo e senza ribellioni a eventuali despoti statalisti. Semmai successe il contrario: verso il XIII secolo a.C. l'archeologia del Medio Oriente registra una serie di distruzioni di "palazzi", sedi probabili di sovrani, un po' dovunque. Alcuni sostengono che fu in quel periodo che si accese la lotta contro lo stato e contro chi lo adoperò come strumento di potere. Ci piacerebbe che fosse vero, ma non ci sono prove. E comunque, dato il periodo storico, non di lotta contro lo Stato si tratterebbe, ma di lotta per il ritorno all'organismo esistente prima dello Stato. L'uomo non scende quasi mai in lotta per chiedere una società nuova, ma si batte per non perdere i benefici che quella vecchia gli assicurava.
Verso la seconda metà del III millennio a.C. vi fu una crisi che sconvolse l'assetto sociale e produttivo della Mesopotamia. Cause interne ed esterne (assetto politico, clima, invasione da parte di agguerriti popoli nomadi) contribuirono alla sua generalizzazione fino a coinvolgere specialmente il Nord, più sensibile alle variazioni ambientali che non la parte alluvionale del Sud. La crisi colse le varie società mentre erano a diversi gradi di sviluppo. Secondo Frangipane, l'effetto fu maggiore, a parità delle altre condizioni, nelle aree in cui lo sviluppo sociale non aveva superato il primo stadio del proto-Stato. Arslantepe fu una delle aree che non si sollevarono dalla crisi perché lo Stato arcaico non era riuscito a stabilizzarsi, come invece era successo alle forme più mature. Correggeremmo l'ipotesi con un'altra considerazione a favore del comunismo e contro lo Stato, come del resto si dice anche nel testo La nascita… ecc., citato, di Frangipane in altro contesto: le società agrarie non possono seminare se non mettono da parte una quota del raccolto. E anche le società comunistiche producono una tensione sul "risparmio": rispetto al surplus, non essendo speculative, tendono a consumarlo piuttosto che a venderlo o ad adoperarlo per produrre ancora più surplus. A meno che lo scenario non sia così favorevole da regalare un surplus talmente alto da innescare un circolo virtuoso di accumulo di risorse non monetario, come a Ebla.
L'"Impero commerciale" era figlio di un alto rendimento, ma la rivoluzione urbana aveva partorito un suo fratello ancor più produttivo: l'urbanizzazione e la riorganizzazione sociale sotto la guida di un centro sganciato dagli interessi dei singoli. Per dirla alla Engels ma con altre parole, un centro che permettesse la ricchezza privata accollandosi gli oneri della spesa pubblica in modo da evitare (o sedare) la protesta delle classi tartassate. Nel III millennio mancava ancora molto al perfezionamento della macchina statale, ma intanto l'umanità si portava avanti con il lavoro: Ebla fu distrutta e bruciata dall'esercito Akkadico guidato da Sargon, mentre gli Assiri, suoi successori, con il loro bellicoso Esercito-Stato (questa volta sì) erano in gestazione (avrebbero conquistato l'intera Grande Mesopotamia e territori limitrofi un mezzo millennio dopo).
Lo Stato, prima di essere quello che conosciamo noi, cioè quello ancora impregnato di quella forza che derivava da millenni di "amministrazione" comunitaria, in breve tempo prese forma. Pur rimanendo ancora per secoli un ibrido, plasmò sé stesso e la società che l'aveva fatto nascere in modo da indirizzare la forza produttiva sociale verso un nuovo livello di potenza: quello mostruoso dello sfruttamento di uomini da parte di altri uomini. Prima dello schiavismo, arrivato tardi, la condizione servile era normalmente provvisoria o comunque non prevedeva un trattamento disumano, non perché i padroni fossero dei filantropi, ma perché il servo e poi lo schiavo era un valore che rendeva più valore se trattato decentemente. Gli europei non sono riusciti a ridurre sistematicamente in schiavitù gli amerindi forse perché questi erano troppo vicini allo stadio comunistico e, secondo alcuni autori, si lasciavano morire piuttosto che farsi sfruttare (lo schiavismo in America prima dell'arrivo degli europei era una blanda servitù riscattabile e sembra che solo gli Aztechi lo praticassero).
Lo schiavismo duro fu quello statale, quando ogni genere di prigioniero era utile, anche a consumo, per lavorare nelle cave o simili. La statizzazione della società fu sempre più mirata – e richiesta – per aumentare la produzione, questa nuova divinità che le società pre-statali non conoscevano ancora. Roma stessa conobbe la schiavitù molto tardi.
