Modo di produzione asiatico?

Buongiorno,

ho da poco cominciato a leggere la vostra rivista dal sito web, cominciando dal vostro numero 35, la monografia sull'Italia medioevale, che aveva attirato la mia attenzione. L'ho adorato, sia per la chiarezza dell'esposizione (sebbene per capire a pieno alcuni punti credo debba recuperarmi i numeri 26, 27 e 28) che per il dettaglio e la quantità delle informazioni contenute, che mi hanno senz'altro aiutato ad avere un'immagine più chiara di cosa fu effettivamente il Feudalesimo, e particolarmente della sua storia unica qui in Italia.

Procedendo a ritroso, ieri ho cominciato a leggere il numero 28, precisamente l'articolo sul modo di produzione asiatico, argomento sul quale stavo già cercando più informazioni possibili anche in precedenza, ma sul cui conto ero parecchio confuso e, seppure in minor dose, lo sono tuttora. La vostra spiegazione su come questo tipo di società non sia un vero e proprio modo di produzione ma, invece, una forma "omeostatizzata" della fase di transizione fra il comunismo primitivo e la società di classe è probabilmente la formulazione più coerente (nonché la più affascinante) che abbia incontrato finora, ma i problemi sorgono nel confronto con altri testi sull'argomento, anche provenienti dalla stessa corrente della Sinistra Comunista.

In particolare, mi sto riferendo a una serie di articoli pubblicati ne Il Programma Comunista tra il 1957 e il 1958, ovvero "Peculiarità dell'Evoluzione Storica Cinese", reperibile anche dal vostro sito. Senza scendere troppo nel dettaglio, vi elenco brevemente i punti in cui questo testo e il vostro articolo differiscono maggiormente:

1) "Peculiarità" omette completamente il concetto di modo di produzione asiatico, classificando invece Cina, India e Persia, in base al periodo storico, come società a "Feudalesimo Aristocratico" (in Cina, prima della dinastia Qin) o "Feudalesimo di Stato" (in Cina, dalla dinastia Qin in poi);

2) "Peculiarità" sostiene che tale forma di "Feudalesimo di Stato" non sia assimilabile all'autocrazia romana (paragone strano, in quanto nessuno ha mai messo in dubbio che la Cina non fosse una società antico-classica), ma sia molto più simile alle monarchie assolute europee dell'Età Moderna;

3) "Peculiarità" omette ogni menzione alla proprietà comune della terra nei villaggi, concentrandosi invece sulla presenza di un mercato interno florido e di un altrettanto florida classe mercantile e sulla lunga serie di rivolte popolari che punteggiano l'intera storia cinese, segno, sostiene, di sviluppati antagonismi di classe.

Vi sarei incredibilmente grato se poteste offrirmi il vostro punto ti vista su queste divergenze, e/o se poteste indirizzarmi verso altre letture per approfondire il tema. Cordiali saluti,

Saluti da un nuovo lettore.

 

Caro compagno,

il problema che sollevi è reale. Non si può, infatti, comprendere il succedersi dei modi di produzione senza cogliere gli invarianti all'interno delle transizioni sociali (vedi il fondamentale testo Dottrina dei modi di produzione, 1958).

La tua lettera ci ha spinto a rileggere il n. 28 della rivista e il testo "Peculiarità dell'evoluzione storica cinese" da te citato. In effetti, quest'ultimo differisce in molti punti dal nostro "Modo di produzione asiatico?", e ciò è dovuto, tra le altre cose, al lasso di tempo che separa i due lavori. Tale periodo ci ha dato modo di approfondire e precisare una serie di argomenti, che negli anni '50 erano stati solo abbozzati, scovando invarianze e trasformazioni all'epoca non così evidenti. Non siamo la Sinistra Comunista "italiana", ma riteniamo quell'esperienza la base irrinunciabile del nostro lavoro. Oggi abbiamo a disposizione nuovi strumenti di analisi, ad esempio la logica fuzzye gli studi sulla cibernetica, a cui si aggiungono le risultanze degli scavi archeologici, che permettono di ricavare molta più informazione.

In questi anni abbiamo seguito l'indicazione della Sinistra: procedere nel lavoro per argomenti concatenati. Non è facile, infatti, comprendere a pieno il lavoro sul "modo di produzione asiatico" senza essere passati per quelli sulla "struttura frattale delle rivoluzioni" (n+1 n. 26) e sulla "prima grande rivoluzione" (n+1 n. 27). Ogni transizione di fase mostra fenomeni auto-somiglianti, soprattutto le due principali, quella tra la società comunistica originaria e quella classista, realizzata, e quella, in corso, tra quest'ultima e la nuova forma comunistica, sviluppata, emergente da un progetto complessivo nel frattempo maturato.

Il passaggio dalle società di classe a quella futura è spiegabile come la dissoluzione delle n forme nella forma n+1.

La forma economico-sociale primaria è estremamente stabile e si protrae per migliaia di anni, presentando delle differenze tra aree geostoriche: qui si dissolve prima, là dura più a lungo. La storia è piena di fasi ibride, retaggio delle forme passate e anticipazione di quelle future. Marx, ad esempio, ci tiene a specificare che non esiste un capitalismo puro, ed insiste sulla necessità di rintracciare il processo di dissoluzione del rapporto tra il produttore e i suoi mezzi di produzione (elemento materialista fondamentale), a partire da quello originario, la terra: un processo unico, che va dal comunismo di ieri al comunismo di domani. L'obiettivo, quindi, non è tanto di imbastire una tassonomia delle forme, quanto di individuare le caratteristiche del comunismo sviluppato, procedendo per esclusione delle categorie di proprietà che la storia ha fissato dopo il comunismo originario.

E' importante sottolineare che la "forma asiatica" è descrivibile come l'estensione di una società precedente ancora comunista, e allo stesso tempo è da intendersi come uno strumento di analisi, una macchina per conoscere: "La forma asiatica non è comunista, non è classista proprietaria e a rigore non è neppure un ibrido fra le due, è piuttosto utilizzata da Marx come in matematica si usano i simboli delle operazioni: servono a sommare, sottrarre, moltiplicare e dividere ma non fanno parte dei numeri. Dal punto di vista della proprietà collettiva la forma asiatica è comunistica; dal punto di vista della stratificazione sociale è già classista e statalizzata. In ultima analisi, assume un significato specifico a seconda del contesto in cui è evocata." ("Modo di produzione asiatico?")

Anche il capitalismo vorrebbe "asiatizzarsi", omeostatizzarsi (tutte le società non classiste sono omeostatico-cibernetiche), ma per quanto impianti ovunque sensori e attuatori, esso è valore in processo, deve sempre crescere (D-M-D') e superare i limiti che si trova di fronte. Quando il capitalismo diventa finalmente sé stesso vuol dire che è finito; ad un certo punto, esso si trasforma in un involucro che non corrisponde più al suo contenuto, e perciò deve saltare in aria. Il proletariato non è l'assassino del capitale ma è, giusta Marx, il suo becchino: citando il titolo di un articolo della Sinistra, esso seppellirà un "cadavere che ancora cammina".

Le letture che possiamo consigliarti per approfondire il tema sono quelle che trovi in bibliografia.

Un caro saluto.

Rivista n. 56