Ciò che sembrava un mezzo è diventato lo scopo

Adam Greenfield - Emergenza. Come sopravvivere in un mondo in fiamme Einaudi, 2024, pagg. 240, euro 21.

Potrebbe essere difficile immaginare un collasso generale del mondo in cui viviamo, eppure – ci ricorda Adam Greenfield – anche prima della caduta dell'Unione Sovietica il sistema, seppur degradato, sembrava solido. Gli Stati Uniti assommano su di sé tutte le contraddizioni del capitalismo mondiale, e non è un caso che proprio lì sia nato un movimento come Occupy Wall Street che, nei suoi due anni di esistenza, ha voltato le spalle alla politica parlamentare, al leaderismo e al riformismo, dicendo di essere una voce aliena che dal futuro chiama a raccolta contro il capitalismo.

Quel movimento è stato in grado di rispondere ad una catastrofe "naturale" tipo l'uragano Sandy che si è abbattuto su New York nel 2012. Una struttura come Occupy Sandy è stata possibile grazie "ai legami che si erano instaurati nel corso di quelle elettrizzanti e complicate settimane a Zuccotti Park". Tale struttura non ha fatto la carità a chi è stato colpito dall'uragano ma ha messo a disposizione la sua esperienza per organizzare i soccorsi ("Mutual Aid, not Charity"). Greenfield sembra stupito dal fatto che un'iniziativa spontanea e autogestita sia stata più efficace dell'Agenzia federale per la gestione delle emergenze (FEMA), e della Croce Rossa americana.

Il quadro che lo scrittore americano delinea nel suo saggio è quello di un mondo senza rifugio, senza ospitalità, nel quale le strutture economiche e politiche, che fino ad oggi hanno regolato il vivere sociale, si stanno disgregando. Certo, dice l'autore, nessuno mette in dubbio la resilienza del capitalismo, la sua capacità di rigenerarsi anche grazie allo sfruttamento delle catastrofi, ma fenomeni come inondazioni, incendi, pandemie, persone in fuga dal collasso ecosistemico, alla lunga rendono l'attività economica impossibile.

L'uragano che ha colpito New York nel 2012 ha provocato 254 morti, distrutto strade, case, automobili, causando blackout e allagamenti. Esso rappresenta l'anteprima di catastrofi di più ampia portata, in grado di compromettere le reti di approvvigionamento di beni e di energia elettrica. La complessità della catena logistica globale può, infatti, essere messa a repentaglio anche all'improvviso da eventi imprevedibili. Un esempio: l'insabbiamento della portacontainer Ever Given nel Canale di Suez.

La Lunga Emergenza è il nome che Greenfield ha dato all'epoca in cui siamo entrati. Egli comprende che "buona parte dei sistemi e delle regole che danno forma alle nostre vite verranno spazzati via dalla potenza degli eventi", ma pur dando molto spazio all'esperienza di Occupy, la mescola con forme di organizzazione che sono retaggi riformisti del passato, come il municipalismo di Murray Bookchin, le comuni del Rojava in Siria, oppure i "programmi di sopravvivenza" delle Black Panther negli anni Settanta.

Ciò che Occupy è stato e ha rappresentato è nato da spinte differenti da queste che abbiamo ricordato, da una realtà che non "tornerà indietro", per questo il movimento non potrà che riemergere, magari con un nome differente, ma certo ad un livello di maturità superiore.

Dopo il passaggio dell'uragano Sandy ciò che si è messo in moto non è stato il mutuo appoggio di cui parlava l'anarchico Pëtr Kropotkin, ma si è vista agire la moderna cooperazione sociale conseguente allo sviluppo delle reti, di quel General Intellect (intelletto generale) di cui parlava Marx nei Grundrisse.