Il successo dello Stato non risiede dunque nella prevaricazione, o almeno questa non è presente alle sue origini e forse neppure dopo, quando si incominciano a formare le determinazioni ben descritte dalla nostra Scuola. All'inizio, infatti, lo Stato nasce per mettere ordine in una società che aveva perso quello antico e non aveva ancora trovato quello nuovo (Engels). In Mesopotamia, dove lo Stato ha fatto la sua prima comparsa, il retaggio delle due rivoluzioni, quella agraria e quella urbana, entrambe avvenute nella grande e fertile pianura alluvionale, è stato il propulsore di civiltà ricche di beni materiali ma anche di storia, che non sarà ricordata dai singoli ma è parte del bagaglio collettivo di conoscenza che prende forma in documenti come il Codice di Hammurabi o le Dodici Tavole o le migliaia di tavolette che registrano la vita quotidiana.
La complessa "transizione di fase"
Complessità e inadeguatezza di codici, statuti, costituzioni e… sbirri, materiali per integrare i punti del programma immediato del partito della rivoluzione hanno a che fare con lo Stato: Esercito – Agricoltura – Salute – Diritto – Scuola – Burocrazia. Lo Stato va considerato come l'elemento più pericoloso: essendo frutto di potenti determinazioni produrrà una fortissima tendenza a conservare sé stesso. Vedremo quindi che non esiste un confine preciso tra le società pre-classiste e quelle di classe, la logica degli insiemi è fatta di sovrapposizione di modelli il cui contorno è per di più sfumato. Bisogna tenere presente la novità introdotta dalla dissoluzione del vecchio modo di produzione. La lotta della società neolitica per la conservazione del comunismo originario ebbe successo solo fino a quando riuscì a darsi un proprietario collettivo che amministrasse la società in modo centralizzato, producendo e distribuendo alla maniera antica ma organizzata secondo nuovi modelli quantitativi (il surplus agrario come motore primario della storia dei sistemi).
Il proprietario collettivo ebbe il compito di monopolizzare l'elemento dissolutore dell'antica forma sociale: l'equivalente generale. L'oro e l'argento sarebbero diventati denaro staccandosi dalla "carta di credito", cioè dalla tavoletta cuneiforme che registrava una operazione di compravendita. Il commercio su lunghe distanze, condotto come evoluzione dell'economia ancora comunistica del dono e del baratto, sarebbe diventato uno dei più importanti elementi propulsori della nuova forma sociale.
Lo Stato si trova dunque, per un lungo periodo, al confine tra la servitù nei confronti della società e la signoria su di essa. È grazie alle forme proto-statali che la comunità di villaggio opera a vantaggio della maggior parte della popolazione e che tale comunità persiste, anche se con caratteri assai amplificati e trasformati, nel tessuto urbano e in società ormai lontanissime dalle origini. Nel contempo è a causa dello stesso proto-Stato che le comunità originarie vengono distrutte, perché esse, per sopravvivere, devono ora consegnare il loro surplus al centro distributore e regolatore, il quale, a sua volta, si occupa di scambiare una parte dello stesso surplus con beni assenti sul suo territorio, come cibo, metalli, sale, pelli, legname, ecc. Il centro, proprietario collettivo, si presenta dunque come "personalità giuridica" e luogo (in genere urbano) atti ad accumulare i prodotti della società, la quale ad un certo punto può continuare ad esistere in quanto aggregato di vita collettiva solo grazie alla monopolizzazione — da parte del centro suddetto — del commercio, del denaro e dell'industria, cioè di quelle attività che alla lunga mineranno alle sue basi proprio il comunismo primitivo. Così la potenza dello Stato, quando questo sarà ormai completamente al servizio delle classi possidenti e quindi privilegiate, diverrà una forza di accelerazione formidabile. Ma solo in quel momento, non prima.
Non è dunque lo Stato a generare le classi e nemmeno il contrario. Si tratta di un processo contraddittorio innescato in primo luogo dalla separazione dell'uomo dai suoi elementi della produzione; la quale separazione a sua volta genera la decadenza della famiglia allargata che diventa mononucleare e monogamica; genera la comparsa della proprietà privata che estingue quella comune e quella in concessione; genera la classe dei proprietari, e infine lo sfruttamento dell'uomo da parte di altri uomini per profitto. In certi casi eclatanti, se non si bada troppo alle definizioni, sembra esistere lo Stato anche in società antichissime e ancora caratterizzate da rapporti comunistici.
Per noi c'è Stato solo quando esistono le condizioni per una rottura profonda dell'unità sociale ed è ben definita la separazione dell'uomo dai fattori della propria riproduzione in quanto produzione.
Da questo punto di vista lo Stato sarebbe sorto prima delle classi, non come strumento di dominio, ma come entità cui una società che rimaneva comunistica aveva demandato la tutela degli interessi comuni e la difesa militare. D'altra parte, nell'Origine della famiglia lo stesso Engels, dopo aver tratteggiato il processo della divisione in classi specifica la successione temporale. E Lenin a proposito dello Stato attinge da Engels:
"Questa potenza che emana dalla società, ma che si pone al di sopra di essa e che si estranea sempre più da essa, è lo Stato" (Engels citato da Lenin, Stato e rivoluzione).
Evidentemente, se la società antica poté mantenere al proprio interno i rapporti comunistici, dovette essere in grado di difendere i propri interessi comuni e di proteggersi dai nemici esterni. Dovette perciò essere conservatrice rispetto ai rapporti originari, non permettendo che l'azione corrosiva dello scambio mercantile prima, e del denaro poi, la dissolvesse.
Uruk: Eanna, la Casa
La concentrazione di attività diverse nell'area dell'Eanna, il nucleo più antico di Uruk ha consentito la conservazione di 4000 tavolette d'argilla incise con i primi segni pittografici (la scrittura più antica nella parte più antica della città più antica del mondo). La nascita della scrittura è in stretta relazione con l'attività economico-amministrativa a grande scala. Per la prima volta si sentiva il bisogno di una registrazione scritta delle operazioni. Le tavolette citate erano di natura economica per l'85%. Non essendo la pittografia una scrittura vera e propria, l'interpretazione comportò difficoltà notevoli, ma permise di conoscere la più antica forma statale di una civiltà. C'era dunque intorno al IV millennio a.C., un'autorità centrale riconosciuta in grado di amministrare, distribuire responsabilità, controllare, alimentare la popolazione di una grande città (si ipotizza da 50 a 80.000 abitanti, un'enormità all'epoca). La maggior parte delle tavolette riguardano infatti l'attribuzione di compiti e l'assegnazione di razioni alimentari, lo stoccaggio di derrate, materie prime, metalli preziosi o meno, formazione di mandrie e loro controllo, lavoro di tessitura e distribuzione di tessuti. Se si parla di Stato non può mancare il lavoro di anagrafe, cioè la registrazione di persone e cose, delle mansioni di coloro che vanno a formare le gerarchie della burocrazia.
Se si parla di Stato, appunto.
La comparsa della burocrazia, sia pure con tempi lunghissimi e prima che ci fossero i mezzi contabili (cretule, sigilli, gettoni di conto, scrittura) dovrebbe presentare delle invarianze forti, come infatti avviene con la comparsa della scrittura, fenomeno esploso contemporaneamente in Mesopotamia e in Egitto (alcuni sostengono anche in Europa), o l'uso di cretule, metodo universale di controllo entrata/uscita per millenni.
Anche lo sviluppo dei magazzini, ben documentabile in tutte le aree con reperti archeologici evidenti, è avvenuto parallelamente a quello della raccolta/distribuzione, ma con modalità che sembrano rompere l'invarianza. Infatti le dimensioni, che in alcune aree appaiono imponenti, in altre sono invece poco visibili, addirittura introvabili. La risposta può essere quella che offrono gli stessi archeologi, classificando l'assetto sociale delle varie proto-civiltà con riferimento alla fase di sviluppo "egualitaria" che si divide in due modalità: quella verticale e quella orizzontale. La prima sarebbe quella espressa da popolazioni organizzate secondo criteri parentali estesi, con raccolta domestica delle derrate di famiglia; la seconda quella, sempre egualitaria ma con una gerarchia amministrativa facente riferimento a un capo carismatico capace di tenere coesa una "nazione federale". In questo caso lo stoccaggio sarebbe avvenuto in modo altrettanto gerarchico e l'amministrazione avrebbe richiesto più funzionari e mezzi contabili e naturalmente magazzini più capaci.
Alcuni sostengono che le ziggurat mesopotamiche, le grandi piramidi a terrazze che si innalzavano nelle zone sacre delle città, erano suddivise in livelli funzionali e che il loro piano terreno era il magazzino della comunità. Non sappiamo se questo dato sia verificato, visto che non abbiamo trovato fonti primarie che lo confermino (nell'interno delle piramidi mesopotamiche ci risulta che vi siano solo cunicoli). Comunque, negli scavi di Uruk nella zona sacra di Eanna vasti edifici che in precedenza erano creduti templi scoperti sono stati riclassificati come edifici laici e coperti. A Ur, nella zona sacra della ziggurat, vi sono edifici sicuramente classificabili come magazzini templari (uno di 60 x 60 metri), con annessi laboratori per la lavorazione e la cottura delle derrate.
La quantità di materiale raccolto sul tema della Prima Grande Rivoluzione, dal comunismo originario alle società urbane organizzate, ci dimostra abbondantemente – e lo ammettono gli stessi archeologi – che si è compiuta una enorme falsificazione storica, attribuendo alle società antichissime caratteri della società attuale. A parte le questioni legate al susseguirsi dei modi di produzione, su cui abbiamo lavori "nostri" su cui appoggiarci, si trovano sufficienti informazioni studiando il materiale originale degli scavi pubblicato su Internet e le relative diatribe tra i medesimi archeologi.