Su un punto, Greenfield dimostra di avere colto il senso della questione: gli Stati faticano ad affrontare le emergenze a causa di una profonda crisi interna, ed affidarsi a loro equivale ad affidarsi ad uno zombie. Scrive infatti:

Sono tanti i luoghi del pianeta in cui lo Stato ha già fallito ed è collassato su sé stesso, non tanto per una cattiva gestione, quanto piuttosto per un incauto e improvviso ritiro della fornitura di servizi pubblici. Possiamo già vedere cosa comporta questo processo una volta che giunge a compimento: in Paesi come lo Yemen, la Somalia, Haiti o, più di recente, il Venezuela, dove lo Stato è scomparso, non è più un'entità presente nella vita delle persone. È venuta meno la sua capacità di garantire un accesso affidabile (o un accesso tout court) ai servizi essenziali. Per gran parte della popolazione, la vita quotidiana è diventata una lotta disperata per assicurarsi beni di prima necessità. Anche se non si può ancora parlare di un vero e proprio collasso, la sensazione è quella che i sistemi di governo classici, con economie sviluppate, si stiano avvicinando a una soglia oltrepassata la quale non saranno più in grado di fornire beni essenziali ai propri cittadini; e questa cosa si può già dire oggi, all'alba di una nuova fase che metterà a dura prova la capacità dei governi di fare politica."

Qualsiasi cambiamento di tale portata non può avvenire all'interno del sistema capitalistico e peggio che mai per via elettorale con l'illusione che i leader politici e i partiti possano slegarsi da quelle stesse forze che sono parte integrante dello stato di cose presente. Per risolvere i problemi che attanagliano l'umanità, servirebbero interventi di lungo respiro, impossibili da realizzare da parte di organizzazioni che ragionano in termini di scadenze elettorali. Protestare con azioni di disobbedienza civile, firmare petizioni, rendere più efficiente la raccolta differenziata, possono lavarci la coscienza ma non incidono sulla realtà. Per esempio: i metodi tradizionali di protesta non sono riusciti a mettere fine al micidiale utilizzo su larga scala di combustibili fossili.

Ecco allora che l'autore ha un'intuizione: Occupy Sandy è nato per rispondere ad una criticità, ma visto che siamo entrati nella Lunga Emergenza, tale modello potrebbe diventare permanente:

Ma se il significato di una simile esperienza fosse ancora più profondo? Se organizzarci in questo modo potesse porre rimedio anche ad altri problemi cronici che minano il nostro benessere?"

Insiste Greenfield: proprio guardando al modo in cui le persone a New York sono riuscite ad organizzarsi per continuare a vivere, potremmo imparare a soddisfare collettivamente i nostri bisogni durante un'emergenza, soprattutto quando lo Stato non è più in grado di farlo o quando fa di tutto per ostacolare l'auto-organizzazione.

Sull'onda dell'esperienza di Occupy Sandy, che aveva il suo perno nei punti di raccolta di beni e volontari, Greenfield, da buon proudhoniano, auspica la formazione di "case della vita" in ogni quartiere, dei centri di ritrovo per "discutere di questioni di interesse comune; organizzare un'assistenza affidabile per i bambini; prendere in prestito strumenti che non ha senso che una famiglia possieda da sola e così via." Il tutto, si badi bene, all'insegna dell'interclassismo, del vogliamoci tutti bene.

È il caso di ricordare che proprio quando il movimento Occupy raggiungeva il suo apice, tra la fine del 2011 e l'inizio del 2012, cercò di occupare dei "luoghi fisici": Occupy Oakland, nell'intento di prendersi un ex centro congressi da destinare alle attività della community, subì 400 arresti e un nulla di fatto per quanto riguarda l'obiettivo; Occupy San Francisco assaltò e difese per poche ore un mega hotel dismesso (600 camere), anche in quel caso la repressione non si fece attendere.

La classe operaia, tra fine '800 e inizio '900, diede vita alle Case del Popolo e alle Camere del Lavoro, centri di coordinamento, di radicamento sul territorio, di propaganda, di raccolta della stampa socialista. Il comunismo è un bisogno di specie e, nella nostra epoca, lo si vede chiaramente all'opera nell'associazionismo proletario. Scriveva Marx nei Manoscritti economici-filosofici del 1844:

Quando gli operai comunisti si riuniscono, essi hanno in un primo tempo come scopo la dottrina, la propaganda, ecc. Ma con ciò si appropriano insieme di un nuovo bisogno, del bisogno di società, e ciò che sembrava un mezzo è diventato lo scopo".

Rivista n. 56