Abbiamo visto che l'affermazione dei conteggi per quantità e qualità notevoli ha prodotto alla fine una burocrazia in grado di rafforzare le tendenze alla specializzazione, alla gerarchizzazione e al controllo oltre che sulle cose anche sugli uomini. L'autorità centrale, a un certo grado di sviluppo delle società si può definire proto-statale proprio grazie alla capillare organizzazione con relativa distribuzione di attributi politici ai gruppi che avevano soltanto compiti pratici. Ciò è visto come una prova che non sono stati tanto i fatti materiali a produrre l'avvento di una nuova entità prima sconosciuta, quanto l'assunzione di una capacità di controllo attraverso l'imposizione di meccanismi coercitivi, come la richiesta di modifica sulla gestione e sulla previsione prima del surplus e poi del prodotto per la riproduzione della società. Siccome, ci dicono i paleoantropologi, chi controlla il surplus controlla l'intera società, deve esserci un punto oltre il quale scatta l'impegno di una parte della società verso l'altra. Deve comparire l'obbligo di pagare con la propria quota di prodotto sociale un tributo o qualcosa del genere, un dono a qualsiasi titolo, un canone su terra, bestiame, semi o mezzi di produzione. Tutto ciò, tradotto con un linguaggio marxisteggiante potrebbe anche sembrare corretto, ma proprio per questo è ancor meno accettabile di un errore palese. Nella frase così com'è scritta c'è un ritorno della coppia Robinson contro Venerdì.
L'unica risposta possibile ai quesiti suscitati dal nostro modello è che i membri della società non fossero per niente contrari all'avvento dello stato come lo percepivano allora e che, visti i risultati all'apice della fase che stavano vivendo (la potenza di Uruk, la ricchezza di Ebla, il benessere di Menfi) volessero lo Stato. Lo Stato non può essere strumento di dominio di uomini su uomini prima di diventare quell'entità che oggi chiamiamo con quel nome.
Prima dello Stato viene l'amministrazione: l'uomo, a differenza degli altri animali, vuole sapere che cosa sta facendo e possibilmente prima di incominciare a farlo. Non appena terminato di cacciare e raccogliere, la contabilità è la risposta a questa esigenza: se si vuole essere sicuri di mangiare domani bisogna sapere come e quanto abbiamo mangiato oggi. Soprattutto bisogna sapere come ha fatto il pane ad arrivare in tavola regolarmente per tutto l'anno dall'epoca dell'ultimo raccolto. L'amministrazione è alla base di ogni discorso sullo Stato e non c'è Stato senza città. Su questo tutti paiono d'accordo, perché sembra che almeno una certezza ci sia: circa 9.000 anni fa si impone un cambiamento rivoluzionario che generalizza il motto scolpito sul tempio di Apollo a Delfi: "Conosci te stesso" (e la tua specie). Ma storici, sociologi, paleoantropologi, archeologi, urbanisti sono invece in netto disaccordo tra loro sul dato di fatto più importante che è proprio il consentire alla specie di autoriprodursi. Il nostro più grande atto di autoconoscenza, ai suoi albori, viene abbassato al livello di un dibattito accademico sul pensiero dei nostri antenati. Dice Marcella Frangipane nel testo qui più volte citato:
"Kent V. Flannery, nel suo The cultural evolution of civilizations ha proposto l'uso di un modello che individuava nelle leggi di funzionamento generale della società processi e meccanismi universali capaci di spiegare l'evoluzione delle forme statuali come il frutto di alterazioni all'interno di sistemi in equilibrio, funzionanti come ingranaggi perfetti. Il fattore critico è la quantità di 'informazione' che il sistema deve elaborare e controllare, con l'aumento della quale si produce la progressiva differenziazione interna e specializzazione dei sottosistemi ('segregazione') e la tendenza alla 'centralizzazione' del controllo nelle istituzioni di livello superiore."
Queste si chiamano capitolazioni di fronte alla nostra dottrina. Dobbiamo ricordare la famosa contraddizione fra città e campagna? Ebbene, i nostri antenati protostorici di settemila anni fa avevano risolto il problema. Coltivavano nei campi e immagazzinavano, conservavano, trattavano, smistavano in città. Senza che ci fosse qualcosa da ridire, perché ognuno dipendeva dal lavoro degli altri, tutti avevano tutto e non aveva senso sfruttare, ingannare, rubare, imprigionare, schedare, combattere e trovare tutto ciò naturale "perché l'uomo è fatto così...".
Siccome anche nella società più semplice le interazioni degli individui e dei gruppi che producono, ammassano e distribuiscono, evolvono in un sistema complesso, e tutti i sistemi complessi posseggono
"la notevole proprietà di avere un interscambio con l'ambiente di cui fanno parte, di accumulare informazione e di assumere capacità di auto-organizzazione. In un certo senso il loro massimo potenziale è quello di auto-programmarsi in funzione di uno scopo. Per migliaia di anni lo scopo fu la riproduzione di comunità umane che in questo sistema interagivano e rendevano possibile l'operatività del sistema stesso alla scala sempre più ampia. Il mancato passaggio di valore fra i suoi membri ricorda la stessa dinamica che caratterizza il sistema della fabbrica moderna, la quale al suo interno forma una rete di interazioni organiche" (n+1 numero 27, "La prima grande rivoluzione").
Per un lungo periodo sembrò quasi che l'archeologo si sentisse sminuito se trovava un magazzino invece di un palazzo o di un tempio. Così l'attribuzione arbitraria di funzioni "elevate" a grandi edifici era diventata prassi corrente. A Cnosso, il vasto e articolato edificio costruito 4.500 anni fa è considerato un "palazzo reale" con tanto di sala del trono (uno sgabello che sporge da un muro) e appartamenti della regina (piccole stanze con toilette), mentre pochi si chiedono come mai i soli magazzini occupino quasi metà dell'area complessiva. O ricordiamo Tebe, dove ci sono i resti del magazzino antico più grande mai costruito, presso il tempio funerario di Ramsete II, che non viene neppure inserito nei tour dei vacanzieri.
Nella zona sacra di Uruk, Eanna, la parte più antica della città, vi è un enorme complesso templare che gli archeologi stanno riconsiderando. In un edificio ritenuto sacro era stata rinvenuta una grande quantità di recipienti prodotti in serie, tipici del periodo, che dovevano essere i contenitori per le offerte alle divinità, mentre molto prosaicamente potevano indicare una qualche forma di stoccaggio di beni alimentari all'interno dell'edificio sotto la protezione della divinità.
La sacralità del cibo raccolto in un luogo particolare fa sì che questo luogo diventi sacro o viceversa. Ogni società umana si riproduce attraverso il lavoro, la produzione, la distribuzione e, superata la fase comunista originaria, lo scambio; ma è il modo di svolgere il lavoro che distingue le società, non il fatto di lavorare. Le rivoluzioni non sono altro che la transizione da un modo all'altro. Nella società futura non vi sarà scambio su basi di valore ma flusso di oggetti e attività, contati secondo quantità e usufruiti secondo qualità. Esattamente come successe nelle prime comunità urbane ancora comunistiche le quali ci hanno lasciato testimonianza archeologica e spesso anche documentaria (su papiri, tavolette, ecc.) dei movimenti di prodotti e persone. Senza mercato. Senza scambio di valore.
Primo livello dal basso: Paleolitico
Sono rari i siti archeologici del paleolitico che mostrano villaggi di capanne. A Terra Amata, vicino a Nizza, ne è stato scavato uno i cui strati inferiori sono stati datati a 380.000 anni fa. Si tratta del più antico insediamento di quel tipo mai ritrovato. Vi si notano basi di capanne ovali con focolare al centro. Non sappiamo quasi nulla della vita sociale di chi abitava questi antichi villaggi, tranne che cacciava, usava il fuoco ed era semi-nomade. Non sappiamo se conservasse il cibo e come, ma senza la conservazione e lo stoccaggio del cibo non ci sarebbe stato il neolitico, né l'urbanesimo, né probabilmente il capitalismo. Da quel poco che sappiamo, però, qualcosa possiamo ipotizzare. Per esempio: le capanne erano lunghe una quindicina di metri e larghe cinque o sei, quindi grandi, in grado di riparare una famiglia allargata. Una struttura di quelle dimensioni dev'essere costruita con criterio e, anche se sono rimasti solo i buchi nel terreno dove erano stati piantati i rami e allineati i sassi perimetrali che tenevano ferma la costruzione, quest'ultima doveva essere abbastanza solida, non proprio una casa ma nemmeno una semplice capanna. C'era certamente un tetto di paglia fissato tramite legatura all'incrocio dei rami sul soffitto. Il focolare piccolo, una buca nel terreno di una quarantina di centimetri di diametro per venti di profondità, non permetteva la cottura di grandi quantità di cibo alla volta, mentre poteva permettere una buona affumicatura della carne, ma non sappiamo se fosse praticata. L'analisi dei pollini ha confermato che la dieta carnea era integrata con piante selvatiche. Degli spazi tondeggianti su terreno vergine con sparse tutt'intorno, a caso, numerose schegge di selce, indicavano che lì si erano seduti i cacciatori per fabbricare gli strumenti necessari a una stagione di caccia. Infatti, di questi ne sono stati trovati diversi, di buona fattura anche se molti ancora monofacciali.
L'uomo paleolitico, quindi, consumava quello che produceva Just in time, senza magazzino e con una logistica limitata. Non praticava lo scambio, dato che tutti producevano quanto era utile e nulla di più: la pietra era dappertutto e al massimo si barattava ocra con ossidiana (un colore e un vetro vulcanico), che invece erano in località circoscritte.
Da condizioni come quella descritta inizia il viaggio della nostra specie verso l'urbanizzazione e lo Stato. Non abbiamo notizie complete sulla civiltà comunistica, però, adesso che sappiamo com'è incominciato il ciclo dello Stato, abbiamo qualcosa da dire su come finirà.
Passando attraverso la Prima Grande Rivoluzione.
Da un punto di vista darwiniano la società del gruppo umano che si insediava annualmente a Terra Amata poteva fare ben poco per dimostrare di essere la più adatta di fronte alla selezione naturale. I suoi ritmi di vita erano scanditi dalla natura e si susseguivano un giorno dopo l'altro secondo un modello invariante. Se dovessimo disegnare un grafico del suo sviluppo, avremmo una linea crescente a ritmi quasi invisibili su scala normale. Vedremmo cioè una linea quasi orizzontale.
Ben diversa la situazione dell'Uomo di Neanderthal, più dotato in quanto a materia grigia, più robusto e capace di astrazioni, come dimostrano le sue sepolture e le tracce che ha lasciato nella sua attività quotidiana. Ma anche il suo tasso di sviluppo sociale sarebbe appena percettibile in un diagramma normale.
L'uomo di Neanderthal era già estinto da 40.000 anni quando, nel 3.300 a.C., un uomo del neolitico morì attraversando il ghiacciaio del Similaun nel quale fu poi inglobato e conservato. Gli specialisti che analizzarono la mummia constatarono che questo personaggio aveva una storia tribolata, ma soprattutto che aveva ancora nello stomaco i resti del suo ultimo pasto: carne secca di stambecco, cervo affumicato, farro monococco. Tre cibi conservabili e immagazzinabili. Se l'uomo del neolitico avesse fatto parte di un villaggio, avrebbe dovuto chiedere alla comunità (famiglia allargata o altro) di poter prelevare dal magazzino comune, per il suo viaggio, una quota della sua assegnazione di farro, il primo cereale usato in agricoltura. Sulla creta fresca che chiudeva il coperchio di un recipiente, sarebbe stato tolto e rimesso un sigillo.
La nascita dello Stato è strettamente collegata all'amministrazione del cibo di una comunità. Il fenomeno conseguente di un aumento della forza produttiva sociale produce dei diagrammi di crescita dall'andamento simile a quello della figura 24.
Nei grafici è rappresentata la crescita di alcuni parametri economici. Nel primo vediamo l'andamento del PIL pro capite in Inghilterra dal 1270 a oggi. L'andamento del PIL pro-capite è un buon indicatore della potenza produttiva sociale, cioè della produttività. Come si vede, fino al 1900 c'è un certo tipo di crescita, dopodiché la curva si impenna in modo sorprendente. Più sorprendente ancora, è il fatto che tutti i parametri che riguardano la potenza produttiva sociale: andamento demografico, PIL, consumo di energia, interscambio, costo delle materie prime, produzione di automobili, inquinamento, presentano un grafico simile. Tutto ciò che abbiamo elencato, posto su assi cartesiani, riflette anche l'andamento della vitalità dello Stato. Notare le due perturbazioni che interrompono la regolarità dell'ascesa. Si tratta delle due guerre mondiali. Due eventi catastrofici di importanza planetaria quasi non si notano sullo sfondo della normale crescita economica di una nazione qualunque in tempi normali. Questo significa che l'aumento storico della forza produttiva sociale, come fatto evolutivo della nostra società è di gran lunga più importante degli eventi anche grandiosi provocati dall'intervento umano. Ma significa anche che la storia del capitalismo è finita: quelle curve non possono continuare con lo stesso andamento, se arrivassero alla verticale significherebbe produttività infinita e ciò non è possibile.
Ritorno al futuro
Siamo arrivati in fondo al nostro scavo archeologico. Strato dopo strato abbiamo interpretato i reperti in senso inverso allo scorrere del tempo. Ma abbiamo fatto un'operazione "consentita": per analizzare la sequenza fino a oggi ci siamo collocati nel domani, come deve fare chiunque voglia "misurare" un determinato evento. Se infatti questo è relativo a uno spazio preciso al centimetro useremo uno strumento di misura preciso al millimetro, così saremo sicuri di ottenere una tolleranza più che sufficiente.
È anche certo che da un punto di vista teorico, ponendoci nel gradino più alto della sequenza, vediamo il contenuto completo di ogni singolo gradino più basso, perché la scala completa li contiene tutti.
Dal punto di vista del linguaggio con cui trasmettiamo e riceviamo informazione, è noto che per usare il futuro nel passato, useremo il condizionale futuro, ad esempio: "Ve l'ho detto che avrei telefonato". Sono due azioni che si svolgono entrambe nel passato, ma che riguardano il futuro dei soggetti che le compiono.
La figura 25 mostra lo scheletro in acciaio di un magazzino automatico in costruzione, potrebbe essere quello di Amazon, e che abbiamo preso a simbolo per il finale.
A monte del magazzino c'è la produzione sociale, cioè – l'abbiamo visto riandando a Lenin, socialista – i beni prodotti riempiono il magazzino man mano che questo si svuota e, con le metodologie della Qualità totale, dello Zero scorte e della produzione Just in time, il magazzino diventa un'altra cosa.
Una cosa che non è mai esistita nei millenni passati: un punto di smistamento dei beni appena prodotti verso chi li ha appena richiesti.
Già oggi, se rendiamo tracciabile il bene singolo, potremmo mettere insieme un enorme gioco automatico che va dalla miniera allo smaltimento intelligente degli oggetti obsoleti.
Un flusso produttivo controllato senza che intervenga nessun calcolo in base al valore, perché il denaro si può eliminare subito, anzi, materialmente non c'è già più.
Potrebbe essere divertente, ma dobbiamo fare in modo che il tempo di lavoro si trasformi in tempo di vita. Il più velocemente possibile. A quel punto lo Stato non ha più ragione di esistere e si estingue.
Il finale non è a sorpresa: la rivoluzione si era preannunciata, la sorpresa sarà sospetta. La società era florida quando i magazzini straripavano di beni. Oggi è florida se i magazzini residui sono vuoti.
Andando più indietro del neolitico abbiamo realizzato la simmetria: comunismo avanzato/comunismo originario, zero scorte, zero magazzino, ogni prodotto reso "intelligente" interagisce con tutta la struttura, resa intelligente. Fino a che questa non farà da sé, con un minimo di istruzioni. È sufficiente che impari ad avvisare il sistema quando il flusso rallenta.
Se la faticosa coltivazione del grano fa sì che il nostro corpo sia alimentato, a caldo di vita, grazie al trasferimento in esso, dopo cicli chiusi di chimismo in bilancio pari.
Se potremo coltivare con l'aratro e sostituire il bue (che aveva passato con Febo un contratto del genere nostro) con la macchina.
Se a questa macchina non addurremo nafta (che è poi anch'essa vecchio calore solare "donato" e messo a deposito nelle banche del sottosuolo) ma quella energia idroelettrica che ci viene annualmente da un tributo regolare pagatoci sempre dal grande astro.
Allora, allora... Resterà, direte, all'uomo l'opera organizzativa, direttiva, il girare le chiavette interruttrici. Ma hanno detto ultimamente che una macchina della macchina sostituirà l'uomo alle manopole di questa, dopo aver registrato con processi elettronici il comportarsi effettivo dell'uomo, il trucco che lo distingue, per ritrasmetterlo identico. Allora sarà invero la natura che ci darà tutto, cominciando dal vassoio della prima colazione che arriverà senza che lo porti nessuno.
Quando nessuno lavorerà sarà raggiunto lo scopo di godere tutti di rendita. Allora vivremo non lavorando, ma rubando a madre natura. Oggi non esiste rendita per un solo individuo che non sia rubata al lavoro dell'uomo.
Mai la merce sfamerà l'uomo
Note
[1] Karl Marx, Critica del programma di Gotha, 1875.
[2] Nel 1872 Felix Klein con Il Programma di Erlangen suggerì di considerare la geometria come studio delle proprietà invarianti dello spazio rispetto a un dato gruppo di trasformazioni. Questo studio basilare ebbe influenza sullo sviluppo della matematica. Il capitolo che segue echeggia senza pretese tale principio.
[3] Nei primi anni '20, durante e dopo il Biennio Rosso, in diversi paesi, ma specialmente in Germania, centinaia di migliaia di proletari si erano organizzati militarmente ed erano in grado di impegnare in battaglia le forze della borghesia.
[4] Onorato Damen, Amadeo Bordiga, Edizioni Prometeo.
[5] Ferocemente demolito da Marx in Critica della filosofia del diritto di Hegel.
[6] Lenin, Che cosa sono gli amici del popolo.
[7] Lenin, L'Imperialismo, fase suprema del capitalismo, Editori Riuniti.
[8] J. Burckhardt, Considerazioni sulla storia universale, Mondadori 1990.
[9] Marx, Critica alla filosofia del diritto. Editori Riuniti.
[10] Marx, Critica ecc. cit.
[11] Max Weber, La scienza come professione. La politica come professione, Edizioni di Comunità.
[12] Wikipedia, voce "Stato".
[13] Norberto Bobbio, Enciclopedia Einaudi, voce "Stato".
[14] Ernest Mandel, La Teoria marxista dello Stato, http://www.holosbank.org/unigov/MST-It.htm
[15] Questo paragrafo va sottolineato con forza: come Marx e la nostra corrente ebbero il coraggio di affermare che il capitalismo non esiste potenzialmente più, così noi affermiamo che la società futura ha già incominciato a demolire quella presente.
[16] Marx ed Engels, L'ideologia tedesca, Editori Riuniti.
[17] Marx, Lettera ad Annenkov, 1846.
[18] Voce di Wikipedia.
[19] Idem.
[20] Cfr. Dottrina dei modi di produzione, Quaderni di n+1.
[21] Letteralmente "lingua di legno", espressione usata nel Francese per indicare un linguaggio spento, omologato.
[22] Lenin, Stato e rivoluzione, Editori Riuniti.
[23] Marx ed Engels, Il Manifesto del Partito Comunista, Editori Riuniti.
[24] I segni positivo e negativo emergono in tutta la storia come invarianti: in fisica meccanica il cambiamento di segno non cambia le caratteristiche del fenomeno osservato, che è reversibile. I fenomeni biologici, invece, sottostanno alle leggi della termodinamica, e sono irreversibili.
[25] Louise Michel, film di Benoit Delépine, Francia, 2008.
[26] Adam Smith, Indagine sulla natura e sulle cause della ricchezza delle nazioni, ISEDI.
[27] Marshall Shalins, L'economia dell'età della pietra, Bompiani.
[28] Fu regina per quattro anni, incoronata dall'imperatore Enrico V, figlio di Enrico IV.
[29] Guidrigildo. Valore in denaro di una persona uccisa. Le ferite o mutilazioni erano calcolate come frazioni dell'intero corpo. Tipico del diritto barbarico, il guidrigildo era tramandato a voce e sollevava i famigliari dell'ucciso dal dovere della vendetta che produceva faide senza fine. In Italia le leggi longobarde vennero messe per iscritto con l'editto di Rotari soltanto nel 643.
[30] Sembra che i monaci dell'abbazia di Vallombrosa abbiano introdotto la figura del converso qualche decennio prima dei Cistercensi.
[31] Giuseppe Salvioli, Il capitalismo antico. Laterza.
[32] Rodney Stark, Il trionfo del cristianesimo, Lindau.
[33] Annonaria è la politica che disciplina l'insieme delle misure di uno Stato per la distribuzione di beni. In genere tramite una rete pubblica per le necessità di approvvigionamento di un paese, specialmente per quanto riguarda le derrate alimentari, in situazioni critiche (carestie o guerre, per esempio).
[34] Guy P.R. Métreaux, "Villa rustica alimentaria et annonaria", in Alfred Frazer (a cura di), The Roman Villa: Villa Urbana, University of Pennsylvania Museum of Archaeology, 1998. p. 14-15.
[35] Engels, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato. Editori Riuniti.
[36] Marcella Frangipane, La nascita dello Stato nel Vicino Oriente, Laterza cit.
[37] Bottero Jean, Mesopotamia, Einaudi.
[38] Marcella Frangipane, La nascita dello Stato nel Vicino Oriente, Laterza. Vedere anche: The development of centralised societies in Greater Mesopotamia and the foundation of economic inequality. Arm und Reich - Rich and Poor. Competing for resources in prehistoric societies. Tagungen des Landesmuseums für Vorgeschichte Halle, Band 14/II, 2016.
[39] Le cifre sono quelle ricavate dal libro di Pettinato, salvo quella dell'orzo, che però abbiamo dedotto dal contesto perché l'orzo fungeva anche da equivalente; comunque non siamo riusciti a convertire le unità di misura da peso a capacità.
[40] Matthiae Paolo, Ebla, Einaudi.
[41] Pettinato Giovanni, Ebla, Rusconi. I Sumeri, Rusconi. La città sepolta, Mondadori.
[42] Giovanni Pettinato, Ebla, Rusconi.
[43] Notizia fornita da Zahi Hawass, ex responsabile del governo egiziano per l'archeologia. Vedi anche Donadoni Sergio, L'uomo egiziano, Laterza.
[44] David Clarke, Archeologia analitica. Modellistica basata sulla teoria di sistemi, Electa.
[45] M. G. Biga- A.M.G. Capomacchia, I testi di Ebla di ARET XI ; una rilettura alla luce dei testi paralleli.
[46] Autore sconosciuto, citato nel testo di Biga-Capomacchia: "Ebla and a pilgrimage to cult centers in the countryside upon the occasion of the king's marriage and his ascension to the throne".
[47] Pierre Clastres, La società contro lo Stato, Mimesis editore.
[48] Marx, lettera ad Annenkov cit.
[49] Marco Merlini, La scrittura è nata in Europa? Avverbi Edizioni.
[50] Rita Dolce e Carlo Zaccagnini, Il pane del re, accumulo e distribuzione dei cereali nell'Oriente antico , CLUEB.
[51] Henry de Lumley, "Un accampamento paleolitico a Nizza", Le scienze n. 13 del 1969.
[52] Le curve rappresentate nei diagrammi servono solo per dare l'idea di un andamento, non sono direttamente confrontabili.